redazione il torinese

L’arte e la società, la vita e la politica, quarant’anni di storia italiana

Innanzitutto una novità. Roba da segnare sul proprio diario, da non scordare più. Italiana, contemporanea come più non si potrebbe, negli argomenti, nella felicità con cui delinea i vari personaggi, nel linguaggio incisivo e scoppiettante, con battute godibili a raffica, nell’articolazione delle differenti vicende che vi si incrociano. La produzione è degli Stabili di Torino e Bolzano, l’autore Fausto Paravidino, quarantunenne, nato a Genova ma piemontese (Ovada e dintorni) di formazione, primo exploit Due fratelli che si aggiudicò nel 1999 il premio Tondelli e l’Ubu quale migliore novità italiana un paio d’anni dopo, incursioni nel mondo del cinema (Texas, un titolo per tutti, ai suoi tempi a rischio di un David quale miglior esordiente), quantomai maturo nella propria scrittura e allo stesso tempo ancora troppo debole in un nostrano panorama teatrale che pare non volerlo ancora completamente accettare. E allora ecco che il successo, quello fragoroso, quello di costante ricerca, arriva all’estero, con le presenze nei cartelloni dei teatri del nord Europa, con il Royal Court Theatre londinese che gli commissiona Genova 01, con la Comédie Française che gli mette in scena La malattia della famiglia M. (pronta a raggiungere pure la lontana Taipei, in Taiwan). Qualcuno lo ha definito “uno dei migliori drammaturghi europei”, dal gennaio di quest’anno il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale lo ha promosso “dramaturg residente”, oggi siamo curiosi del lavoro che saprà svolgere.

Per intanto godetevi questo Senso della vita di Emma, fino a domenica sul palcoscenico del Gobetti, la narrazione di quattro decenni di casa nostra difficilmente dimenticabili, attraverso la presenza/assenza del personaggio del titolo, attraverso le azioni e le idee, i rapporti e i caratteri di quanti le stanno intorno, il padre e la madre, la sorella perennemente stronza e il fratello in cerca di identità sessuale, la coppia di amici estremamente suscettibili ma rifugio sicuro e consolatorio per un momento di riflessione e per una gravidanza che bisogna portare avanti, la zia che ama tanto narrare favole come fossero tragedie orripilanti, il don Mario che non disdegna di rovistare tra le gambe delle parrocchiane… Un iniziale vernissage in una galleria, con le chiacchiere farraginose intorno al mondo dell’arte, i pareri strampalati, dove campeggia un ritratto di donna sconosciuta, la prima di tante fotografie che allineano i “ritratti di una quotidianità semplice, viva e riconoscibile”, un principio a questo “romanzo teatrale in due parti” che narra, che ironizza, che diverte, che serve da specchio al pubblico in sala, che predispone alla riflessione. Che percorre un lungo tratto di storia con il sorriso stampato in faccia: ma non troppo. Paravidino, in un impianto che a tratti s’avvicina al cabaret e alla facile rivista (nel commento musicale di Enrico Melozzi incroci pure Orietta Berti), che utilizza attori in carne e ossa come le marionette o le maschere, gioca con la politica e la società, tra il pubblico e il privato, guarda all’Italia e fa un salto in Gran Bretagna, seguendo quella ragazza/donna negli anni della sua disturbata crescita, tra urla e chiacchierate sulfuree allinea il rapimento Moro e le Brigate Rosse, il boom e i tanti oggetti che riempivano le nostre case, Elisabetta the queen e i Beatles che attraversano le strisce pedonali di Abbey Road, la Thatcher e Tony Blair, le nuove suffragette dell’ecologismo, le irruzioni e le rivolte. Sino a ritrovarsi dentro un altro vernissage e un’altra galleria, ancora con quella tela e quel viso di donna sconosciuta: ma ecco che Emma compare, lei che quel quadro lo vorrebbe distruggere, a fare i conti con il passato, quello proprio e quello degli altri, in un pistolotto finale di ricordi e di confessioni che vuole tirare tutte le fila. È la chiusura su una bella commedia che nel secondo tempo, con il rischio di girare su se stessa, ha avuto qualche cedimento, qualche fragilità, che prosciugata sarebbe perfetta. Ma il successo della serata rimane, intatto, non soltanto per la brillantezza della scrittura ma pure per l’apporto immediato, tutto uno scoppiettìo, degli interpreti, maschere di un’Italia da manuale, dallo stesso Paravidino a Eva Cambiale, da Gianluca Bazzoli (un fratello perfetto nell’esporre con feroce pragmatismo il modus vivendi di casa sua) alla drammaticissima narratrice Sara Rosa Losilla, da Giacomo Dossi, prete arrapato e bellone da discoteca a Iris Fusetti, la Emma del titolo.

 

  Elio Rabbione

(Foto: T. Le Pera)

Tributi locali, ecco cosa cambia per i torinesi. Novità per le tariffe dei bus

Gli indirizzi tariffari per il 2018 dei tributi locali sono stati approvati dalla Giunta municipale.  Sono presenti alcune  agevolazioni e sgravi. In vista del Bilancio di previsione, le scelte dell’amministrazione passeranno al vaglio del consiglio comunale. Per quanto riguarda la Tari la spesa per i torinesi sarà di 205 milioni e 892mila euro, con un calo di circa 900 mila euro rispetto allo scorso anno. Per le utenze domestiche ci sarà una riduzione media dello 0,8% e vengono mantenute le riduzioni per le famiglie a basso reddito pari a una fascia dal 40% al 15%  in base all’Isee, con uno sconto del 10% per i nuclei aventi più di quattro persone residenti in alloggi non oltre gli 80 metri quadri. E’ anche previsto uno sconto del 10% sulla parte variabile,  ai quartieri mostratisi virtuosi nella raccolta differenziata  Vanchiglia, Vanchiglietta, Madonna di Campagna, Villaretto. Novità anche per i trasporti. Il tradizionale biglietto urbano  e quello suburbano non ci saranno più. In sostituzione  il biglietto singolo  per l’ intera rete, al costo di 1,70 euro, valido per  100 minuti. Viene poi introdotto il biglietto Daily,  giornaliero, che farà risparmiare il 40% rispetto all’omologo precedente. Sarà valido  per corse illimitate in un giorno su tutta l’area urbana e suburbana, in metropolitana, su bus e tram a  3 euro invece dei 5 euro di oggi. Il carnet  Multi-daily da 17,50 euro è di 7 biglietti Daily, da usare anche non continuativamente per tutto il giorno su  tutti i mezzi di  tutta la rete.

Chiamparino e Silvja Manzi a confronto

Venerdì 16 febbraio dalle 12.30 alle 14.30 all’Associazione radicale Adelaide Aglietta (via San Dalmazzo 9bis/B) il Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino dialogherà con Silvja Manzi, candidata con Più Europa con Emma Bonino, e Riccardo Moschetti, Segretario Gioventù Federalista Europea della sezione di Torino sul ruolo attuale e futuro dell’Europa. Moderano l’incontro Miruna Brocco, Coordinatrice dell’associazione, e Antonio Romano.  L’Europa è una realtà delicata e complessa, ma indispensabile. È l’Europa dei diritti, della caduta delle barriere, della giustizia, della partecipazione, dei vantaggi, delle criticità, dell’Erasmus, delle politiche ambientali, dei voli low cost, dei nazionalismi che rinascono e dei mezzi per contrastarli, dell’entropia, della crescita economica, dei diritti umani, delle garanzie, della governance. È l’Europa che diventerà un giorno Stati Uniti d’Europa, dal progetto nato tra il 1941 e il 1944, ancora così vivo e urgente ottanta anni dopo. Dato che RARA è l’unica radio in vetrina della città, la sede dell’Associazione rimarrà aperta al pubblico dalle 12.30 alle 14.30 per interventi da parte degli interessati. Anche questa puntata, più unica che rara, sarà trasmessa in diretta streaming sulla pagina facebook dell’Associazione Aglietta.

PARCHEGGI MULTICOLORE E DOVE TROVARLI

Il movimento 5 imbianchini stellati colpisce ancora

Dopo aver annunciato, nemmeno una settimana fa, le nuove strisce blu in zona Nizza-Carducci, ieri è stato confermato che i cittadini non saranno esenti. Per i cittadini verranno dipinte apposta delle zone gialle che prevederanno, come per chi abita in centro, un pagamento annuale.

Oltre ad aver cercato di far sprofondare il commercio torinese, ora si tenta la distribuzione dei cittadini e lavoratori. Inutile parlare di quanti disagi potrebbe causare questa scelta. Una strategia poco condivisa dalla circoscrizione. Ennesima sconfitta per i grillini che si dimostrano incapaci di amministrare e antidemocratici. Il fine di avere maggiori entrate non giustifica i mezzi antiliberali e oppressivi. Cercando di non trascurare proprio nessuno, l’Assessora annuncia che sta cercando di individuare una strategia anche per chi lavora nell’ospedale.

Puoi visualizzare l’articolo sul sito: https://cosminstoica.it/parcheggi-multicolore-trovarli

 

EMANUEL COSMIN STOICA

Edilizia scolastica, il nuovo piano triennale

Fornire una panoramica a trecentosessanta gradi sulle nuove normative in materia di edilizia scolastica. Questo l’obiettivo del convegno “Edilizia scolastica: verso il nuovo piano triennale 2018-2020, obiettivi e possibilità”, svoltosi  nell’Auditorium della Città Metropolitana di Torino, in corso Inghilterra a Torino.

 

L’evento, organizzato da Regione Piemonte, ANCI e Uncem regionali e rivolto a dirigenti e funzionari degli enti locali interessati all’argomento, ha fatto il punto su una materia di grande interesse, in attesa della pubblicazione del decreto interministeriale concernente l’attuazione della programmazione nazionale sull’edilizia scolastica per il triennio 2018/2020.

 

Nell’ambito dei lavori, è stato tracciato dai relatori un quadro completo delle misure di finanziamento disponibili e delle risorse tecniche di supporto che possono essere messe in campo dalle strutture dello Stato, della Regione e degli organismi associativi degli enti locali, finalizzate all’adeguamento del patrimonio edilizio dei Comuni, con particolare riferimento all’Edilizia Scolastica.

 

Per la Regione e’ intervenuto l’assessore alle Politiche Sociali con delega all’Istruzione, che ha rimarcato la necessità di coniugare le politiche strategiche con le esigenze dei diversi territori e di garantire sempre l’istruzione in un contesto di sicurezza per i ragazzi e le famiglie. L’assessore ha sottolineato anche l’esigenza di individuare delle priorità di investimento per le cospicue risorse a disposizione, indirizzandole su interventi che possano essere effettivamente realizzati.

 

www.regione.piemonte.it

Cinema, l’onomastica della sala

Torino vanta una grande tradizione di sale cinematografiche. Nel tempo in cui il cinema fu più popolare, tra gli anni Venti e Sessanta del Novecento, i loro nomi incisero in maniera importante sul successo delle proiezioni

L’onomastica costituiva il primo elemento di congiunzione tra la realtà e un mondo intangibile fatto di pura luce. Doveva propriamente evocare il senso di un magnificente “altrove” che costituisce l’essenza più intima della settima arte.Doveva fungere da richiamo irresistibile, racchiudendo in un concetto di facile memorizzazione la promessa di chissà quali visioni, chissà quali avventure, simulacri pronti a materializzarsi per incanto sul grande schermo. A volte il nome si limitava a evocare la via o la piazza dove si trovava il locale. Il Vittorio Veneto sorse nel cortile di Palazzo Denina con il nome di “Impero” nel 1913, per cambiare denominazione nel 1942. Trasformato in locale a luci rosse nel 1979, è stato restaurato negli anni Novanta come Empire e ora i torinesi lo conoscono come Classico. Sotto i portici di via Po aprì nel 1907 il Cinema per le Famiglie, dove ebbe luogo la prima proiezione dei fratelli Lumière in città. Nel 1941 il locale prese il nome di Cinema Po. Nel 1985, a seguito di una ristrutturazione, divenne King Kong Cinestudio, quindi semplicemente King (lasciando il marchio Kong alla sala di via Santa Teresa). Oggi è noto come Blah-Blah, spazio d’incontro non più destinato al solo cinema.

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Nel 1989 venne aperta la multisala Massimo, frutto della trasformazione del locale omonimo aperto negli anni Trenta e bombardato dalla RAF durante la Seconda Guerra Mondiale. Da allora la sua storia è legata al Museo Nazionale del Cinema, accogliendo i principali festival cinematografici torinesi. Nel 2001 è stato completamente ristrutturato in tre sale da proiezione. Il Cinema Alpi sorse nei locali che, dal 1853, avevano ospitato il Caffè omonimo, il quale era situato nel palazzo Saluzzo Paesana tra via Garibaldi e via della Consolata. Fu inaugurato nell’aprile 1914, cambiò il nome in Puntodue d’Essai nel 1977 e in Charlie Chaplin a partire dal 1983. Chiuse definitivamente nel 2003 per far posto a un negozio di abbigliamento in franchising. Torna in questi giorni alla memoria lo Statuto di via Cibrario, di cui ricorre il trentacinquesimo anniversario del rogo, che fece sessantaquattro vittime, soffocate dal fumo e bloccate in sala dalle porte di sicurezza rimaste chiuse. La tragedia costituì il punto di partenza per riscrivere le norme sulla sicurezza nei locali pubblici italiani. Lo Statuto non riaprì mai più; venne abbattuto una decina di anni dopo e, con esso, sparirono molte sale del centro storico come l’Astor di via Viotti, il Vittoria di via Roma e l’Ariston di via Lagrange. Il nome della sala poteva anche celebrare un pioniere del cinema dei primordi. Torino non ha dedicato una sala al regista di Cabiria Giovanni Pastrone – ci ha pensato invece Asti. Una delle più importanti in città è dedicata, invece, ad Arturo Ambrosio, fondatore della prima compagnia di produzione cinematografica italiana e autore del primo film girato in Piemonte, “La corsa automobilistica Susa-Moncenisio” del 1904. Per iniziativa di Amedeo Reposi, il cui padre Felice era stato un imprenditore cinematografico degli anni Venti, nel 1947 aprì i battenti il Cinema Teatro omonimo. La multisala attuale è nata dalla trasformazione radicale del cinema originario, dotato di 2700 posti, che aveva una particolare forma a interno d’uovo e il soffitto apribile.

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Il cinema italiano conobbe la consacrazione sotto il fascismo e, in quel periodo di autarchia lessicale, si ricorse spesso all’uso di termini latini. La semantica ridondante, utilizzata a piene mani dalla propaganda mussoliniana, andava a coincidere con i paradisi immaginari che emanavano dagli schermi delle sale. In tutta la penisola sorsero i vari Excelsior, Major, Arena, Astra, gli Splendor (titolo di un film bello e struggente girato da Scola), i Fulgor (un film sul cinema Fulgor di Rimini rimase un progetto mai realizzato da Fellini). Il Lux venne inaugurato nella primavera del 1934 con il nome di Cinema Rex, nel contesto dei lavori di riqualificazione che interessarono la Galleria Geisser (poi San Federico) e l’intero asse di via Roma (1931-1937). Caratterizzato da una ricca decorazione in stile liberty, con i suoi 1573 posti era il più grande e moderno cinematografo torinese. Ribattezzato successivamente Dux, ritornò (per ovvi motivi) all’attuale nome nel 1945. Nel 2004 è stato oggetto di un completo rifacimento che ha comportato la realizzazione di tre nuove sale. A riprova che la storia italiana è passata anche attraverso i nomi dei cinematografi, l’Adua di corso Giulio Cesare ha tenuto in vita remote fantasie coloniali fino al 2008. Inaugurato nel 1937, venne utilizzato per alcuni anni anche come teatro dal Gruppo della Rocca. Un moderno edificio residenziale ne ha cancellato definitivamente la memoria.

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Meritano una menzione particolare due cinema storici della città. Il Nuovo Romano è il cinema della Galleria Subalpina, inaugurata nel 1874. Sorse nel 1897 come Caffè Concerto Romano e nel sottopiano ospitò dal 1905 il Cinematografo Lumière. Nel 1911 il Caffè divenne Cinema Romano, adibito per qualche decennio anche a teatro-varietà. I bombardamenti dell’agosto 1943 causarono gravi danni e la sala rimase chiusa fino alla fine della guerra. Nel 1958 fu sottoposto a una radicale ristrutturazione e poi riaperto al pubblico con un recital di Vittorio Gassman. Il Cinema Nazionale sorge invece sulle ceneri del Teatro omonimo, situato in fondo a Contrada degli Ambasciatori, l’attuale via Pomba. Venne inaugurato nel marzo 1848 con la Lucrezia Borgia di Donizetti. Alla fine degli anni Settanta, quando in tutta Italia si liberalizzò la circolazione dei film hard core, molte sale si riconvertirono, esibendo la classica luce rossa al loro esterno. Esse seguirono un percorso già tracciato, cercando nel nome un’identificazione che le rendesse immediatamente riconoscibili. E fu così che nella nostra città spuntarono l’Artisti Erotic Center, il Zeta Sexy Movie, l’Arco Pussycat, l’Alcione, l’Alexandra. Ne sono rimaste tre o quattro, sopravvissute ai vari Tube online per pochi sparuti spettatori.

 

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I tempi sono cambiati. Oggi non c’è grande città che non abbia il suo Warner Village o un Multiplex Qualchecosa: sulle sponde italiche sono sbarcati i distributori americani con il loro carico di coca-cola e popcorn. Torino non fa eccezione e ha seguito questo cambiamento epocale. La diffusione delle pay-tv, prima, e la rivoluzione digitale, poi, stanno portando a prediligere la visione domestica a scapito della fruizione collettiva. Con buona pace di chi sostiene che il cinema è un’arte di massa (‘di’ e ‘per’ la massa): anzi, è l’arte di massa per eccellenza. Molte sale cittadine hanno dovuto chiudere definitivamente, oppure far posto ad edifici residenziali e attività commerciali. Oltre a quelle già citate ricordo il Doria, inaugurato nel 1947 e costretto ad abbassare le saracinesche qualche anno fa. Il Corso (già Palazzo), situato nel prestigioso edificio Art déco di corso Vittorio Emanuele angolo via Carlo Alberto, aveva invece già chiuso nel 1980 in seguito a un incendio. Ma potrei citare anche il Cristallo, il Capitol, l’Arlecchino e tutti quei cinema di quartiere (lo Studio Ritz e l’Eridano, per nominarne un paio) che resero il grande schermo l’ultimo luogo del Mito. C’era una volta, e un’altra non c’è stata più. Ma quella volta c’era. C’era un pubblico formato da gente semplice che, almeno una notte nella vita, sognò sotto le stelle di un cielo Maestoso.

 

Paolo Maria Iraldi

 

Eternit: “gli indennizzi non precludono la richiesta di risarcimento totale per le vittime”

Gli indennizzi accettati prima del processo Eternit non precludono la costituzione di parte civile in un procedimento contro Stephan Schmidheny. Lo ha deciso il Tribunale penale di Torino dove è in corso il troncone torinese dell’ormai spezzettato Eternit bis dove il multimilionario elvetico deve rispondere di omicidio colposo con colpa cosciente per due decessi. Una delle morti oggetto di giudizio è quella di Giulio Testore già dipendente dell’Eternit di Cavagnolo deceduto nel 2008 per mesotelioma. I familiari si erano rivolti all’Osservatorio nazionale amianto, già costituito parte civile nell’Eternit bis ed all’avvocato Ezio Bonanni che ha così formalizzato la costituzione in giudizio nel loro interesse. La difesa di Schmidheiny, a sua volta ha chiesto di rigettare tale intervento asserendo che i familiari di Testore avevano già incassato somme a titolo di risarcimento e di estromettere l’Ona che si era costituita parte civile. Il Tribunale, però, è stato di avviso diverso e ha respinto la richiesta della difesa di Schmidheiny aggiornando il processo all’udienza del 28 aprile prossimo. I familiari di Testore avevano, in effetti, accettato una sorta di indennizzo e nell’atto di accettazione era scritto che avrebbero rinunciato a qualsiasi azione contro l’Eternit. Di avviso contrario Ona e l’avvocato Bonanni che ha affermato il principio dell’inapplicabilità di tale rinuncia nei confronti dell’imputato, che non era parte di quell’accordo, sottoscritto invece dal fratello (non imputato). “E’ una decisione importante – dice Ezio Bonanni – perché eventuali accordi ed indennizzi precedenti al processo penale non impediscono la costituzione di parte civile delle vittime per ottenere il risarcimento integrale”.

Massimo Iaretti

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

A casa tutti bene – Commedia. regia di Gabriele Muccino, con Stefano Accorsi, Massimo Ghini, Stefania Sandrelli, Valeria Solarino e Gianmarco Tognazzi. Una ricorrenza da festeggiare, le nozze d’oro dei nonni, una permanenza forzata, il traghetto bloccato e l’isola di Ischia a fare da sfondo: gli antichi ristoratori, i tre figli che hanno preso strade diverse, le mogli attuali e quelle di un tempo, il cugino solo e poveraccio, i rancori, le confessioni e le urla, il ritratto di una famiglia italiana in perfetto stile Muccino, figliuol prodigo tornato a casa dopo i (quasi totali) successi d’oltreoceano. Durata 105 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Eliseo Blu, F.lli Marx sala Groucho e Chico, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci)

 

Benedetta follia – Commedia. Regia di Carlo Verdone, con Carlo Verdone, Ilenia Pastorelli, Lucrezia Lante della Rovere e Paola Minaccioni. Guglielmo, in depressione stabile, è il proprietario di un negozio di arredi sacri e abbigliamento d’eccellenza, per il piacere e l’eleganza della moltitudine di porporati romani. Depresso anche per il fatto che la moglie lo ha appena abbandonato perché innamorata proprio della commessa del suo negozio: quando come un ciclone entra nella sua vita una ragazza di borgata. Opera con un buon inizio se poi non prendesse la strada delle vogliose signore che in un modo o nell’altro vogliono accaparrarsi il misero quanto problematico single. Con una comicità che fa acqua da ogni parte (in sala piena ho contato un paio di risate davvero convinte), non priva di momenti quantomai imbarazzanti (oltrepassando di gran lunga, all’italiana, lo spudorato ma tranquillo divertimento della scena clou di “Harry, ti presento Sally”, la signora che nasconde il cellulare “nel posto più bello del mondo” finisce per ritrovarsi in una storiellina soltanto fuori dei limiti; l’attore/regista che si mette a fare il cicerone all’interno di palazzo Altemps a Roma denuncia tutta la sua odierna mancanza d’idee, lontanissimo dalle cose migliori; e poi le pasticche, i balletti, le cianfrusaglie tra colori e suoni…). La gieffina Pastorelli rimane se stessa in ogni occasione, immutabile se non fosse per i cambi d’abito (sempre più ristretto), alla ricerca dei begli effetti che una Ramazzotti ci ha dato in altre occasioni. Godetevi la manciata di minuti della Minaccioni. Un toccasana. Durata 109 minuti. (Uci)

 

Black Panther – Fantasy. Regia di Ryan Coogler, con Chadwick Boseman, Lupita Nyong’o, Martin Freeman e Angela Bassett. Il protagonista è il nuovo re di Wakanda dopo la morte del padre: ma se sulla sua strada trova dei nemici pronti a detronizzarlo, lui sarà pronta a unirsi alla CIA e alle forze speciali del proprio paese. Durata 135 minuti. (Massaua, Greenwich sala 3, Ideal, Reposi, The Space, Uci anche in V.O. e 3D)

 

C’est la vie – Prendila come viene – Commedia. Regia di Eric Toledano e Olivier Nakache, con Jean-Pierre Bacri, Jean-Paul Rouve, Hélène Vincent e Suzanne Clément. Gli artefici del fenomeno “Quasi amici” promettono risate a valanga e il successone in patria dovrebbe calamitare anche il pubblico di casa nostra. I due sposini Pierre ed Hélène hanno deciso di sposarsi e quel giorno deve davvero essere il più bello della loro vita. Nella cornice di un castello del XVII secolo, poco lontano da Parigi, si sono affidati a Max e al suo team, ad un uomo che ha fatto della sua professione di wedding planner una missione, che organizza e pianifica, che sa gestire i suoi uomini, che sa mettere ordine nel caos più supremo, che per ogni problema sa trovare la giusta risoluzione… Più o meno: perché quella giornata sarà molto ma molto lunga, ricca di sorpresa e di colpi di scena. Ma soprattutto di enormi, fragorose risate! Durata 115 minuti. (Romano sala 2)

 

Chiamami col tuo nome – Drammatico. Regia di Luca Guadagnino, con Timothée Chalamet, Armie Hammer e Amira Casar. Nei dintorni di Crema, il 1983: come ogni anno il padre del diciassettenne Elio, professore universitario, ospita nella propria casa un borsista per l’intera estate. L’arrivo del disinvolto Oliver non lascia insensibile il ragazzo, che scopre il sesso con una coetanea ma che poco a poco ricambiato approfondisce la propria relazione con l’ospite. Un’educazione sentimentale, i libri e la musica, Eraclito e Heidegger, Bach e Busoni, l’ambiente pieno di libertà della sinistra, i discorsi insperati di un padre, il tempo scandito dalle cene e dalle discussioni su Craxi e Grillo, il vecchio factotum che di nome fa virgilianamente Anchise, passeggiate e discussioni, corse in bicicletta, ritrovamenti di statue in fondo al lago, nuotate in piccoli spazi d’acqua, felici intimità, in una delicatezza cinematografica (la macchina da presa pronta ad allontanarsi velocemente da qualsiasi troppo imbarazzo) che assorbe nei temi (“Io ballo da sola”) e nei luoghi (i paesini, i casali, la calura di “Novecento”) il passato di Bertolucci o guarda al “Teorema” pasoliniano. L’ultima opera di un regista (“Io sono l’amore”, “A bigger splash”) che con la critica di casa nostra non ha mai avuto rapporti troppo cordiali, osannato all’estero, in corsa verso l’Oscar con quattro candidature. La sceneggiatura è firmata da James Ivory dal romanzo di André Aciman. Chissà come risponderà il pubblico italiano? Durata130 minuti. (Massimo sala 2 (V.O.), Nazionale sala 2)

 

Cinquanta sfumature di rosso – Drammatico. Regia di James Foley, con Dakota Johnson e Jamie Dornan. Si cambia colore (ed è la terza e ultima volta), impaginazione dello stesso regista di “Cinquanta sfumature di nero”. L’ultimo dei romanzi di E.L. James in versione “oggi sposi”, con cerimonia nuziale, bella casa e viaggio di nozze in Europa, con qualche addolcimento per quel che riguarda la “padronanza” del bel tenebroso Christian verso la bella Anastasia, comunque – gli appassionati non disperino – nei dintorni del “bondage soft”. Uscendo un po’ di più dalla camera da letto e imboccando la via del thrilling, rapimenti e inseguimenti in auto si ricollegano ad un passato di gente che non molla, dall’ex datore di lavoro dell’ormai sposina fresca fresca alla Elena della sempre appetitosa e combattiva Kim Basinger, ancora una volta pronta a riconquistarsi il ragazzone che lei stessa ha avviato alle pratiche amorose tutte frustini in bella vista. Durata 104 minuti. (Massaua, Greenwich sala 1, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Coco – Animazione. Regia di Lee Unkrich e Adrian Molina. Fa parte di una famiglia che certo non stravede per la musica il piccolo Miguel e lui non ha altro sogno che diventare chitarrista. Questo il preambolo; e a dire quanto la Pixar guardi allo stesso tempo ad un pubblico di bambini (ma, per carità, senza nessun incubo) e di adulti, ecco che Miguel si ritrova catapultato nel Regno dei Morti a rendere omaggio ai tanti parenti che non sono più attorno a lui. Durata 125 minuti. (Ideal)

 

Corpo e anima – Drammatico. Regia di Ildiko Enyedi, con Alexandra Borbély e Géza Morcsànyi. Un film dove si mescolano realtà e sogno, immerso nella cruda realtà quotidiana (pur con qualche momento d’ironia) ancora più acida se si pensa all’ambientazione in un mattatoio. Una coppia “lontana”, lui direttore di quel luogo, lei addetta al controllo qualità, introversi entrambi, chiusa nelle proprie solitudini, scoprono di condividere ogni notte lo stesso sogno, essere una coppia di cervi in un bosco invernale. Orso d’oro all’ultima Berlinale, “Corpo e anima” è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “Un film capace di tracciare il racconto della storia d’amore che unisce due solitudini, sospendendolo con lucidità visiva tra la materialità della vita reale e l’impalpabile spiritualità del sentimento”. Durata 116 minuti. (Classico)

 

Ella & John – The Leisure Seeker – Drammatico. Regia di Paolo Virzì, con Donald Sutherland e Helen Mirren. Tratto dal romanzo americano di Michael Zadoorian, con alcune varianti apportate dalla sceneggiatura scritta dallo stesso regista in compagnia di Francesco Piccolo, Francesca Archibugi e Stephen Amidon (a lui già Virzì si rivolse per “Il capitale umano”), è la storia della coppia del titolo, svanito e smemorato ma forte John, fragile ma lucidissima Ella, è il racconto del loro viaggio, dai grattacieli di Boston ai climi di Key West, lungo la Old Route 1, anche per rivisitare con la (poca e povera) memoria il vecchio Hemingway – John è stato un professore di letteratura di successo che ha coltivato con passione lo scrittore del “Vecchio e il mare” -, un viaggio che ha la forma di una conclusiva ribellione ad una famiglia e soprattutto a un destino che ha riservato per lei il cancro all’ultimo stadio e a lui l’abisso dell’Alzheimer. Momenti di felicità e anche di paura in un’America che sembrano non riconoscere più, una storia attuale e un tuffo nella nostalgia (quella che guarda agli anni Settanta), a bordo del loro vecchio camper, mentre corpo e mente se ne vanno. Un’occasione, per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, regalando rivelazioni fino all’ultimo istante. Un film di emozioni per coppie vecchio stampo, due formidabili interpretazioni, due doppiaggi – Ludovica Modugno e Giannini – da ascoltare con attenzione: ma a me è sembrato di essere lontano anni luce dalla stratosferica follia e umanità della “Pazza gioia”. Durata 112 minuti. (Romano sala 3)

 

Final portrait – L’arte di essere amici – Drammatico. Regia di Stanley Tucci, con Geoffrey Rush e Armie Hammer. Quinta prova dietro la macchina da presa (Big night, uno per tutti i titoli) di uno dei migliori caratteristi hollywoodiani (ricordiamo soltanto Il diavolo veste Prada e Shall we dance?), questa volta per raccontare l’incontro e l’amicizia (era il 1964) dell’artista Alberto Giacometti con il giovane scrittore e appassionato d’arte James Lord. L’invito dello scultore, il sì con la certezza che si tratterà di poche sedute: sarà l’inizio di un lungo percorso, l’attraversare da parte del ragazzo il mondo di insicurezze e frustrazioni dell’artista, delle sue fragilità e della sensibilità come della sua grandezza artistica. Partecipazione all’ultimo TFF, un eccezionale ritratto nell’interpretazione di Rush (Shine, La migliore offerta di Tornatore), con una precisa immedesimazione, con il suo calarsi appieno nella creatività come nelle zone d’ombra dell’uomo. Ma qualcosa non funziona, dal momento che la storia e la regia si fanno grigie come il colore che predomina nello studio dell’artista, tutto gira noiosamente su se stesso senza sprazzi e senza invenzioni, Hammer è un bel posacenere ben lontano dal film di Guadagnino: e per tutta la durata del film allo spettatore finisce col non importargli nulla delle stesure di colore e dei ripensamenti artistici di Giacometti. Durata 90 minuti. (Romano sala 1)

 

Hannah – Drammatico. Regia di Andrea Pallaoro, con Charlotte Rampling, André Wilms e Stéphanie Van Vyve. Il marito è stato arrestato per una colpa di cui non si saprà mai la natura e la vita di Hannah sembra sgretolarsi. Il figlio non vuole più avere contatti con lei, anche il nipotino segue le orme del padre. Hannah vive tra sguardi profondi e intimi silenzi, guarda al passato e si interroga su quale sarà il suo futuro. Coppa Volpi all’ultima Mostra di Venezia. Durata 95 minuti. (Centrale)

 

Jumanji – Benvenuti nella giungla – Avventura. Regia di Jake Kasdan, con Dwayne Johnson, Karen Gillan e Jack Black. Un fenomeno che ha più di vent’anni (eravamo nel 1996) e che ricordiamo ancora oggi per il personaggio, Alan Parrish, interpretato dal compianto Robin Williams, attore al culmine del successo dopo la prova in “Mrs. Doubtfire”. Hollywood non dimentica e rispolvera un passato di ottimi botteghini. Messi in punizione nella scuola che frequentano, quattro ragazzi scoprono un vecchio videogame. Una volta dato il via al gioco, essi vengono catapultati all’interno del sorprendente meccanismo, ognuno con il proprio avatar. Assumeranno altre sembianze, entreranno nell’età adulta: ma che succederebbe se la loro missione fallisse e la vita di ognuno finisse intrappolata nel videogame? Durata 119 minuti. (Uci)

 

La forma dell’acqua – The shape of water – Fantasy. Regia di Guillermo del Toro, con Sally Hawkins, Doug Jones, Octavia Spencer, Michael Stulhbarg e Michael Shannon. Leone d’oro a Venezia, tredici candidature agli Oscar, arriva l’attesissima storia del mostro richiuso in una gabbia di vetro all’interno di un laboratorio governativo ad alta sicurezza (siamo negli States, in piena guerra fredda, il 1962) e del suo incontro con una giovane donna delle pulizie, Elisa, orfana e muta, dei tentativi di questa di salvarlo dalla cupidigia dei cattivi. Avrà l’aiuto degli amici (il disegnatore gay, lo scienziato russo pieno di ideali, la collega di colore), cancellando la solitudine e alimentando i sogni, in un’atmosfera che si culla sulle musiche di Alexandre Desplat, contaminate da quelle dei grandi del jazz degli anni Sessanta. Durata 123 minuti. (Ambrosio sala 1, Eliseo Grande, Massimo sala 1 (anche V.O.), Reposi, The Space, Uci)

 

Made in Italy – Commedia. Regia di Luciano Ligabue, con Stefano Accorsi, Kasia Smutniak e Filippo Dini. L’autore di “Radiofreccia” guarda al nostro paese tra malinconia rabbia e qualche speranza con il ritratto di Riko, fortunato per quel lavoro che possiede ma che gli consente con fatica di mantenere la propria famiglia. Una moglie e un figlio e un gruppo di amici che all’occorrenza lo aiutano: ma qualcosa s’inceppa e se Riko vorrà sottrarsi ad altre sconfitte dovrà necessariamente condurre la propria vita in maniera diversa. Durata 104 minuti. (Reposi, Uci)

 

Maze Runner: la rivelazione – Fantasy. Regia di Wes Ball, con Dylan O’Brien e Aiden Gillen. Terzo appuntamento (già avevamo avuto “Il labirinto” e “La fuga”) con le avventure che già hanno coinvolto Thomas e i suoi amici. Adesso si tratta di dare l’assalto a un treno in puro stile western, di salvare a ogni istante la ragazza amata, di liberare i ragazzi che stanno per diventare le cavie di un grande laboratorio. E poi, si sa, il mondo è salvato dai ragazzini, specialmente quando a sconvolgerlo potrebbe essere un gruppo di adulti che aspira ad un pieno, feroce potere. Durata142 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

L’ora più buia – Drammatico. Regia di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Lily James e Ben Mendelsohn. L’acclamato autore di “Espiazione “ e “Anna Karenina” guarda adesso al secondo conflitto mondiale, all’ora decisiva del primo anno di guerra, alla figura del primo ministro inglese Winston Churchill. Nel maggio del ’40, dimessosi Chamberlain e da poco eletto lui alla carica, inviso al partito opposto e neppure in grado di poter contare sui suoi colleghi di partito e sul re che lo tollera, mentre le truppe tedesche hanno iniziato a invadere i territori europei, Churchill combatte in una difficile quanto decisiva scelta, se concludere un armistizio con la Germania dopo la repentina caduta della Francia oppure avventurarsi nell’intervento di un conflitto armato. Mentre si prepara l’invasione della Gran Bretagna, si deve pensare alla salvezza del paese, grazie ad una pace anche temporanea, o l’affermazione con una strenua lotta degli ideali di libertà: una delle prime mosse fu il recupero dei soldati intrappolati sulle spiagge di Dunkerque (come già ad inizio stagione ci ha insegnato lo stupendo film di Christopher Nolan). Oldman s’è già visto per il ruolo assegnare un Globe, sta sopravanzando sugli altri papabili per quanto riguarda gli Oscar, un’interpretazione che colpisce per la concretezza, per gli scatti d’ira e per quel tanto di cocciutaggine e lungimiranza britannica che in quell’occasione s’impose. Uno sguardo al trucco dell’interprete: gorse un altro Oscar assicurato. Durata 125 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Lux sala 3, Reposi)

 

Ore 15:17 assalto al treno – Drammatico. Regia di Clint Eastwood, con Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler. Era il 21 agosto 2015 quando il mondo ricevette la notizia di un attentato, ad opera di un terrorista islamico, sventato sul treno che proveniva da Amsterdam ed era diretto a Parigi da tre ragazzoni californiani che già s’erano fatte le ossa sui vari fronti di guerra. Il film è il racconto delle loro vite sino a quel momento, del loro viaggio attraverso l’Europa, del loro atto di coraggio, di quell’essere in un momento preciso coraggiosi eroi per caso. Eastwood ha voluto che sullo schermo raccontassero la loro vicenda i diretti protagonisti, con i sogni, la realtà, lo spirito d’avventura e l’amicizia della loro età. Il film è il racconto di come quel giorno hanno salvato 500 vite, i buoni contro i cattivi o le avversità, come già avevano combattuto Bradley Cooper cecchino implacabile in “American Sniper” o Tom Hanks in “Sully” ammarando sull’Hudson. Questa la storia: con l’aggravante che questa volta l’autore di “Mistic river” ha perso completamente l’asse attorno al quale costruire la vicenda, scentrando l’episodio dell’attentato (lo ha relegato dentro l’ultimo quarto d’ora) e dando eccessiva importanza (in maniera quantomai folkloristica e banale al soggiorno italiano) a quanto lo ha preceduto. Se è vero che “quandoque bonus dormitat Homerus”, ebbene questo treno è il sonno completo del grande Eastwood. Durata 94 minuti. (Massaua, Eliseo Rosso, F.lli Marx sala Chico, Ideal, Lux sala 3, Massimo sala 2 V.O., Reposi, The Space, Uci)

 

Sono tornato – Commedia. Regia di Luca Miniero, con Massimo Popolizio, Stefania Rocca e Franck Matano. I tedeschi tre anni fa proposero “Lui è tornato” riaffacciando i baffetti di un tempo sul suolo germanico. Noi veniamo in scia (molto sbiadita) e immagine che il Duce dai tratti mascolini che ha il viso di Popolizio ricompaia a piazza Vittorio, multietnica, di Roma e venga scambiato per un discreto attore che ne fa discretamente l’imitazione. Trattandosi di pura realtà, il soggetto vuole raddrizzare la molliccia Patria e riprendere le cose là dove le ha lasciate. Un inesistente regista di documentari pregusta già il successo e lo prende sotto la sua ala protettrice: e se i risultati non sono quelli sperati, oggi i social aiutano per cui la buonanima, che ha visto il proprio nome sempre più pubblicizzato, si lascia catturare dalla ferrea vicedirettrice di un’emittente, pronta a spargerlo per l’intero palinsesto. Nell’Italia arrabbiata e indecisa di oggi lo share può salire alle stelle. Ci voleva tutt’altro approccio, altra regia e soprattutto una sceneggiatura che si potesse definire tale. È l’ennesimo esempio dell’insicurezza (o se volete, della pochezza, faciloneria, dabbenaggine, pressapochismo) di certo nostro cinema. Ed è chiara sempre più la rarefazione di quelli che un tempo (per carità, non è che dell’oggi si debba fare tabula rasa!) sapevano mettersi a tavolino e scrivere una vera storia. Con tutta l’intelligenza che serviva. E che servirebbe ancora. Durata 100 minuti. (The Space, Uci)

 

The Party – Drammatico. Regia di Sally Potter, con Timothy Spall, Kristin Scott Thomas, Emily Mortimer, Cillian Murph e Bruno Ganz.    Metti una sera a cena, una tavolata di amici, ambiente di sinistra, di quelli ci diciamo tutto in faccia e ancora di più, noi siamo per la schiettezza a qualunque costo, con una padrona di casa (siamo a Londra) che è appena stata nominata ministro ombra della sanità, un marito che sta a guardare e che fatto di tutto per appoggiare la carriera della moglie, anche a scapito della sua, due lesbiche che aspettano un figlio e altro ancora. Uno stile, l’amicizia, la cordialità. l’ideologia, che cosa rimarrà in piedi dopo che il paziente consorte avrà buttato lì sul tavolo un paio di rivelazione che porteranno lo sconquasso tra gli ospiti? Un po’ dalle parti di “Chi ha paura di Virginia Woolf”, un po’ “Carnage”, un po’ anche del nostro Paolo Genovese con il suo “Perfetti sconosciuti”. Durata 71 minuti. (Nazionale sala 1)

 

The Post – Drammatico. Regia di Steven Spielberg, con Meryl Streep e Tom Hanks. Ancora l’America descritta da Spielberg con gran senso dello spettacolo, segue candidatura a due Oscar, miglior film e migliore attrice protagonista. L’argomento è ormai noto, il New York Times aveva tra le mani nel 1971 un bel pacco di documenti comprovanti con estremo imbarazzo la cattiva politica di ben cinque presidenti per quel che riguardava il coinvolgimento degli States nella sporca guerra nel sud-est asiatico. Il governo proibì che fossero dati alle stampe. Se ne fece carico il direttore del Washington Post (Tom Hanks), sfidando comandi dall’alto e un non improbabile carcere: ma a nulla sarebbe valsa quella voce pure autorevole, se la voce ancora più forte non fosse venuta dall’editrice Katharine Graham, all’improvviso ritrovatasi a doversi porre in prima linea in un mondo esclusivamente maschile, buona amica di qualche rappresentante dello staff presidenziale (in primo luogo del segretario alla difesa McNamara) e pur tuttavia decisa a far conoscere a tutti quel mai chiarito pezzo di storia. L’autore del “Soldato Ryan” e di “Lincoln” si avvale di una sceneggiatura che porta la firma prestigiosa di Josh Singer (“Il caso Spotlight”), della fotografia di Janusz Kaminski (“Schindler’s list”), dei costumi di Ann Roth; con questo ultimo ritratto Meryl Streep si conquista la sua ventunesima nomination agli Oscar. Riuscirà la fantastica Frances McDormand di “Tre manifesti” a sbarrarle la strada? Durata 118 minuti. (Ambrosio sala 3, Centrale V.O., Massaua, Due Giardini sala Nirvana, Lux sala 2, The Space, Uci)

 

Tre manifesti a Ebbing, Missouri – Drammatico. Regia di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish e Lucas Hedges. Da sette mesi le ricerche e le indagini sulla morte della giovane Angela, violentata e ammazzata, non hanno dato sviluppi né certezze ed ecco che allora la madre Mildred compie una mossa coraggiosa, affitta sulla strada che porta a Ebbing, tre cartelloni pubblicitari con altrettanti messaggi di domanda accusatoria e di “incitamento” diretti a William Willoughby, il venerato capo della polizia, onesto e vulnerabile, malato di cancro. Coinvolgendo in seguito nella sua lotta anche il vicesceriffo Dixon, uomo immaturo dal comportamento violento e aggressivo, la donna finisce con l’essere un pericolo per l’intera comunità, mal sopportata, quella che da vittima si trasforma velocemente in minaccia: ogni cosa essendo immersa nella descrizione di una provincia americana che coltiva il razzismo, grumi di violenza e corruzione. Da parte di molti “Tre manifesti” è già stato giudicato come il miglior film dell’anno, i quattro recenti Golden Globe spianano la strada verso gli Oscar. Durata 132 minuti. (Ambrosio sala 3, Eliseo Rosso, Greenwich sala 2)

 

L’ultima discesa – Drammatico. Regia di Scott Waugh, con Josh Hartnett e Mira Sorvino. La storia vera del campione olimpionico di hockey Eric LaMarque, il suo ritiro in montagna per spegnere il dolore dall’aver procurato un incidente automobilistico, il pericolo di una tempesta di neve che lo travolge. Nessuno sa dove lui si trovi, sarà necessario tutto il suo coraggio (e l’intuito di una madre quando le squadre di salvataggio hanno già abbandonato ogni ricerca) per tornare alla vita. Durata 98 minuti. (The Space)

 

L’uomo sul treno – Azione. Regia di Jaume Collet-Serra, con Liam Neeson, Vera Farmiga e Dean-Charles Chapman. Sul treno di pendolari che prende regolarmente da dieci anni, l’assicuratore Mc Cauley è avvicinato da una bella donna, una psicologa, che gli promette una bella quantità di soldi se lui vorrà fare con lei un gioco: su quel treno viaggia un tale che non ha proprio le caratteristiche di un normale pendolare, a lui scoprire di chi si tratta. Come nelle storie del maestro Hitchcock, l’uomo entrerà negli ingranaggi di un gioco più grande di lui, se volesse sottrarsene ne andrebbe della sua famiglia. Durata 105 minuti. (Massaua, The Space, Uci)

 

Il vegetale – Commedia. Regia di Gennaro Nunziante, con Fabio Rovazzi, Luca Zingaretti e Ninni Bruschetta. Fabio è laureato in scienze della comunicazione e all’improvviso si ritrova a gestire la società paterna, cresciuta a suon di malaffare. Lui è forte della propria onestà, lascia Milano e se ne va al sud, in cerca d’aria nuova: finirà a raccogliere frutta agli ordini di un caporale di colore, unico bianco in mezzo a cento immigrati. Dovrà tenere a bada una sorellina pestifera che per lui non ha nessuna considerazione, ma in compenso troverà anche una maestrina dal cuore tenero. Durata 90 minuti. (Uci)

 

 

Internet delle cose e 5G per i piccoli comuni

Se ne è discusso a Torino in un incontro organizzato da Anfov con Anci e Uncem

Lo sviluppo del territorio, l’arrivo del 5G e l’Internet of things. Sono i temi toccati nel corso di un incontro dal titolo “L’IoT nell’era della banda ultralarga: nuove opportunità e nuovi servizi per i cittadini” che si è svolto oggi nella sede del Consiglio Regionale del Piemonte a Torino.

Organizzato da Anci, Anfov e Uncem, l’incontro ha visto la partecipazione di un gran numero di operatori del settore, esperti e rappresentanti degli enti locali. Dopo avere ricordato il bisogno di formazione anche per gli enti locali, Marco Bussone, vicepresidente Uncem ha sollecitato la Regione Piemonte a non frammentare le risorse che devono essere assegnate a soggetti che aggregano”. Michele Pianetta, vicepresidente Anci, ha sottolineato la necessità di sinergie fra pubblico e privato “Perché i Comuni devono accompagnare le imprese che hanno il compito di fornire i servizi ai cittadini. L’amministrazione pubblica deve agevolare e non ostacolare l’azione dei privati”. A Stefano Ciccotti, consigliere ANFoV, è toccato il compito di entrare nello specifico delle tecnologie 5G e IoT che un documento del MiSE ha indicato come un fattore fondamentale di sviluppo. “Efficiente utilizzo dell’interfaccia radio, altissimo bit rate e bassa latenza – ha spiegato Ciccotti -, sono alcuni dei vantaggi offerti dalla nuova tecnologia mobile che grazie al concetto del network slicing permette a ogni rete virtuale di essere dedicata a un servizio”. In questo modo è possibile riempire di contenuti la rete attivando nuovi servizi, dando la possibilità alle startup, ma anche alle aziende classiche di sviluppare ulteriormente il loro potenziale. ANFoV, ha proseguito Ciccotti, ha realizzato un rapporto sull’Iot che “evidenzia come il dispiegamento di una rete 5G e l’utilizzo di dispositivi IoT abbiano vaste possibilità di applicazione nel settore turistico, in agricoltura e nell’industria”. Ciccotti ha sottolineato l’importanza del 5G, che copre via radio l’ultimo miglio di connessione senza dover per forza arrivare con la fibra fino al domicilio dell’utente, e le possibilità di utilizzo dell’IoT per esempio nell’agricoltura di precisione con sensori che permettono di avere in tempo reale la situazione dei terreni agricoli evidenziando i settori in cui bisogna intervenire. Con l’utilizzo di queste tecnologie è possibile portare a compimento la copertura del territorio mettendo finalmente la parola fine al digital divide. Opportunità che ha i suoi riflessi anche nei piccoli centri, non più luoghi marginali tagliati fuori dalla rivoluzione della rete, ma centri dove è invece possibile vivere e lavorare in ambienti lontani dallo stress cittadino.

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“Si tratta di tecnologie – ha aggiunto Ciccotti – che costano poco e oggi sono alla portata di tutti”. Una democratizzazione dell’It che va tutta a vantaggio dei piccoli centri. Obiettivo di ANFoV è di contribuire alla formazione della Pubblica amministrazione per affrontare le nuove tecnologie raccogliendo anche i casi di best practice sparsi sul territorio. Uno di questi è stato presentato da Carla Bue, direttore dell’Unione montana dell’Alta Langa, dove è stato realizzato un sistema di car pooling (sorta di Blablacar locale) sotto il controllo dell’ente pubblico per sopperire alla mancanza di trasporto pubblico. A questo si è aggiunta la diffusione della connettività che ha lo scopo di supportare le aziende locali e i cittadini combattendo lo spopolamento della zona. Ha chiuso l’incontro Giuliana Fenu, direttore innovazione e competitività della Regione Piemonte, che oltre a ricordare l’intervento dell’ente pubblico con i fondi europei per le nuove tecnologie, ha sottolineato la difficoltà di fare emergere i bisogni del territorio e la necessità di mettere a disposizione di tutti il patrimonio di dati a disposizione dell’ente pubblico che possono generare altri servizi. Quello di Torino vuole essere solo il primo di una serie di incontri che Anfov organizzerà lungo la Penisola in collaborazione con Anci e Uncem decise a spiegare ai loro associati tutte le opportunità delle nuove tecnologie.

 

Nella foto: Carla Bue, Michele Pianetta, Stefano Ciccotti, Marco Bussone, Giuliana Fenu).

Grazie come sempre

4L TROPHY: UN RALLY UMANITARIO DALLA FRANCIA AL MAROCCO CON NORAUTO

Vedrà la partecipazione anche di  Ferdinando De Candia, giovane torinese di 31 anni e impiegato a Nichelino

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Il più grande rally raid per studenti universitari da Biarritz a Marrakech porta aiuti umanitari in Marocco a bordo di iconiche Renault 4 6.000 km, oltre 1.500 equipaggi da tutta Europa, 10 giorni di avventura. Dall’Italia anche il team tutto tricolore di Norauto con una donna meccanico Sono oltre 1.500 gli equipaggi provenienti da tutta Europa al via dell’edizione 2018 del 4L Trophy, il più grande rally raid umanitario d’Europa ideato dall’Ecole Supérieure de Commerce de Rennes nel 1998, il cui obiettivo è guidare attraverso il deserto del Marocco per portare aiuti ai bambini. Alla competizione possono partecipare solo vetture Renault 4, da cui deriva il nome della manifestazione – le celebri Quatrelle (4L), il modello R4 accessoriato – anche se vengono ammesse tutte le versioni della famosa auto a patto che abbiano telaio e motore originali. L’edizione di quest’anno scatta da Biarritz, cittadina francese sulla costa basca, con destinazione Marrakech dopo un avventuroso viaggio di 10 giorni e circa 6.000 km, percorrendo la penisola iberica, approdando in Africa a Tangeri con un percorso che porta oltre la catena dell’Atlante e attraversando il deserto marocchino fino all’arrivo nella grande metropoli africana. Questo originale rally-raid percorre in carovane il tragitto in circa due settimane, con bivacchi di gruppo, percorsi avventurosi, obblighi di regolarità ed esercizi di orientamento. Nel 1998, alla prima edizione, hanno partecipato solo tre equipaggi, crescendo di anno in anno fino ai 1.500 della passata edizione. Ogni equipaggio è composto da due studenti universitari, i quali solitamente organizzano raccolte fondi tra sponsor locali e privati per l’iscrizione alla competizione, la preparazione tecnica dell’auto, il materiale benefico, benzina, pedaggi e campeggio. Lo scopo di ogni giornata è vincere la tappa grazie all’utilizzo della sola mappa e della bussola. La classifica viene stilata in base all’abilità di guida nel deserto e del raggiungimento dei checkpoint designati. Ogni giorno viene stilata una classifica generale per ogni tappa, una classifica per gli equipaggi europei non francesi e una classifica dedicata alle ragazze. All’edizione 2018 parteciperà dall’Italia anche il team Norauto, composto da 3 giovani ragazzi italiani scelti attraverso una selezione tra numerose candidature: Ferdinando De Candia e Alessia Parimbelli alla guida, quest’ultima una delle prime donne meccanico a partecipare alla manifestazione, supportati dal meccanico Dario Cammarata. Tra gli obiettivi raggiunti dalla manifestazione nel corso degli anni la costruzione di aule scolastiche, la fornitura di alimenti non deperibili, materiali didattici e sportivi per i bambini, oltre al sostegno economico ad associazioni no-profit locali impegnate nel sostegno alla popolazione e in particolare ai giovani.