redazione il torinese

Oggi al cinema

LE TRAME DEI FILM NELLE SALE DI TORINO

A cura di Elio Rabbione

 

A casa tutti bene – Commedia. regia di Gabriele Muccino, con Stefano Accorsi, Massimo Ghini, Stefania Sandrelli, Valeria Solarino e Gianmarco Tognazzi. Una ricorrenza da festeggiare, le nozze d’oro dei nonni, una permanenza forzata, il traghetto bloccato e l’isola di Ischia a fare da sfondo: gli antichi ristoratori, i tre figli che hanno preso strade diverse, le mogli attuali e quelle di un tempo, il cugino solo e poveraccio con debiti e un figlio in arrivo, i rancori, le confessioni e le urla, il ritratto di una famiglia italiana in perfetto stile Muccino, figliuol prodigo tornato a casa dopo i (quasi totali) successi d’oltreoceano. Ma Muccino rimane Muccino, con le tante tessere di una storia, con il suo nervoso montaggio, con una sceneggiatura che non brilla, con certi attori presi nel vortice del dramma ad ogni costo, con altri che continuano a ripetere i loro soliti personaggi. Però un palmarès alle prove di Massimo Ghini e Valeria Solarino, all’invasione altissima del mai così bravo Gianmarco Tognazzi. Durata 105 minuti. (Massaua, Lux sala 2, The Space, Uci)

 

Anche senza di te – Commedia. Regia di Francesco Bonelli, con Nicolas Vaporidis, Andrea Branciamore e Myriam Catania. La storia di Sara, insegnante elementare precaria e prossima all’altare con il medico in carriera Andrea. Ma con il momento (troppo) fatidico arrivano gli attacchi di panico, incontenibili. Nei pressi c’è il collega (chiaramente, di lei) Nicola e con lui il sogno di una scuola gestita in un modo diverso, ad esempio con il linguaggio autentico delle emozioni: un metodo che potrebbe tornare comodo anche alla scombussolata protagonista. Durata 107 minuti. (Uci)

 

Black Panther – Fantasy. Regia di Ryan Coogler, con Chadwick Boseman, Lupita Nyong’o, Martin Freeman e Angela Bassett. Il protagonista è il nuovo re di Wakanda dopo la morte del padre: ma se sulla sua strada trova dei nemici pronti a detronizzarlo, lui sarà pronta a unirsi alla CIA e alle forze speciali del proprio paese. Durata 135 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Belle & Sebastien – Amici per sempre – Avventura. Regia di Clovis Cornillac, con Félix Bossuet e Tchéky Karyo. Terzo capitolo della saga, Sebastien ha 12 anni e Belle gli ha regalato tre splendidi cuccioli. Senonché la tranquillità familiare è scalfitta dall’intenzione di Pierre, il padre del ragazzo, di trasferirsi in Canada e dall’arrivo di un presunto proprietario di Belle che vorrebbe portarsela via. Sebastien farà di tutto per non dover abbandonare la sua amica a quattro zampe. Durata 90 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Benvenuti a casa mia – Commedia. Regia di Philippe de Chauveron, con Christian Clavier, Nanou Garcia e Ary Abittan. Come se dicessimo: dal dire al fare. C’è uno scrittore, un intellettuale decisamente aperto, punto di riferimento della scena letteraria, sposato ad una ereditiera lontanissima dalla realtà che la circonda. È il fortunato autore di un libro, “Benvenuti a casa mia”, in cui auspica che ogni suo lettore, soprattutto i ricchi e benestanti, accettino di aprire le loro abitazioni a chi ne ha davvero bisogno. Ma se il suo avversario lo sfida a mettere in pratica, lui per primo, quanto il libro consiglia, se quella sera stessa qualcuno busserà alla sua porta, che cosa potrà succedere? Durata 92 minuti. (Greenwich sala 1, The Space, Uci)

 

C’est la vie – Prendila come viene – Commedia. Regia di Eric Toledano e Olivier Nakache, con Jean-Pierre Bacri, Jean-Paul Rouve, Hélène Vincent e Suzanne Clément. Gli artefici del fenomeno “Quasi amici” promettono risate a valanga e il successone in patria dovrebbe calamitare anche il pubblico di casa nostra. I due sposini Pierre ed Hélène hanno deciso di sposarsi e quel giorno deve davvero essere il più bello della loro vita. Nella cornice di un castello del XVII secolo, poco lontano da Parigi, si sono affidati a Max e al suo team, ad un uomo che ha fatto della sua professione di wedding planner una missione, che organizza e pianifica, che sa gestire i suoi uomini, che sa mettere ordine nel caos più supremo, che per ogni problema sa trovare la giusta risoluzione… Più o meno: perché quella giornata sarà molto ma molto lunga, ricca di sorpresa e di colpi di scena. Ma soprattutto di enormi, fragorose risate! Durata 115 minuti. (Romano sala 3)

 

Chiamami col tuo nome – Drammatico. Regia di Luca Guadagnino, con Timothée Chalamet, Armie Hammer e Amira Casar. Nei dintorni di Crema, il 1983: come ogni anno il padre del diciassettenne Elio, professore universitario, ospita nella propria casa un borsista per l’intera estate. L’arrivo del disinvolto Oliver non lascia insensibile il ragazzo, che scopre il sesso con una coetanea ma che poco a poco ricambiato approfondisce la propria relazione con l’ospite. Un’educazione sentimentale, i libri e la musica, Eraclito e Heidegger, Bach e Busoni, l’ambiente pieno di libertà della sinistra, i discorsi insperati di un padre, il tempo scandito dalle cene e dalle discussioni su Craxi e Grillo, il vecchio factotum che di nome fa virgilianamente Anchise, passeggiate e discussioni, corse in bicicletta, ritrovamenti di statue in fondo al lago, nuotate in piccoli spazi d’acqua, felici intimità, in una delicatezza cinematografica (la macchina da presa pronta ad allontanarsi velocemente da qualsiasi eccessivo imbarazzo) che assorbe nei temi (“Io ballo da sola”) e nei luoghi (i paesini, i casali, la calura di “Novecento”) il passato di Bertolucci o guarda al “Teorema” pasoliniano. L’ultima opera di un regista (“Io sono l’amore”, “A bigger splash”) che con la critica di casa nostra non ha mai avuto rapporti troppo cordiali, osannato all’estero. La sceneggiatura firmata da James Ivory e tratta dal romanzo di André Aciman ha conquistato meritatamente l’Oscar. Durata130 minuti. (Eliseo blu)

 

Il filo nascosto – Drammatico. Regia di Paul Thomas Anderson, con Daniel Day-Lewis, Vicky Krieps e Lesley Manville. Nella Londra degli anni Cinquanta, il famoso sarto Reynolds Woodcock è la figura centrale dell’alta moda britannica, eccellentemente coadiuvato dalla sorella Cyril: realizzano gli abiti per la famiglia reale (qualcuno ha visto il ritratto del celebre Norman Hartnell), per le stelle del cinema, per ereditiere, debuttanti e dame sempre con lo stile distinto della casa di Woodcock. Il grande sarto è anche un incallito e incredibile dongiovanni, nella cui vita le donne, fonte d’ispirazione e occasione di compagnia, entrano ed escono: fino a che non sopraggiunge la presenza della semplice quanto volitiva, a modo suo spregiudicata, Alma, una giovane cameriera di origini tedesche, pronta a diventare parte troppo importante della vita dell’uomo, musa e amante. L’ordine e la meticolosità, doti che si rispecchiano meravigliosamente nella fattura degli abiti e nella condotta di vita, un tempo così ben controllata e pianificata, vengono sovvertiti, in una lotta quotidiana tra uomo e donna. Film geometrico e algido quanto perfetto, forse scontroso, eccezionale prova interpretativa per la Manville e per Day-Lewis, forse il canto del cigno per l’interprete del “Mio piede sinistro” e di “Lincoln”, convinto da oggi in poi ad abbandonare lo schermo. Oscar per i migliori costumi. Durata 130 minuti. (Centrale in V.O., Due Giardini sala Nirvana, Reposi, Romano sala 2)

 

La forma dell’acqua – The shape of water – Fantasy. Regia di Guillermo del Toro, con Sally Hawkins, Doug Jones, Octavia Spencer, Michael Stulhbarg e Michael Shannon. Leone d’oro a Venezia, tredici candidature agli Oscar, arriva l’attesissima storia del mostro richiuso in una gabbia di vetro all’interno di un laboratorio governativo ad alta sicurezza (siamo negli States, in piena guerra fredda, il 1962) e del suo incontro con una giovane donna delle pulizie, Elisa, orfana e muta, dei tentativi di questa di salvarlo dalla cupidigia dei cattivi. Avrà l’aiuto degli amici (il disegnatore gay, lo scienziato russo pieno di ideali, la collega di colore), cancellando la solitudine e alimentando i sogni, in un’atmosfera che si culla sulle musiche di Alexandre Desplat, contaminate da quelle dei grandi del jazz degli anni Sessanta. Durata 123 minuti. (Ambrosio sala 2, Massaua, Eliseo Grande, Massimo sala 1 anche V.O., Reposi, The Space, Uci)

 

Il giustiziere della notte – Drammatico. Regia di Eli Roth, con Bruce Willis. Nel 1974 il medesimo titolo esplose con l’interpretazione di Charles Bronson, oggi, riadattato e attualizzato, lasciati i grattacieli di New York per essere ambientato a Chicago, chiuso nel vortice dei fatti successi nelle scuole americane e nel dibattito circa lo sfrontato acquisto/uso delle armi da parte dei cittadini degli States, vede il duro a morire Willis, medico chirurgo, combattere contro chi gli ha ucciso la moglie e violentato la figlia. Durata 92 minuti. (Massaua, Ideal, The Space, Uci)

 

Lady Bird – Drammatico. Regia di Greta Gerwig, con Saoirse Ronan, Lucas Hedges, Timothée Chalamet e Laurie Metcalf. Una storia che pesca nell’autobiografia, l’autrice, come il personaggio femminile del film, è nata a Sacramento, in California, e sin da giovane smaniosa di raggiungere la costa orientale per studiare e dedicarsi al cinema. Anche Christine sogna di iscriversi ad una università nella parte opposta degli States, sottrarsi alla madre autoritaria, alla figura del padre senza lavoro, a quel piccolo mondo che la circonda. S’inventa storie, fa fronte alle prime prove d’amore, dal risultato negativo, fa di tutto per mettersi in buona luce agli occhi dei compagni di scuola che sembrano valere più di lei, ricavandone delusioni, s’appiccica quel nome del titolo: quale sarà il suo futuro? Un ritratto femminile già visto altre volte, che cerca continuamente sfide interpretative e di regia: ma un film che non lascerà un grande ricordo di sé, a bocca asciutta nella notte degli Oscar. Durata 94 minuti. (Eliseo Rosso, Nazionale sala 2, Uci)

 

Maria Maddalena – Drammatico. Regia di Garth Davis, con Rooney Mara, Joaquin Phoenix e Chiwetel Ejiofor. Una visione nuova nei confronti di una Maddalena vista come la peccatrice e la prostituta, figura alimentata per secoli. Il regista australiano (che tuttavia ha scoperto gli ambienti adatti in Sicilia) vede questa donna come un esempio di femminismo ante litteram, colei che sfugge ai compiti di moglie e madre che la società del tempo inevitabilmente le impone, colei che stabilisce di seguire il Maestro e di abbracciarne in modo completo la dottrina: quella che tra i tanti discepoli è scelta dal Maestro ad assistere alla sua Resurrezione. Guardando anche alle figure di Giuda e di Pietro, messi di fronte ad un messaggio che sconvolgerà il mondo ma incapaci di assumerne l’esatta interpretazione. Durata 120 minuti. (Ambrosio sala 1, Massaua, Greenwich sala 1, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Metti la nonna in freezer – Commedia. Regia di Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, con Fabio Di Luigi, Miriam Leone, Barbara Bouchet e Eros Pagni. Un giovane e incorruttibile finanziere e una bella restauratrice, con un paio di aiutanti al seguito, che vive grazie alla pensione della nonna visto che lo Stato tarda a riconoscerle i quattrini che le deve per tutto il lavoro che ha svolto. E se la vegliarda passa a miglior vita? Spetterà alla ragazza ingegnarsi per la sopravvivenza, l’elettrodomestico del titolo fa al caso suo, le amiche un piccolo aiuto non lo negano e la pensione della nonna si potrà continuare a percepire. Durata 100 minuti. (Massaua, Greenwich sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Omicidio al Cairo – Giallo. Regia di Tarik Saleh, con Fares Fares. La morte di una cantante di successo nelle stanze del Nile Hilton Hotel, la sua relazione con un uomo che fa affari con il mondo della politica, un caso che si vorrebbe chiudere al più presto. La capitale egiziana del 2011, le rivolte e la corruzione senza limiti raccontata senza nulla nascondere, la criminalità che invade il paese, un commissario che pur tra le proprie zone d’ombra eccelle senza dubbio sui suoi superiori e che vuole andare fino in fondo pur di scoprire i colpevoli. Una cinematografia a molti sconosciuta, che merita con questo esempio d’essere tenuta d’occhio, un ritmo sostenuto nelle indagini che combattono contro le mazzette di quattrini che circolano a mo’ di ricompensa da una e dall’altra parte. Durezza e debolezze sulla faccia del protagonista. Durata 106 minuti. (Classico)

 

Oltre la notte – Drammatico. Regia di Fatih Akin, con Diane Kruger e Johannes Krisch. Katia vive dentro una famiglia felice, un figlio e un marito che dopo un periodo di prigione per spaccio ne è uscito e oggi lavora in una piccola agenzia di viaggi. Ma è una felicità destinata a morire: un attentato, che ha i suoi fautori in una coppia di estremisti legata al gruppo di destra greco “Alba dorata”, distrugge la vita dei suoi cari. Katia grazie al sostegno di amici e famigliari affronta il funerale e riesce ad andare avanti, ma quelle morti, con la ricerca ossessiva degli assassini, riaprono ferite e sollevano dubbi. Palmarès per la migliore interpretazione femminile a Cannes lo scorso anno e Golden Globe come miglior film straniero. Durata 101 minuti. (F.lli Marz sala Groucho, Nazionale sala 1, Uci)

 

Nome di donna – Drammatico. Regia di Marco Tullio Giordana, con Cristina Capotondi, Valerio Binasco, Adriana Asti e Bebo Storti. Nina, madre di una bambina, trova lavoro in una elegante residenza per anziani, nel territorio di Cremona, dove il direttore, spalleggiato da un sacerdote fuori da ogni regola di accoglienza, fa il buono e cattivo tempo. Sulle dipendenti soprattutto, che ha molestato e che molesta, che continuano ad accettare. Nina rompe gli schemi ormai affermati, denuncia, cerca disperatamente ma inutilmente l’appoggio delle colleghe. Un tema quanto mai attuale, pronto a far discutere. Come è consuetudine per le storie raccontate da Giordana, da “Maledetti vi amerò” alla “Meglio gioventù”. Durata 98 minuti. (Due Giardini sala Ombrerosse, Uci)

 

L’ora più buia – Drammatico. Regia di Joe Wright, con Gary Oldman, Kristin Scott Thomas, Lily James e Ben Mendelsohn. L’acclamato autore di “Espiazione “ e “Anna Karenina” guarda adesso al secondo conflitto mondiale, all’ora decisiva del primo anno di guerra, alla figura del primo ministro inglese Winston Churchill. Nel maggio del ’40, dimessosi Chamberlain e da poco eletto lui alla carica, inviso al partito opposto e neppure in grado di poter contare sui suoi colleghi di partito e sul re che lo tollera, mentre le truppe tedesche hanno iniziato a invadere i territori europei, Churchill combatte in una difficile quanto decisiva scelta, se concludere un armistizio con la Germania dopo la repentina caduta della Francia oppure avventurarsi nell’intervento di un conflitto armato. Mentre si prepara l’invasione della Gran Bretagna, si deve pensare alla salvezza del paese, grazie ad una pace anche temporanea, o l’affermazione con una strenua lotta degli ideali di libertà: una delle prime mosse fu il recupero dei soldati intrappolati sulle spiagge di Dunkerque (come già ad inizio stagione ci ha insegnato lo stupendo film di Christopher Nolan). Oldman s’è visto per il ruolo assegnare un Globe, ha meritatamente conquistato poche sere fa l’Oscar, un’interpretazione che colpisce per la concretezza, per gli scatti d’ira e per quel tanto di cocciutaggine e lungimiranza britannica che in quell’occasione s’impose. Uno sguardo al trucco dell’interprete: un secondo Oscar al film, premio agli artefici e alle tante ore di perfezione ogni giorno di lavorazione cui l’attore s’è sottoposto. Durata 125 minuti. (Greenwich sala 3)

 

Pertini – Il combattente – Documentario. Regia di Graziano Diana e Giancarlo De Cataldo. Interviste (da Napolitano a Bonino, da Scalfari a Dino Zoff), cinegiornali, articoli, documenti, fumetti, canzoni per tratteggiare la figura del Presidente più amato dagli Italiani. Durata 76 minuti. (Centrale)

 

Puoi baciare lo sposo – Commedia. Regia di Alessandro Genovesi, con Diego Abatantuono, Monica Guerritore, Salvatore Esposito e Cristiano Caccamo. Si sono fidanzati a Berlino (“dove è facile fare i gay…”) Antonio e Paolo e sperano che la loro unione venga benedetta dal padre di Antonio, sindaco di Civita di Bagnoregio e uomo fautore di ogni accoglienza. Ma il “suocero”, colpito nell’ambito familiare, non gradisce. Durata 90 minuti. (Massaua, Ideal, Reposi, The Space, Uci)

 

Quello che non so di lei – Drammatico. Regia di Roman Polanski, con Emmanuelle Seigner, Eva Green e Vincent Perez. Delphine ha conosciuto l’importante successo editoriale dando alle stampe un romanzo che racconta il suicidio della madre. Ora deve combattere contro una crisi creativa che la blocca davanti al foglio bianco. L’incontro con Leila che poco a poco, in tante differenti occasioni, si insinua nella sua vita e quasi se ne appropria, la metterà di fronte ad un mondo di ambiguità, dove anche l’aspetto morboso (basta ripercorrere la filmografia di Polanski per ritrovarne ampi esempi) trova eccellente spazio. Tratto dal romanzo “D’après une histoire vraie” di Delphine Vigan, con uno sguardo anche alla lotta incrociata di “Eva contro Eva”. Durata 100 minuti. (Ambrosio sala 3)

 

Red Sparrow – Azione. Regia di Francis Lawrence, con Jennifer Lawrence, Joel Edgerton, Charlotte Rampling, Jeremy Irons e Matthias Schoenaerts. Con tutta probabilità il primo capitolo di una adrenalinica trilogia, dal momento che lo scrittore Jason Matthews, un ex agente della Cia che ha parecchie cose da raccontare dovute a una più che trentennale lotta sul campo, ha anche pubblicato, oltre a questo primo romanzo, “Il palazzo degli inganni” e “The Kremlin’s Candidate”. Con il visino, la carica erotica e l’escalation senza freni della bella Jennifer già pluripremiata e oscarizzata nonostante i suoi “soli” ventisette anni, la ballerina del Bolshoi Dominika, in una guerra fredda che sembra affatto terminata, dovrà vedersela con un intrepido agente della Cia sotto copertura al di là della Cortina, ma si sa che in questi incontri/scontri possono farsi strada crocevia amorosi. Dirige il regista di “Hunher Games”, intriganti i panorami che si inseguono tra Atene e Mosca, tra Helsinki e Washington. Durata 139 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 2, Reposi, The Space, Uci)

 

Ricomincio da noi – Commedia. Regia di Richard Loncraine, con Imelda Stauton, Celia Imrie e Timothy Spall. Il film che con risate, un po’ di autentica commozione e grande successo aveva aperto l’ultimo TFF. Scoperto che il marito la tradisce da anni con la sua migliore amica (mai fidarsi!), la protagonista scopre, attraverso l’eccentricità della sorella, quei tanti amici che la circondano, il suo modo spensierato di affrontare e condurre la vita, di avere voglia di buttarsi alle spalle tutto quanto, magari iniziando con il frequentare una sala da ballo. La attendono ancora altre prove ma un non più giovane innamorato la farà decidere la nuova strada da intraprendere. Nessuno scossone ma una bella botta di vita comunque, per lo spettatore e per la terna d’attori che sono tra il meglio del cinema e del teatro inglesi, da ammirare. Durata 110 minuti. (F.lli Marx sala Chico, Romano sala 1)

 

La terra buona – Commedia drammatica. Regia di Emanuele Caruso, con Fabrizio Ferracane, Giulio Brogi, Lorenzo Pedrotti e Viola Sartoretto. Tre storie che s’intrecciano per confluire insieme in un angolo di serenità. La giovane Gea, malata terminale, all’insaputa della famiglia si rifugia con un amico, forse innamorato di lei, in una valle piemontese al confine con il territorio svizzero. Là, in una borgata antica, fatta di case di pietra, dimenticata, vivono un vecchio frate eremita che ha raccolto negli anni una ricchissima biblioteca e un medico, in cerca di medicamenti alternativi, senza risposte certe, e per questo cacciato dalla civiltà che lo ha giudicato e condannato. Un’altra scommessa per l’autore che tre anni fa con “E fu sera e fu mattina” divenne un caso cinematografico, ovvero budget ridotto all’osso e grande successo per i cinefili doc. Durata 110 minuti. (Reposi)

 

The lodgers – Non infrangere le regole. – Horror. Regia di Brian O’Malley, con Charlotte Vega, Bill Milner, Eugene Simon e David Bradley. Nell’Irlanda del 1920, i gemelli Edward e Rachel debbono combattere, per una punizione per le colpe dei loro antenati, contro le presenze sinistre che popolano la loro casa. Debbono andare a letto entro la mezzanotte, non debbono mai fare entrare estranei in casa e debbono stare sempre insieme, senza mai separarsi. Ognuna di queste regole va rispettata. Se il ragazzo è pronto ad accettare ogni norma, la sorella cerca di sfuggire per sottrarsi ad una crudele prigionia. Durata 92 minuti. (Uci)

 

The Post – Drammatico. Regia di Steven Spielberg, con Meryl Streep e Tom Hanks. Ancora l’America descritta da Spielberg con gran senso dello spettacolo. L’argomento è ormai noto, il New York Times aveva tra le mani nel 1971 un bel pacco di documenti comprovanti con estremo imbarazzo la cattiva politica di ben cinque presidenti per quel che riguardava il coinvolgimento degli States nella sporca guerra nel sud-est asiatico. Il governo proibì che fossero dati alle stampe. Se ne fece carico il direttore del Washington Post (Tom Hanks), sfidando comandi dall’alto e un non improbabile carcere: ma a nulla sarebbe valsa quella voce pure autorevole, se la voce ancora più forte non fosse venuta dall’editrice Katharine Graham, all’improvviso ritrovatasi a doversi porre in prima linea in un mondo esclusivamente maschile, buona amica di qualche rappresentante dello staff presidenziale (in primo luogo del segretario alla difesa McNamara) e pur tuttavia decisa a far conoscere a tutti quel mai chiarito pezzo di storia. L’autore del “Soldato Ryan” e di “Lincoln” si avvale di una sceneggiatura che porta la firma prestigiosa di Josh Singer (“Il caso Spotlight”), della fotografia di Janusz Kaminski (“Schindler’s list”), dei costumi di Ann Roth. Durata 118 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Greenwich sala 1)

 

Tomb Raider – Avventura. Regia di Roar Uthaug, con Alicia Vikander e Dominic West. Dopo l’avventura firmata da Angiolina Jolie, ecco nuovamente Lara Croft. La quale decide di partire, dopo l’insperato ritrovamento di un quaderno d’appunti, per una sconosciuta isola del mar del Giappone alla ricerca di suo padre dato per scomparso. Durata 115 minuti. (Massaua, Ideal, Lux sala 1, Reposi, The Space, Uci anche in V.O.)

 

Tre manifesti a Ebbing, Missouri – Drammatico. Regia di Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish e Lucas Hedges. Da sette mesi le ricerche e le indagini sulla morte della giovane Angela, violentata e ammazzata, non hanno dato sviluppi né certezze ed ecco che allora la madre Mildred compie una mossa coraggiosa, affitta sulla strada che porta a Ebbing, tre cartelloni pubblicitari con altrettanti messaggi di domanda accusatoria e di “incitamento” diretti a William Willoughby, il venerato capo della polizia, onesto e vulnerabile, malato di cancro. Coinvolgendo in seguito nella sua lotta anche il vicesceriffo Dixon, uomo immaturo dal comportamento violento e aggressivo, la donna finisce con l’essere un pericolo per l’intera comunità, mal sopportata, quella che da vittima si trasforma velocemente in minaccia: ogni cosa essendo immersa nella descrizione di una provincia americana che coltiva il razzismo, grumi di violenza e corruzione. Oscar strameritati per la protagonista e per il poliziotto mammone e fuori di testa di Rockwell. Durata 132 minuti. (Ambrosio sala 3, Lux sala 3, Uci)

 

Un amore sopra le righe – Drammatico. Regia di Nicolas Bedos, con Nicolas Bedos e Doria Tillier. Dagli anni Settanta ad oggi, la storia di un uomo e una donna, che s’incontrano, si amano e si lasciano, si ritrovano e tornano ad amarsi e si tradiscono, routine e delusioni e passioni lunghe circa cinquant’anni. Sarah, una giovane studentessa di famiglia ebraica, incontra Victor, un ragazzo che vive tra insicurezze e smanie di scrittore, farà con lui due figli, sempre tra alti e bassi. Durata 120 minuti. (F.lli Marx sala Harpo, Uci)

Maggioranze artificiali

Di Pier Franco Quaglieni

Dopo l’esito elettorale che non consente una maggioranza, c’è chi invoca responsabilità da parte di tutti i partiti al fine di creare una maggioranza in Parlamento comunque . Se una maggioranza e’ necessaria per avviare la legislatura eleggendo i Presidenti delle due Camere, non credo che maggioranze artificiali possano portare ad un buon governo. Grillini, Pd, centro-destra maggioritario sono alternativi e può essere solo possibile il ricorso al trasformismo parlamentare o alle ammucchiate consociative che sono l’esatto opposto della democrazia. La maggioranza governa, la minoranza controlla. Questa e’ la regola della democrazia . Fuori da questo ambito una democrazia seria, ma l’Italia non lo è , sceglie il ritorno alle urne. Diede risultati disastrosi il compromesso tra Pci e Dc degli anni di piombo anche se fu una necessità . In ogni caso era un’altra epoca storica. Pensare ad un governo grillino ,immaginando di essere in Germania e non in Italia, appare un vero e proprio abbaglio. Le grandi coalizioni impongono grandi partiti, non gli agglomerati della protesta demagogica e velleitaria.

 

quaglieni@gmail.com

Rubava i soldi dalle macchinette delle merendine

Ha 43 anni l’uomo  arrestato dai carabinieri dopo avere rubato monetine dalle macchinette delle merendine della scuola Marie Curie di Collegno. E’ stato bloccato mentre stava forzando la porta d’ingresso e stava entrando nell’edificio scolastico. Tempo fa la dirigente scolastica si era rivolta ai carabinieri denunciando  diversi  ammanchi verificatisi a febbraio

UN NUOVO SPAZIO A BAROLO PER COLLISIONI

 L’ALTERNATIVA E’ TRASFERIRSI IN UN’ALTRA REGIONE

Esattamente 10 anni fa, nell’autunno del 2008, nasceva il Festival Collisioni. Un evento unico nel suo genere che nel giro di pochi anni è diventato un punto di riferimento per i festival in Europa, con una crescita esponenziale, che lo ha visto ingrandirsi sempre più, raggiungendo il massimo delle sue potenzialità in termini di accoglienza. Ed è a questo punto che Collisioni si sta interrogando sul proprio futuro, specie a fronte delle problematiche recentemente emerse in materia di sicurezza dopo i fatti di Torino e l’emanazione della Circolare “Morcone” che pone delle restrizioni ai grandi eventi in tutta Italia. Dimezzare i numeri e dire addio per sempre ai grandi artisti internazionali che hanno contribuito a rendere celebri le Langhe e Collisioni nel mondo, o spostarsi in un altro territorio e forse in un’altra regione? Per quest’anno abbiamo scelto di crescere. Non solo. Abbiamo scelto, nell’anno del decennale, di non abbandonare il territorio che è ormai inscindibilmente legato a questo grande happening della letteratura e della musica mondiale, sui cui palchi abbiamo assistito ai live di grandi popstar come Sting, Elton John, Robbie Williams. La soluzione per sopravvivere, in questa edizione, a Barolo, prevede un progetto di allestimento temporaneo di una nuova location per i concerti a due passi dal centro storico. Una grande area ai piedi del paese, proprio di fronte ai prestigiosi vigneti dei Cannubi, che permetterà di ingrandire il Festival, consentendo maggiore fluidità e più sicurezza, senza rinunciare agli incontri e gli eventi del weekend del festival nelle antiche piazze del borgo. Non è una scelta facile, sicuramente molto onerosa. Collisioni si impegnerà in prima persona a sostenere per quest’anno il cambiamento, ma ci vorrà l’aiuto e l’impegno di tutti se vorremo garantire che il festival Agrirock rimanga in regione. Lo sforzo per rimanere, nel 2018, nel paese di Barolo sarà importantissimo e sarebbe oltre i limiti di sostenibilità per la realtà di Collisioni e del comune di Barolo se le altre realtà del territorio non si dimostrassero sensibili a mantenere in vita questo progetto, che tanto ha dato alle Langhe e a tutto il Piemonte.

 

“Credo che Collisioni, anche grazie alla fama internazionale del brand Barolo che rappresenta un richiamo per gli artisti internazionali, si sia dimostrato in questi dieci anni un importante motore economico e di immagine per tutta la Regione e per la provincia di Cuneo, un evento conosciuto in tutto il mondo, che gli artisti internazionali considerano ormai tappa fissa dei loro tour mondiali.” Afferma il direttore artistico Filippo Taricco. “Collisioni è stato un miracolo. Frutto di duro lavoro, di un pizzico di fortuna, e di partner meravigliosi che gli hanno permesso di crescere e di diventare il punto di riferimento che è oggi. Un evento che ci invidiano in tutta Italia. Numerose le regioni che ci hanno contattato in questi anni per fare importanti offerte al fine di ottenerne il trasferimento. Addirittura altri Paesi, come la Spagna e il Sud della Francia ci hanno contattato per studiare questo modello così unico in Europa. Ma adesso siamo ad una svolta. Soltanto se gli attori principali del territorio sosterranno questo momento critico aiutando il comune di Barolo a sviluppare un’area idonea ai grandi eventi potremmo continuare a garantire che per altri dieci anni il festival si terrà in Piemonte, e nei luoghi in cui è nato: le Langhe Unesco e la provincia di Cuneo. Se ciò non avverrà, a malincuore, dovremmo prendere in considerazione le tante offerte di trasferire il festival in altre regioni dell’Italia meno suggestive e adatte al festival, ma di certo interessate al prodotto.”

 

Si può dire, quindi, che il destino del festival Agrirock sia nelle mani del territorio.

“The Art of Rights”, tutti i colori dei diritti

Abbiamo partecipato all’inaugurazione della mostra   “The Art of Rights” dell’artista Sabrina Rocca. L’invito perviene da Maria Irma Ciaramella, avvocato torinese, amante dell’arte moderna e promotrice della serata inaugurale. Già, perché il “vernissage” si svolge nello studio legale dell’avvocato e dei suoi partners al numero 64 di corso Vittorio Emanuele II in Torino. Un luogo insolito, inedito -ad una prima impressione – ma poi entrando nell’elegante studio lo stupore svanisce: l’ampio ingresso, il corridoio lunghissimo che forma una lettera a “elle”,   le stanze ariose intervallate dalle ampie sale riunioni sono la magnifica cornice che accolgono e valorizzano tutte le opere pittoriche di Sabrina Rocca. E così tra una stretta di mano, un saluto e le presentazioni (sono intervenute oltre 400 persone) arriviamo nella “sala rossa” dove incontriamo Sabrina Rocca, il “clou” delle sue opere e il progetto “The Art of Rights” condiviso con Daniela Foresto e Max Judica Cordiglia.   L’introduzione alla novità artistica della pittrice è raccontata tecnologicamente da un video che colpisce l’immaginazione: i protagonisti sono i bambini che semplicemente con entusiasmo e convinzione attraverso i numeri e i colori ti dicono che cosa significano per loro i diritti umani. Sulla parete della sala campeggia una grande didascalia che riassume il progetto. A quel punto potremmo essere in un salone di Thyssen Bornemisza di Madrid.

 

Chiediamo all’artista pittrice di raccontare la storia del progetto

Nel giugno del 2017 sento l’esigenza di rappresentare in un’unica opera il momento storico e sociale che stiamo vivendo, unendo fotografia, video e pittura; e mi decido a voler realizzare un “quadro multimediale” del nostro tempo che porti a riflettere sul concetto dei Diritti Umani. Il riferimento concettuale è la Bandiera della Pace, usata spesso con poca consapevolezza da parte di chi la sbandiera. Partendo dalla Bandiera l’obiettivo artistico è quello di alzare l’attenzione e favorire la conoscenza e la consapevolezza sul tema dei Diritti Umani.

 

Sabrina, non è un’opera tradizionale: almeno il concepimento è diverso, innovativo….

Si voglio che l’opera non sia solo qualcosa da ammirare e possedere; l’opera è il percorso stesso di condivisione e riflessione che nasce dal dibattito, dalle domande e dalla partecipazione attiva dei bambini. Nel luglio 2017 incontro Daniela Foresto (fotografa ritrattista) e Max Judica Cordiglia (regista e documentarista) che sposano l’idea e il progetto può partire. “The Arts of Rights” nasce dall’appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite per l’anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo del 1948, un documento davvero importante che tutti dovrebbero conoscere e che mai come oggi sono prevaricati: lo leggiamo tutti i giorni sui giornali internazionali e nazionali. Così ho deciso di utilizzare il mio lavoro e la mia sensibilità per supportare nel mio piccolo quelli che ritengo i valori fondamentali. Sapendo di poter contare sul supporto di Daniela e Max, ho iniziato a costruire e condividere l’ idea artistica e ad Ottobre una maestra di una scuola elementare ha accolto con entusiasmo il progetto. La Scuola Elementare è la Manzoni Nasi di Moncalieri.

E così inizia il primo passo…

Si… e a novembre comincia così un lavoro di preparazione da parte degli insegnanti con i bambini e contemporaneamente Daniela e Max si attivano per l’organizzazione della produzione video, fotografica ed artistica già prevista in calendario tra gennaio e marzo 2018. L’8 Dicembre scorso il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha ricordato che il 2018 sarà l’anno del 70esimo anniversario dalla Costituzione della Carta dei Diritti Umani. Forse una coincidenza che conferma come l’arte possa essere davvero contemporanea? L’opera sarà costituita da sette quadri pittorici che rappresentano sette tra i diritti fondamentali dell’uomo.

 

Come si concluderà il progetto pilota?

Mi piace ricordare i diritti scelti dai bambini: “All human begins are born free, Equal in dignity and rights, In a spirit of brotherhood, Without distinction of any kind, Everyone has right of life”.

Ogni opera sarà il risultato dell’interpretazione pittorica che riuscirò a dare, su ciò che i bambini avranno dichiarato alle telecamere di Max, riguardo questi temi, e le loro espressioni immortalate dalle fotografie di Daniela.Questo è naturalmente l’inizio di un progetto che ci auguriamo di diffondere in altre scuole e possibilmente ovunque.

 

https://www.youtube.com/watch?v=0tiE9I-26K8

 

Sabrina Rocca, profilo di una artista torinese

Sabrina Rocca, nata a Torino, vive e lavora in Svizzera.

Dopo aver conseguito la laurea in Architettura, ha deciso di seguire le orme di suo padre e dedicarsi all’arte. Attraverso la sua produzione artistica ha voluto unire la sua due grandi passioni: l’arte e l’architettura. Luccicanti e multicolor, le opere di Sabrina Rocca seducono chi le guarda per il loro appeal accattivante e patinato. Paragonarle alle immagini cui ci ha abituato la pubblicità oggi sarebbe però un grosso errore, perché attraverso la riproduzione pittorica l’artista riflette sulla società contemporanea penetrandola in profondità al fine di carpirne le dinamiche interne, dinamiche che ad una visione superficiale e frettolosa rischiano di sfuggire. C’è una citazione di Max Beckmann che la stessa artista predilige e suggerisce la chiave di lettura del suo lavoro: “Se vuoi entrare in possesso dell’invisibile, penetra il più profondamente possibile nel visibile”. Il punto di vista di Sabrina, pur essendo attento e critico, al contempo non ignora il divertimento e la giocosità della vita metropolitana, catturando il fascino dei suoi colori, dei riflessi delle vetrine. La Rocca ha ereditato l’amore per il continente americano dal padre, che era un artista rinomato per le sue vedute di New York dall’alto. Lei è stata in grado di rielaborare questo background attraverso una prospettiva personale, svincolandosi dall’iniziale influenza della famiglia, aprendosi ad opere provocatorie impregnate di concettualità. Finestre, edifici e panorami incantevoli nei loro colori, segni rubati dalla principale strada, ci invitano a riflettere sul nostro modo di vivere, suggerendoci, con apparente leggerezza, una visione ottimistica ed una filosofia positiva della vita. Nella serie Gioie dell’infanzia , però, i suoi occhi guardano gli oggetti e i feticci del tempo perso, quel tempo in cui ognuno di noi era felice per le piccole gioie della vita di tutti i giorni, quando era sufficiente la magia di una pistola ad acqua o di una bolla di sapone per attivare un sorriso entusiasta. Qui ci sono le dolci, deliziosi e frizzante, qui è la Gummy Bear che in un impeto di nostalgia, che tutti noi vogliono di più, alla ricerca di quella sensazione di disperazione, un pianto ‘età della fanciullezza’.

– Biografia di Maria Livia Brunelli-

 

www.sabrinarocca.com

 

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Maria Irma Ciaramella, bellezza, classe e garbo

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Maria Irma Ciaramella è una donna dinamica. Avvocato torinese con studio in Torino in corso Vittorio Emanuele II 64. Civilista: specializzata in diritto commerciale. All’attività professionale affianca numerosi interessi: dalla cultura all’arte contemporanea, alla passione per l’equitazione, agli impegni nelle attività sociali nel mondo associativo.

 

 

Ci spieghi il connubio arte e diritto?

Arte e diritto sono due mondi solo apparentemente distanti. In realtà c’è un filo rosso che li lega, a volte indissolubilmente, come nel caso di Sabrina Rocca. Ogni sua opera identifica un tema, ne è la rappresentazione grafica, veicola un messaggio sociale forte. Il progetto che Sabrina con Daniela Foresto e Max Judica Cordiglia ha voluto presentare in studio “the Art of Rights” ne è la riprova. Il punto di partenza di tutto il processo creativo di “ The art of rights” è condividere con i ragazzi delle scuole di ogni grado una riflessione sui diritti traendo spunto dalla Dichiarazione dei Diritti Umani, la Carta di Parigi sottoscritta 70 anni fa. Gli amici artisti che abbiamo ospitato hanno risposto ad una “call to action” del Segretario delle Nazioni Unite, l’arte diventa uno strumento per contribuire a costruire consapevolezza e conoscenza dei diritti. Sabrina è una formidabile story teller anzi la definirei una story and right teller: con i suoi quadri racconta storie ed evoca i diritti: l’uguaglianza di genere, la libertà, l’esclusione sociale, la povertà, il diritto all’istruzione. Il binomio arte-diritto non è circoscritto all’opera di Sabrina Rocca, da ultimo mi sovviene il Calendario Lavazza 2018 “2030 What are you doing?” che attraverso 17 scatti del celebre fotografo Platoon identifica e valorizza il tema della crescita sostenibile e delle azioni per contrastare i cambiamenti climatici. Ma potrei andare avanti a lungo citando Shepard Fairey meglio noto come Obey, autore del manifesto elettorale di Obama “Hope”, e   il cosidetto artista invisibile Cinese Liu Bolin, noto per le sue performance hiding in the city , in cui tocca temi universali non solo dei diritti umani ma anche del rapporto tra pensiero e potere politico. In un contesto come quello nel quale viviamo siamo sempre più influenzati dai social media che ci invitano alla sintesi; la narrazione avviene sempre più attraverso le immagini che hanno un’efficacia comunicativa assai più diretta ed immediata delle parole: dunque l’immagine, sia essa una foto, un video, un dipinto, e’ in grado di rappresentare con potenza a volte inaspettata concetti complessi ed astratti come quelli giuridici. E’ una bella sfida per chi, come me, vive di parole, quella di tradurle in un’immagine: la più mirabile delle sintesi. Forse è per questo motivo che tra tutti i social media preferisco Instagram che mi porta ad un’esercizio intellettuale sempre gratificante e, poiché mi sembra che l’immagine, spesso scattata semplicemente con il cellulare, abbia come interlocutore il mondo intero mi induce a scrivere “caption”, didascalie in inglese, così l’esercizio è duplice!

 

Avete già ospitato in passato altre mostre nel vostro studio?

L’arte è sempre stata parte della mia vita e quattro anni fa in occasione dell’inaugurazione dello studio, che condivido con mio fratello Gianluca Ciaramella, Roberto Roggero, Luca Macchioni, Federica Ballario Cristiana Sardo e altri collaboratori dopo la ristrutturazione dei locali, abbiamo ospitato una mostra di fotografie da noi selezionate dagli archivi de “La Presse”. Si trattava foto che hanno segnato la storia recente come quella della Strage dei Soldati Italiani a Nassiriya che è negli occhi e nel cuore di tutti: il soldato in mimetica davanti alle macerie con la mano destra alla testa in un gesto che racchiude in sé l’orrore per la guerra. Non dimentichiamo che i nostri soldati erano in Iraq in operazione di peacekeeping, in ossequio di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.  Lo vedi che poi tutto può essere letto con la lente del diritto? Sarà deformazione professionale?

 

 No, anzi è un punto di vista interessante perché ciascuno vede nell’opera d’arte ciò che sa…

Mi piace pensare, come ha fatto il Procuratore di Torino Armando Spataro che non a caso ha sintetizzato il suo pensiero in un’immagine di auguri natalizi, che la giustizia possa essere percepita come nella foto di Norman Rockwell “The problem we all live with”: una bambina di colore, Ruby Bridges, alla quale la Corte Suprema aveva riconosciuto il diritto di frequentare la primary school di New Orleans, che ne aveva rifiutato l’iscrizione a causa del colore della sua pelle, ponendo così fine all’apartheid in Louisiana. La bambina, con atteggiamento fiero, è ritratta mentre è scortata da quattro agenti del Marshals Service, davanti ad un muro sul quale si legge la scritta Nigger: rappresentando l’orgoglio ed il coraggio di chi si affida soltanto alla legge. L’orgoglio e, a volte, il coraggio per noi, avvocati e magistrati con ruoli diversi ma con unità di intenti, di essere strumento per la realizzazione dei diritti. Per concludere anche noi avvocati – dice sorridendo – abbiamo risposto alla “call to action” del Segretario Generale Antonio Guterres: in fondo ospitare in studio mostre di artisti sensibili ai temi sociali come Sabrina Rocca contribuisce all’obiettivo di diffondere la conoscenza dei 17 obiettivi posti dall’ONU per la crescita sostenibile e alla divulgazione dei diritti umani.

 

Franco Maria Botta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Juve non si ferma più, 2-0 all’Atalanta (e +4 sul Napoli)

Tutte le foto su www.fotoegrafico.net

di Claudio Benedetto

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La Juve vola e proprio non molla, 2-0 all’Atalanta nel recupero della partita  rinviata per la neve, gol di Higuain nel primo tempo e di Matuidi nella ripresa, il vantaggio sul Napoli sale a 4 punti. Allegri mette in campo la formazione migliore, col sempre più devastante Douglas Costa ad ispirare i tre tenori Dybala, Mandzukic e Higuain, a centrocampo stavolta Khedira si riposa e allora tocca a Pjanic e Matuidi, comunque in gran spolvero. Dietro spazio a Lichtsteiner e Asamoah sulle fasce con al centro la coppia Chiellini-Benatia. Partita davvero poco spettacolo fino alla mezz’ora, con squadre un po’ svogliate e qualche errore di troppo, poi all’improvviso… azione di Higuain che recupera un pallone vagante, lascia l’impostazione a Douglas Costa che inventa, palla restituita in profondità e gol dell’1-0 con un bel diagonale nell’angolino da parte del Pipita. L’Atalanta, che lascia in panchina Caldara, Spinazzola e Petagna, ci prova con Gomez ma è di Ilicic l’unico tiro, peraltro parecchio sbilenco, verso la porta di Buffon. Sul finire del tempo la Juve si fa ancora pericolosa con Higuain e Dybala, ma all’intervallo rimane l’1-0. L’Atalanta nella ripresa sembra un po’ più intraprendente ma dura molto poco, nessun reale pericolo per un assolutamente inoperoso Gigi Buffon. Al minuto 81′ la Juve, comunque non così arrembante come in altre occasioni ma comunque sempre pericolosa, raddoppia: Dybala inventa, Higuain rifinisce e Matuidi conclude, 2-0 e tutti a casa! Anche perché nel frattempo l’Atalanta era pure rimasta in dieci per l’espulsione del giovane Mancini, autore di due evidenti falli su Higuain e poi su Chiellini che nel giro di un paio di minuti gli costano altrettante ammonizioni. La classifica sorride, sembra una prima piccola fuga, ma le partite sono davvero ancora tante… così Allegri e tutto l’ambiente bianconero cercano di spegnere sul nascere i primi entusiasmi dei tifosi, la strada è ancora lunga e piena di pericoli, la Juve c’è, ne è consapevole e non si ferma!

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Ecco di seguito il tabellino dell’incontro:

JUVENTUS-ATALANTA 2-0  (pt 29’ Higuain; st 36’ Matuidi)

JUVENTUS (4-2-3-1): Buffon; Lichtsteiner (De Sciglio), Benatia, Chiellini, Asamoah; Pjanic, Matuidi; Douglas Costa (Barzagli), Dybala, Mandzukic (Alex Sandro); Higuain.    Allenatore: Massimiliano Allegri

ATALANTA (3-5-2): Berisha; Toloi, Mancini, Palomino; Hateboer (Cornelius), Cristante, De Roon, Haas (Spinazzola), Gosens (Petagna); Ilicic, Gomez. Allenatore: Gian Piero Gasperini

ARBITRO: Mariani

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Tutte le foto su www.fotoegrafico.net

Belleville, dagli ultimi giorni della Comune di Parigi a Édith Piaf

Belleville , storico quartiere nel XX° arrondissement parigino, uno dei più popolari della “Ville Lumière”, s’innalza come Montmartre su uno dei colli più alti della città, sviluppandosi tra case e piccole vie tra il parco delle  Buttes- Chaumont e il grande “cimetière de l’Est”, il Père Lachaise.  E’ lì, sul finire del 1915, che vide la luce – al 72 di Rue Belleville – la donna che incarnò una delle leggende e dei miti del filone realista della canzone francese. Si chiamava Édith Giovanna Gassion. Piccola, minuta come un “passero”  (venivano chiamati così i bambini che vivevano nelle strade del quartiere), passò l’infanzia accompagnando con la sua voce le esibizioni del padre contorsionista per poi diventare la celebre Édith Piaf, l’usignolo di Francia. In rue de Belleville una targa ricorda la casa  dove “nacque il 19 dicembre 1915 nella più grande miseria Edit Piaf, la cui voce, più tardi, sconvolgerà il mondo”. Ma la collina di Belleville è conosciuta anche come quella dei martiri della Comune, delle barricate e delle strade che conservano tracce e memorie di lotte e insurrezioni. Fu lì che si concluse l’ultima resistenza di quello che Karl Marx definì “il primo governo operaio della storia”, con i combattimenti tra le tombe del Père-Lachaise. Nata come forma estrema di reazione allo sfascio del Secondo Impero (la guerra franco-prussiana, dopo la sconfitta francese a Sédan, volgeva a favore di Bismarck) la Comune  s’impose come un moto spontaneo di rivolta, cui fece seguito un concreto tentativo di dare allo slancio iniziale la forma di un governo popolare. Dal 18 marzo al 28 maggio del 1871, in settantadue giorni, la Comune mise in atto un programma d’impronta socialista con misure a beneficio dei lavoratori come l’abolizione del lavoro notturno e l’occupazione degli alloggi sfitti, la separazione tra Stato e Chiesa, la socializzazione delle fabbriche abbandonate dagli imprenditori, il riconoscimento delle coppie di fatto, la creazione di una scuola pubblica, laica e gratuita. Tra gli obiettivi della Comune, c’era anche la riappropriazione della città, che le trasformazioni di Haussmann avevano iniziato a rendere estranea agli strati popolari. Misure radicali che però non entrarono quasi mai in vigore in quei tre mesi scarsi. Cosa sarebbe diventata la “Commune de Pàris”? Avrebbe mantenuto il suo profilo di democrazia partecipata dal basso o si sarebbe trasformata in dittatura? Difficile dirlo perché la storia non si fa con i se e con i ma. E’ certo che vi furono delle frizioni tra le varie componenti del governo rivoluzionario ma l’esperimento finì in tragedia con la violenta repressione da parte dell’esercito regolare, ordinata dall’assemblea nazionale riunita a Versailles.Dal 2 aprile in poi Parigi fu assediata e bombardata dalle truppe governative mandate da Adolphe Thiers , il primo presidente della Terza Repubblica francese. I soldati di Versailles entrarono nella capitale il 21 maggio 1871: iniziava la “semaine sanglante”, la tristemente famosa “settimana di sangue“. Sei giorni dopo, sabato 27 maggio, il Peré Lachaise fu teatro di uno degli ultimi, feroci  scontri , durante i quali precipitarono i sogni e le speranze della Comune di Parigi. Obbedendo agli ordini di Thiers, i reparti dei fucilieri di marina provenienti da Charonne e comandati dal generale Vinoy invasero i viali  del grande cimitero dell’Est dove si erano trincerati poche centinaia di federati decisi a battersi fino alla morte per difendere le proprie idee. Gli uomini della Comune si difesero tra le tombe, dietro ogni albero, al riparo di cripte e monumenti. Finite le munizioni, sotto una pioggia battente, i combattimenti proseguirono all’arma bianca fino a notte inoltrata. Gli scontri più violenti si consumarono tra il 48° e il 49° settore , soprattutto nell’area nord occidentale del cimitero, attorno al Rond-point des travailleurs Municipaux, dove sono sepolti Honoré de Balzac e Gerard de Nerval, Eugène Delacroix e lo storico Félix Féris, barone de Beaujour. Ancora oggi è possibile scorgere tracce dei proiettili su alcune tombe come quella di Charles Nodier, lo scrittore che fu precursore del Romanticismo.Le Monde Illustré, nell’occasione, scrisse: “L’orribile dramma ebbe fine al cimitero, come nell’ultimo atto di Amleto, tra tombe scoperchiate, colonne rovesciate, urne profanate, statue e lastre divelte a formare l’ultima barricata. Lottarono passo dopo passo su un terreno disseminato di corone in onore di personaggi immortali, nella fossa comune, con le ossa fino alla caviglie, fin dentro le tombe di famiglia dove la baionetta trafiggeva i vivi infilzandoli assieme ai morti”. I 147 federati sopravissuti, furono immediatamente condannati a morte da una corte marziale straordinaria insediata sul posto, tra le tombe. Immediatamente fucilati, i loro corpi vennero gettati, assieme a circa ventimila altri passati per le armi e provenienti da tutta Belleville, in grandi fosse comuni scavate ai piedi del muro che porta il loro nome, nel 76° settore del Peré Lachaise . In realtà il muro sul quale campeggia la targa “Aux mort de la Commune 21-28 Mai 1871” fu ricostruito successivamente e con i resti del muro originario venne edificato un monumento,“Il muro delle Rivoluzioni”, a loro dedicato dallo scultore Paul Moreau-Vauthier. L’opera si trova all’esterno della cinta cimiteriale, in Square Samuel de Champlain 18, nell’avenue Gambetta. Con un po’ d’attenzione si potrà leggere una citazione di Victor Hugo: “Ce que nous demandons à l’avenir, ce que nous voulons de lui, c’est la justice ce n’est pas la vengeance“ (Ciò che noi domandiamo all’avvenire, ciò che vogliamo da lui è la giustizia, non la vendetta). Parole quanto mai giuste, perfettamente opposte allo spirito e all’intento di colui che all’epoca ordinò di soffocare nel sangue l’insurrezione popolare, agendo con uno spirito vendicativo senza scrupoli, violento e repressivo. Su Adolphe Thiers,  soprannominato “le serpent à lunettes ” e “le croque-mort  de la  Nation “, il becchino della nazione, il giudizio più duro  fu quello pronunciato dal sindaco di Montmartre, Georges Clemenceau. Giornalista e repubblicano, presidente del consiglio e deputato dell’Assemblée Nazionale, Clemenceau durante i giorni della Comune definì  Thiers  “il prototipo del borghese crudele ed ottuso che sguazza nel sangue senza battere ciglio“.Oltre 43 mila federati furono fatti prigionieri e condannati dai consigli di guerra a morte o ai lavori forzati nei bagni penali (soprattutto in Nuova Caledonia, territorio francese d’Oltremare nel sud del Pacifico). Alla Comune furono imputate circa 800 vittime mentre secondo le cifre ufficiali tra i ranghi dei federati furono uccise più di 30 mila persone. Le truppe di Versailles eseguirono fucilazioni in serie, senza processi. A caldo, il giornale inglese “Evening standard” constatò: “Dubitiamo si possa mai stabilire la cifra esatta della carneficina che continua. Persino per gli autori di queste esecuzioni deve essere impossibile dire quanti cadaveri hanno accumulato”.Resta il fatto, tutt’altro che secondario, di un fatto importante che ha segnato in maniera profonda la storia e la memoria collettiva della Francia. Eugène Pottier, il poeta che nel giugno del 1871, nascosto in una soffitta di Parigi per sfuggire alla repressione che seguì alla sconfitta della Comune, compose il famoso inno “L’Internazionale”, scrisse : “L’hanno uccisa a colpi di fucile. A colpi di mitraglia. E avvolta con la sua bandiera nella terra argillosa. E l’accozzaglia di boia panciuti si credeva più forte. Tutto ciò non impedisce che la Comune non sia morta!

 

Marco Travaglini

Esercito e Università a Torino, laurea in Scienze Strategiche

Si è concluso qualche giorno fa il periodo di orientamento universitario realizzato in collaborazione fra l’Università degli Studi di Torino ed il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito. Un migliaio gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado interessati al percorso formativo di Scienze Strategiche che si sono recati nelle sedi di Alba, presso il Campus Luigi Einaudi di Torino ed infine a Palazzo Arsenale storica sede della Scuola di Applicazione dell’Esercito. A fornire chiarimenti sulle modalità di iscrizione e sull’offerta didattica si sono avvicendati docenti universitari, ufficiali dell’Esercito, studenti civili e militari dei corsi di laurea in Scienze Strategiche. Per l’occasione è stato attivato un apposito percorso orientativo sulla Piattaforma Orient@mente (www.orientamente.unito.it) ed è disponibile un’area test di logica matematica e cultura generale utile per la preparazione dei candidati al test di ammissione. A suscitare interesse e decretare il successo del corso di laurea in Scienze Strategiche concorrono fattori quali l’internazionalizzazione degli studi, le modalità di apprendimento e-learning e l’inserimento di tirocini presso realtà istituzionali e imprenditoriali. La laurea in Scienze Strategiche costituisce un’opportunità unica nel suo genere, appassiona sempre più giovani per il carattere fortemente innovativo e la spiccata multidisciplinarità di un percorso il cui obiettivo è formare professionisti in grado di affrontare situazioni sempre più complesse in un modo globalizzato.

MinD MAD in DESIGN TRA DESIGN E PSICHIATRIA

A Torino, dal 15 al 19 marzo 2018, presso il Camplus Lingotto, avrà luogo la quarta edizione del workshop destinato a studenti universitari e persone seguite dai servizi di salute mentale che, con la straordinaria partecipazione di LAGO, (www.lago.it) esclusivo brand italiano del design d’interni, affronta il tema del progetto dell’abitare per il disagio psichico.

MinD Mad in Design: il progetto

Nell’ambito della residenzialità psichiatrica, comunità alloggio e gruppi appartamento, la casa è il luogo che “cura” e che si “prende cura” delle persone. Le relazioni tra lo spazio e persone e gli oggetti si caricano di significati che vanno oltre le loro caratteristiche funzionali, tecniche e formali, diventano cioè preziosi strumenti di un percorso di riabilitazione e di cura. All’interno del progetto MinD il design, inteso come processo, è un potente strumento di inclusione e trasformazione sociale, dove progettare “per” la fragilità diventa necessariamente progettare “con” la fragilità e dove l’idea del “fare insieme” diventa una strategia riabilitativa. Nato nel 2014, MinD – Mad in Design è un progetto didattico e culturale che affronta, nell’ambito della formazione universitaria e dell’inserimento nel mondo del lavoro, il tema del progetto dei luoghi del disagio mentale. MinD nasce da un’idea degli architetti Giulia Mezzalama e Sandra Poletto, della psicologa Elena Varini, ed è promosso da Camplus – Fondazione CEUR (Centro Europeo Università e Ricerca) con Blu Acqua, società attiva nell’ambito della residenzialità psichiatrica, con il sostegno della Compagnia di San Paolo e la collaborazione di istituzioni universitarie e aziende del settore. Articolato in un workshop e una serie di eventi collaterali, MinD sperimenta metodi di lavoro, approcci e soluzioni per un’idea di abitare socialmente inclusivo (www.madindesign.com).

 

MinD: IL WORKSHOP

Nella prestigiosa sede del Camplus Lingotto di Torino, collegio universitario di merito della Fondazione CEUR, durante quattro giorni di workshop, dal 15 al 19 marzo, circa 50 studenti universitari provenienti da tutta Italia (delle discipline Design, Architettura, Psicologia, Antropologia, Scienze dell’educazione e affini), insieme a 15 utenti seguiti dai servizi di salute mentale, sperimenteranno nuove soluzioni per un abitare inclusivo. Seguendo un approccio multidisciplinare e inclusivo, e partendo dai bisogni della residenzialità psichiatrica, sei team di progettazione, guidati da altrettanti designer professionisti lavoreranno sull’idea di “tavolo” come luogo e non solo come oggetto: luogo di incontro, condivisione, lavoro, luogo di riti quotidiani. I sei progetti saranno presentati nella giornata conclusiva di lunedì 19 marzo alla presenza del comitato scientifico MinD, dei partner e di interlocutori dell’area design e sanità mentale. I designer che collaborano alla terza edizione di MinD sono: Lorenza Branzi (designer e fondatrice del brand Do-knit), Marco Marzini (designer, www.marcomarzinistudio.wordpress.com); Marco Stefanelli (designer, www.marcostefanelli.it); Alberto Ghirardello (product designer, www.albertoghirardello.com); Sebastiano Ercoli (designer, www.ilvespaio.eu); Walter Visentin (artista e designer www.waltervisentin.com).

L’edizione 2018 prevede l’esclusiva partecipazione di LAGO SpA con l’obiettivo di confrontare il metodo della progettazione inclusiva multidisciplinare e partecipata di MinD con la filosofia, l’approccio, le opportunità, le strategie di mercato e i metodi produttivi di una delle più innovative aziende italiane nell’ambito del design d’interni.

 

“Per il quarto anno MinD conferma la volontà di mettere al centro dell’azione di progetto il rapporto tra il benessere della persona e i luoghi dell’abitare. Un’opportunità che ci auguriamo possa aprire a nuovi percorsi formativi e di reinserimento professionale, grazie anche alla preziosa collaborazione con importanti realtà come Lago spa e l’Asl To5 di Torino e al coinvolgimento di una squadra di professionisti davvero eccellenti nel ruolo di project leader” commentano le ideatrici di MinD.

 

Il workshop MinD è realizzato grazie alla collaborazione con Università degli Studi di Torino, Istituto d’Arte Applicata e Design di Torino IAAD, Politecnico di Torino, NABA Nuova Accademia di Belle Arti, Domus Academy, con la collaborazione di Il Bandolo, il patrocinio dell’ASL To5 di Torino e della Camera di Commercio di Torino, e con il contributo della Compagnia di San Paolo.

MinD offre un’esperienza di formazione fortemente inclusiva e interdisciplinare, e l’occasione di impegnarsi in prima linea, mettendo in gioco le proprie competenze e abilità, nel superamento delle barriere del pregiudizio e dell’indifferenza nei confronti delle persone fragili. Partecipare a MinD significa relazionarsi direttamente con una parte della società emarginata, in una dimensione di scambio e ascolto reciproco, per la costruzione di una società più aperta e paritaria.

NUOVE TARIFFE GTT.  E PARTE IL CONCORSO PER CHI BIPPA

La riforma tariffaria del trasporto pubblico a Torino  entrerà in vigore dal prossimo 1° luglio. Il biglietto di carta classico scompare e verrà sostituito da un biglietto elettronico da validare.
Ci sarà un unico biglietto City (urbano + suburbano al costo invariato di 1,70 euro e durata estesa a 100 minuti) e, novità, saranno introdotti un abbonamento giornaliero Daily al costo di 3,00 euro, e un Daily 7, al prezzo di € 17,50, entrambi validi sulla rete urbana e suburbana e con accesso illimitato alla metro. Il tutto sotto il segno del “più viaggi meno spendi”: con il Daily, tre corse giornaliere costeranno ciascuna 1 euro, ma ancora più conveniente è il Multi Daily 7, con un costo pari a 2,50 euro al giorno. Tutti i titoli di viaggio potranno essere caricati sulla tessera BIP. Una svolta è rappresentata dall’abbonamento riservato ai giovani sotto i 26 anni (urbano + suburbano) che sostituisce quello promozionale riservato agli studenti. L’attuale abbonamento studenti doveva essere rivisto, in quanto le agevolazioni introdotte negli anni avevano di fatto penalizzato gli studenti delle scuole superiori rispetto agli universitari. Per gli abbonamenti giovani e senior viene introdotto il sistema Isee, riservato ai residenti a Torino e, nel caso dei giovani, esteso a coloro che hanno un regolare contratto di affitto. Per i giovani la tariffa è di 258 euro e sarà applicata a coloro che hanno un reddito isee superiore a 50.000 euro o non presentano la documentazione. Diversamente, se domiciliato o residente a Torino, chi ha meno di 26 anni potrà usufruire di riduzioni così definite: fascia A; minore di 12.000 euro isee (158 euro), fascia B da 12.001 a 20.000 euro isee (178 euro), fascia C da 20.001 a 50.000 euro (208 euro). Per i giovani, non studenti, di Torino si passa dall’abbonamento ordinario da 310 euro alle tariffe agevolate. Per i giovani, non studenti, residenti fuori Torino, il risparmio è molto maggiore: quasi il 50% in meno rispetto all’abbonamento Formula 3 da 508 euro. Per quanto riguarda gli “abbonamenti over 65” le nuove tariffe sono di 118 euro (fascia A), 155 euro (fascia B), 188 euro (fascia C).

www.comune.torino.it

(foto: il Torinese)