redazione il torinese

“Viktor und Viktoria”, il disordine dei sessi

Felice di essersi ripreso con S.O.B. – son of bitch la propria sfacciata rivincita sui produttori e sugli studios che per una decina d’anni l’avevano osteggiato, nel 1982 Blake Edwards firmò il film che molti considerano il suo capolavoro e il manifesto per eccellenza dell’eleganza e della bravura della consorte Julie Andrews, quel Victor Victoria che definì quanto i Cahiers du Cinéma avevano chiamato in precedenza Edwards touch. Un’ambientazione perfetta, gag infilate una dopo l’altra con una incredibile disinvoltura, un carico di intelligenza e raffinatezza, una sarabanda di travestimenti, canzoni e musiche, una artista in cerca di scrittura capace di convincere tutti di essere un uomo che finge di essere una donna, premi e incassi. La storia non era nuova. Già l’aveva portata sullo schermo il tedesco Reinhold Schünzel, esattamente cinquant’anni prima, ambientando la vicenda nei giorni della Repubblica di Weimar, tra barricate e disordini, con la grave crisi economica che attanagliava il paese, con l’estrema sinistra degli spartachisti e l’assassinio di Rosa Luxemburg, con il nazionalsocialismo che correva verso il potere. Liberamente ispirandosi a quella sceneggiatura – la fame e la solitudine di un’attrice che arriva dalla provincia, l’amicizia con l’immigrato Vito Esposito, la reinventata Viktoria che si finge Viktor, gli spettacoli en travesti e il successo insperato quanto grandioso, la vita notturna e il mondo nuovo che s’è aperto davanti, una baronessa/impresario dai più che dubbi costumi, una bionda ballerina di fila dal cuore grande, un attrezzista pieno di pratica filosofia che pare uscito dalle immagini di Cabaret, un giovane conte innamorato che vuole spalancare la porta dell’amore -, l’autrice Giovanna Gra e il regista Emanuele Gamba propongono, all’insegna della simpatia di Veronica Pivetti, con Viktor und Viktoria uno spettacolo che intenerisce e diverte il pubblico ma che non convince appieno. Ne risulta uno svagato susseguirsi di scenette che hanno vita propria ma che con difficoltà riescono a dar vita ad un affresco unico e compatto, che vogliono farci spiare dal buco della serratura il mondo dello spettacolo con tutti i dolori e le gioie ma che a fatica ce lo sanno rendere con qualche benedetta zampata, che strizzano l’occhio ad un linguaggio (del tutto fuori luogo) e ad una realtà di oggi ma dimenticano di calarsi con convinzione in quella che fu la società del tempo. È come se non si volesse approfondire, sempre che si voglia dare alla Storia il posto che le spetta, se si volesse incentrare ogni sviluppo drammaturgico nell’attenzione al disordine sessuale di chi abita la scena, con un buon spazio ai doppi sensi che inevitabilmente accaparrano risate. Per cui lo spettacolo soffre di una certa “povertà” di scrittura soprattutto e di messa in scena, mentre le ingombranti scenografie inventate da Alessandro Chiti (due alte quinte girevoli, che altrettanti volenterosi attrezzisti, accomunati negli applausi finali, pensano a manovrare per l’intera serata) sembrano rallentare il tutto. Dentro i costumi davvero belli, questi senza alcuna riserva, di Valter Azzini, la prof amata da mezza Italia – l’altra stravede – è servita malamente dal testo (assai meglio dalle canzoni brechtiane arrangiate da Maurizio Abeni) e non riesce, pur nella ricerca continua dell’effetto più che azzeccato, nella battuta veloce, nello sfruttamento appropriato di quella sua faccia da monella e incasinata cronica che tutti le conosciamo, a convincere appieno. Con lei Giorgio Lupano che ha quasi paura di farsi avanti con le emozioni e i sentimenti del suo conte, Yari Gugliucci che semina un po’ di napoletaneità in terra tedesca, Pia Engleberth, Nicola Sorrenti e l’amabilissima Roberta Cartocci, che comunque, a dispetto delle spiegazzature di cui sopra, la sala stracolma del Gioiello ha alla prima ampiamente applaudito. Si replica sino a domenica 18.

 

Elio Rabbione

“Midnight Meeting“ a MondoJuve

Nella notte tra venerdì 16 e sabato 17 marzo Mondojuve – lo Shopping Center situato tra i Comuni di Vinovo e Nichelino che ha dato il via allo sviluppo del maggiore Parco Commerciale del Piemonte – ospita il secondo raduno automobilistico “Midnight Meeting“ organizzato da Hardcore Drivers e punto di riferimento per tutti i cosiddetti petrolheads, gli appassionati e curiosi del mondo tuning.

L’evento, che si contraddistingue per essere riservato alle vetture con utilizzo pistaiolo dando così l’opportunità ai fan e agli appassionati di osservare da vicino vere e proprie leggende dei rally come la Lancia Delta Integrale o l’Alpine R5 Maxi Turbo oltre a supercar di ogni genere, ha luogo nel parcheggio antistante il Centro Commerciale Mondojuve, scelto dagli organizzatori per la grandezza, il facile accesso allo svincolo autostradale e per l’ottima illuminazione led dello spazio.

 

La prima edizione della kermesse, emozionante e memorabile, ha visto la partecipazione di ben 6.000 persone. Il Midnight Meeting riceve il sostegno e la collaborazione della direzione di Mondojuve Shopping Center e di tutte le attività commerciali e di ristorazione. In questa seconda edizione è previsto anche un live motion in diretta sulla pagina Facebook “Mondojuve Shopping Center”.

La sinistra e il mondo capovolto

STORIE DI CITTA’ di Patrizio Tosetto
Mi sa che un’ altra botta come una nuova sconfitta elettorale il Pd non la regge. Almeno il Pd torinese e piemontese.  Ed in queste rovinose cadute si tira dietro la sinistra, quella che dice: noi essendo più a sinistra di tutti siamo la sinistra. Era vero ed é fondato che esiste un elettorato progressista stanco di essere preso in giro dai dem. Ma ha votato i cinque stelle e non solo per le loro promesse elettorali e non soltanto per protestare, però non si é sentito tutelato e rappresentato né dal Pd né da Leu e neppure da Potere al Popolo. Aperta una enorme crisi di rappresentanza sociale all’ incontrario, con i poveri che guardano alla destra e i benestanti che guardano a sinistra o, se volete, al centrosinistra. I dati elettorali sono lapalissiani e nella loro evidenza fanno ulteriormente ammutolire il Pd e quelli che obtorto collo hanno a che fare con il Pd. Così nel borghese centro e collina il professore Andrea Giorgis vince e nella ex barriera rossa, Barriera di Milano, trionfa il forzista Roberto Rosso. E il Pd è il primo partito solo dove borghesia e ceto medio rimasto la fanno ancora da padrone. Un mondo capovolto. Ci vorrebbe un colpo di reni per invertire la rotta. Non ci sono segnali di fumo. Surrettiziamente è iniziata la notte dei lunghi coltelli con la parvenza di una volontà comune,  ma si ha l’impressione che si pensi di più ai destini personali e non ad una discussione sulla linea politica. Un “qualcosa” di comune tipico di chi vuole vivere in una comunità chiamata partito. Spicca il segretario regionale Beppe Gariglio imperturbabile alle richieste da più parti di dimettersi. Gli rimbalzano così come le critiche gli scivolano addosso senza provocare nessun attrito.  Ora è parlamentare e Consigliere regionale, Capogruppo e segretario Pd. Un novello Kim Jong Un. Eppure arriva dalla esperienza democristiana.  Impara presto anche perché non ha abbandonato le ambizioni di essere candidato a Governatore al posto di Chiampa. Eppure la sua conduzione da segretario é stata disastrosa..Nessuna citta capoluogo è governata dal centrosinistra. Lui é rimasto saldamente in sella per un biglietto per la Camera dei deputati, marcando stretto Renzi con il risultato d’aver piazzato i suoi. Hanno rottamato i vecchi Pd costringendoli all’esilio come Piero Fassino. E l’ hanno chiamato deserto. Proprio difficile il confronto. Ma molti si vogliono iscrivere nuovamente al partito ricordando Clark Gable in Via con Vento, un debole per le cause perse. Tutto è perduto? Scuserete la banalità ma fin che c’è speranza c’é vita. Però la botta per loro è stata dura. Nel giro di quattro anni passare dal 40 al 18 % non é da tutti. Segnali positivi ci sono: Luciano Salizzoli si candida nelle liste del Pd nella sua natia Ivrea. Comunista da sempre. Famoso per la sua bravura di chirurgo ha rinunciato a molti soldi per essere fedele ai propri principi. A Settimo Pd ed Mdp vorrebbero fare insieme la festa dell Unità. Prove di riunificazione? Presto per dirlo. Anche se sarebbe un percorso logico, ma culturalmente la sinistra ha bisticciato con la logica. E poi tanti ma tanti odi personali. Sì, Proprio odi che rendono difficile la ricomposizione, impossibile anche all’interno dello stesso partito. Molti affermano: basta con la gestione famigliare. In questo partito esistiti solo se appartieni. Non ci sono idee comuni. Io mi limito nell’ osservare: partito? Da un po’ di tempo, più che partito é un ologramma. Forse è figlio dei tempi. Forse è figlio di un totale disinteresse verso la forma partito, non esiste più l’orgoglio di appartenenza. Ora ci sono tre  poli. Destra grillini e forse sinistra. Questa è la scommessa di un possibile nuovo Pd e di tutta la sinistra sbrindellata. Un sistema uninominale a doppio turno aiuterebbe. Come un animale anfibio che deve scegliere se vivere solo in acqua o solo sulla terra il Pd dovrà scegliere prima che cosa vuole essere e poi vedere se sarà possibile.

Come intervenire con la chirurgia plastica dopo una gravidanza

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La gravidanza è per la donna una parentesi meravigliosa e se anche il fisico subirà una mutazione nulla ovviamente importa perché il protagonista primario è il nascituro, tramite indispensabile che dona alla futura mamma un’amabile sensazione di appartenenza e di miglioria alla propria vita. Ci si dimentica di essere donne e si vive solo ed esclusivamente con l’abito da mamma, ampio e delicato, che non evidenzia certo le nostre forme, ma l’essenza ed il ruolo di quel momento così unico. Il fisico comincia a cambiare e accusa stanchezza fisica e mentale in quei lunghi nove mesi in cui nascono anche preoccupazioni tra cui, agli sgoccioli della nascita del proprio figlio, l’ansia per ciò che si dovrà sostenere anche dopo aver partorito. Cominciano allora ad accumularsi libri e riviste informative con nozioni sull’estetica per capire come ritrovare la propria fisicità dopo un parto, i corsi di ginnastica vanno in pole position sulla lista delle priorità e gli alimenti più sani e ipocalorici compaiono sulla lista della spesa del giorno In molti casi però purtroppo la ginnastica, le creme e le diete restrittive non bastano per ritornare alla forma desiderata ed è necessario intervenire sulle imperfezioni di una pelle poco compatta, su un seno rilassato o sulle smagliature, con qualcosa in più. E’ sempre più diffuso il fenomeno del Mommy Makeover riferito a tutte quelle donne che, appena dopo il parto, si sottopongono ad interventi di chirurgia estetica per migliorare le parti del loro corpo in qualche modo compromesse dalla gravidanza. Da una recente indagine dell’American Society of Plastic Surgeon – spiega il Dott. Luca Spaziante, Specialista in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica – emerge che il 60% delle neo mamme americane si sottopone almeno ad un intervento chirurgico dopo il parto. Nel 2007 erano circa 365mila le donne tra i 20 e i 29 anni che avevano deciso di ricorrere alla chirurgia, e non si tratta solo di attrici o di protagoniste del mondo dello spettacolo. Gli interventi più richiesti – aggiunge il Dott. Spaziante – sono la mastoplastica additiva, che prevede l’inserimento di una protesi riempitiva all’interno delle mammelle, la mastopessi che consiste nel sollevamento del seno, l’addominoplastica, la liposcultura, ecc. L’intervento di mastoplastica additiva viene eseguito dopo aver visionato tutti gli esami clinici richiesti durante una visita preoperatoria dove si discuterà anche il tipo di protesi da inserire. Per ottenere dei risultati sempre naturali, le protesi vengono poste frequentemente sotto il muscolo per evitare la mancata naturalezza che spesso si può notare sotto forma di due protesi semi-sferiche a livello del torace. Le protesi anatomiche sono la scelta più idonea per quelle pazienti prive di adeguato tessuto, per cui è necessario intervenire sia sul volume che sulla forma della mammella.

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Le protesi rotonde vengono invece utilizzate quando il seno necessita di un semplice aumento volumetrico, senza che se ne debba modificare la forma. Quando lo spessore del sottocute non penalizza il risultato finale, le protesi possono essere collocate in sede sottoghiandolare. La mastoplastica additiva si effettua in anestesia totale ed ha una durata di circa un’ora. La cute viene chiusa con punti sottocutanei riassorbibili e/o colla cutanea, la paziente può riprendere le sue attività dopo 3-4 giorni senza sforzi mentre per l’attività fisica si dovrà attendere circa 1 mese. Non vengono applicate fastidiose fasciature dopo l’intervento, ma solo un reggiseno contenitivo. L’intervento di mastopessi invece consiste nel rimodellamento della ghiandola mammaria asportando la cute in eccedenza e ricreando una conicità ed una elasticità cutanea che erano andate perdute. Per il lifting della ghiandola viene utilizzata la tecnica dell’autoprotesi, ossia la ghiandola mammaria stessa viene rimodellata come se funzionasse da protesi per dare la giusta proiezione ed il corretto risollevamento della mammella. Le incisioni chirurgiche, un tempo molto estese, grazie agli sviluppi avvenuti anche nell’ambito della chirurgia mammaria riduttiva, sono oggi molto più ridotte e limitate esclusivamente a livello periareolare più un’eventuale incisione verticale. Il dolore è contenuto, controllato da analgesici per bocca e la paziente indosserà un reggiseno contenitivo che dovrà portare continuativamente per 1 mese dopo l’intervento. Dopo un parto cesareo che prevede un’incisione e il taglio della fascia muscolare, si può presentare un problema estetico all’addome, dalla cicatrice antiestetica alla cosiddetta “pancia a grembiule” che si forma soprattutto in conseguenza di uno stato di sovrappeso della paziente (striscia di pelle sovrastante la cicatrice che va come ad appoggiarsi formando uno scalino). In questo caso la chirurgia estetica può essere d’aiuto con una mini-addominoplastica. La mini-addominoplastica si esegue in day-hospital con anestesia locale e sedazione e prevede la rimozione di una striscia di pelle con il grasso eccedente, subito sopra la cicatrice del taglio cesareo. Con questo intervento si ottiene un addome nuovamente piatto e tonico e l’eliminazione di eventuali smagliature. L’addominiplastica si effettua quando invece è un po’ tutta la zona del ventre ad essere compromessa. Si esegue in anestesia generale, cioè a paziente completamente addormentata ed ha una durata di circa 3 ore. Generalmente sono necessarie due incisioni: una nella porzione bassa dell’addome, appena sopra la linea dei peli del pube che si prolunga lateralmente; la seconda è di forma circolare intorno all’ombelico e verrà effettuata solo se sarà necessario riposizionarlo più in alto per conferire un aspetto naturale. Dopo l’intervento è consigliabile riposare quanto più è possibile a letto per la prima settimana ed aumentare l’attività gradualmente dalla settimana successiva.

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Spesso in seguito ad una gravidanza – precisa il Dott. Spaziante – al semplice rilassamento dell’addome può associarsi la diastasi addominale, un problema molto sentito dalle donne nel post-parto. Nonostante non se ne parli moltissimo, si tratta di un disturbo assai diffuso: il 30% delle neo-mamme ne soffre, spesso in maniera inconsapevole. La diastasi addominale, infatti, è normalissima durante la gravidanza, ma si risolve in maniera spontanea nel post-parto, dopo circa 4-5 mesi dalla nascita del bebè. Alcune donne, però, continuano ad avere la pancia gonfia e il muscolo addominale sporgente anche nei mesi successivi. Se in alcuni casi finisce col trattarsi solo di un problema di tipo estetico, in altri può portare complicazioni e diventare una vera e propria patologia. La diastasi addominale consiste nella scissione in linea longitudinale delle due parti che costituiscono il muscolo principale della parete addominale, il cosiddetto “retto dell’addome”. Le due parti si allontanano l’una dall’altra in maniera eccessiva per via della pressione esercitata dall’utero in crescita durante la gravidanza: sulla linea che li separa (la “linea alba”) viene a crearsi un vero e proprio buco. In realtà, le cause che provocano la diastasi addominale non sono ancora del tutto chiare: pare ci siano ulteriori fattori a determinarla, oltre alla crescita dell’utero, quali la predisposizione ereditaria, l’età elevata della donna o un feto molto pesante (o gemellare). Parrebbe inoltre che un eccessivo esercizio fisico nell’ultimo trimestre di gravidanza possa portare ulteriori controindicazioni. Se dopo 4-5 mesi il buco non sparisce, la diastasi del retto diventa un problema estetico evidente, che rischia addirittura di peggiorare e portare altri disturbi quali dolori addominali e alla schiena, lombalgie, incontinenza, nausea e perfino difficoltà di respirazione e digestione. A volte la diastasi può portare anche alla formazione di ernie epigastriche o addominali. Nei casi più gravi, quando cioè le due fasce muscolari arrivano a distanziarsi di oltre 6 centimetri, sarà necessario ricorrere ad un intervento chirurgico di correzione.

Oltre agli interventi chirurgici sopra citati – conclude il Dott. Spaziante – anche la medicina estetica ha ottimizzato moltissimi trattamenti (biorivitalizzazione, filler, peeling, laser, mesoterapia, ecc.) per far fronte ai principali inestetismi cutanei post-partum:

  • la cellulite favorita dalla ritenzione idrica tipica della gravidanza;
  • le teleangectasie degli arti inferiori, dilatazioni di piccoli vasi ematici venule, arteriole, ben visibili oltre la pelle;
  • le smagliature, causate dall’aumento e dalla perdita di peso;
  • il volto invece può essere interessato dal cosiddetto melasma, detto anche cloasma. Questo inestetismo è caratterizzato da un imbrunimento a chiazze della cute, causato da un accumulo eccessivo di melanina, causato dagli sbalzi ormonali.

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TORINO –  ALBA –  ASTI

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Informazione commerciale

La Pasqua è buona con Bottega Paideia

In via Villa della Regina 9/D a Torino ha aperto la Bottega Paideia, un nuovo spazio di Fondazione Paideia aperto a tutti con tante sorprese e idee regalo per Pasqua. Ogni donazione contribuirà a sostenere il progetto “Estate Paideia”, che dal 2001 ha offerto la normalità di una vacanza serena a oltre 600 famiglie con bambini con disabilità. All’interno della Bottega Paideia si potranno trovare una selezione di splendide ceramiche, raffinati accessori e originali complementi d’arredo per la casa, delicati profumi e prodotti bio per il corpo, morbidi peluche e prodotti alimentari gourmet come creme dolci, miele e ovetti di cioccolato. Fino a sabato 14 aprile compreso, la Bottega Paideia sarà aperta il lunedì dalle ore 15:30 alle 19 e dal martedì al sabato dalle ore 10:30 alle ore 19. È prevista l’apertura straordinaria domenica 18 marzo dalle ore 10:30-19 e la chiusura nei giorni di sabato 31 marzo e lunedì 2 aprile per le festività pasquali. Per informazioni: 011-5520236 info@fondazionepaideia.it

Olimpiadi, due è meglio che uno. Il Coni pensa a Milano e Torino in tandem per il 2026

Salt Lake City, la città americana che ospitò i Giochi nel 2002 ripresenta la propria candidatura per il 2030. Un aspetto che rilancerebbe la proposta italiana per le Olimpiadi 2026 a Milano in abbinamento con le  valli e le montagne torinesi. Dunque Giochi in tandem con il capoluogo lombardo quale città candidata, ma con il territorio torinese di sostegno. Il Coni  dovrebbe propendere su questa scelta . A Torino, in molti ambienti politici ed economici anche questa ipotesi di doppia candidatura non dispiacerebbe. La preoccupazione per il “partito” pro Giochi invernali è sempre legata alla contrarietà di parte del Movimento 5 Stelle. I consiglieri pentastellati critici sull’ipotesi di Torino 2026, sarebbero pronti a votare contro le mozioni proposte da Pd e Lega   lunedì a Palazzo Civico. E anche l’ultima riunione degli tutti gli eletti del M5s a Venaria ha visto molte posizioni contrarie alla candidatura olimpica.

Così da trovare la forza di vedere

Racconta e denuncia, Fatma Bucak. E le due azioni vivono nelle sue opere in perfetta simbiosi. Con il poetico recupero di memorie che paiono illuderci sulla possibilità (forse non del tutto perduta) di spazi ancora possibili per la redenzione umana e, di contro, la rabbiosa violenza e resistenza, ai limiti di incontenibili pazzie, contro i soprusi e le spietate repressioni di cui si nutrono nella realtà alcune voragini del genere umano

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L’ARTE COME DENUNCIA SOCIALE E POLITICA NELLE OPERE ESPOSTE ALLA TORINESE FONDAZIONE MERZ. FINO AL 20 MAGGIO

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Racconta e denuncia, Fatma Bucak. E le due azioni vivono nelle sue opere in perfetta simbiosi. Con il poetico recupero di memorie che paiono illuderci sulla possibilità (forse non del tutto perduta) di spazi ancora possibili per la redenzione umana e, di contro, la rabbiosa violenza e resistenza, ai limiti di incontenibili pazzie, contro i soprusi e le spietate repressioni di cui si nutrono nella realtà alcune voragini del genere umano. Voragini, mondi neppur troppo lontani. Ma spesso invisibili. Perché spesso non si vogliono o non si possono vedere. E conoscere e capire. Di qui il titolo esortativo affidato in lingua inglese alla mostra, organizzata dalla Fondazione Merz in collaborazione con la Fondazione Sardi per l’Arte: “So as to find the strenght to see” ovvero “Così da trovare la forza di vedere”. Progetto espositivo inedito e curato da Lisa Parola con Maria Centonze, si tratta della prima grande rassegna in uno spazio museale italiano dell’artista turca (formatasi fra Istanbul, Torino con studi all’Accademia Albertina e Londra) Fatma Bucak, che nelle sale della Fondazione di via Limone, a Torino, espone lavori fotografici, sonori, opere grafiche, video performativi e scultorei, alcuni realizzati appositamente per l’occasione. Suggestivo in proposito il lavoro site-specific che apre proprio il percorso espositivo. Il titolo è ” Enduring nature of thoughts”. Di fronte ci troviamo decine di catini smaltati posti a terra con logico rigore; tutt’intorno, il suono costante e amplificato di gocce che cadono e “sembrano alludere ad una serie di perdite invisibili”. Oggetti e suoni ossessivi nel loro costante e ansiogeno ripetersi. Che straniano dalla realtà. Presenze che includono e alludono, a un tempo, a dolorosi stati d’assenza. E l’iter prosegue con immagini e performance che diventano “voce di cronache dimenticate, narrazioni di pensieri inespressi, riesame delle ‘individualità’ escluse dalla Storia, di minoranze politiche o etniche, di strutture socio-culturali in opposizione al Potere”.

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Sono i temi con cui si raffronta costantemente l’opera della Bucak, nata nel sud della Turchia – vicino al confine con la Siria – di appartenenza alla minoranza curda e dunque portatrice di una gravosa storia personale che profondamente incide sulla sua formazione poetica. In “Omne vivum ex ovo”, una donna in tunica bianca e a piedi nudi su macerie indefinite e indefinibili, infila uova nei buchi di mattoni distrutti: il tempo è immobile, tutto è fermo e silente nella tragicità di una guerra che si nutre di fragilità e pazzia, di cose di sogni di attese che svaniscono nel tempo di un nanosecondo. Ma possono rivivere in una sorta di big bang, quale sembra voler raccontare il video “Four ages of womann: Fall”, girato su una collinetta di terra rossa dove a tratti compare e scompare una donna nuda (la stessa di prima?) intenta a scagliare pietre in totale solitudine contro un nemico invisibile, come se decidesse di riemergere dall’azzeramento del paesaggio, per reinventarsi e riscrivere al femminile la propria storia. E dalle guerre la riflessione su confini e migrazioni. In “Damascus Rose”, un centinaio di piante di rose di Damasco– fra le varietà più antiche, oggi a rischio di estinzione per la fuga dei coltivatori a causa della guerra civile- trasportate dalla Siria a Torino, vengono innestate e coltivate in un letto di terra, con la speranza che mettano radici e crescano. La stessa di milioni di rifugiati siriani e un rimando, che addolora, al bisogno di appartenenza e origine. Ma ancor più straziante è il racconto di annullamento della memoria e delle storie individuali contenuto in “342 names”, litografie dedicate alle vittime di sparizione forzata in Turchia a seguito del colpo di stato militare del 1980, i cui nomi vengono sovrapposti l’uno sull’altro, fino a diventare macchie illeggibili. Pasticci grafici. Nomi innominabili, storie senza storia, vite senza vita. Pozzo di incredibile dolore anche le 117 lastre di zinco (“Fantasies of violence”) visibili fronte e retro sulle quali sono incisi segni astratti che riportano immagini di violenza frutto di un’attenta ricerca compiuta dall’artista su giornali internazionali di Turchia, Europa e America. Immagini interrotte dall’astrazione dei segni. Cristallizzate nell’essenzialità di forme che ancor più evidenziano (sul retro compare la narrazione letteraria dell’evento) la macabra rappresentazione dell’atto violento. Di brutture umane che dobbiamo trovare la forza di guardare e di vedere. La stessa che guida Fatma Bucak nella sua ricerca estetica. Nell’urlo (presunto) lanciato al cielo da quella nuda figura femminile che scaglia pietre a vuoto, in quel solitario paesaggio di terra rossa che potrebbe essere il primo seme di un nuovo mondo.

Gianni Milani

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“Fatma Bucak. So a sto find the strenght to see”

Fondazione Merz, via Limone 24, Torino; tel. 011/19719437 – www.fondazionemerz.org

Fino al 20 maggio / Orari: dal mart. alla dom. 11 – 19

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Nelle foto:

– “Omne vivum ex ovo”
– “Four ages of womann: Fall”

 

Waterpolo Day, la festa della pallanuoto torinese

Un’intera giornata dedicata alla pallanuoto. Accadrà sabato prossimo – 17 marzo – alla piscina Monumentale e vedrà coinvolte quasi tutte le società piemontesi con le loro squadre iscritte ai campionati di serie A, B e C e alla Coppa Piemonte. Non a caso si chiamerà Waterpolo Day.
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Il programma
Nel tempio torinese della pallanuoto le attività inizieranno alle 13 con un torneo dedicato agli under 11. Vi parteciperanno quattro squadre di Aquatica Torino, Dinamica Torino, River Borgaro e Torino 81, che si affronteranno in due “semifinali” e due finali per stabilire le posizioni dalla prima alla quarta. Alle 16 si tufferanno in acqua i campioni della serie A1, con la 18esima giornata – quinta del girone di ritorno di regular season – tra Reale Mutua Torino 81 Iren e Nuoto Catania. Alle 18 spazio alla serie B con il match tra Dinamica e Centro Nuoto Sestri, nona e ultima giornata del girone di andata del gruppo 1. A seguire, con fischio d’inizio alle 20, il derby torinese di serie C tra Sa-Fa 2000 (padrona di casa) e Aquatica, settima giornata di campionato (girone 3). A chiudere la lunga giornata di pallanuoto la sfida di Coppa Piemonte tra Dinamica e Waterpolo Novara, a partire dalle 21.30. Il Waterpolo Day è organizzato dal Comitato Regionale FIN Piemonte e Valle d’Aosta e dalle società torinesi coinvolte, con l’obiettivo di affermare la vitalità e l’unità del movimento pallanuotistico torinese e piemontese e di offrire alle squadre e agli appassionati una bella occasione di incontro. Sarà un vero e proprio evento, con esibizioni di tuffi e di nuoto sincronizzato negli intervalli delle partite e tra una partita e l’altra. Ai giovani atleti delle squadre under 11 e ai loro allenatori, ai giocatori delle squadre torinesi di serie A, B e C sarà inoltre consegnata una maglietta ufficiale della manifestazione, da indossare durante la sfilata a bordo vasca prima di tuffarsi. L’ingresso sarà libero e gratuito per tutta la durata dell’evento.

Italiaonline: 400 lavoratori, molti i torinesi, protestano in piazza davanti alla Borsa di Milano

Erano in 400 i  lavoratori di Italiaonline davanti a Piazza Affari,  sede della Borsa italiana. Il motivo della “location” il fatto che un  anno e mezzo fa, proprio lì, l’azienda aveva festeggiato l’approdo  in Borsa dopo la fusione con il gruppo Seat Pagine Gialle. Otto ore di sciopero e ora i lavoratori, molti torinesi, attendono le comunicazioni che Italiaonline farà a seguito del cda convocato a Milano per l’approvazione dei conti e il piano di riorganizzazione. Sono annunciati 400 esuberi e la chiusura della sede torinese. La protesta è in corso da giorni in tutte le sedi. Dicono i sindacati: “gli azionisti si sono spartiti un maxidividendo da 80 milioni di euro”.

 

(foto: il Torinese)

Villa Costantino Nigra

Le storie spesso iniziano là dove la Storia finisce

Castelli diroccati, ville dimenticate, piccole valli nascoste dall’ombra delle montagne, dove lo scrosciare delle acque si trasforma in un estenuante lamento confuso, sono ambientazioni perfette per fiabe e racconti fantastici, antri misteriosi in cui dame, cavalieri, fantasmi e strane creature possono vivere indisturbati, al confine tra la tradizione popolare e la voglia di fantasia. Questi luoghi a metà tra il reale e l’immaginario si trovano attorno a noi, appena oltre la frenesia delle nostre vite abitudinarie. Questa piccola raccolta di articoli vuole essere un pretesto per raccontare delle storie, un po’ di fantasia e un po’ reali, senza che venga chiarito il confine tra le due dimensioni; luoghi esistenti, fatti di mattoni, di sassi e di cemento, che, nel tentativo di resistere all’oblio, trasformano la propria fine in una storia che non si può sgretolare. (ac)

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1 / Villa Costantino Nigra

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È una di quelle giornate acquose. C’è una pioggia sottile che impregna il paesaggio ed i vestiti, la luce che illumina le cose pare scivolarci sopra, dando uno strano e dolce effetto ottico. È lo sfondo perfetto per la storia di oggi, che si incentra sul fantasma di una nobildonna, Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione. Si dice che, talvolta, ella appaia mentre danza senza veli alla luce della luna, in un terrazzo di una villa ormai dimenticata, costruita sulle fondamenta di un antico castello. Parto in compagnia della mia amica Martina, chiacchieriamo disturbando la radio e la voce dispotica del navigatore, ci lasciamo Torino alle spalle, dirette verso il verde della provincia, fino a raggiungere la frazione di Villa Castel Nuovo, un piccolo comune di circa 414 abitanti, che al suo interno custodisce quello che un tempo era un gioiello di lusso ricercato, la villa della famiglia Nigra. La villa fu costruita probabilmente tra gli anni 50 e 90 dell’800, non è possibile essere più precisi a causa di un incendio, scoppiato agli inizi del ‘900, che distrusse tutti i progetti contenuti all’interno dell’archivio comunale. Per lo stesso motivo anche l’identità dell’architetto rimane una questione aperta, anche se è del tutto probabile che il progetto sia stato affidato a una personalità di rilievo nell’ambito del torinese.

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Gli unici abitanti in cui ci imbattiamo sono un paio di gatti chiacchieroni che ci accompagnano per un breve tratto di salita, ma, non appena l’inclinazione del nostro sentiero aumenta, ci abbandonano, proprio davanti ad una piccola chiesetta adiacente ad un muro massiccio. Alzando lo sguardo faccio qualche passo indietro, estraggo la mia reflex e scatto la prima fotografia: guardandola per controllare le impostazioni, penso che sia il luogo perfetto per una storia di fantasmi. Davanti a me si ergono mura imponenti, la particolare luce del giorno le rende di un colore tra il grigio di un gatto certosino e il lilla del glicine, il muschio del tempo si espande su tutta la superficie e fa da amalgama tra i muri esterni e il cancello d’entrata, interamente in ferro, reso di un cupo color ruggine dalle intemperie e dall’abbandono. Al di là dell’ingresso si trova un giardino disordinato, con erba troppo alta e alberi dai rami invadenti, tutto è in procinto di essere inghiottito dall’edera. Attorno a quello che un tempo doveva essere un elegante cortile interno, si trova un porticato di colonne massicce, dietro le quali gli accessi all’interno della struttura si presentano come portali misteriosi, complici dell’ombra che non fa intuire dove conducano. Lo spettacolo che sto guardando è un quadro di C.D. Friedrich: tutto attorno è malinconico come le foglie lucide di pioggia e decadente come le mura scrostate che sorreggono un guscio vuoto. L’esterno della villa mantiene ancora una certa eleganza e austerità, aspetti supportati dall’antico progetto che prevedeva la fusione del presente edificio con il preesistente Castello di San Martino, di cui sono ancora visibili le fondamenta. Del castello si hanno poche notizie. Tantissime furono le battaglie che dovette sopportare, tra cui, probabilmente, la rivolta dei Tuchini che coinvolse tutto l’alto Canavese e molti altri scontri durante le guerre franco-spagnole. Il Castello uscì da questo periodo estremamente danneggiato. Ciò costrinse il proprietario, Pompeo I di Castelnuovo, a trasferirsi in un’altra residenza, a Castellamonte. Da questo momento in poi non si hanno più notizie del sito, fino al momento in cui Ludovico Nigra lo acquistò, insieme ai terreni circostanti.

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Completamente opposta a quella esterna è la situazione interna, scavata dall’ingordigia dei curiosi che nel tempo hanno approfittato dello stato di abbandono su cui grava la villa, un tempo dotata di pavimenti sfarzosi, arazzi, affreschi sulle pareti e sui soffitti, ricca di splendidi suppellettili e di mobilia ricercata, tra cui una preziosa scrivania appartenuta a Napoleone I.   Sono intrappolata in una strana atmosfera, l’unico suono che si percepisce è il vento che infastidisce gli alberi. Sembra che l’enorme edificio stia dormendo; l’aria che viene dall’interno è il suo respiro, gelido e arreso all’idea che nessuno verrà a interrompere quel riposo. Spinta da un’insolita e strana curiosità, oltrepasso quello che percepisco come lo sterno della villa, costituito da stanze sgombre e desolate, ascolto lo scrocchio dei miei passi fino a che non raggiungo il vero cuore pulsante: il terrazzo esterno. Qui vi è un balconcino in stile classico, che da una parte si affaccia a strapiombo sulla strada, dall’altra parte – a ridosso della collina- esso è costeggiato da una serie di colonne massicce, oltre le quali si insinua un altro giardino ribelle. Scatto un’altra fotografia, mentre la guardo sul monitor noto l’estrema delicatezza del viola del glicine che si appoggia al bianco sporco della balaustra: al di là, le verdi colline sbiadiscono nella foschia. In questo punto particolare della casa l’atmosfera si fa più dolce, come se la villa mettesse le mani a conca per proteggere qualcosa, l’illusione di un ultimo tentativo di preservare la bellezza della dama antica, di cui qui si avverte l’impercettibile presenza. La Contessa fu una donna bella, straordinaria, intrigante, abile in politica, amica, oltre che cugina, di Camillo Cavour che la inviò in Francia per sedurre e piegare alla causa piemontese l’imperatore Napoleone III. A Parigi Costantino Nigra conobbe la seducente Contessa e ne fu profondamente attratto. Esempio di vanità assoluta, lei stessa si definì “la donna più bella del secolo”, e nessuno osò mai contraddirla. Terrorizzata dal vedersi invecchiare sostituì gli specchi della sua abitazione con i propri autoritratti fotografici e smise di farsi vedere in pubblico. Consumata da tale narcisistica ossessione, si trasformò nello spettro della sua stessa bellezza.

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La villa, se stai ad ascoltarla, ci racconta anche altre storie: le visite notturne di Re Vittorio Emanuele II e della sua scorta, gli incontri massonici nei sotterranei del castello, i cunicoli che si diramano nell’oscurità e raggiungono le colline più lontane. A partire dal suo primissimo proprietario, le mura della villa ospitarono solo personaggi molto discussi, fatto che aiutò a fomentare chiacchiere e leggende sul luogo. Ludovico Nigra era un cerusico di modeste condizioni, aveva aderito ai moti del 1821, motivo per cui non era molto stimato dai detentori del potere dell’epoca.Il figlio di Ludovico, Costantino, nacque all’interno delle stesse mura, l’11 giugno del 1828. Egli diventerà figura centrale del Rinascimento italiano, in qualità di segretario, prima di D’Azeglio, poi di Cavour. Anche Costantino però fu una figura controversa, prese parte a molti episodi che all’epoca destarono scalpore, uno dei più chiacchierati fu quello della distruzione di alcune lettere, scritte da Cavour e indirizzate all’amante Bianca Ronziani, il cui contenuto rimase per sempre segreto. Inoltre fu investito della carica di Gran Maestro della Massoneria del Grande Oriente d’Italia presso la Loggia Ausonia di Torino. Scatto altre fotografie degli interni, ma poi ritorno ancora sul terrazzo, in cui malia, storia e mistero vanno all’unisono. Il rumore della pioggia che aumenta mi avvisa che non c’è più nulla da perlustrare e fotografare, la penombra che si infittisce mi conferma che è ora di andare. Anche perché non bisogna approfittare troppo della gentilezza di chi ci ospita.

Alessia Cagnotto