ilTorinese

Zampe mutilate a un gattino: taglia sull’autore del barbaro atto

VEROLENGO (TORINO 30 AGOSTO 2025) Hanno mutilato un gattino facendo ritrovare due zampette davanti alla casa di una famiglia che si occupa di tutelare e sfamare i gatti randagi. Questo quanto accaduto nel comune di Verolengo in provincia di Torino. Le due zampette recise in maniera perfetta e senza sangue sono state posizionate davanti all’igresso di una casa in zona va per Casale e tittrovate l’altra mattina dalla padrona di casa che è rimasta sconvolta cosi come tutta la comunità di Verolengo. Nessun ritrovamento invece del resto del corpo del gattino mutilato. Subito è stata presentata denuncia ai carabinieri della stazione di Verolengo che hanno aperto le indagini e che stanno battendo diverse piste tra cui quella di un’azione orribile e criminale compiuta da ragazzi che in una specie di macabra prova di coraggoi hanno ucciso il gattino e poi lo hanno amputato magari per poi pubblicarne il video su qualche social.Sulla vicenda interviene l’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente che ha deciso di sporgere denuncia per quanto accaduto e in una breve nota scrive: Purtroppo non è la prima volta che in quel comune avvengono fatti simili e questo lascia pensare a diverse possibili ipotesi ma per questo lasciamo lavorare le forze dell’ordine anche se il taglio netto di queste zampine ritrovate e l’assenza di sangue lasciano pensare che il fatto sia avvenuto in precedenza ed in luogo diverso da quello del ritrovamento. Noi invitiamo chi sa a parlare e mettiamo a disposizione una taglia di 1.000 euro che sarà pagata a chicon la sua denuncia alle forze dell’ordine aiuterà ad individuare e far condannare in via definitiva i responsabili di tale atto criminale”.

ASSOCIAZIONE ITALIANA DIFESA ANIMALI ED AMBIENTE- ITALIAMBIENTE

Nomadi a Collegno, presidio del centrodestra

IL TORINESE WEB TV

Accampamenti Nomadi a Collegno: Presidio del centro destra alla stazione Fermi.
Collegno, sta affrontando un problema sempre più evidente legato alla presenza di diversi accampamenti nomadi sul proprio territorio. Questo fenomeno, purtroppo, non è un caso isolato, ma riflette una realtà che molte città italiane stanno cercando di gestire e risolvere. Tuttavia, la questione degli accampamenti a Collegno è divenuta un tema di grande attualità, sollevando dibattiti sulla legalità e sulla sicurezza.
A Collegno, questi insediamenti si concentrano in alcune zone specifiche, in particolare intorno a Fermi, stazione metro e nei parcheggi adiacenti, creando una situazione di degrado urbano e anche problemi legati all’ordine pubblico.
A livello istituzionale, le risposte messe in atto per gestire il fenomeno sono spesso insufficienti. I progetti di inclusione sociale e i programmi di assistenza, purtroppo, non sono sempre riusciti a trovare soluzioni durature.
Il degrado delle aree interessate diventa evidente: rifiuti, immondizia e la carenza di servizi igienici sono solo alcuni dei disagi che gli abitanti e i residenti delle zone circostanti sono costretti a subire.
La sicurezza è un altro tema che preoccupa i residenti di Collegno. E’ innegabile che talvolta l’accumulo di persone in condizioni di difficoltà possa generare tensioni e conflitti, sia tra i residenti che tra i membri delle comunità stesse.
Il Comune di Collegno ha tentato di affrontare la questione, ma la gestione del fenomeno degli accampamenti nomadi risulta complessa. Una delle risposte è stata quella di cercare soluzioni temporanee come l’abbattimento degli accampamenti abusivi, ma questa strategia non ha avuto successo nel lungo periodo. Infatti, dopo ogni sgombero, i gruppi nomadi spesso si spostano in altre zone, alimentando un senso di instabilità e di precarietà.

FRANCESCO VALENTE

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MiTo, al via la nuova edizione del festival che unisce Milano e Torino

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Al via la nuova edizione del Festival MITO Settembremusica 2025, che unisce  in un’unica grande kermesse culturale comune i due capoluoghi di Torino e Milano, quest’anno sotto il titolo di “Rivoluzioni”.

L’apertura, mercoledì 3 settembre prossimo, all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto, sarà affidata alla Filarmonica della Scala diretta dal maestro sudcoreano Myung-Whung Chung, recentemente nominato direttore musicale della Scala di Milano, carica che assumerà nel 2027. Al pianoforte suonerà il giovane talento giapponese Mao Fujita. Tre capolavori che si collocano tra Otto e Novecento, tra tardo Romanticismo e il XIX secolo, contraddistingueranno il concerto inaugurale di mercoledì 3 settembre, il Valzer n. 2 tratto dalla Suite per orchestra di varietà  di Dmitrij Sostakovič, il Concerto n. 2  in do minore di Sergej Rachmaninov e la Sinfonia n. 6 detta “Patetica” di Pëtr Il’ič Cajkovskij.
Il giorno successivo, giovedì 4 settembre, sarà la volta di Milano, che darà  il via al calendario di MITO con un concerto  al Teatro alla Scala con la London Symphony Orchestra, guidata dal maestro Antonio Pappano, che la dirigerà nell’Ouverture da Candide di Bernstein, nel Secondo Concerto di Prokof’ev con la star sudcoreana  Seong-Jin Cho e poi nella Terza Sinfonia di Copland. Le due inaugurazioni sono sostenute da Intesa Sanpaolo.
I programmi musicali dei due concerti rientrano nel tema” Rivoluzioni”, scelto dal direttore artistico Giorgio Battistelli, al suo ultimo mandato nella direzione di MITO e simboleggiato nell’immagine della rassegna rappresentata dal dipinto di Pellizza da Volpedo, il Quarto Stato.

Dal 3 al 18 settembre  Torino e Milano saranno unite da un’unica grande proposta culturale, tra concerti sinfonici, musica da camera, spettacoli per bambini ospitati in vari luoghi cittadini, nelle sale da concerto, nei teatri, nelle chiese, anche al Grattacielo di Intesa Sanpaolo e a Le Roi Music Hall. Il tema “Rivoluzioni” sarà  declinato in quattro sezioni , “Mitja e gli altri”, “Berio e le avanguardie” “Rivoluzioni-tempi di guerra, tempi di pace” “Ascoltare con gli occhi”, che corrispondono  a perimetri tematici dai contorni spesso sovrapponibili.

Nella sezione “Mitja e gli altri” si celebra il cinquantenario della morte di Sostakovič con, in particolare, le sue sinfonie, l’integrale dei quartetti, altre pagine cameristiche e una serie di concerti dedicati a musiche  dei suoi contemporanei di area sovietica, come Weinberg, Kancheli e Silvestrov.
“Berio e le avanguardie” ricorda il centenario della nascita di Luciano Berio, con le interpretazioni di alcuni suoi brani iconici, due prime esecuzioni commissionate a Marcello Filotei e Salvatore Frega, e concerti che presenteranno  sue musiche accanto a quelle di due altre figure cardine della musica d’avanguardia americana, John Cage e Julius Eastman, al quale è dedicato “Without Blood There Is No Cause- The body of Julius Eastman”, spettacolo  musicale, di video e parole firmato dal regista Fabio Cherstich con la drammaturgia musicale  di Oscar Pizzo e i video di Francesco Sileo.
“Rivoluzioni: tempi di guerra, tempi di pace” è una sezions che racchiude musica che vuole rasserenare in tempi di conflitti  o che prova  a riconciliare gli opposti, dalla Sinfonia n. 1 “Concordia” di Samy Moussa all’Oratorio “Juditha triumphans” di Vivaldi alla Messa laica “The armed man” di Karl  Jenkins, passando per la Sinfonia n. 4 di Nielsen e il ritorno di concerti corali. Esperienze multisensoriali, concerti in spazi inediti e installazioni con musica, immagine, parola e movimento che si fondono rappresentano il contenuto del perimetro “Ascoltare con gli occhi”. Ecco “The Book of Women” di Riccardo Nova con l’Ictus Ensemble e le voci di Irini Ensemble, Hauch #2 con Ensemble Modern  e CocoonDance Company, il progetto Nomadic di Telmo Pievani e Gianni Maroccolo sulla biodiversità.
Tra i protagonisti sono interpreti dei Concerti di MITO orchestre di rilievo come l’Orchestra Sinfonica di Lucerna con Michael Sanderling, l’Orchestra Nazionale della Rai, la Holst Sinfonietta diretta da Klaus Simon, la Filarmonica e Orchestra del Teatro Regio di Torino, l’Orchestra Sinfonica della Rai, e importanti gruppi cameristici, artisti italiani di rilievo come Michele Marco Rossi, Maurizio Baglini, Alessandro Bonato, Alessandro Cadario, Tito Ceccherini, Manuel Zurria.
La programmazione di MITO SettembreMusica è completata dai concerti dei Conservatori locali e dai giovani esecutori dei corsi di perfezionamento.
A Torino nel 2025 giunge alla sua XVII edizione anche MITO per la Città, programmazione che si affianca a quella principale di MITO SettembreMusica per coinvolgere anche chi, per qualche impedimento, non ha la possibilità di partecipare al festival.

Mara Martellotta

 

Lavoro sicuro: le iniziative a due anni dalla strage di Brandizzo

Dal 29 agosto al 5 settembre l’associazione Sicurezza e Lavoro, in collaborazione con Istituzioni,sindacati edili Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil e familiaridellevittime, organizza la seconda edizione della “Settimana del Lavoro Sicuro”, che è stata presentata ufficialmente stamani nella sede della Città metropolitana di Torino, alla presenza dellaConsigliera Rossana Schillaci, delegata alle politiche sociali e di parità.
Come già avvenuto nella prima edizione, l’iniziativa è promossa in occasione dell’anniversario della strage sul lavoro del 30 agosto 2023nei pressi della stazione ferroviaria di Brandizzo, in cui morirono cinque operai edili della Sigifer che lavoravano per conto di RFI: Giuseppe Aversa, Kevin Laganà, Saverio Giuseppe Lombardo, Giuseppe Sorvillo, Michael Zanera.
Esprimendo la solidarietà e la vicinanza dell’amministrazione metropolitana ai familiari delle vittime dell’incidente di Brandizzo, la Consigliera metropolitana Rossana Schillaci ha sottolineato l’importanza delle attività di sensibilizzazione che l’associazione Sicurezza e Lavoro porta avanti nel mondo della scuola. “In attesa dell’avvio del processo penale per fare chiarezza sulle responsabilità di una tragedia assurda, commemoriamo anche quest’anno le cinque vittime della strage ferroviaria di Brandizzo. – ha annunciatoMassimilianoQuirico, direttore dell’associazione Sicurezza e Lavoro – È un’occasione non solo di ricordo e memoria, ma anche di riflessione collettiva sui temi della salute, della sicurezza e dei diritti nei luoghi di lavoro“.
Sabato 30 agosto 2025, giorno dell’anniversario della tragedia, alle 17nella piazza della Stazione di Brandizzo, è prevista la commemorazione ufficiale davanti al monumento dedicato alle vittime, alla presenza dei gonfaloni degli Enti locali, delle autorità, dei familiari delle vittime e della cittadinanza. Nella stessa giornata, alle 18nella chiesa parrocchiale di San Giacomo Apostolo, in piazza Vittorio Veneto 11 a Brandizzo, verrà officiata una Messa in ricordo delle cinque vittime. Successivamente, intorno alle 19, si svolgerà una passeggiatasino al Parco comunale Giovanni Bresso, nell’area fieristica di Brandizzo, dove sono in programma un ulteriore momento di riflessione e la presentazione dell’areain cui sorgerà il Giardino del Ricordo, in memoria delle cinque vittime della strage, in cui verranno piantumati in autunno cinque alberi, a cura di Filca-Cisl Torino e Sicurezza e Lavoro. A seguire l’evento“Ricordiamoli in musica” con Niko Music. L’area ristoro sarà curata dalla Pro Loco di Brandizzo. Sono inoltre previsti ulteriori momenti di confronto per commemorare le vittime di Brandizzo, fare memoria e stimolare riflessioni su diritti, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Oltre alla zona in cui saranno collocaticinque nuovi alberi, è stata individuata l’areain cui sarà realizzato un muralecommemorativo a cura dell’associazioneSicurezza e e Lavoro e dei sindacati edili Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil, in collaborazione con il Comune di Brandizzo e con i familiari delle vittime.
Partiranno anche le lezioni del progetto “A scuola di Sicurezza” con Fillea-Cgil Torino e Piemonte e Sicurezza e Lavoro, per promuovere la cultura del lavoro sicuro all’interno delle scuole, coinvolgendo studenti e studentesse e docenti, in collaborazione con il cartoonist di Sicurezza e Lavoro Tiziano Riverso, che per l’occasione ha realizzato per i due enti una vignetta evocativa.
Dopo il successo della prima edizione, la borsa di studio“Per non dimenticare la strage ferroviaria di Brandizzo” metterà a disposizione per l’anno scolastico 2025-2026 quattro assegni da 600 euro (uno per la provincia di Vercelli, uno per quella di Novara, uno per Biella e uno per il Verbano Cusio Ossola), finanziati da FilcaCisl Piemonte Orientale, Cisl Piemonte Orientale e Sicurezza e Lavoro.
Giovedì 4 settembre 2025 alle 10 nella sede della Uil, in via Bologna 11/D a Torinoè in programma la premiazione del concorsofinalizzato alla realizzazione dellogo della Settimana del Lavoro Sicuro, lanciato da Feneal-Uil Piemonte e Sicurezza e Lavoro. Verrà anche presentato il nuovo concorso “Un manifesto per Brandizzo”.
L’associazione Sicurezza e Lavoro pubblicherà articoli, video e postsulla propria rivista e sui propri canali social, con testimonianze, proposte e riflessioni sulla strage di Brandizzo e sulla tutela di salute, sicurezza e diritti nei luoghi di lavoro.
La Settimana del Lavoro Sicurosi concluderà venerdì 5 settembredalle 10 alle 13 nella sala consiliare del Comune di Brandizzo, in piazza Carlo Ala 5, con il convegno sul tema “Sicurezza in edilizia, in attesa di giustizia per Brandizzo”. L’incontro, moderato da MassimilianoQuirico, sarà l’occasione per fare il punto sulla situazione dellasalute e della sicurezza sul lavoro in Piemonte e in Italia, insieme a istituzioni, Enti e sindacati.
Per ulteriori informazioni sulla Settimana del Lavoro Sicuro è possibile contattare l’associazione Sicurezza e Lavoro, scrivendo a direttore@sicurezzaelavoro.org, chiamando il direttore Massimiliano Quirico al numero 339-412.6161 o consultando il sito Internetwww.sicurezzaelavoro.org

UniTo: quando interrogavano Calvino

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Torino e la Scuola

“Educare”, la lezione che ci siamo dimenticati
Brevissima storia della scuola dal Medioevo ad oggi
Le riforme e la scuola: strade parallele
Il metodo Montessori: la rivoluzione raccontata dalla Rai
Studenti torinesi: Piero Angela all’Alfieri
Studenti torinesi: Primo Levi al D’Azeglio
Studenti torinesi: Giovanni Giolitti giobertino
Studenti torinesi: Cesare Pavese al Cavour
UniTo: quando interrogavano Calvino
Anche gli artisti studiano: l’equipollenza Albertina

 

9 UniTo: quando interrogavano Calvino

Lo dico subito: tengo molto al tema di questo articolo e non medierò in nulla la mia passione per l’autore che andrò ad affrontare quest’oggi per la mia rubrica sugli studenti torinesi. Si tratta di uno scrittore che purtroppo a scuola non viene approfondito e che rischia, a mio parere, di non essere sufficientemente conosciuto.
Sto parlando di Italo Calvino, nato nel 1923 a Santiago de Las Vegas, (Cuba), da genitori italiani, entrambi docenti universitari di materie scientifiche. In seguito, nel 1925, la famiglia si trasferisce a Sanremo, dove Italo trascorre l’adolescenza e compie il primo ciclo di studi, infine, nel 1941, si trasferisce a Torino per frequentare l’Università di Agraria. Nel 1943 entra nella brigata comunista Garibaldi. Dopo la guerra, nel ’45, Calvino lascia la Facoltà di Agraria e si iscrive a Lettere e nello stesso anno aderisce al PCI. Alla Facoltà di Lettere di Torino si laurea nel 1947 con una tesi su Joseph Conrad. A Torino entra in rapporto con Natalia Ginzburg e Cesare Pavese a cui sottopone i suoi racconti. Inizia a collaborare con il quotidiano “l’Unità” e con la rivista “Il Politecnico” di Elio Vittorini. Nel frattempo si afferma la celebre casa editrice torinese Einaudi (fondata nel ‘33 da Giulio Einaudi), all’interno della quale collaborano Pavese e Vittorini, di cui Calvino è diventato ormai grande amico. Grazie a Pavese viene pubblicato nel 1947 il primo romanzo di Italo “Il Sentiero dei nidi di ragno”. Le sue doti di scrittore non possono passare inosservate, così due anni più tardi esce una prima raccolta di racconti “In ultimo viene il corvo” (1949), seguito da una moltitudine di altri successi. Nel ‘57 lascia il PCI, e nello stesso periodo collabora con diversi giornali, tra cui “Officina”, rivista fondata da Pier Paolo Pasolini, e dirige con Vittorini la rivista “Menabò”.

Dopo i successi lavorativi, nel 1962, Calvino incontra l’amore, conosce infatti Esther Judith Singer, una traduttrice argentina con cui si sposa – a Parigi- nel 1964. Italo rimane con la compagna nella capitale francese fino al 1980, anno in cui si trasferisce a Roma e pubblica “Palomar”. Nel 1984 lascia Einaudi e passa a Garzanti. Nel 1985 riceve il riconoscente invito da parte dell’Università di Harvard a tenere una serie di conferenze. Italo accetta e inizia a preparare le sue lezioni, ma, purtroppo, viene colto da un ictus improvviso nella sua casa a Roccamare, presso Castiglione della Pescaia. Muore pochi giorni dopo a Siena, nella notte tra il 18 e il 19 settembre. I testi tuttavia vengono pubblicati postumi nel 1988 con il titolo “Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio.” Per quel che mi riguarda, Calvino l’ho scoperto per caso, curiosando tra i molti libri che a casa ci sono sempre stati, giocando a leggere titoli che mi suggerivano storie elaborate e fantasiose. Ricordo una copertina sul verde, leggermente consunta, avvolgeva delle pagine ingiallite: era la trilogia de “I nostri antenati”. È stata una delle prime opere che ho letto con attenzione e totale trasporto, ho da subito amato lo stile lineare e lucidissimo dell’autore, il suo modo semplice di raccontare con misurato rigore, le parole fluide che si dispongono quasi in automatico a comporre le frasi, come pezzi di un puzzle che per forza così si devono incastrare.

Leggere Calvino è bello. Lasciarsi trasportare dalle trame dei suoi racconti è un’esperienza avvolgente, completa, rilassante, ma anche occasione di riflessione, perché Italo non è solo maestro della narrazione, ma anche uomo di grande cultura e forbito pensatore. Calvino tuttavia, prima di diventare un grande fra i grandi, fu uno studente fra gli studenti, e viene un po’ da sorridere all’idea di immaginarselo di fronte all’Università, intento a rivedere gli appunti e a ripassare per gli esami, mentre sfoglia velocemente i propri libri. E fa ancora più meraviglia immaginarselo lì, forse lievemente impaurito, in attesa di essere interrogato da qualche professore per cui provava magari timore reverenziale. Certamente di professori che incutevano, diciamolo pure, “paura” all’Università di Torino ne sono passati molti, e la storia dell’istituzione è decisamente antica. Le origini dell’Università degli Studi Torino risalgono ai primi anni del XV secolo. Dopo la morte improvvisa di Gian Galeazzo Visconti alcuni docenti delle Università di Pavia e Piacenza proposero a Ludovico di Savoia-Acaia la creazione dello “Studium Generale” di Torino, in quanto sede vescovile e crocevia della rete di collegamenti tra la Francia, la Liguria e la Lombardia. La nuova Università nacque ufficialmente nel 1404 con la bolla di Benedetto XIII, papa di Avignone.
Dal 1443 fino all’inaugurazione del prestigioso palazzo di via Po vicino a Piazza Castello nel 1720, l’Università ebbe sede nel modesto edificio acquistato e ristrutturato appositamente dal Comune all’angolo tra via Dora Grossa, l’attuale via Garibaldi, e via dello Studio (poi via San Francesco d’Assisi).

L’Università torinese, pur non competitiva rispetto alle altre grandi Università italiane, era comunque di grande rilievo, non dimentichiamo che Erasmo da Rotterdam vi conseguì la laurea in Teologia nel 1506. Particolarmente floridi per l’Università furono gli anni delle riforme di Carlo Alberto (1831-1849). Il periodo albertino è caratterizzato dallo sviluppo di alcuni istituti, dalla creazione di nuovi e dalla presenza sul territorio di docenti di prestigio, quali ad esempio Augustin Cauchy, matematico e ingegnere francese, o Pier Alessandro Paravia, letterato e mecenate italiano di grande fama. Nel corso degli anni molte furono le innovazioni e le modifiche che i vari corsi subirono, per esempio, nel 1844 le Facoltà di Medicina e di Chirurgia furono nuovamente riunite e riformate, mentre nel triennio 1846-48 si provvide, tra forti contrasti e resistenze, a riformare la Facoltà di Scienze e Lettere che il 9 ottobre 1848 cessò di esistere. Si istituirono due Facoltà separate, una di “Belle Lettere e Filosofia” e l’altra di “Scienze Fisiche e Matematiche”, quest’ultima tra l’altro poteva vantare nomi di docenti illustri quali Avogadro, Bidone, Plana, Giulio, De Filippi, Sobrero, e Menabrea. Continuando per una più che rapida carrellata storica, è necessario ricordare un altro momento storico cruciale, non solo per la storia della Scuola, ma per la Storia con la “S” maiuscola. La riforma Gentile, varata nella prima metà del 1923, che riconobbe 21 Università e inserì quella di Torino tra le dieci a carico dello Stato. Siamo durante il ventennio fascista, periodo in cui l’Ateneo torinese cercò di mantenere la massima autonomia didattico-scientifica. Quando il regio decreto del 28 agosto 1931 stabilì che i docenti avrebbero dovuto giurare di essere fedeli non solo alla monarchia, ma anche al regime fascista, in tutta Italia solo 12 insegnanti su oltre milleduecento rifiutarono di prestare il giuramento, perdendo così la cattedra. Tre di questi erano membri del corpo docente dell’Università di Torino: Mario Carrara, Francesco Ruffini e Lionello Venturi. Nell’ultimo secolo la Facoltà di Lettere ebbe insegnanti come Luigi Pareyson, Nicola Abbagnano, Massimo Mila. A Giurisprudenza insegnarono Luigi Einaudi e Norberto Bobbio. Molti tra i protagonisti della vita politica italiana del Novecento si formarono all’Università di Torino, come Gramsci e Gobetti, Togliatti e Bontempelli.

Alla fine degli anni Sessanta la nuova (e attuale) sede del “Palazzo delle Facoltà Umanistiche”, noto anche oggi come “Palazzo Nuovo”, trovò spazio nella moderna costruzione di Via Verdi. Nel 1998 è stata fondata l’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”. Nel 2012 è stato inaugurato il “Campus Luigi Einaudi”, nuovo polo accademico con funzione di sede unica per i corsi di studio nell’ambito delle Scienze giuridiche, politiche ed economico-sociali. L’identità dell’Università degli Studi di Torino è costituita dal sigillo, il cui primo esemplare risale al 1615. Vi è rappresentato un toro, che indica lo stretto legame dell’Ateneo con la città di Torino, adagiato su tre libri, che alludono alle prime tre Facoltà dello “Studium” torinese: Teologia, Leggi, Arti e Medicina. Il toro ha la testa volta all’indietro verso un’aquila ad ali aperte che poggia sulla groppa dell’animale. L’aquila fissa il sole, simbolo della sapienza, ed è coronata, perché è il re degli uccelli ed è anche insegna dell’imperatore che, con diploma del 1412, aveva confermato la bolla papale di fondazione, risalente al 1404. Sui tre libri sono incise una crocetta, un fermaglio e un altro segno indistinto. Questa la legenda: “SIGILL(um) UNIVERS (itatis) AUGUSTAE TAURINORUM”. Il logo divenne emblema dell’Università dal 1925.

Dopo questo breve “excursus” possiamo focalizzarci nuovamente sul nostro studente per oggi prediletto.
“Gli artisti usano le bugie per dire la verità” dice V, personaggio mascherato da Grey Fox, disegnato da David Loiyd, protagonista di “V per Vendetta”, una serie di fumetti scritti da Alan Moore, allo stesso modo – se mi è permesso l’ardito accostamento tra l’autore italiano e il mondo fumettistico inglese- Calvino usa le sue narrazioni favolistiche come spunto per un’ardita riflessione sull’esistenza e sulla condizione dell’uomo contemporaneo.  L’autore occupa un posto di primo piano non solo nella storia della narrativa ma anche nel nostro panorama culturale italiano, sia per i suoi lucidi interventi di critico militante, sia per la centralità del suo ruolo di collaboratore nella politica editoriale della casa editrice “Einaudi”, dove ha lavorato per trent’anni.
Calvino sostiene una concezione impegnata del lavoro intellettuale e della letteratura, tanto che nel 1955 scrive nel suo saggio “Il midollo del leone”: “Noi pure siamo tra quelli che credono in una letteratura come educazione di grado e di qualità insostituibile”.

La produzione di Calvino, per la varietà di innovazioni fantastiche e per le diverse modalità narrative, non trova eguali in nessun altro autore del Novecento. Il tema costante della sua produzione è la condizione storica dell’uomo, il suo stare al mondo, argomentazione a lui cara sia nei primi scritti, fino al suo ultimo libro “Palomar” (1983) in cui porta avanti una lucida e disincantata analisi della condizione dell’essere umano, che si interroga e che vuole capire se stesso e l’universo in cui vive.
La multiforme produzione calviniana è solitamente divisa in “fasi”: “neorealistica”, “allegorico-fiabesca” e “fantascientifica”. È utile però ribadire che tali classificazioni, che sono elastiche e strumentali, non vanno intese come un’ordinata successione cronologica, con modalità narrative specifiche che si concludono definitivamente una dopo l’altra; è infatti caratteristica preminente in Calvino la coesistenza, spesso anche all’interno dello stesso testo, di atteggiamenti contrastanti, che però egli riesce sapientemente a mediare.

Il suo essere narratore peculiare è evidente già dal suo primo romanzo, edito nel 1947, titolato “Il sentiero dei nidi di ragno”, un testo inseribile all’interno del filone neorealistico. Il libro affronta la tematica della Resistenza, argomento caro a molti altri suoi contemporanei, ma che Calvino espone secondo la sua ottica innovativa e inaspettata, così il lettore si trova catapultato non in un “semplice” romanzo storico, ma in una sorta di “favola a lieto fine”. Protagonista del romanzo è Pin, un bambino maturato velocemente, costretto a conoscere la violenza e la durezza della vita per strada. La vicenda ci è raccontata attraverso il suo sguardo di fanciullo cresciuto, che certo si inserisce nelle vicende degli adulti, ma che comunque non riesce a comprendere del tutto.
La dimensione favolosa e fantastica è di certo la più autentica per Calvino, come dimostrano i romanzi “Il visconte dimezzato” (1952), “Il barone rampante” (1957) e “Il cavaliere inesistente” (1959). Tali opere, conosciute come la trilogia de “I nostri antenati”, fanno capo al genere del racconto filosofico, filone letterario che in Italia non ha mai conosciuto particolari apprezzamenti. Va però detto che, se nel racconto filosofico l’intento è dimostrativo e raziocinante, in Calvino dominano il gusto per l’invenzione e il fantastico. In questi testi favolistici vi è però una sorta di “doppio fondo”, un messaggio nascosto, che il lettore accorto scova se si sofferma a pensare tra un capoverso e l’altro. Si tratta di tre romanzi allegorici sulla condizione dell’uomo contemporaneo, “alienato”, impossibilitato a raggiungere la completezza (come dichiara l’autore stesso nella presentazione editoriale de “Il visconte dimezzato”). Oltrepassiamo la gradevolezza della “fabula” e soffermiamoci dunque sul motivo di fondo del racconto di colui che è “dimidiamento dell’uomo contemporaneo, mutilato, incompleto, nemico a se steso”, o sul principio enunciato dal Barone: “chi vuol guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria” oppure sulla vicenda di Agilulfu, che è solamente un’armatura vuota, metafora dell’essere umano deprivato della sua irripetibile individualità, ridotto a “funzione”, usato come mezzo e non pensato come fine. Favole certo, ma con un “Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι” (o mythos deloi oti: “la favola insegna che”, di esopica memoria) da non sottovalutare.

L’interesse per la condizione umana è altresì evidente ne “Le Cosmicomiche” e in “Ti con zero” (1967). Si tratta di opere inscrivibili alla fase “fantascientifica”, in cui l’autore attinge alla fisica quantistica, alla genetica e alla biochimica per sottoporre a discussione una moltitudine di problematiche scientifiche. Qfwfq è l’impronunciabile nome dell’entità protagonista, vecchia quanto il mondo e con la stessa memoria del mondo. È proprio tale improbabile personaggio ad analizzare un microcosmo lontano dal nostro, esistente prima della nascita del concetto di spazio e di tempo, nel quale però sono già presentati i conflitti, le tensioni e le dinamiche interpersonali che si incontrano nel mondo di oggi. Anche in questo romanzo psichedelico vi è una riflessione celata all’interno del tessuto narrativo, e l’interrogativo costante è “L’uomo non cambia e i suoi problemi sono immutabili e insolubili”? Al lettore l’ardua sentenza.
L’autore ci coinvolge continuamente e ci esorta a rimuginare, a trarre le giuste conclusioni, ma da sommo Maestro com’è, intanto che aspetta ne approfitta per darci ancora una lezione, che forse ci spiazza e ci costringe ad ingoiare quella minuscola frase che stavamo faticosamente formulando. Nell’opera “Le città invisibili” egli scrive: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce fatale a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”. E la domanda rimane aperta: “la favola insegna che?”

Alessia Cagnotto

Automotive, Torino e il Piemonte davanti al bivio: sindacati in allarme e futuro produttivo incerto

La crisi produttiva e occupazionale di Stellantis continua a pesare su Torino e sul Piemonte, cuore storico dell’automotive italiano. I dati più recenti parlano chiaro: nel primo semestre 2025 il gruppo ha registrato un calo vicino al trenta per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con una flessione ancora più accentuata per le autovetture. Se il trend dovesse confermarsi, l’Italia chiuderà l’anno con meno di trecentomila veicoli prodotti, ben al di sotto delle aspettative fissate al momento della nascita del gruppo.

Lo stabilimento di Mirafiori è tra i più colpiti: poco più di quindicimila unità uscite dalle linee nei primi sei mesi, quasi tutte Fiat 500 elettriche, mentre la Maserati ha registrato numeri irrisori. Il risultato è un ampio ricorso agli ammortizzatori sociali: circa milleduecento lavoratori sono coperti da un contratto di solidarietà che sarà rivisto in questi giorni, proprio alla vigilia della ripresa produttiva fissata per il primo settembre. Non si esclude che la cassa integrazione possa estendersi anche ad altri siti, come Pomigliano, aumentando la tensione tra i lavoratori.

I sindacati denunciano l’assenza di una strategia chiara per il rilancio. La Fim-Cisl guarda con speranza all’arrivo, da novembre, della 500 ibrida — circa cinquemila unità — che potrebbe attenuare il ricorso agli stop produttivi, ma le prospettive restano di medio-lungo periodo, con la nuova generazione della 500 elettrica attesa per il 2027. La Fiom insiste sulla necessità di un tavolo urgente con l’esecutivo e con John Elkann per avere garanzie su investimenti e livelli occupazionali.

Anche le istituzioni locali si sono mobilitate. La Regione Piemonte e il Comune di Torino hanno accolto con favore la nomina del nuovo amministratore delegato Antonio Filosa, ma chiedono che il cambiamento porti risultati concreti e non soltanto dichiarazioni d’intenti. Il sindaco Lo Russo ha ribadito che la città non può più permettersi di perdere posti di lavoro e competenze industriali, invocando un piano industriale solido che rimetta al centro Mirafiori.

A livello nazionale pesa la sfida della transizione elettrica, con costi crescenti e tensioni sul mercato europeo, che rendono ancora più urgente un sostegno politico deciso. Nel frattempo, il rinnovo del Contratto Collettivo Specifico di Lavoro con aumenti salariali e una tantum ha dato una boccata d’ossigeno, ma non basta a cancellare l’incertezza diffusa tra gli addetti.

Il destino dello stabilimento torinese e, più in generale, del comparto Stellantis in Italia si giocherà nelle prossime settimane: la ripartenza produttiva di settembre e l’arrivo della nuova 500 ibrida rappresentano un banco di prova decisivo per capire se il gruppo intende davvero investire sul futuro industriale del Paese o se il ridimensionamento sarà l’unica strada percorsa.

La pioggia non salva la stagione in alpeggio

Coldiretti chiede l’OK alla Regione per il ritorno in pianura

La pioggia caduta negli ultimi due giorni non è servita a rinverdire i pascoli alpini “bruciati” da tre mesi di caldo intenso e siccità. Con questa situazione Coldiretti chiede alla Regione di autorizzare la discesa anticipata dei margari dagli alpeggi.

«Termina con largo anticipo una stagione che in alcune vallate è decisamente da dimenticare – commenta il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici – Un altro colpo all’economia d’alpeggio che non è solo identitaria per il territorio montano ma rappresenta anche un segmento importante dell’intera economia alpina torinese con ben 460 alpeggi attivi distribuiti in 11 valli e 3000 addetti che lavorano in imprese perlopiù a conduzione famigliare. Queste famiglie custodiscono le tecniche per la produzione di formaggi d’alpeggio che rappresentano la maggior parte dei prodotti a indicazione d’origine del nostro territorio con un alto valore aggiunto. Inoltre, le aziende agricole in alpeggio, in molti casi offrono servizi agrituristici con ristorazione e pernottamento, svolgono attività di manutenzione delle infrastrutture sentieristiche, praticano la vendita diretta di formaggi, burro e ricotte: tutte funzioni importanti che rappresentano il cuore dell’immaginario del turismo alpino estivo. Senza contare l’innovazione con prodotti nuovi come il gelato dal latte fresco e la funzione sociale con gli alpeggi didattici che ospitano soggiorni tipo “estate ragazzi” con animatori professionali direttamente in baita».

Quindi il caldo ha fatto mancare l’erba.

«I pastori sono saliti in montagna a giugno trovando le erbe a fine fioritura e in molti casi già maturate –Le alte temperature di quelle settimane, proseguite a luglio e poi nella prima metà di agosto hanno letteralmente “bruciato” i pascoli, soprattutto quelli esposti a Sud-Sud Ovest. Inoltre, il forte caldo in quota ha fatto anche sciogliere più rapidamente del solito i nevai, che sono la scorta di acqua estiva. Molti rii alimentati da nevai o da sorgenti in quota sono così prosciugati mettendo a secco anche le derivazioni idriche che permettono l’irrigazione dei pascoli e, soprattutto, l’abbeveramento dei bovini. In questi giorni, in molti alpeggi, manca letteralmente l’acqua».

Per la demonticazione è però necessaria un’autorizzazione regionale. Infatti, per la sua importanza per l’economia delle vallate, per i suoi risvolti sociali, turistici e per il ruolo di presidio del territorio, e con fenomeno dell’invecchiamento degli allevatori e dell’abbandono dei pascoli l’economia d’alpeggio è sostenuta attraverso particolari “premi” stabiliti dall’Unione europea ed erogati attraverso criteri decisi dal Masaf e dalle Regioni. In questo quadro, giustamente, il sostegno è correlato a un’effettiva presenza al pascolo dei bovini, ovini e caprini per un arco temporale adeguato al mantenimento di una vera economia pastorale alpina. Esiste, quindi, un tempo minimo di permanenza commisurato alla superficie del pascolo e al numero di animali monticati, al di sotto dei quali non si ha diritto ai contributi. La Regione Piemonte è chiamata quindi a derogare all’obbligo di rispetto del carico minimo in alpeggio senza escludere i margari dai “premi” di pascolo.

Ma per Coldiretti la siccità 2025 in montagna è l’ulteriore conferma che si devono cambiare le politiche agricole locali.

«L’esperienza di questi ultimi anni ci dice che bisogna abbandonare la logica dell’emergenza con risposte caso per caso e anno per anno. Non è possibile che ogni estate si debba rispondere al grido di allarme degli allevatori di montagna come se fossimo di fronte a calamità eccezionali quando negli alpeggi si vivono gli effetti di bombe d’acqua, grandinate mai viste, siccità e alte temperature. Questi non sono più eventi da affrontare ciascuno come un fatto sfortunato, imprevedibile ed eccezionale. Dobbiamo renderci conto che dobbiamo garantire la presenza dei pastori in montagna di fronte a questo quadro di un clima che è definitivamente cambiato rispetto al clima del Novecento. Alla luce del cambiamento climatico occorre anche rivedere i criteri di sostegno alla monticazione in alpeggio».

La lettera di Schael: “allontanamento precipitoso”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera dell’ex direttore della Città della Salute
E’ sempre difficile scrivere una lettera di commiato, soprattutto quando la separazione è così improvvisa, veloce e forzata come in questa occasione. Sono stati solo sei mesi, ma intensi. Sinceramente non avrei voluto un allontanamento cosi precipitoso che lascia un vuoto dentro di me, ma credo anche che un ennesimo cambiamento alla direzione sia un inutile contraccolpo per la conduzione quotidiana del vostro prezioso lavoro ed una perdita di tempo. Scrivo questa mia ultima per un saluto e soprattutto per un ringraziamento nei confronti dei dipendenti ospedalieri e degli universitari tutti, che ogni giorno fanno sì che la Città della Salute e della Scienza sia riconosciuta da tutta Italia quale Dea di terzo livello, nella visione di diventare uno dei migliori ospedali d’Europa. Sia chiaro, questa è un’eccellenza grazie a tutti voi, che rischia di essere oscurata dagli interessi di pochi. Ed un particolare ringraziamento va ai miei più stretti collaboratori: la Direttrice sanitaria Flavia Pirola ed il Direttore amministrativo Giampaolo Grippa. Certo, la mia missione di Commissario è basata su legalita e trasparenza e forse non mi è stato concesso il tempo necessario per iniziare questo arduo e nobile percorso. Sei mesi per qualsiasi azienda, pure piccola, sono un tempo assolutamente insufficiente anche per portare a compimento i due obiettivi assegnatimi dalla Regione Piemonte: realizzare il piano di razionalizzazione ed efficientamento ed attivare il percorso di trasferimento al nuovo Parco della Salute, della Scienza e dell’Innovazione, compreso lo scorporo di OIRM e Sant’Anna.
La nostra / vostra Azienda ha davvero una marcia in più e lo abbiamo / avete dimostrato a più riprese, con piccoli grandi miracoli che si ripetono quotidianamente. E non intendo solo quelli che riempiono le pagine di giornale. Siete voi quelli che avete primeggiato nelle prestazioni aggiuntive serali e dei weekend per accorciare le liste d’attesa, effettuando addirittura un quarto delle prestazioni totali di tutta la Regione Piemonte sempre per il bene dei pazienti. Assistenza, ricerca, formazione uniti da un fil rouge che vi contraddistingue. Siete una squadra vincente malgrado le difficoltà di contesto, tra cui la struttura che compie cento anni, la mancata manutenzione da decenni e che non si può fare perché ci vorrebbero quasi 600 milioni di euro, simile all’importo per la costruzione del nuovo Parco della Salute. E fate squadra per l’assistenza interdisciplinare e interprofessionale tra quattro presidi ospedalieri, superando tutte le distanze e gli ostacoli logistici per curare qualsiasi paziente complesso, alcuni pure rifiutati da altre strutture pubbliche e private. Per questo ho proposto di qualificarci per l’IRCCS trapianti (con oltre 10.000 trapianti siamo con grande distacco al top d’Italia) e l’IRCCS oncologico (curiamo quasi un terzo dei pazienti oncologici della regione Piemonte). Con orgoglio ho presentato questa squadra agli Stati generali della sanità italiana, denominato “Grandi Ospedali”, alla presenza di oltre 6.000 partecipanti di tutta l’Italia, tra cui l’Ospedale Universitario della Charité di Berlino (il migliore ospedale d’Europa) e rappresentanti dell’area mediterranea per uno slancio internazionale per cui siete pronti.
Quello che mi preme sottolineare, al contrario di quanto sostenuto da molti che non hanno voluto comprendere quanto fatto dal sottoscritto, è che ho sempre operato in buona fede per il bene della nostra Azienda e soprattutto della Sanità pubblica e dei cittadini / pazienti. Molti non hanno condiviso alcune mie scelte, ma vi posso garantire che fin dalle prime circolari ogni decisione era ponderata per la salute pubblica. Ad esempio, quella sul divieto di fumo era all’insegna della prevenzione e della sicurezza. Così come quella dei camici al bar è stata vissuta come un divieto, ma era una circolare per l’igiene ed il rispetto altrui, ma soprattutto dei pazienti.
Sicuramente ho ereditato un’Azienda in un momento storico di grande difficoltà sotto molti punti di vista. Ho cercato di affrontarli uno ad uno sempre in modo costruttivo e sempre per il bene della “res publica”, seguendo gli obiettivi che mi erano stati dati dalla Regione Piemonte al momento della mia nomina. Alcune scelte possono essere parse impopolari, ma sono sicuro che avrebbero portato i risultati auspicati secondo le regole della Sanità pubblica, senza dimenticare un’indagine della Procura della Repubblica di Torino che da tempo aleggia sulla nostra Azienda da ben prima del mio arrivo a Torino. Proprio in quest’ottica ho sempre operato all’insegna della legalità e della trasparenza.
Ringrazio e saluto tutti, augurandovi buon lavoro ed un sincero in bocca al lupo per il bene di questa importante Azienda che si chiama Città della Salute e della Scienza di Torino e che mi rimarrà sempre nel cuore. Per il resto, come disse Seneca: “Il saggio non dice mai tutto quello che pensa, ma sempre ciò che conviene dire”.
Ad maiora.
Thomas Schael

Da 60 anni torinese in vacanza in Liguria premiato a Laigueglia

Da oltre 60 anni va in vacanza in Liguria, a Laigueglia (Savona). Ora è  un ‘turista onorario’ del borgo ligure. Il sindaco Giorgio Manfredi ha premiato con un riconoscimento Giuseppe Izzi, 89enne di Torino invitato in Comune per una  cerimonia con amici e nipoti.