ilTorinese

Il Mocha Mousse e i suoi abbinamenti /2^ parte

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Già ci si siamo avvicinati alle combinazioni del Colore Pantone per l’anno 2025, il Mocha Mousse, più adatte per l’estate, presentando varie tonalità di blu. Il colore che, in questa stagione, ci fa pensare al mare, comunica tranquillità e trasmette fiducia. Volendo aggiungere un terzo colore, possiamo pensare alla combinazione Mocha Mousse-blu-azzurro, oppure a quella, più raffinata, Mocha Mousse-beige (o sabbia)-blu.

Ci sono però colori che utilizziamo con preferenza in estate, per varie ragioni. Tra essi, il giallo e l’arancione.

Il giallo ci rimanda al sole: un colore luminoso e in prevalenza caldo. Chi ama il giallo è spesso creativo, originale, innovativo, curioso, ama le sfide ed è un perfezionista. In genere è ottimista e realizza le proprie ambizioni. Per contro, chi non ama questo colore è una persona che preferisce non rischiare, bensì scegliere percorsi dall’esito sicuro: si tratta delle cosiddette persone “con i piedi per terra”.

L’arancione è un colore secondario, cioè la fusione di rosso e giallo. Ha dunque caratteri propri di entrambi questi colori. E’ il colore del tramonto, ma anche dell’energia, delle persone determinate, di successo, che si impegnano in progetti sempre nuovi. Chi ama l’arancione può essere un po’ volubile e sempre alla ricerca di nuovi amici/he..; si fa perdonare, per il suo senso dell’umorismo e per l’essere, in genere, persona ricca di fascino e stimoli.  Avete notato che le confezioni di vitamine, integratori, etc. hanno spesso questo colore? L’arancione è infatti un colore stimolante: iniziate la vostra giornata con qualcosa di questo colore, come una spremuta d’arancia.

Il Mocha Mousse ben può essere abbinato al giallo o all’arancione in estate. Attenzione a scegliere la migliore tonalità di questi colori. Non tutte, infatti, si prestano a un abbinamento che doni al nostro colore dell’anno 2025 un tocco di vivacità.

Tra gli arancioni, sceglieremo quelli più accesi, o la tonalità corallo. Tra i gialli, saranno perfetti il giallo più tenue del sole al mattino e il giallo del sole nel mezzogiorno; i gialli ambra, oro, grano, mimosa, escludendo, invece, i gialli con tonalità fredde o molto chiari.

Dunque, potremo optare per un abbinamento Mocha Mousse-giallo oppure Mocha Mousse-arancione, scegliendo, di questi colori, la tonalità più adatta a noi o preferita. L’abbinamento si potrà trovare, ad esempio, con un accessorio: raffinato un abito Mocha Mousse con una borsa giallo pannocchia; una gonna svasata Mocha Mousse con una camicia a stampa o a righe verticali arancioni e Mocha Mousse; una borsa da mare in raffia Mocha Mousse e giallo sole; un tailleur in lino Mocha Mousse con camicia o, perché no, Tshirt gialla, da indossare in contesti professionali.

Se non vi ritrovate in queste idee, le proposte non finiscono qui. Alla prossima puntata.

 

 

 

Chiara Prele

Consulente d’immagine

Monte Verità, culla dell’utopia

Ascona è un comune svizzero del Canton ticino, sul lago Maggiore. E’ lì che s’incontra “il luogo che non c’è”, la culla dell’utopia: il monte Verità. A partire dall’inizio del ventesimo secolo , su questa  collina appena sopra la perla dell’alto Verbano, tra Brissago e Locarno, si riunirono intellettuali e artisti alla ricerca di valori e modi di vita alternativi. Un’umanità varia composta da vegetariani, predicatori del ritorno alla vita rurale, sostenitori dell’utilità delle pratiche igeniste all’aria aperta (ginnastica, sole e bagni freddi) e anche da chi propagandava l’anarchia e il libero amore.

I fondatori del movimento Henry Hoendekoven, figlio di un industriale belga, e Ida Hoffmann, femminista e insegnante di pianoforte, arrivarono sulle rive del lago Maggiore dalla Germania. Vi giunsero a piedi, rifiutando le abitudini di una società sempre più materialistica, alla ricerca di uno stile di vita a contatto con la terra, la natura, la semplicità. A quel tempo il monte Verità si chiamava Monescia e i naturisti comprarono terreni e costruirono case seguendo stili precisi. All’epoca sul colle non c’era neppure l’acqua ma non per  questo si persero d’animo e per tutto il primo ventennio del ’900 il Monte Verità  diventò la “piccola patria” di pensatori, scrittori, artisti, anarchici e di chiunque fosse interessato a sperimentare in completa libertà le proposte rivoluzionarie del gruppo. Vi soggiornarono le menti più vivaci dell’epoca: Carl Gustav Jung, Erich Maria Remarque, Thomas Mann ,André Gide, Herman Hesse ( che viveva a Montagnola, nel ticinese distretto di Lugano ). E non mancarono gli anarchici e rivoluzionari come Bakunin e Lenin. I valori condivisi erano l’emancipazione femminile, il vegetarianismo, la danza di gruppo (o euritmia, spesso fatta alla luce della luna), l’abolizione del denaro con la sostitutiva pratica del baratto, l’originalissima abolizione delle maiuscole nei testi. La comunità sosteneva che la coltivazione della terra in costumi adamitici portava benefici al raccolto. Nel giro di pochi anni gli abitanti di Ascona iniziarono a guardare con sospetto a cosa stava accadendo sulla loro collina. Ma non protestarono, si limitarono a chiamare quei nudisti ballerini, agricoltori, musicisti e messaggeri dell’amore libero, con un innocuo nomignolo: i “balabiòtt”. Sarà pur bizzarra la storia del Monte Verità e dei suoi “danzatori nudi” ma, come mi disse un vecchio intellettuale ticinese e storico del lago Maggiore, “è la bellezza di questa landa libertaria dove le idee si rispettano anche quando non si condividono”.

Marco Travaglini

Marini e la “tenda” di Bettini

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo

Ma ve lo immaginate un Franco Marini, per citare l’ultimo grande leader nazionale del popolarismo
di ispirazione cristiana, che discute se costruire – o meno – una “tenda” centrista, moderata e
cattolica all’ombra del partito “principe” per rafforzare ed irrobustire un progetto di centro
sinistra? Fuor di metafora, ma sino ad un certo punto, stiamo parlando dell’ennesimo
‘suggerimento’ dell’infaticabile Goffredo Bettini, fine analista ed autorevole dirigente politico del
comunismo italiano – o post o ex comunista che sia poco cambia – sulla necessità di valorizzare,
tenendo comunque a bada, anche la componente cattolico democratica o popolare all’interno
della coalizione di sinistra e progressista saldamente gestita e guidata dalle tre sinistre italiane.
Quella radical/massimalista di Elly Schlein, quella populista e demagogica dei 5 stelle di Conte e
quella estremista ed ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis. Il tutto coordinato dalla macchina
politica ed organizzativa della Cgil di Landini, oggi un po’ fiaccata ma non affatto in crisi. Perchè il
nodo politico di fondo, alla fine, è sempre lo stesso. E cioè, come garantire una dignitosa
presenza – cioè, per i non addetti ai lavori, una manciata di seggi parlamentari – a tutti i satelliti
che ruotano attorno alla stella polare. Satelliti che vedono in prima linea, appunto, anche quei
cattolici popolari e democratici che, del tutto legittimamente, continuano ad individuare
nell’attuale coalizione di sinistra e progressista l’unico possibile spazio politico nella vita pubblica
italiana. Ed ecco la proposta apparentemente innovativa e persino suggestiva ma che, purtroppo,
si ripete da ormai svariati decenni. Perchè un tempo, più seriamente e più coraggiosamente –
parliamo degli anni ‘70 ed ‘80 – veniva semplicemente definita come la presenza “dei cattolici
eletti come indipendenti di sinistra nelle liste del Pci”. Oggi, poeticamente, potrebbe essere
chiamata “una tenda“ per ospitare chi non si riconosce direttamente nel progetto delle tre sinistre
ma che, comunque sia, è pur sempre indispensabile per confermare la natura plurale di quel
contenitore politico e programmatico che va sotto il nome di “campo largo”.
Ed è proprio qui che torno e ripropongo la riflessione iniziale. E cioè, ma ve lo immaginare un
Franco Marini – ma potrei citarne molti altri come, ad esempio, anche un Mino Martinazzoli – che
si accontentano di giocare un ruolo gregario, politicamente irrilevante, culturalmente sterile ed
anche organizzativamente insignificante all’interno della coalizione di cui dovrebbero far parte?
Senza alcuna presunzione di intestarsi alcuna eredità o di farsi carico di interpretazione postume,
francamente non ce li immaginiamo. E questo perchè è appena sufficiente scorrere la loro
biografia politica, culturale e sociale per rendersene conto. Parlo, come ovvio e persin scontato,
della loro concreta esperienza politica dal 1994 in poi.
Ecco perchè, quando parliamo, e giustamente, del futuro dell’esperienza del popolarismo di
ispirazione o del pensiero o della tradizione del cattolicesimo popolare e sociale, occorre essere
seri e avere un minimo di considerazione di quella storica cultura politica. Non riduciamola, per
rispetto dei leader del passato innanzitutto, ad una “tenda” da costruire al più presto o a
“comitati” estemporanei promossi da “federatori” in cerca d’autore e, soprattutto, di seggi messi
gentilmente a disposizione dall’azionista di maggioranza di turno. Il futuro e la prospettiva di
quella tradizione dipendono principalmente, se non quasi esclusivamente, da chi continua a
riconoscersi in quel filone di pensiero. Ma, per cortesia, smettiamola di chiedere consigli e
“suggerimenti” a chi, del tutto legittimamente, appartiene a tutt’altra storia. Facciamolo anche e
soprattutto per rispetto dei nostri storici ed indimenticabili punti di riferimento che hanno saputo,
con la loro azione, il loro coraggio e la loro coerenza incarnare in un determinato periodo storico
la miglior tradizione popolare e cattolico sociale nel nostro paese.

Le forze dell’ordine sono parte di noi

Grazie di esistere

Le forze dell’ordine rappresentano un pilastro fondamentale della nostra società. Ogni giorno, uomini e donne in divisa scelgono di servire il Paese con coraggio, dedizione e senso del dovere, spesso affrontando situazioni difficili per garantire la sicurezza e la legalità.

Non sono figure distanti: sono parte viva delle nostre comunità. Ci proteggono, ci ascoltano, intervengono quando siamo in difficoltà. Il loro impegno silenzioso e costante merita rispetto e riconoscenza.

A loro va il nostro più sincero grazie. Per la presenza rassicurante, per il sacrificio, per il senso di giustizia che incarnano ogni giorno. Le forze dell’ordine sono parte di noi, e senza di loro, la nostra libertà sarebbe meno sicura.

Enzo Grassano

Il conte Camillo nella piazza della Ghigliottina

Alla scoperta dei monumenti di Torino / In età Napoleonica nel centro di  piazza Carlina venne collocata la ghigliottina, sostituita poi dalla forca negli anni della Restaurazione.  La piazza insieme alla Contrada San Filippo (via Maria Vittoria) fece parte dell’insediamento ebraico

Prosegue il nostro affascinante viaggio alla scoperta della “grande bellezza” di Torino. Questa volta cercheremo di sollecitare la vostra attenzione e curiosità introducendo un personaggio che fu uno dei maggiori protagonisti della nostra città. Stiamo parlando della statua eretta in onore di Camillo Benso Conte di Cavour, situata in piazza Carlo Emanuele II conosciuta da tutti come piazza Carlina. 

Situato al centro della piazza, l’articolato monumento celebrativo presenta un complesso programma iconografico imperniato sull’allegoria. In alto, avvolta in un’ampia toga classicheggiante, campeggia la figura idealizzata di Camillo Benso Conte di Cavour, che nella mano sinistra tiene una pergamena su cui è scritto “Libera Chiesa in libero Stato” mentre, inginocchiata ai suoi piedi, vede l’Italia porgergli la corona civica (corona d’alloro). Nel piedistallo si snodano le quattro figure in marmo che rappresentano le allegorie del Diritto, del Dovere, dell’Indipendenza e della Politica. Completa il piedistallo, nella parte alta, un fregio continuo in bronzo decorato da ventiquattro stemmi delle Province italiane.

Nel basamento vi sono quattro bassorilievi in bronzo che rappresentano due avvenimenti storici ( “Il Congresso di Parigi” e “Il ritorno delle truppe sarde dalla Crimea”) e gli stemmi della famiglia Cavour incorniciati da una corona d’alloro e da una ghirlanda di frutti. Nato il 10 agosto 1810 da una famiglia aristocratica e di forte spirito liberale, Camillo Paolo Filippo Giulio Benso frequentò in gioventù il 5° corso dellaRegia Accademia Militare di Torino fino a diventare Ufficiale del Genio. Abbandonata la carriera militare, il giovane si dedicò (sia per interesse personale che per educazione familiare) alla causa del progresso europeo, viaggiando all’estero soprattutto in Francia ed Inghilterra. Ricoperto il ruolo per diciassette anni come sindaco del Comune di Grinzane, affina le sue doti di politico ed economista e dal 1848, diviene deputato al Parlamento del Regno di Sardegna; in seguito con il governo D’Azeglio diventa Ministro dell’Agricoltura, del Commercio, della Marina e nel tempodelle Finanze.

Fondatore del periodico “Il Risorgimento” (assieme al cattolico liberale Cesare Balbo), Cavour manifesta costantemente la sua distanza dalle idee insurrezionali di Mazzini, promuovendo una linea di cambiamento moderata che ottenne più consensi nei cittadini borghesi ed aristocratici. Diventato nel 1848 Presidente del Consiglio dei Ministri promosse riforme economiche sia per lo sviluppo industriale che per l’agricoltura del Regno perseguendo, inoltre, una forte politica anticlericale volta a creare uno stato laico e ad abolire i privilegi della Chiesa. Essendo un abile diplomaticoriuscì ad accordarsi sia a livello internazionale con Francia ed Inghilterra, sia a livello nazionale, riuscendo a destreggiarsi fra le esigenze della monarchia e gli impulsi repubblicani, riuscendo così ad ottenere le annessioni al Regno di Sardegna di numerose province attraverso peblisciti.

Cavour morì il 6 giugno del 1861 all’età di cinquantuno anni, compianto da tutta l’Italia appena unificata.Nei giorni successivi alla sua scomparsa venne espressa, in una seduta della Giunta di Torino, l’intenzione di erigere un monumento a Camillo Benso Conte di Cavour; fu aperta una sottoscrizione per l’erezione del monumento alla quale parteciparono istituzioni e cittadini da tutta Italia e anche dall’estero ed in un anno, si riuscì a raccogliere la cifra di L. 550.000. A gennaio del 1863 venne bandito il concorso e la Commissione incaricata, dopo aver fissato la cifra di L.500.000 per i premi e per la realizzazione, scelse come localizzazione piazza Carlo Emanuele II.L’architetto napoletano Antonio Cipolla si aggiudicò il progetto ma, una volta esposta la relazione alla Giunta (nel giugno del 1864), dopo una lunga discussione tra i membri della Commissione, venne sospeso ogni provvedimento; l’anno dopo una seconda Commissione affidò l’incarico direttamente a Giovanni Duprè, che lo assunse ufficialmente nell’aprile 1865.

La realizzazione dell’opera richiese otto anni e dopo aver spostato più volte la data dell’inaugurazione, l’8 novembre 1873 venne finalmente inaugurato, davanti alla presenza del Re, il monumento a Camillo Benso Conte di Cavour. Per quanto riguarda la piazza che ospita il celebre monumento, sappiamo che piazza Carlo Emanuele II fu oggetto di un primo progetto seicentesco redatto da Amedeo di Castellamonte su commissione dello stesso Carlo Emanuele II, che aveva richiesto una piazza celebrativa della sua persona con monumento equestre centrale. In realtà, in seguito, la piazza venne semplificata nel disegno e destinata a mercato.

Con la decisione di erigere il monumento a Cavour la Giunta comunale approfitta dell’occasione per ripensare la piazza, proponendo l’abbattimento di una serie di casupole e facendo sorgere la Chiesa di Santa Croce, il palazzo Roero di Guarene e l’ex Collegio delle Provincie (ora Caserma dei Carabinieri). In età Napoleonica nel centro della piazza venne collocata la ghigliottina, sostituita poi dalla forca negli anni della Restaurazione.  La piazza insieme alla Contrada San Filippo (via Maria Vittoria) fece parte dell’insediamento ebraico; il ghetto venne istituito per regia costituzione, in vigore sino al 1848, quando lo Statuto pose fine alle restrizioni imposte agli ebrei.

Nota curiosa riguardante la piazza, è il fatto che essa sia sempre stata conosciuta (almeno da tutti i torinesi) come “Piazza Carlina”. Riguardo a questo nomignolo esistono varie leggende, ma pare che la più diffusa sia quella che vede il soprannome “Carlina” legato all’atteggiamento molto effeminato di Carlo Emanuele II e al sospetto che le sue attenzioni sessuali fossero indirizzate più agli uomini che non alle donne. Le maligne voci, nate durante il suo trono, diedero così vita all’ormai riconosciuto toponimo Piazza Carlina. 

(Foto: il Torinese)

Simona Pili stella

L’Altro Campagnolo. Il gusto autentico di Monica e Flavio a Candiolo

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SCOPRI-To Alla scoperta di Torino 
Tra le colline che fanno da corona a Torino, in una cornice calda e familiare, sorge L’Altro Campagnolo, ristorante condotto con passione da Monica Sbaragli e Flavio Ponzo, coppia nella vita e nel lavoro. Qui, l’eredità lasciata dai genitori di Flavio si rinnova ogni giorno, mettendo al centro materie prime d’eccellenza, piatti dal sapore radicato e un’ospitalità che ti fa sentire subito a casa.
Il locale ha saputo conquistare negli anni una clientela affezionata, grazie a una cucina che parla piemontese ma sa anche sorprendere, un servizio attento senza rigidità e un ambiente accogliente che fa della semplicità il suo tratto distintivo. D’estate, poi, la bella area esterna regala uno spazio verde perfetto per pranzi e cene all’aperto, lontani dal rumore della città.
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Antipasti che aprono il viaggio: fassone, uovo poke e aromi di stagione.
L’esperienza gastronomica inizia con una scelta mirata di antipasti: il fassone piemontese si declina in tre versioni – battuta al coltello, vitello tonnato e girello marinato – esaltando la qualità della carne e il rispetto per la materia prima. Ogni assaggio è calibrato, sincero, con il sapore protagonista senza sovrastrutture.
Tra le proposte più originali c’è l’uovo poke, una preparazione che mette insieme la cremosità dell’uovo, la dolcezza sapida della toma e il tocco fresco degli asparagi. È un piatto moderno ma perfettamente coerente con l’identità del ristorante: legato al territorio ma aperto alla sperimentazione.
Completano l’offerta altri antipasti stagionali, pensati in base alla disponibilità degli ingredienti e alla creatività dello chef, con una sensibilità particolare per il bilanciamento dei sapori e la leggerezza.
Una sinfonia di primi e secondi: tajarin, risotto e carni selezionate
I primi piatti sono un vero punto di forza: imperdibili i tajarin ai tre ragù, pasta fatta in casa condita con sughi diversi, dal classico ragù di carne a varianti più delicate o rustiche per un’esplosione di gusto che resta impressa. La pasta sottile, saporita, cattura perfettamente ogni salsa, e trasmette subito l’idea di una cucina curata, concreta.
Tra le proposte più sorprendenti c’è il risotto con pesche e funghi, un accostamento fuori dagli schemi che però convince grazie al gioco tra dolce e umami. È il classico piatto che incuriosisce sulla carta e conquista al primo assaggio, dimostrando che si può innovare senza strafare.
I secondi ruotano principalmente attorno alle carni, protagoniste indiscusse del menù: tagli selezionati, cotture attente, abbinamenti pensati per valorizzare il gusto naturale. Ogni piatto riflette la filosofia del ristorante: pochi elementi ma scelti con cura e portati al massimo della loro espressione.
Il gran finale: gelato artigianale e dolci d’eccellenza.
Il momento del dolce è tutt’altro che un semplice “di più”. Qui, il gelato viene preparato artigianalmente poco prima di essere servito, direttamente da Monica e Flavio. Il risultato è un prodotto cremoso, freschissimo, che cambia completamente l’esperienza rispetto ai classici dessert da freezer.
Le versioni con caramello salato e amarene sono tra le più amate, ma d’estate conquista anche l’abbinamento con la pesca fresca, in un connubio che sa di sole e semplicità. Accanto al gelato, la carta dei dolci offre anche altre proposte più strutturate, tutte accomunate dallo stesso principio: ingredienti veri, lavorati con passione.
Monica e Flavio hanno realizzato un ristorante che va oltre il semplice mangiare bene. L’Altro Campagnolo è un posto dove si respira la cura quotidiana, la passione per le cose fatte bene, la voglia di offrire un’esperienza che rimanga nel ricordo. Un ristorante che ha saputo crescere senza perdere il suo cuore e che continua ogni giorno a raccontare una storia fatta di sapori, famiglia e ospitalità autentica.
Un posto da provare almeno una volta, ma dove si finisce sempre per tornare.
NOEMI GARIANO

“Non solo emozioni: ti racconto”

“Non solo emozioni: ti racconto”, libro edito da Officina Editoriale Oltrarno, e’ stato presentato nella suggestiva Sala della Biblioteca del Circolo dei Lettori.

Protagonista dell’evento Marisa Pratico’, dermatologa ed esperta in omotossicologia, ha coinvolto nell’illustrazione di queste storie narrate, che da un preambolo clinico attraversano sentieri di emozioni e riflessioni fino ad arrivare a svolte spesso con un finale positivo nel percorso della vita, gli interventi del chirurgo senologo Riccardo Bussone e del Pastore Angelo Gargano.

I racconti hanno tutti un comune denominatore che e’ la Fede, vera protagonista di tutte le testimonianze.

Un pubblico partecipato e’ intervenuto coinvolto dai dialoghi con i relatori, e si e’ concluso con una testimonianza a lieto fine di una delle protagoniste dei racconti.

Clelia Ventimiglia

Ragazzo di 18 anni fa il bagno e affoga nel corso d’acqua

Drammatica morte di un giovane  di 18 anni, italiano, annegato nel pomeriggio  a Pont. Il ragazzo stava facendo il bagno nelle acque del torrente. Gli amici hanno dato l’allarme e sono giunti i vigili del fuoco e il  118 ma non è stato possibile salvarlo.

Estate in Piazza d’Armi

Ieri sera giovedì 12 giugno 2025 è stata inaugurata la stagione estiva in Piazza d’Armi: tra le varie proposte ecco la consueta risposta dei tanti ballerini che da ben 17 anni seguono l’iniziativa del giovedì sera “Old Wild West”, a cura di Mapi Gualdi, oramai diventata nel corso del tempo un vero e proprio “must” del Country. Tra le realtà presenti, i Wild Angel, da anni è la scuola più grande d’italia presente in 9 regioni e da quasi un anno  anche sul territorio piemontese.
Il prossimo appuntamento è per giovedì 19 giugno, sempre in piazza d’Armi.

Igino Macagno

Caldo da bollino rosso, 37 gradi percepiti a Torino

Mentre il Comune di Torino ha attivato il piano di emergenza per proteggere gli anziani dal caldo, da domani scatterà ufficialmente il primo bollino rosso per le alte temperature, nel capoluogo e in gran parte del Piemonte. L’ondata di calore, causata dall’anticiclone africano, sta facendo impennare le temperature in tutta la regione.

Secondo il bollettino diffuso da Arpa Piemonte, sabato si raggiungeranno temperature percepite di 37 gradi a Torino, 38 gradi ad Alessandria e 36 a Novara e Vercelli. Nel resto del territorio piemontese, le colonnine non scenderanno comunque sotto i 34 gradi. Anche le notti saranno afose: a Torino le minime non caleranno sotto i 22 gradi.

Le previsioni indicano inoltre uno zero termico eccezionalmente alto, compreso tra i 4200 e i 4400 metri. Tra venerdì e sabato sera, non si esclude la possibilità — seppur limitata — di qualche rovescio isolato sulle pianure prossime alle Alpi.

Per un primo  sollievo dal caldo, sarà necessario attendere la fine del weekend.