ilTorinese

Metropolitana Porta Nuova – Bengasi ferma domenica fino alle 14,30

Domenica 22 giugno 2025 dalle ore 7.00 alle ore 14.30 circa a causa lavori di manutenzione della metropolitana che determineranno la temporanea interruzione della tratta tra Porta Nuova e piazza Bengasi, sarà istituita la linea M1S bus sostitutivo nel tratto Porta Nuova corso Maroncelli.

Nuovo look per la Gran Madre, facciata coperta per un anno

La Chiesa della Gran Madre di Dio, che la posizione strategica all’inizio del ponte Vittorio Emanuele I, con una vista che abbraccia il cuore storico della città e l’imponenza architettonica hanno reso un simbolo di Torino, sarà oggetto di un nuovo corposo intervento conservativo. La Giunta Comunale, su proposta della vicesindaca titolare della delega al Patrimonio Michela Favaro e dell’assessore alla Cura della Città Francesco Tresso ha approvato il progetto di restauro e ripristino delle facciate del monumento.

Già dalla fine del mese di giugno si procederà alla posa dei ponteggi sui quali troverà posto un telo destinato a ospitare messaggi pubblicitari per tutta la durata dell’intervento, stimata in 12 mesi.

I lavori, per un valore poco superiore al milione di euro, saranno infatti interamente sponsorizzati dalla società One Srl, che sfrutterà per terzi i diritti pubblicitari e vedrà al lavoro lo stesso team tecnico, integrato con alcune competenze torinesi, che si è occupato del restauro delle facciate di Palazzo Marino, sede del Comune di Milano. Complessivamente, il restauro riguarderà 1.072 metri quadrati di elementi lapidei (compresi i gruppi scultorei), 183 metri quadrati di intonaci e 318 metri quadrati di stucchi. Oltre a questi verranno interessati dal restauro anche la pavimentazione lapidea in prossimità dell’ingresso, la bussola in legno, le gronde e discendenti relativi al protiro e la copertura stessa del protiro.

“Il restauro monumenti rappresenta uno degli esempi virtuosi di collaborazione tra pubblico e privato ed è un modello sempre più utilizzato in Italia per la gestione e la fruizione del patrimonio culturale – commenta la vicesindaca Michela Favaro -. Questa sinergia che coinvolge Comuni, sponsor e ditte di restauro è di grande importanza per la comunità, laddove gli interventi che si realizzano contribuiscono a salvaguardare un bene storico artistico che fa parte della nostra identità e concorrono al decoro ed alla vivibilità della nostra città. Grazie ad una positiva interlocuzione con lo sponsor e la Soprintendenza siamo riusciti ad ottenere un ridimensionamento della superficie che ospiterà i messaggi pubblicitari, pur mantenendo l’ammontare complessivo della sponsorizzazione”. 

“Con questo intervento – aggiunge l’assessore Francesco Tresso – sarà possibile riportare un monumento identificativo come la Chiesa della Gran Madre al suo splendore, migliorando la sicurezza e l’accessibilità, e al tempo stesso valorizzare ancor più il territorio urbano e la storia della città sempre più meta di turisti”.

Obiettivo del restauro è porre rimedio ai danni subiti soprattutto dalle superfici lapidee e dalle decorazioni marmoree il cui processo di degrado è stato progressivamente accelerato dall’esposizione costante degli agenti atmosferici e dall’inquinamento.

L’intervento si propone di arrestare questo processo in atto, preservando il più possibile i materiali originali e garantendo la stabilità e la fruibilità del monumento per le generazioni future.

Il progetto prevede un intervento specifico e mirato su diverse aree della chiesa, considerando sia la parte strutturale che le parti decorative. La priorità è mantenere un equilibrio tra la conservazione del materiale storico e l’introduzione di tecniche e materiali moderni, selezionati con criteri di compatibilità e reversibilità. Il restauro si articolerà in diverse fasi, ognuna delle quali è stata studiata e pianificata per affrontare i vari tipi di degrado rilevati. Per questo è prevista un’attenta analisi preliminare del materiale costitutivo del monumento, allo scopo di individuare le soluzioni più adatte per la conservazione e il restauro.

“Come One siamo orgogliosi di portare avanti un progetto di restauro su un bene così iconico per la Città di Torino insieme ad un team di eccellenza” dichiara Emanuele Anselmi, amministratore di One Srl.

Dall’esposizione sui ponteggi che per 12 mesi nasconderanno alla vista la facciata della Chiesa della Gran Madre saranno escluse le pubblicità dalle quali possa derivare un conflitto di interessi tra l’attività pubblica e quella privata, quelli in cui si ravvisa un messaggio pregiudiziale a danno dell’immagine o delle attività del comune e quelli inaccettabili per motivi di opportunità generale, ovvero quelli che prevedono pubblicità diretta o indiretta alla produzione o distribuzione di tabacco, alcool, materiale pornografico o comunque a sfondo sessuale come tutti i progetti che contengono messaggi offensivi, incluse espressioni di discriminazione, di fanatismo, razzismo, xenofobia, omotransfobia. Non saranno accettati anche progetti di propaganda politica, sindacale, filosofica o religiosa.

TORINO CLICK

Torna a Rivoli “Innamòrati di Te”

Martedì 24 giugno torna a Rivoli “Innamorati di Te”, l’evento itinerante ideato e promosso da Codere Italia sul tema della violenza di genere.

La diciottesima edizione ha ottenuto il patrocinio della Città di Rivoli, degli Stati Generali delle Donne e della FERPI-Federazione Relazioni Pubbliche Italiana ed è ospitato nella

Sala Polivalente – Centro Congressi Comune di Rivoli, Via Dora Riparia, 2.

Dopo i saluti istituzionali – affidati a Dorotea GribaldoAssessora con deleghe per politiche giovanili, pace e cooperazione internazionale, pari opportunità, benessere degli animali, gemellaggio, legalità e tutela dei diritti, Comune di Rivoli – si confronteranno al tavolo dei relatori, per presentare dati aggiornati del fenomeno e strategie di azione:

  • Donatella Bertolone – Vicepresidente Vicario Gruppo Donne Imprenditrici FIPE/Confcommercio
  • Maria Teresa Cerutti – Sostituto Commissario della Polizia di Stato Commissariato di Rivoli
  • Ugo Mercurio – Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Rivoli
  • Isa Maggi – Coordinatrice nazionale degli Stati Generali delle Donne – Fondazione Villa Gaia
  • Imma Romano  Direttrice Relazioni Istituzionali Codere Italia

 

L’evento è gratuito e aperto al pubblico.

50 anni fa, quando il PCI era davvero una “gioiosa macchina da guerra”

Accidenti…mi stavo dimenticando. Sono arrivato in zona Cesarini. 15 giugno 1975,  per la prima volta ho votato. Che emozione e non solo perché votavo. Prima ed unica volta che ho fatto lo scrutatore. Scuola Gabelli. Sabato , domenica e lunedì. Chiusura seggi alle 14 e poi scrutini. Si potevano dare 5 preferenze in comune, tre preferenze in Regione e uninominale in provincia. Ed allora votava oltre il 90% degli elettori. Ore di punta con code disciplinate. Il Pci superava in Barriera abbondantemente il 50 % dei voti e sempre nel Pci erano vietate le campagne personali.
Ci pensa il partito con la stampa dei fac simili  e le relative preferenze. Diego Novelli capolista in tutta la città e poi a ” degradare ” fino alle zone. Ed anche lì noi giovani comunisti potevano derogare a un solo nome. Piero Fassino allora segretario provinciale della Federazione giovani comunisti. Divento’ consigliere comunale confermandosi uno dei cavalli di razza della scuderia Berlingueriana.
Per verità storica fu scelto e proposto da Ugo Pecchioli capo partigiano ed amico e compagno del padre di Pietro Fassino. Amici dai tempi della resistenza. Magari ci illudevamo ma eravamo convinti di fare la Storia. Grande vittoria! Tutte le grandi città d m’Italia furono governate dalla sinistra. Da Napoli e Roma, da Torino a Venezia Passando per Milano. Felicità all’ennesima potenza. Ma anche un’occasione di dimostrare le nostre capacità organizzative e una forma di auto finanziamento. Come? Semplice. In ogni seggio c’erano almeno 2 scrutatori  comunisti con l’indicazione di non farsi riconoscere e vigilare contro i sempre possibili brogli. Percepivamo  una indennità che era interamente versata al partito. Anzi,  quando avuta la designazione firmavamo la delega al responsabile amministrativo provinciale che passava all’incasso.
Poi , in ogni seggio c’era il rappresentante di lista che finito lo scrutinio telefonava in sezione per dare il dato dei voti di lista. La sezione telefonava alla zona di partito e la zona telefonava alla federazione, la federazione a Botteghe Oscure che sapeva i dati un giorno prima del ministero dell’interno .
Il paradosso era che gli altri partiti per sapere in tempo reale i dati telefonavano, appunto a pci. Ovviamente internet non si sapeva cosa era. Telefonini non erano minimamente ipotizzabili. Sono passati 50 anni giusti giusti.
Eppure, almeno una volta mi sembra ieri.
Una sola volta ho fatto lo scrutatore.
Poi o il rappresentante di lista o il ” raccoglitore di dati”. Probabilmente fu l’unica vera vittoria elettorale del Pci. Nel 76 la Dc recupero’ terreno , di fatto quasi azzerando i partiti centristi. Vero che 8 anni dopo con la morte di Berlinguer, alle elezioni europee il PCI divenne il primo partito. Ma c’era già aria di crisi che portò Occhetto nel voler cambiare nome e dunque linea politica. Il discorso della Bolognina è del 1991. In meno di vent’anni tutto era cambiato. Si è persa anche quella allegria mista a felicità. Si è persa ma non dimenticata. Ed alla fine non siamo tantissimi nel ricordare , oramai per una questione di età. Una ultima considerazione: comunque 50 anni non passati invano.

PATRIZIO TOSETTO

Tradizione e fede, la processione della Consolata

Ieri sera a Torino, nelle vie del centro si è svolta la tradizionale processione della Consolata, guidata dall’arcivescovo Repole. Nel corso della giornata si sono tenute diverse celebrazioni liturgiche nello storico santuario.
Foto Igino Macagno

 

Da Torino a Perugia un grande capolavoro di Modigliani

Nella Galleria Nazionale dell’Umbria, dal 3 luglio

La scorsa estate il successo è andato a “Le tre età” di Gustav Klimt, opera che nelle sale della Galleria Nazionale dell’Umbria ha raccolto oltre 600.000 visitatori. Tra il 3 luglio e il 15 settembre prossimo, per la serie “Un capolavoro a Perugia”, arriverà dalla Collezione Permanente della Pinacoteca Agnelli di Torino “Nu couché”, opera di Amedeo Modigliani datata tra il 1917 e il ’18 – confrontabile con “Il grande nudo” newyorkese e con il “Nudo sdraiato a braccia aperte” della collezione Mattioli di Milano, quegli stessi nudi che nella Parigi colpita dalla tragedia del primo conflitto fecero gridare allo scandalo, ovvero quando, nel giorno stesso dell’inaugurazione della mostra organizzata dal fedelissimo Léopold Zborowski, amico e mercante, e presente per tutto il mese di dicembre presso la galleria di Berthe Weill in rue Taitbout, nono arrondissement (Berthe, di origini alsaziane, raccoglieva i nomi illustri dell’arte di inizio secolo, Picasso e Matisse, Derain e Utrillo e Dufy, Diego Rivera e George Braque, Suzanne Valadon non ultima tra le pittrici ospitate,  e morirà pressoché in miseria, dal momento che s’accontentava di guadagni di poco conto: lei che, immergendosi in un mondo tutto maschile, all’apertura nel 1901 della sua prima galleria d’arte in rue Massé 25, per nascondere la propria identità femminile, si era vista costretta a camuffare l’insegna della galleria come la carta intestata e gli inviti con l’acronimo puntato del proprio nome seguito dal cognome. In un’esplosione d’interesse certo ritardataria, in questi giorni il Montréal Museum of Fine Arts, in Canada, a lei “appassionata, schietta, visionaria”, rende omaggio con una grande mostra, mentre la parigina Orangerie lo seguirà a partire dall’8 ottobre), il commissariato di polizia del quartiere posto di fronte minacciò il sequestro delle opere – “offensive al pubblico pudore” –  se non fossero state immediatamente ritirate. Parigi non nuova a censure simili, se si pensa, solo pochi decenni prima, all’ostracismo nei confronti dell’”Olympia” di Manet o altresì alle “Demoiselles au bord de la Seine” di Courbet, al Salon del 1857, scandalo e critiche negative perfettamente orchestrate. Oggi, un’occasione per avvicinarsi alla vita, alle relazioni e alla ricerca continua del maestro di origini livornesi, raccontate a partire da uno dei suoi più celebri capolavori.

L’opera di Modigliani, realizzata nell’appartamento parigino di rue Joseph Bara 3 che lo stesso Zborowski aveva affittato nel ’16 per venire incontro alle ristrettezze dell’artista e per far sì che potesse concentrarsi sul suo lavoro, ricorda altresì il periodo in cui, dopo gli esempi della sua formazione a Firenze e Venezia, non appena giunto nella capitale francese “accantonò” il nudo che gli ambienti dell’avanguardia e delle nuove correnti artistiche consideravano troppo “accademico”: lo riprenderà soltanto a seguito della serie delle “Cariatidi” e darà vita alla mostra di rue Taitbout, unica personale lui vivente. “In ‘Nu couché’ – illustra la scheda della Pinacoteca Agnelli – l’artista ritrae una modella semisdraiata su un sofà a mani giunte con le sue morbide linee definite da un segna scuro che separa il corpo dalle campiture di colore quasi astratte dello spazio circostante. Il nudo è rappresentato da Modigliani nella sua purezza attraverso una sensualità femminile che suggerisce anche controllo e sfida.”

La complessa esistenza del pittore (la salute malferma dell’infanzia che segnerà per sempre la sua esistenza, la ricerca di ambienti più salubri, la morte a trentasei anni all’ospedale della Carità, “peintre maudit” facile derivazione dal cognome per i francesi, amici e detrattori), “i grandi rifiuti e gli altrettanti successi, sarà raccontata attraverso un prezioso nucleo di otto opere, messe a confronto con alcune opere di arte antica, europea ed extraeuropea, nel tentativo di comprendere come il suo linguaggio originale e personale possa costituire la rielaborazione in chiave moderna di modelli del passato.”

Elio Rabbione

Nell’immagine, “Nu couché” di Amedeo Modigliani (1917/1918), Coll. Permanente della Pinacoteca Agnelli, Torino.

Sostanze stupefacenti: ritirate due patenti di guida

A seguito delle recenti novità normative concernenti la modifica del Codice della Strada in materia di condizioni psicofisiche dei conducenti, lo scorso fine settimana la Polizia Stradale di Torino ha effettuato dei controlli con specifici dispositivi per contrastare il fenomeno della guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope.

L’attività, eseguita a Torino su corso Moncalieri, coordinata da un Funzionario del Compartimento Polizia Stradale Piemonte e Valle d’Aosta, è stata eseguita avvalendosi di uno specifico laboratorio mobile in grado di effettuare analisi qualitative di I e II livello sulle eventuali sostanze stupefacenti assunte dai conducenti.

Sono stati controllati 25 veicoli, con i rispettivi conducenti e passeggeri, per un totale di 42 persone; tra i conducenti, 2 sono risultati positivi all’assunzione di sostanze stupefacenti, nello specifico cannabinoidi.

I due sono stati denunciati alla Procura della Repubblica di Torino ed è stata ritirata loro la patente di guida. I procedimenti penali versano nella fase delle indagini preliminari e, pertanto, vige la presunzione di non colpevolezza a favore degli indagati, sino alla sentenza definitiva. Lo scopo dell’attività è quello di elevare gli standard di sicurezza stradale, armonizzando l’attività di prevenzione, informazione e controllo, al fine di porre un freno al fenomeno dell’incidentalità dovuto alla guida in condizioni psicofisiche alterate.

Torino, 19.06.2025

Cisl e Cgil, modelli alternativi

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo


Al di là della propaganda e della inevitabile ed oggettiva faziosità, quando si parla del sindacato e,
nello specifico, della Cisl e della Cgil che sono finiti nell’occhio del ciclone in questi ultimi tempi,
non possiamo non evidenziare un aspetto. E cioè, la Cisl e la Cgil hanno due modelli alternativi di
concepire e di praticare il sindacato. Piaccia o non piaccia, e pur ricordando l’importanza
dell’unità sindacale – tesi, questa, da sempre sostenuta dal sindacato cattolico – sono tali e tante
le differenze concretamente emerse in questi ultimi anni che ci portano alla conclusione di una
difficoltà strutturale e congenita a recuperare rapporti finalizzati a ridare al sindacato quel ruolo e
quel compito che gli sono storicamente e costituzionalmente riconosciuti.
Due punti su tutti vanno evidenziati e sottolineati.

Il primo è il capitolo dell’autonomia del sindacato. Non è, questo, un ritornello burocratico e
protocollare. Per la semplice ragione che proprio questo è il tassello che separa, speriamo non
irreversibilmente, le due organizzazioni sindacali. È indubbio che la Cisl, sin dalla sua nascita nel
lontano 1950, ha fatto della autonomia nei confronti dei partiti e della politica la sua ragione
fondante. Un’autonomia che, va pur detto, ha sempre guardato con spiccata attenzione
all’esperienza politica della “sinistra sociale” di ispirazione cristiana nel concreto dibattito politico.

Ma senza mai essere il banale prolungamento di questa qualificata e gloriosa esperienza politica.
Sia quando era forte e ben visibile nella cinquantennale presenza della Democrazia Cristiana e sia
quando era meno incisiva in alcuni partiti che sono succeduti alla Dc stessa. Sul fronte della Cgil,
invece e al contrario, la concezione della “cinghia di trasmissione” con il partito è sempre stato il
filo conduttore che ha caratterizzato lo storico comportamento del “sindacato rosso”. Al punto
che oggi, com’è emerso platealmente nell’ultima consultazione referendaria, non è più il partito
che detta il percorso politico al sindacato, ma è lo stesso sindacato che detta l’agenda politica al
partito di riferimento e, di conseguenza, alla coalizione di sinistra e progressista. Appunto, due
modelli politicamente e culturalmente alternativi.

Il secondo aspetto è proprio la “mission” stessa del sindacato. Se la Cisl ha come unico ed
esclusivo obiettivo quello della contrattazione nazionale e locale, di rafforzare la politica della
concertazione con gli altri attori sociali ed istituzionali e di cercare in tutti i modi di “chiudere gli
accordi”, come si diceva un tempo, il modello della Cgil, anche su questo versante, è
radicalmente alternativo. Perchè è la scelta politica il criterio dirimente. Quando si trova di fronte
ad un Governo politicamente nemico od avversario – come nel caso specifico dell’attuale
Governo Meloni – lo stesso ruolo del sindacato cambia. E quindi, e di conseguenza, partecipa
organicamente al dibattito politico – come sta concretamente capitando da ormai 3 anni – per
costruire, insieme ai partiti dell’opposizione, l’alternativa politica di governo con tanti saluti a tutto
ciò che dovrebbe caratterizzare il ruolo e la mission di un sindacato.

Ecco perchè, al di là delle legittime opinioni e dei rispettivi ruoli, è indubbio che oggi, e ormai da
tempo, c’è una perfetta e quasi scientifica alternativa nel comportamento concreto di queste due
storiche organizzazioni sindacali. La speranza, comunque sia, resta sempre quella di far sì che
prevalgano le ragioni dell’unità sindacale seppur in un contesto ancora lastricato da molte e
strutturali divisioni. Perchè, in ultimo, senza l’unità sindacale a pagarla sono sempre e solo i
lavoratori. E questo dovrebbe sempre essere il faro che illumina le scelte e le decisioni concrete
del sindacato. Qualunque sia la sigla e l’organizzazione.

Minoranza all’assalto

I recenti referendum e l’assetto bellico in continua evoluzione hanno messo in risalto, se mai ve ne fosse stata la necessità, come nel nostro Paese le minoranze, a qualsiasi livello, anziché costruire qualcosa di concerto con la maggioranza democraticamente eletta stanno alla finestra a guardare e, a cose fatte, inveiscono contro la maggioranza perché ha fatto così, perché loro avrebbero fatto cosà, e così via.

Ad un’analisi immediata appare evidente che non fare nulla, e criticare chi fa, sia molto più comodo, più riposante a costo di farsi venire le piaghe da decubito stando tutto il giorno al bar o al parco o davanti alla TV anziché girare, incontrare, fare sopralluoghi et similia. Minoranza che vuole gli stessi diritti della maggioranza senza averli conquistati nell’urna.

Ad un’analisi più accurata è palese che chi critica, troppo spesso non abbia assolutamente le capacità amministrative richieste ad un politico, ma trascorra più tempo a consultare i propri consulenti che ad analizzare le necessità e, parafrasando Shakespeare, combattendole porre fine ad esse.

Va da sé che un Paese dove i gay sfilando al Pride sventolano la bandiera di un Paese che i gay li uccide anziché del Paese avversario, unica democrazia in quell’area, non ha futuro; un Paese dove non si gode per i successi ottenuti dalla controparte ma per le proprie argomentazioni contro “a prescindere”, idem; un Paese dove si scende in piazza se viene ceduto un calciatore, ma non manifesta se viene aumentata l’IVA è già in putrefazione.

Siamo sicuramente tra i più ignoranti nel mondo occidentale per quanto riguarda la politica, quelli che hanno il minor senso civico, dove le minoranze quando vedono un dito che indica la Luna guardano criticamente il dito, osservando se abbia le unghie curate o se le dita siano storte.

Proseguono così le fazioni già presenti ai tempi di Dante, tra Guelfi e Ghibellini, dove non conta salvare la città ma garantirsi il predominio.

Molti individui, prestati alla politica, non hanno mai realizzato nulla, professionalmente parlando, e proprio perciò non sanno distinguere tra bene e male, innocuo e nocivo, corretto e sbagliato; ancora grazie se, ricevuta un’eredità, non l’hanno persa in qualche investimento totalmente azzardato; un personaggio dello spettacolo, eletto in Parlamento molti anni fa, non partecipò a nemmeno una seduta dei lavori, ma ora percepisce il vitalizio.

Sono in politica dal 1979, quando aiutai Sergio Pininfarina nella sua candidatura alle Europee; ho incontrato moltissimi politici della vecchia guardia (ma anche della nuova) soprattutto quando trascorrevo settimane a Roma: da Zanone ad Andreotti, Pajetta, Lama (lo incontrai a Torino l’8 marzo 1986 quando lasciò la CGIL per entrare in politica) fino a Bontempo, Fini, Staiti di Cuddia, Goria, Anselmi, Fassino, Damiano ed altri. Di molti non condividevo la linea politica, per alcuni non provai immediata simpatia ma da una cosa erano tutti accomunati: la correttezza, l’umiltà e l’interesse a fare bene il loro lavoro. Escludendo qualche caso specifico e qualche spettacolo circense in aula, i politici di vecchio stampo avevano un obiettivo preciso: giungere a risultati.

Ora molti, troppi politici a vario livello, pensano a denigrare anziché erigere, distruggere anziché migliorare.

Nell’ebraismo esiste un precetto chiamato תיקון עולם (tiqqun olam) che impone, quando sarà ora, ad ogni ebreo di lasciare il mondo un po’ meglio di come lo si è trovato; ecco, chiunque sia investito di una carica politica, a qualsiasi livello, dovrebbe appropriarsi di questo precetto: contribuire, anche in minima parte, anche con azioni apparentemente inutili, a migliorare questo nostro mondo. I nostri avi sono morti in battaglia, per secoli, per farci stare meglio: noi non possiamo impegnarci a farlo per la durata di un mandato onorando il voto assegnatoci dagli elettori? E se i voti non sono stati sufficienti a farci vincere, facciamoci una domanda e diamoci una risposta.

Sergio Motta

La Torino delle due ruote: viaggio fra Vespa, moto e paesaggi

/
SCOPRI – TO ALLA SCOPERTA DI TORINO
La Vespa, un’icona intramontabile
A Torino, la Vespa è molto più di un semplice scooter: è un simbolo di italianità, di eleganza senza tempo e di un modo di vivere il viaggio che sa di libertà, leggerezza e storia. Da generazioni accompagna i torinesi nelle loro avventure estive, nelle commissioni quotidiane e nei momenti di svago. In città si vedono ancora modelli d’epoca splendidamente conservati, affiancati alle versioni più moderne, ma sempre con quell’inconfondibile fascino che solo la Vespa sa evocare. Basta un casco, un paio di occhiali da sole e si è pronti per partire, senza fretta, per godersi le strade della città o dirigersi verso i paesaggi collinari appena fuori porta. La Vespa è compagna perfetta per attraversare il centro storico, per arrampicarsi su verso la collina torinese, o per costeggiare il Po in una calda sera d’estate. Le sue linee morbide e il ronzio del motore diventano quasi poesia in movimento, un modo romantico e personale per vivere la mobilità urbana e oltre. Con l’arrivo dell’estate, moltissimi torinesi tirano fuori dal box la loro Vespa, la lucidano e la rimettono in strada per piccoli viaggi, escursioni e fughe improvvisate verso il verde della Val di Susa o i borghi incastonati tra le colline del Canavese. La Vespa non è solo un mezzo: è uno stile di vita, una filosofia del viaggio lento, che mette al centro il piacere di guardarsi intorno, di sentire l’aria calda sul viso e di godersi ogni chilometro.
Il Vespa Club Torino, passione e comunità
C’è chi ama la Vespa in solitaria e chi invece ha trovato nella passione per questo scooter leggendario un’occasione per condividere emozioni, esperienze e percorsi. Il Vespa Club Torino rappresenta da anni un punto fermo per centinaia di appassionati, una vera e propria comunità in cui la Vespa è il trait d’union tra persone di età, background e storie diverse. Il club non è solo un’associazione: è un luogo dell’anima dove si respira amicizia, appartenenza e desiderio di scoperta. Organizzano raduni, viaggi di gruppo, eventi tematici e tour che toccano luoghi suggestivi del Piemonte, dalle risaie del vercellese ai laghi alpini, dai castelli nascosti ai panorami mozzafiato delle Alpi Cozie. Le uscite collettive del club trasformano la strada in una piccola festa itinerante, fatta di Vespa colorate, bandiere, saluti ai passanti e soste gastronomiche nei posti più autentici. Ma dietro ogni viaggio c’è anche una cura maniacale per i dettagli, una passione che si vede nei restauri minuziosi, nei racconti tramandati tra i soci e nell’amore per la tradizione. Il Vespa Club Torino rappresenta un pezzo importante del tessuto sociale cittadino, un esempio di come la mobilità su due ruote possa anche diventare cultura e aggregazione. Partecipare a una loro uscita significa non solo guidare, ma anche ascoltare storie, stringere nuove amicizie, sentirsi parte di qualcosa di più grande. E non mancano i momenti di solidarietà, con eventi organizzati per beneficenza o per promuovere la sicurezza stradale, a dimostrazione che dietro un casco e una marmitta c’è spesso un cuore che batte forte.
Le moto, adrenalina e libertà nei paesaggi piemontesi
Accanto alla Vespa, i torinesi nutrono da sempre una grande passione per le moto. Che siano naked, sportive, custom o touring, le due ruote a motore rappresentano una vera valvola di sfogo per molti cittadini, un modo per fuggire dal traffico, per esplorare nuove strade e per ritrovare il senso più puro della libertà. L’estate è il momento in cui i motociclisti torinesi si rimettono in sella con maggiore frequenza, approfittando delle giornate lunghe e del clima favorevole per organizzare giri spettacolari nei dintorni. Le strade del Piemonte offrono scenari mozzafiato: curve sinuose che attraversano i vigneti delle Langhe, salite panoramiche che portano al Colle della Maddalena, sentieri d’asfalto che costeggiano i laghi di Avigliana o si inoltrano nelle valli meno battute del biellese. La moto diventa il mezzo ideale per esplorare in profondità il territorio, per raggiungere luoghi lontani dal turismo di massa, dove la natura è ancora autentica e il tempo sembra rallentare. I motociclisti torinesi si danno appuntamento in piazze, benzinai e locali storici, pronti a partire all’alba per un giro di centinaia di chilometri, spinti solo dalla voglia di guidare e di scoprire. C’è chi cerca l’adrenalina pura, affrontando i tornanti come in una sfida personale, e chi invece preferisce la dimensione contemplativa del viaggio, quella in cui il paesaggio è parte integrante dell’esperienza. Le moto, a Torino, non sono solo un hobby, ma un vero stile di vita. E in estate, quando la città si svuota e il richiamo delle montagne si fa più forte, non c’è niente di meglio che allacciare il casco, avviare il motore e lasciarsi portare dove porta la strada.
NOEMI GARIANO