redazione il torinese

Non oltre i 70km/h. Ritorna attivo l’autovelox di corso Regina

Dopo due anni di mancate sanzioni, il Comune di Torino tornerà ad incassare castigando chi si spinge “oltre il limite”.

Con un comunicato stampa ufficiale, la giunta Appendino ha annunciato la definitiva riattivazione dell’autovelox di corso Regina Margherita. Dopo un lungo tira e molla durato molti mesi, il comune ha deciso che da domani, giovedì 15 marzo, lo strumento ritornerà ad essere in funzione. La telecamera elettronica, installata anni fa per individuare e di conseguenza sanzionare chi superasse i 70 chilometri orari all’entrata e all’uscita da Torino, era stato disattivato a marzo 2016 per probabili costi di manutenzione troppo elevati. La riattivazione dell’autovelox è stata possibile grazie all’assessorato dei trasporti -guidato da Maria Lapietra– che l’anno scorso, ha stanziato circa 200mila euro per il suo adeguamento. La decisione sembra essere arrivata dopo che dalle ultime stime di bilancio, era emerso un potenziale ammanco di circa 1milione di euro per le tasche del Comune, dato da mancate sanzioni degli ultimi 24mesi per tutti quegli automobilisti indisciplinati e dal piede pesante. Da domani quindi, dopo la prima fase di collaudo e gli ultimi permessi burocratici, i torinesi che si metteranno alla guida dovranno prestare molta più attenzione al contachilometri.

Simona Pili Stella

Il salto dell’acciuga

acciuga bagna caoda

Un bel libro di Nico Orengo che venne pubblicato nel 1997 da Einaudi nella collana de “I coralli”. In una vecchia libreria, curiosando tra gli scaffali, l’ho scovato e acquistato. L’avevo letto quando uscì e, curioso, l’ho riletto a distanza di quasi diciott’anni. L’ho trovato ancor più bello, sorprendente e intrigante di allora

 

Storie che s’intrecciano, antiche, vecchie, nuove; pescatori, donne, finanzieri, contrabbandieri di sale, acciugai… in tutto il libro  si sente il profumo dell’aglio rosa, del salso del mare, delle valli nascoste e della Olga, la rossa di capelli che passa nelle pagine come una cometa tra i picchi delle montagne“. Così, Mario Rigoni Stern descriveva con efficacia  “Il salto dell’acciuga”, un bel libro di Nico Orengo che venne pubblicato nel 1997 da Einaudi nella collana de “I coralli”.In una vecchia libreria, curiosando tra gli scaffali, l’ho scovato e acquistato. L’avevo letto quando uscì e, curioso, l’ho riletto a distanza di quasi diciott’anni. L’ho trovato ancor più bello, sorprendente e intrigante di allora. Forse è il libro migliore dello scrittore ligure, come scrisse Lalla Romano in uno dei suoi elzeviri su “Il Corriere della Sera”. Certamente è un libro pieno di fascino, dove Orengo ( che ci ha lasciati nel 2009) accompagna il lettore in un viaggio che ci  racconta la storia delle acciughe, di come furono portate dal mare alle Alpi, sulle vie dei contrabbandieri del sale, sui carri degli acciugai ambulanti della Val Maira, approdando nelle Langhe e nel Monferrato, a Torino come nel nord del Piemonte, varcando il Ticino, approdando sui navigli di Milano dove incontrarono il gusto di tanti perché “le acciughe piacciono, è cibo povero, per povera gente“. Così il “salto dell’acciuga“, il percorso dal mare fino alle montagne, diventò un buon pretesto per parlare di terre e  genti.

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C’è chi ha azzardato un parallelo con il ” Breviario Mediterraneo” di Predrag Matvejevic’, dove lo scrittore croato, nato all’ombra del ponte di Mostar, ricostruisce e narra la storia “geopoetica” del Mediterraneo e dei paesi che vi si affacciano. Un azzardo che ha un senso, una logica, un fascino.  Nico Orengo, ne “Il salto dell’acciuga”, racconta in prima persona, dialogando con gli amici, rammentando le sue peregrinazioni dal mare della sua Liguria di Ponente alla Val Maira, sulle tracce delle acciughe, fino al paesino di Moschiéres, dove immagina che i  saraceni ( “lasciati alle spalle i venti di Ponente e di Levante, i profumi mescolati del Mistral, l’eco del mare..”) si nascosero per un lungo tempo in cui “furono senza nome, invisibili e nascosti”, “per poi diventare con il mestiere di acciugai paese e abitanti”. Una borgata, Moschiéres,nei pressi di Dronero, nel cuneese,  dove usciva dai camini delle case un “ fumo che sapeva d’acciuga e aglio”. Storie antichissime, una specie d’affresco che va dal Medioevo ai giorni nostri  dove tutto s’intreccia e prende forma . Nella pagine, come una presenza a volte incombente e a volte discreta, c’è Olga, contrabbandiera di sale, vittima di continua violenza da parte di un doganiere corrotto, “finché non perse la testa e una sera gli tagliò con un rasoio il belino “. Come non citare poi il ritratto che Orengo traccia del colonnello Matteo Vinzoni, che aveva “il compito di rilevare e definire confini” tra i  possedimenti dei Savoia e le terre dei genovesi: “viaggiava a dorso di mulo, con una sacca piena di carte e matite colorate. Disegnava mappe, geografie, rilievi del terreno, ciuffi di mortella, rami di castagni, rocce e ciottoli“. E su tutto aleggia, con il suo profumo forte, l’argentea acciuga, “pesce di montagna” che si conservava nel tempo, sotto sale.  Quanti agguati attendevano i carretti degli acciugai? Fin dove si spingevano i loro commerci? Quali riti accompagnavano la bagna caoda?

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Orengo ricorda e racconta, intreccia notizie storiche e storie di paese, indaga mestieri perduti, odori e immagini che incantano nel viaggio del sale e dell’acciuga dalle onde del mar Ligure fino ai villaggi tra le più aspre cime dei monti. “Il salto dell’acciuga” non è solo un romanzo: è anche un saggio, una narrazione storica. E’ la storia di un pesce, quasi un pesce di terra si potrebbe dire, che immerso nel sale valica le montagne per diventare cibo di terra, appunto. E qui ci s’interroga su di un’antica questione: come mai la “bagna caoda”, il piatto principe del Piemonte, regione senza alcun sbocco sul mare, è a base di pesce? In un’indagine semiseria, che mescola notizie storiche, racconti privati, storie di paese, ricordi e chiacchiere, Orengo percorre la via del sale tra Liguria e Piemonte, dimostrando come il mondo dei pescatori si intrecciasse con quello dei contadini e cercando così di rispondere a questa domanda. Dopo aver letto “Il salto dell’acciuga”, onorando la scrittura dell’indimenticabile Nico Orengo, non ci si può esimere dal provare la bagna caoda, soprattutto ora che iniziano, con le brume d’autunno,  i primi freddi. La bagna caoda è un piatto semplice, con pochi ingredienti: acciughe, olio e aglio, nient’altro se non una lunga e lentissima cottura e una noce di burro alla fine. Intingendovi verdure crude o lesse, dai cardi di Nizza Monferrato ai peperoni di Carmagnola, si renderà il giusto onore all’acciuga che i liguri chiamano “pan du mar”, il pane del mare, mentre per i piemontesi erano il “pane di montagna”, perché scendeva dai monti dell’Appennino ligure o delle Alpi marittime.

Marco Travaglini

 

Uomo muore travolto e trascinato da treno

DALLA PUGLIA

Tragico incidente in cui ha perso la vita un clochard, F.B.di Monteroni di Lecce, 58 anni. L’uomo è stato travolto e ucciso da un treno mentre si trovava su di un binario della stazione di Lecce, piegato per usare una conduttura di acqua. E’ rimasto però accecato dal sole e non ha visto il treno che stava arrivando. Il corpo è stato trascinato per diversi metri prima che il convoglio si fermasse. 

“Io non ho paura” psicologi e scrittori alla Cavallerizza reale

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ll Festival di psicologia 2018, giunto alla sua quarta edizione, in programma a Torino da venerdì 6 a domenica 8 aprile prossimi alla Cavallerizza Reale, è stato anticipato dalla Lectio magistralis tenuta alle Ogr martedì 13 marzo scorso, da Massimo Recalcati, dal titolo “L’arte e il terrificante”. Lo studioso, uno degli psicoanalisti italiani più noti, direttore scientifico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia IRPA e direttore scintifico del Festival, ha compiuto un excursus sul rapporto tra il terrificante e l’arte, il luogo che ” disturba” il rapporto che l’uomo ha con la realtà e che lo sveglia dal sonno della realtà medesima. La sua lectio ha spaziato dall’analisi dei tagli di Lucio Fontana a quella dei sacchi di Alberto Burri. Nel primo caso l’artista fa della ferita il quadro e, a differenza dell’arte classica, non si sforza di scongiurare la morte. Massimo Recalcati ha anche citato Alberto Burri al cospetto della “ferita che ci scuote”, di fronte alle rovine di Gibellina, dopo il terremoto del Belice, di cui ricorre quest’anno il cinquantenario. In quell’occasione Recalcati ha ricordato le parole pronunciate da Burri, che affermò “Mi misi a piangere ed ebbi l’idea”, quell’idea che lo portò alla creazione del cretto di Gibellina. Il Festival di psicologia si presenta come un appuntamento interdisciplinare, a vocazione internazionale, che richiamerà alla Cavallerizza per tre giornate psicologi, psicoanalisti, scrittori e filosofi italiani e stranieri, che si confronteranno sul tema “Io non ho paura”. “Il nostro tempo – spiega Massimo Recalcati – vive uno stato di angoscia di fronte al carattere anarchico ed imprevedibile della violenza terroristica”. Durante il festival ci si interroghera’ sulle sue origini, sulle ideologie ed i fantasmi che nutrono lo spirito del terrorismo e su come si possa vivere senza rinunciare alla vita in questo clima di insicurezza. Esistono forse modi per pensare individualmente e collettivamente una prevenzione possibile della violenza? Questa quarta edizione, dopo le precedenti sui temi della felicità, della fiducia e delle storie, rappresenta un’ulteriore discesa nell’animo umano, con l’ambizione di portare la psicologia e gli psicologi sempre più vicino alla vita delle persone. “Con questa edizione – ha spiegato il presidente dell’ Ordine degli psicologi del Piemonte, Alessandro Lombardo – ci immergiamo in una tra le più oscure emozioni dell’animo umano, la paura. Sempre con l’obiettivo di trovare una strada che ci permetta di affrontare quelle che la vita può metterci di fronte”. Tra gli appuntamenti del Festival il dialogo introduttivo, in programma venerdì 6 aprile prossimo, con il fondatore della comunità monastica di Bose, Ezio Bianchi, e con l’Imam di Firenze Izzedin Elzir, oggi al secondo mandat come Presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche Italiane. Il tema dell’ incontro sarà “Religioni e violenza”. Lo psichiatra e psicoanalista Maurizio Balsamo sabato 7 aprile su confrontera’ con lo scrittore Maurizio Belpoliti sul tema della mente del terrorista. Altri temi che verranno affrontati saranno quelli dell’ eredità della violenza e del terrore, il concetto di confine ed il trauma del perdono. Il festival sarà anche l’occasione per proporre, sabato 7 aprile, un’originale versione dell’ Edipo Re di Sofocle, a cura della Compagnia Archivio Zeta, introdotta dall’esperto del mondo antico Franco Condello.

 

Mara Martellotta

L’identità scavata in Un passato infinito

L’associazione teatrale Nessun Vizio Minore torna in scena venerdì 16 marzo alle 20.45 nella suggestiva cornice in San Pietro in Vincoli con Un passato infinito, per la regia di Angelo Scarafiotti. Lo spettacolo, nato nel 2015 e vincitore della rassegna teatrale Maldipalco del Tangram Teatro di Torino, è liberamente tratto dal romanzo “Appuntamento a Londra” del premio Nobel Mario Vargas Llosa. Tutto ruota intorno all’incontro in una stanza d’albergo tra Claudio, uomo irrisolto interpretato dall’intenso Davide Bernardi, e Sofia, donna conturbante e fatale, interpretata dall’affascinante Mara Scagli. La rievocazione di un passato lontano riesce a turbare Claudio e l’incontro con la misteriosa donna si tramuta presto in un gioco di specchi che costringe il protagonista a fare i conti desideri, verità inconfessabili, sensi di colpa, ambiguità. In questo tempo cristallizzato il protagonista viene travolto da un’inquietudine che lo conduce senza via di scampo a viaggiare dentro di sé. Il testo affronta con eleganza il tema dell’identità, del suo disvelamento che può avvenire solo nell’incontro con l’altro. La regia e la selezione musicale finemente curate non potevano trovare mani più sapienti di quelle di Angelo Scarafiotti. Attore, regista e formatore teatrale per Assemblea Teatro, Scarafiotti nella sua lunga esperienza professionale si è sempre contraddistinto per la sua ricerca e difesa delle particolarità, che siano individuali, politiche o sociali. Il suo stile è riconoscibile nel suo raffinato e sommesso grido di protesta contro ogni forma di omologazione. Commenta così l’allestimento: “Nella messa in scena ho lavorato molto sull’interazione tra i due personaggi, sulla loro psicologia così sfuggente e misteriosa e sulle loro dinamiche alterne, di incontro e di fuga, cercando di mostrare la loro diversità, prima nascosta e poi, nello svilupparsi della narrazione, sempre più evidente. Un gioco di emersioni consecutive che stupisce lo spettatore fino a rendere chiaro, quasi esplosivo, che, per quanti sforzi si possano fare, il passato torna sempre a presentare il suo conto, perché è possibile fuggire da tutto, tranne che da se stessi”. Intrigante e sensuale la protagonista femminile Mara Scagli che dal 2011, con il suo eccentrico alter ego artistico Carmilla Lux, si esibisce con successo in Italia e all’estero in un sofisticato duetto che mescola il varietà e il burlesque nel Cabaresque Show.Tenuto conto delle tematiche affrontate lo spettacolo ha ricevuto il patrocinio del Servizio LGBT della Città di Torino ed il supporto del Coordinamento Torino Pride GLBT.

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Abbiamo incontrato l’attore Davide Bernardi che è anche autore del testo e uno dei fondatori dell’Associazione Nessun Vizio Minore.

 

Ciao Davide, raccontaci qual è la cifra stilistica della vostra associazione.

La nostra associazione nasce nel 2011 dal’incontro di persone con diversi percorsi artistici, ma che si sono ritrovate a condividere un’ idea comune di messa in scena. Nelle nostre produzioni c’è una grande attenzione al testo, al racconto e, in particolare, a quelle storie che sanno mescolare dramma e commedia, perché il teatro è una metafora della vita e li include entrambi.Nella messa in scena ci piace lavorare col corpo e con gli elementi scenici, con grande attenzione alle scelte musicali. Potremmo definirlo un “teatro di narrazione con una visione contemporanea”. Ci siamo resi conto col tempo che il pubblico riconosce le nostre scelte e apprezza il nostro stile, e questo secondo me è il riconoscimento di una identità forte, di cui siamo grati.

Vieni da una formazione teatrale, e non solo, molto variegata ed eclettica, che spazia dal teatro classico a quello contemporaneo. Qual è l’esperienza che più ti ha segnato e influenzato nella tua decisione di diventare anche regista ad un certo punto del tuo percorso?

Il passaggio dalla recitazione alla regia ha come minimo comune denominatore l’amore per la scrittura. Amo molto la parola: scrivere, adattare, rivedere drammaturgicamente è comunque una forma di interpretazione. Quasi tutti i testi dei nostri spettacoli sono stati proposti da me e sempre da me curati. E quando lavori sui testi viene naturale cedere alla tentazione di vederli rappresentati come li hai immaginate. Il passaggio alla regia è quindi stata una conseguenza logica, anzi inevitabile, per me. Ed è la parte che amo di più ad oggi. L’esperienza più forte è stata proprio la prima: l’adattamento per la scena di un film, “La mia vita senza me”, a sua volta ispirato ad un racconto. Da qui è nata una vera e propria riscrittura originale che aveva come filo guida una immagine scenica che avevo in mente: i nastri delle videocassette VHS fatti scorrere tra le dita come fossero dei lettori di messaggi di una persona che non c’è più. Da questa immagine ho tratto il coraggio per portare in scena la nostra prima produzione di compagnia: “Prima che cada la notte” nel 2012.

 

Lo spettacolo, che è liberamente ispirato al romanzo di Vargas Llosa, “Appuntamento a Londra”, sembra un invito a scavare dentro la propria identità, dove spesso in quello che abbiamo ignorato sembra annidarsi la sostanza stessa della nostra vita. Oggi il teatro ha ancora questo potere di suggestionare, di instillare qualche dubbio, di offrire domande?

Il testo di Vargas Llosa è una indagine sulla verità, quella che riguarda noi stessi e che, proprio per questo, è la più difficile da accettare. In questo caso, il testo affronta l’identità di genere da un lato e l’omofobia dall’altro. Questa storia racconta di quanto difficile sia resistere al giudizio degli altri ed accettare la propria natura più profonda. Come già detto, il teatro è metafora della vita. Io credo profondamente che sia uno strumento per porsi dubbi, vivere alternative che magari non osiamo affrontare nella vita reale. Ma il potere della rappresentazione può darci il coraggio di immaginare quello che possiamo diventare.

 

Se dovessi consigliare ad un giovane che si accosta all’arte drammatica per la prima volta, quale esperienza formativa consiglieresti per cominciare?

Dico sempre che, prima che un attore, io sono un ottimo spettatore. Per avvicinarsi al teatro, io consiglio prima di tutto di andare a teatro: vivere l’attesa del sipario, il buio della sala, la partecipazione al testo, la catarsi degli applausi finali. E poi, se si decide di passare al palcoscenico, di non perdere mai di vista il divertimento, la passione, la curiosità. Si ha spesso l’idea del teatro come una cosa seriosa, noiosa. Chi lo pensa, forse, ha la stessa idea della propria vita. E ilproblema allora non è il teatro.

 

Giuliana Prestipino

 

MALATI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI, ARTESIO: “ASSESSORE SAITTA RIFIUTA DI PARTECIPARE AL CONSIGLIO COMUNALE”

“Torino, in ragione dell’indice di invecchiamento della popolazione, registra con particolare intensità le difficoltà della continuità assistenziale sociosanitaria per i malati cronici non autosufficienti. In particolare la consistenza e la persistenza delle liste di attesa per i ricoveri in RSA e per le cure domiciliari in lungo assistenza segnalano sia la sofferenza dei malati sia le responsabilità assunte – in termini economici e di cura – dalle famiglie”, lo afferma la consigliera di Torino in Comune Eleonora Artesio.

 

“Al fine di condividere dati e analisi sulla situazione, nonché confrontare le forme di governo e le prospettive del sistema sociosanitario sul tema, i consiglieri comunali corrispondenti ai due terzi dell’assemblea hanno sottoscritto la richiesta di convocazione di un Consiglio comunale aperto alle istituzioni e alle rappresentanze sociali. Data la responsabilità della sanità regionale in applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, il Presidente del Consiglio Comunale ha provveduto – su mandato della conferenza dei capigruppo – a invitare  per una data da condividere l’Assessore regionale Antonio Saitta. L’Assessore regionale ha risposto con la propria indisponibilità a partecipare. Non è solo una mancanza di rispetto verso gli amministratori del Comune capoluogo di Regione. È, più grave, assenza di rispetto verso i malati, le loro condizioni, i loro bisogni, le loro aspettative”, conclude Artesio.

 

Fondazione Crt, bilancio consuntivo

 

ll Consiglio di Amministrazione ha approvato il progetto di bilancio 2017: avanzo oltre gli 85 milioni di euro e investimenti a valore di mercato superiori a 3,2 miliardi di euro.

 Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione CRT, che si è riunito oggi a Torino sotto la Presidenza del Professor Giovanni Quaglia, ha approvato il progetto di Bilancio 2017. Il documento sarà ora sottoposto all’esame del Consiglio di Indirizzo per le valutazioni di competenza.

 

Ancora ottimi i risultati ottenuti dalla gestione del patrimonio: proventi ordinari in aumento a 107 milioni di euro (44 milioni di euro nel 2016, +146,3%), anche in assenza di dividendi UniCredit e nonostante la svalutazione dell’investimento nel Fondo Atlante. Il totale investimenti a valori di mercato supera i 3,2 miliardi di euro (+10,1% sull’anno precedente).

 

Nonostante il 2017 sia stato caratterizzato anche dal fabbisogno aggiuntivo connesso all’operazione di aumento di capitale Unicredit per oltre 200 milioni di euro, sono stati ampiamente salvaguardati gli equilibri di tesoreria a sostegno dell’attività istituzionale (la posizione finanziaria netta è ancora ampiamente positiva, a 232 milioni di euro).

 

La tassazione IRES applicata ai soggetti non profit come la Fondazione è stata ulteriormente aggravata (il carico fiscale complessivo sopportato dalla Fondazione nel 2017 supera i 22 milioni di euro): tuttavia, l’aumento dei proventi, il contenimento dei costi operativi e le minori rettifiche di bilancio hanno permesso di registrare unavanzo di esercizio superiore a 85 milioni di euro (35 milioni di euro nel 2016,+147,6%).

 

Nel 2017 la Fondazione CRT ha attivato risorse a sostegno del territorio per oltre 64 milioni di euro: interventi focalizzati su arte e beni culturali, ricerca scientifica, educazione e istruzione, volontariato, filantropia, beneficenza e salute pubblica. A queste tradizionali modalità di intervento, la Fondazione ha affiancato poi ulteriori iniziative per il territorio, nella logica dei “mission related investments”. Complessivamente, la Fondazione CRT con l’attività istituzionale ha sostenuto iniziative sul territorio per circa 100 milioni di euro nel 2017.

 

Il fondo di stabilizzazione delle erogazioni, con lungimiranza reso forte già negli scorsi anni, con una disponibilità di 173 milioni di euro è ancora oggi in grado di garantire piena continuità nell’attività istituzionale futura della Fondazione. Il consolidamento degli equilibri gestionali e i positivi risultati conseguiti consentono alla Fondazione CRT di guardare al futuro con ancora maggior fiducia, nella convinzione di poter attivare anche nel 2018 un ammontare rilevante di risorse per il territorio.

 

“La Fondazione CRT è sempre più solida e forte, e il suo bilancio continua a godere di ottima salute grazie a un’attenta gestione patrimoniale che ci permette di incrementare le risorse per la crescita di Torino, del Piemonte e della Valle d’Aosta – commenta il Presidente Giovanni Quaglia –. Possiamo così valorizzare l’arte, la cultura e i giovani talenti, promuovere la ricerca e l’innovazione e, soprattutto, contrastare le tante fragilità del nostro tempo, sostenendo le persone in difficoltà, il sistema di protezione civile e di primo soccorso, la salvaguardia dell’ambiente, anche attraverso significativi investimenti immobiliari di carattere etico. Questi risultati sono ancora una volta il frutto di un impegno tenace e costante profuso negli anni da parte di tutta la struttura della Fondazione, che ho l’onore di presiedere”.

 

“Il raggiungimento di uno stabile equilibrio tra le politiche di prudenza gestionale e la dinamicità della gestione patrimoniale continua a produrre ottimi effetti – dichiara il Segretario Generale Massimo Lapucci –. Nonostante il difficile contesto economico finanziario nazionale, i risultati ottenuti nell’ultimo anno da Fondazione CRT sono in netto miglioramento rispetto all’anno precedente. Mercati volatili, tassi di interesse contenuti e la partecipazione all’aumento di capitale Unicredit hanno caratterizzato la gestione di quest’anno: tuttavia, come emerge anche da un recente studio dell’ACRI, il patrimonio della Fondazione CRT presenta una redditività che la pone ai vertici del sistema delle Fondazioni bancarie italiane, e di questo siamo particolarmente soddisfatti”.

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La Fondazione CRT-Cassa di Risparmio di Torino è un ente privato non profit nato nel 1991. Da oltre 25 anni è uno dei “motori” dello sviluppo e della crescita del Piemonte e della Valle d’Aosta in tre macro-aree: Arte e Cultura, Ricerca e Istruzione, Welfare e Territorio. Interviene con progetti e risorse proprie per la valorizzazione dei beni artistici e delle attività culturali, la promozione della ricerca scientifica e della formazione dei giovani, il sostegno all’innovazione e all’imprenditoria sociale, l’assistenza alle persone in difficoltà, la salvaguardia dell’ambiente, il sistema di protezione civile e di primo intervento. La sua attività si caratterizza per un’attenzione particolare all’internazionalizzazione, con il duplice obiettivo di rendere più forti le organizzazioni non profit locali attraverso l’apertura all’Europa e al mondo e, nello stesso tempo, di attrarre sul territorio nuove risorse progettuali ed economiche. In un quarto di secolo di attività, la Fondazione CRT ha distribuito risorse per 1 miliardo e 500 milioni di euro, e consentito la realizzazione di più di 37.000 interventi (oltre 1.400 nel 2017) per il territorio. Alcuni numeri in dettaglio: 2.500 beni storici, artistici e architettonici restaurati, tutte le Cattedrali del Piemonte e Valle d’Aosta valorizzate e “messe in rete”, oltre 5.000 borse offerte ad altrettanti giovani talenti per studiare e perfezionarsi in Italia e all’estero, 770.000 studenti tra i 6 e i 20 anni coinvolti in attività formative gratuite, 480 ambulanze messe a disposizione delle associazioni di primo soccorso, più di 2.000 interventi a favore delle persone con disabilità. La Fondazione CRT è oggi presente nelle reti europee della filantropia come EFC-European Foundation Centre ed EVPA-European Venture Philanthropy Association, e realizza progetti internazionali in collaborazione con le Nazioni Unite.

Inchiesta sul dramma di piazza San Carlo, il comportamento della folla era da prevedere

Oltre 1500 feriti e una donna morta successivamente per i traumi riportati. Il comportamento della folla in preda al panico quella tragica sera del 3 giugno in piazza San Carlo si sarebbe dovuto prevedere da parte di chi  curò l’organizzazione della proiezione sul maxischermo della finalissima di Champions League.  Questo sarebbe, secondo quanto scrivono alcuni giornali, l’orientamento degli investigatori dopo  i risultati delle analisi scientifiche ordinate  dai magistrati della procura di Torino.  Un software ha analizzato il numero delle persone presenti, il posizionamento  delle transenne e le vie di fuga, elaborando una simulazione. Ventuno gli indagati, tra i quali  la sindaca Appendino, l’ex questore Sanna e il prefetto Saccone.

 

(foto: il Torinese)

Il Matisse e la luce della Côte d’Azur

L’inaugurazione del Museo Matisse, avvenuta nel 1963, riflette il profondo attaccamento che il pittore aveva per Nizza, dove soggiornò quasi ininterrottamente dal 1916 e dove morì nel 1954, poco dopo aver donato alla città un cospicuo numero di opere

Henri Matisse proveniva da Parigi, dove aveva aderito alla corrente artistica dei Fauves ed era diventato buon amico di Pablo Picasso (sebbene quest’ultimo lo considerasse sdegnosamente un pittore borghese). Sulla Côte d’Azur cercava quell’atmosfera tersa e luminosa, quei colori accesi della natura che già avevano spinto altri pittori (a cominciare da van Gogh) verso il Sud. Il clima delicatamente mite rendeva la permanenza ancora più gradevole e serena. “Quando ho capito che ogni giorno avrei visto questa luce”, scrisse, “non potevo credere alla mia felicità”. Dopo aver vissuto diversi anni nella città vecchia, nel 1938 Matisse stabilì la sua residenza nell’elegante quartiere di Cimiez, in un appartamento dell’Hôtel Régina, che trasformò in atelier. Cimiez è situato sulla superba collina omonima posta a Nordest di Nizza. Fino alla fine del XIX secolo i ripidi versanti erano interamente piantati ad ulivi. La rapida urbanizzazione cominciò nel 1880 quando venne aperto il Boulevard de Cimiez; sui terreni lottizzati furono edificati palazzi e ville dove la vita mondana della Belle Époque conobbe i fasti maggiori.

Dalle finestre del suo appartamento Matisse poteva scorgere una gran parte della Villa Garin de Cocconato, un edificio seicentesco appartenuto a una nobile famiglia genovese e rimaneggiato nell’Ottocento, secondo le nuove esigenze borghesi. Gli intonaci color ocra della facciata e le finestre decorate à trompe-l’œil spiccavano nella vegetazione dell’ampio parco circostante, dove il pittore era solito passeggiare. Matisse conosceva bene e amava la collina di Cimiez che, accanto alle abitazioni moderne, conserva i segni visibili del passato. I resti del foro e dell’anfiteatro testimoniano l’antica Cemenelum, capoluogo della provincia romana delle Alpi Marittime. Il Monastero Francescano, situato a breve distanza, offre dal suo giardino coltivato a rose un magnifico belvedere sul mare. Così, quando la moglie e i figli di Matisse donarono alla città di Nizza numerose opere per la creazione di un museo, il Municipio acquistò a questo scopo la Villa Garin de Cocconato che, a partire dal 1950, ha preso il nome di Villa des Arènes.

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Il Musée Matisse venne inaugurato nel 1963; una nuova ala edificata nel 1993 ha permesso di aumentare la superficie espositiva e la sistemazione che vediamo attualmente risale al 2002. La famiglia dell’artista pose fin dall’inizio un’attenzione particolare alla presentazione della collezione. Il fine dichiarato era di facilitare e promuovere la comprensione delle opere in un insieme armonioso e coerente, permettendo al visitatore di ricostruire il percorso artistico di Matisse. Una magnifica successione di pitture, disegni e sculture illustrano il cammino dell’artista documentando le ricerche, i tentativi, le tappe creative. Tra i lavori che sono esposti si trovano tutti i primi quadri realizzati a partire dal 1890, cominciando dalla Nature morte aux livres. Fu con la Tempête à Nice (1919-20), dipinta mentre il mistral spazzava il cielo dalle nuvole grondanti pioggia, che Matisse scoprì la luce della Côte d’Azur. L’importante collezione di disegni (da Paysage de Saint-Tropez del 1904 a Grande Tête, Masque del 1952) costituisce un fondo di grande valore per lo studio dell’arte grafica. “Il mio disegno a mano libera è la traduzione diretta e la più pura delle mie emozioni”, scriveva Matisse. Il Museo raccoglie poi arazzi e serigrafie che riproducono ricordi e sensazioni derivanti dal viaggio a Tahiti del 1930. Si possono inoltre vedere i disegni preparatori della composizione murale La Danse, tema ripreso più volte da Matisse, autentica sintesi tra pittura, musica e poesia. Una sala intera è dedicata a un insieme di disegni, tempere su carta poi ritagliate (gouaches découpées) e modelli in scala che portarono alla decorazione della Chapelle du Rosaire di Vence.

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Come ricordava lo stesso Matisse la cappella, inaugurata nel 195, gli costò quattro anni di lavoro esclusivo, assiduo, e rappresentò la summa di tutta la sua vita artistica. Matisse, ormai anziano ed impossibilitato a dipingere, utilizzò la tecnica del “disegnare con le forbici” per la collezione Jazz, comprendente venti tavole accompagnate da riflessioni scritte con un pennello intriso nell’inchiostro nero. Colorava dei fogli con tempere intense e brillanti, quindi ritagliava delle sagome che assemblava su grandi tavole, creando composizioni di carattere astratto. Fra queste tavolemIcarus e Le cirque possono considerarsi autentiche icone dell’arte moderna.

Nel 1978 il museo si è arricchito di una cinquantina di bronzi donati dal figlio Jean, i quali rappresentano di fatto l’intera attività scultoria dell’artista. Presentati in mezzo ai quadri e ai disegni, permettono di comprendere ancora meglio il suo cammino creativo fondato sulla ricerca costante della massima semplicità. Singolare è l’esposizione di oggetti provenienti dall’Africa, dall’Asia e dall’Oceania, di cui egli amava circondarsi. Sono vasi e statuette di guerrieri cinesi, un bruciaprofumi moresco, un guéridon ottagonale, un moucharabieh di tessuto rosso, un tanka del Tibet. Più che gli oggetti in sé, appare interessante la relazione che questi ebbero con la sua produzione artistica, particolarmente ispirata dalle culture extra-europee. Fanno quindi bella mostra gli ultimi lavori (Nu bleu IV, La vague, Femme à l’amphore), composizioni figurative a collage che giocano sui contrasti tra blu e bianchi, creando un equilibrio mirabile tra pieni e vuoti. Fino alla fine dei suoi giorni, Matisse ha creato opere di qualità altissima, al di sopra e al di là delle correnti che si sono succedute nella storia dell’arte contemporanea. Molti dipinti realizzati da Matisse sono giunti in esposizione a Torino e a Milano negli ultimi anni. La mostra “Matisse e il suo tempo”, che si tenne a Palazzo Chiablese tra il 2015 e il 2016, comprendeva cinquanta opere provenienti dal Centre Pompidou di Parigi. È soltanto nella Villa des Arènes, tuttavia, che la sua produzione artistica trova la naturale e giusta collocazione. Il visitatore non deve pensare di trovare qui i capolavori più noti, quelli sono conservati al Musée d’Orsay o all’Ermitage. Grazie al Musée Matisse ci si avvicina invece alle radici della sua creatività, si percepisce la parte più intima della sua essenza compositiva. Qui si intuiscono quelle che sono state le tappe di un percorso artistico ed esistenziale, dalle origini alla piena maturità espressiva.

Paolo Maria Iraldi

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Muséè Matisse, 164 Avenue des Arènes de Cimiez, 06000 Nizza. Orari di apertura: ore 11-18. Giorno di chiusura: martedì. Ingresso: 10 €.

Sito Internet: http://www.musee-matisse-nice.org/

Visita effettuata il 24 febbraio 2018.

Petto d’anatra con salsa di mirtilli rossi

Ricetta insolita per stupire i vostri commensali con poche semplici mosse

 

anatra

Il gusto agro-dolce della salsa smorza il gusto forte della carne d’anatra da servire con una semplice insalatina verde e una patatina bollita

 

Ingredienti per 2 persone

 

1 petto d’anatra
50gr. di mirtilli rossi disidratati
aceto bianco, acqua
2 cucchiai di zucchero
1 pezzo di canella
2 chiodi di garofano
1 anice stellato
sale, pepe q.b.
100ml di panna liquida da montare (facoltativo)

 

 

Preparare la salsa: mettere in un pentolino due dita di aceto bianco con altrettanta acqua, la canella, i chiodi di garofano, l’anice stellato, lo zucchero, le bacche di mirtillo e portare a bollore. Mescolare e lasciar consumare sino a quando avra’ la densita’ di una confettura. Nel frattempo lavare il petto d’anatra, praticare delle incisioni con un coltello sulla pelle per evitare che si arricci e metterla in una bistecchiera precedentemente riscaldata senza nessun tipo di condimento. Cuocere per circa 10 minuti per parte sino a quando risultera’ rosolata, aggiustare di sale e pepe.Servire la carne con a fianco un cucchiaio di salsa di mirtilli e presentarla, se vi piace, con un ciuffo di panna non zuccherata semi-montata. Abbinamenti insoliti, di sicuro effetto. Il risultato vi stupira’.

 

Paperita Patty