redazione il torinese

L’umanità semplice di Pietro Domenico Olivero

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Pur essendo famoso durante la prima metà del 700 come pittore di corte dei Savoia, di Pietro Domenico Olivero non fu mai allestita una mostra monografica; l’occasione viene data ora dal Museo Civico di Moncalvo attraverso la presentazione, ad opera di Aleramo Onlus, di diversi dipinti che denotano la sua tipica vocazione al genere delle “bambocciate”.

 

Accanto alla grande pittura aulica della ritrattistica e all’enfasi dei temi religiosi erano in voga le scenette episodiche intinte di paesaggismo dell’Olivero che venivano richieste dai reali, dalla nobiltà delle ville della provincia e da appassionati collezionisti. Quando nel 1705 morì il pittore di corte, il viennese Seyter protetto dalla Madama Reale Giovanna Battista di Nemours, che aveva istituito nel 1678 l’Accademia di Belle Arti per la protezione degli artisti, il figlio Vittorio Amedeo II si tenne caro il pittore apprezzandone il talento e il vivace temperamento. Dapprima gli furono dati incarichi minori di decoratore di fiori, accostandosi al fiorismo locale di radici fiamminghe e francesi,   in cui si specializzò in particolare Anna Caterina Gili, per la Reggia di Venaria e gli fu assegnato il compito di collaboratore di vedutisti e quadraturisti per affrescare colorite figurine nella veduta, voluta da Juvarra, per l’atrio del Castello di Rivoli, insieme al Michela. Divenne poi il maggiore esponente della pittura macchiettistica riallacciandosi al filone che si era diffuso a partire dal 1625 nella Roma papale ad opera della scuola dei Bamboccianti di via Margutta fondata dall’olandese Pieter Van Laer. Tra i molti generisti fiamminghi e olandesi si erano distinti anche gli italiani Michelangelo Cerquozzi, detto “Pittore di Battaglie”, Carlo Lanfranchi “Il flamenco” e in particolare Jean Miel che, soggiornando a Torino alla Corte di Carlo Emanuele II, aveva diffuso in ambito piemontese i suoi divertenti capricci con succose carnevalate e cacce. Sicuramente l’Olivero tenne conto di questo retroterra, accogliendo e dando una connotazione strettamente torinese alle canzonatorie e spiritose scenette popolane. La sua vena arguta, l’autoironia, per cui non disdegnava di ritrarsi con le proprie deformità, alla pari di un Toulouse Lautrec, la sagace osservazione di ciò che avveniva per strada resero la sua arte una perfetta testimonianza di usi e costumi della vita della città sabauda.

 

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Fiere, mercati, feste religiose e profane, risse di strada, cavadenti, giocolieri, imbonitori, osti, botteghe di ciabattini e di calderai, animano i dipinti freschi e maliziosi con la bonarietà scherzosa di chi si vuole divertire e divertirsi senza dare giudizi morali. Mai superficiale e volgare, però, poiché affiora sempre partecipazione e sensibilità umana, a volte malinconica, che addolcisce lo spirito dissacrante delle precedenti bambocciate romanesche mantenendo un’impronta di eleganza tipicamente piemontese. Significativo fu l’apporto delle incisioni di Jacques Callot esperto di bulino e acqueforti oltre che di decori, tra il raffinato e il grottesco, di tabacchiere e scatoline d’oro e di porcellana, la cui “Fiera dell’Impruneta” del 1620 è stata osservata dall’Olivero nel comporre” La fiera e la festa del santuario di San Pancrazio a Pianezza” del 1724 e “La processione al santuario della Madonna del Pilone” del 1744. Una maggiore finezza di tocco barocchetto si trova nelle sovrapporte della Sala degli Archivi di Palazzo Reale e della Palazzina di Stupinigi in accordo con lo spirito arcadico Juvarriano. Senza dimenticare che Olivero fu anche valente disegnatore come attestano i circa180 disegni, contenuti in un volume del Museo Civico torinese, che erano stati attribuiti erroneamente, nonostante la sua firma, dal mercato antiquario inglese a Jacques Van Laer. Le opere in mostra rendono partecipi delle tradizioni popolari e della parabola della vita quotidiana con rappresentazione dettagliata, sincera e garbata dei soggetti in cui egli si identifica; si sente parte di quell’umanità semplice e vera intenerendosi al cospetto di madri che cullano o allattano infanti mentre vendono la merce nei mercati, gioisce ai giochi dei bimbi e alla vista dell’albero della cuccagna, s’inebria di vino durante la festa dei brentatori, prova lo stesso stupore dei popolani che guardano attraverso il “ mondo nuovo” del pantoscopio usato dagli ambulanti nelle fiere, è orgoglioso dell’eroismo dei soldati nell’accampamento, prega insieme ai fedeli alla festa della Madonna del Pilone. Le immagini riportano una Torino riconoscibile negli usi, costumi e vedute paesistiche ma suggeriscono aperture più vaste superando i limiti strettamente locali allargandoli ai molteplici aspetti di un’epoca di grandi cambiamenti e del sorgere di una nuova coscienza avviata alla modernità.

 

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La sua è una pittura che parla del popolo ma non è pittura incolta poiché, oltre all’ampia conoscenza dei bamboccianti seicenteschi, tiene a mente la cultura figurativa dei grandi maestri del passato con uno spirito assolutamente diverso. Senza arrivare all’alta profondità di pensiero della commedia della vita di Pieter Bruegel troviamo lo stesso brulichio di figurine minute che si affaccendano nelle vedute ma, se nel grande olandese predomina l’amara ironia dell’affannarsi inutile e stolto di un’umanità spaesata guardata con disincanto, nell’artista torinese si coglie un’empatia che unisce armonicamente l’uomo al paesaggio; non più una considerazione dell’assurdità e della follia dell’esistenza ma un’ accettazione tra gioia e malinconia della vita e del lavoro anche se umile. Nel ritratto che presenta il macellaio a braccia conserte fiero del proprio ruolo, in primo piano, lasciando nello sfondo l’animale scuoiato appeso allo stesso modo del famoso dipinto di Rembrandt, sicuramente ricordato, non compare un simbolismo drammatico ma solo un’ispirazione iconografica e un virtuosismo tecnico dell’uso della luce e del colore. Più vicino sicuramente allo schietto realismo della “bottega del macellaio” di Annibale Carracci che coraggiosamente rompeva il tardo manierismo cinquecentesco, ormai l’Olivero nel 700 si sente a suo agio e libero di esprimersi secondo i propri interessi ben accettati da Vittorio Amedeo II che, pur consigliandogli una pittura più nobile, l’accoglieva benevolmente a Corte apprezzando i suoi dipinti di piccoli eventi pieni di poesia. Con lui non ci troviamo di fronte ad un semplice pittore di genere che risolve la pittura in banali e ripetitivi aneddoti, tanto disprezzati con sarcasmo da Salvator Rosa, che pure agli inizi era stato bambocciante, ma ad un vero artista che dà dignità ad un repertorio considerato minore in quanto la valutazione delle opere non deve essere vista attraverso una scala gerarchica di soggetti e temi scelti poiché tutte le poetiche sono legittime se si risolvono e concretizzano in Arte.

 

Giuliana Romano Bussola

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 Museo Civico Città di Moncalvo  7 aprile / 1 luglio 2018 – apertura sabato e domenica dalle ore 10,00 alle ore 18,00 durante la settimana su appuntamento informazioni – 327 7841338

Fondazione Libro, Magliano: “chiedo certezze sul futuro dei dipendenti”

Solidarietà a questi professionisti, che ora si trovano senza stipendio e che, nonostante tutto, stanno lavorando senza risparmiarsi per preparare la prossima edizione. Pretendo chiarezza sul loro futuro lavorativo. Esprimo inoltre la mia totale fiducia nel liquidatore.

Esprimo la mia più totale e incondizionata solidarietà ai dipendenti della Fondazione per il Libro. Persone che, nonostante si trovino ora senza stipendio, stanno lavorando con il massimo impegno per la buona riuscita dell’evento. Da trent’anni, edizione dopo edizione, l’evento si è sempre tenuto ed è stato un successo. A queste persone va riconosciuta la loro parte di merito. Esprimo inoltre la mia altrettanto totale fiducia nel liquidatore, persona dal profilo e dalle capacità di qualità assoluta e riconosciuta. Ora vorrei avere certezze sul futuro professionale di queste persone, sulla cui dedizione e professionalità nessuno può davvero avere dubbi. E vorrei averle in fretta. È necessario anche avere al più presto certezze sul nuovo strumento. Tutte le parti in causa si diano una mossa.

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Silvio Magliano – Capogruppo Moderati, Consiglio Comunale Torino.

Ragazza di 15 anni muore sotto un treno a Porta Susa

Questa mattina sui binari della stazione di Torino Porta Susa una ragazza di 15 anni è morta dopo essere finita sotto un treno. I soccorritori l’hanno rianimata a lungo sulla banchina del binario 4 una volta estratta da sotto il convoglio, ma la studentessa è morta durante il trasporto in ospedale. La polizia ferroviaria sta compiendo le verifiche per capire  come la giovane sia finita sotto il treno, ma sembra si sia trattato di un incidente. Il binario  è stato chiuso e non ci sono stati rallentamenti del traffico ferroviario.

Allegri: “Real squadra devastante. Ai ragazzi non rimprovero nulla”

Massimiliano Allegri esprime la sua delusione  dal canale Premium Sport a proposito del pesantissimo 3-0 subìto dalla Juve all’Allianz Stadium, nell’andata dei quarti di Champions, da parte del Real Madrid: “Quando si gioca contro questi giocatori e queste squadre si deve essere assistiti anche da un pizzico di fortuna. Al primo gol siamo stati un po’ passivi, ma per un’ora la squadra ha fatto bene e abbiamo avuto una buona reazione. Ma  è capitato tutto contro, di fronte ad una squadra devastante. Ai ragazzi non posso rimproverare nulla, davanti avevamo il più forte centravanti del mondo,  ha segnato per la decima partita consecutiva in Champions. Ora, bisogna pensare al campionato e alla Coppa Italia. Peccato per il terzo gol: sul 2-0 si poteva  tentare l’impresa a Madrid, così è difficilissimo. Rimasti in 10 è diventato impossibile contro una squadra che sbaglia quasi niente”.

 

(foto: Claudio Benedetto www.fotoegrafico.net)

Trieste, memoria e dolore tra i mattoni rossi della Risiera

I mattoni rossi della Risiera di San Sabba

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L’appuntamento è a Valmaura, rione alla prima periferia meridionale di Trieste, lungo l’asse che la collega con l’Istria

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di  Marco Travaglini

Il primo appuntamento, per gli studenti piemontesi distintisi nella 37° edizione del Progetto di storia contemporanea bandito dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale, si terrà a Trieste, capoluogo del Friuli Venezia Giulia all’estremo lembo orientale dell’Alto Adriatico, città di confine stretta tra il Carso e il mare.

La cella della morte

L’appuntamento è a Valmaura, rione alla prima periferia meridionale di Trieste, lungo l’asse che la collega con l’Istria. In questa piccola valle tra il colle di Servola e quello di San Pantaleone si trova la Risiera di San Sabba, unico esempio di lager nazista in Italia.

Luoghi di detenzione alla Risiera

Già all’entrata s’avverte, incombente, il “peso” della vicenda consumatasi tra le mura del grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso, costruito nel 1898.

 

L’ingresso

 

Dapprima utilizzato dall’occupante nazista come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 ( lo Stalag 339), verso la fine di ottobre di quell’anno venne strutturato come Polizeihaftlager (campo di detenzione di polizia), destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia, sia alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici, ebrei.

La Risiera oggi

 

La Risiera, dal 1965, è monumento nazionale e, dieci anni dopo, ristrutturata su progetto dell’architetto Romano Boico, divenne Civico Museo. Nel primo stanzone posto alla sinistra prima di entrare nel cortile e dopo aver attraversato lo stretto e inquietante “budello” tra le mura di cemento alte undici metri, s’incontra la “cella della morte”. Lì venivano stipati i prigionieri tradotti dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati a essere uccisi e cremati nel giro di poche ore. Proseguendo sempre sulla sinistra, si trovano, al pianterreno dell’edificio a tre piani, i laboratori di sartoria e calzoleria dove venivano impiegati i prigionieri, nonché le camerate per gli ufficiali e i militari delle SS, le 17 micro-celle in ciascuna delle quali venivano ristretti fino a sei prigionieri. Queste celle erano riservate a partigiani, politici e ebrei destinati all’esecuzione.

Le celle

I graffiti degli internati

Le prime due venivano usate per la tortura o la raccolta di materiale prelevato ai prigionieri: vi sono stati rinvenuti, fra l’altro, migliaia di documenti d’identità, sequestrati non solo a detenuti e deportati, ma anche ai lavoratori inviati al lavoro coatto.

Mazza usata dagli aguzzini nazisti alla Risiera

Quasi tutti i documenti, prelevati dalle truppe jugoslave che per prime entrarono nella Risiera dopo la fuga dei tedeschi, furono trasferiti a Lubiana, dove sono attualmente conservati presso l’Archivio della Repubblica di Slovenia. Le porte e le pareti dei locali della Risiera erano ricoperte di graffiti e scritte. L’occupazione dello stabilimento da parte delle truppe alleate, la successiva trasformazione in campo di raccolta di profughi, sia italiani che stranieri, l’umidità, la polvere, l’incuria degli uomini hanno in gran parte fatto sparire graffiti e scritte. Ne restano a testimonianza i diari dello studioso e collezionista Diego de Henriquez , conservati dal “Civico Museo di guerra per la pace” a lui intitolato, che ha sede al 22 di via Cumano, a Trieste. Nei diari è stata riportata l’accurata trascrizione delle scritte, offrendo una testimonianza drammatica di quanto accadde tra le mura della Risiera.

Una veduta del museo alla Risiera

Nel successivo edificio a quattro piani venivano rinchiusi, in ampie camerate, gli ebrei e i prigionieri civili e militari destinati per lo più alla deportazione in Germania: uomini e donne di tutte le età e bambini anche di pochi mesi.Da Trieste venivano inviati a Dachau, Auschwitz, Mauthausen, verso un tragico destino che solo pochi hanno potuto evitare. Nel cortile interno, proprio di fronte all’area contrassegnata dalla piastra metallica ( dove si pensava sorgesse l’edificio destinato alle eliminazioni) si trovava il forno crematorio. L’impianto, al quale si accedeva scendendo una scala, era interrato. Sull’impronta metallica della ciminiera sorge oggi una simbolica Pietà costituita da tre profilati metallici a segno della spirale di fumo che usciva dal camino.

La targa alla Risiera di San Sabba

La struttura del forno crematorio venne distrutta con la dinamite dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini, secondo la prassi seguita in altri campi al momento del loro abbandono. Tra le macerie furono rinvenute ossa e ceneri umane raccolte in tre sacchi di carta, di quelli usati per il cemento. Tra i resti venne trovata anche la mazza usata per l’esecuzione dei prigionieri la cui copia, realizzata e donata da Giuseppe Novelli nel 2000, è ora esposta nel Museo (l’originale venne trafugato nel 1981). Triestini, friulani, istriani, sloveni e croati, militari, ebrei, “passarono” per la Risiera.

Studenti e docenti piemontesi alla Risiera di San Sabba

Quante furono le vittime? Calcoli effettuati sulla scorta delle testimonianze danno una cifra tra le tre e le cinquemila persone soppresse tra quelle mura di mattoni rossi. Ma in numero ben maggiore furono i prigionieri e i ”rastrellati” che da lì vennero smistati nei lager — in particolare, a quello di Auschwitz-Birkenau — o al lavoro obbligatorio. La Risiera è un luogo della memoria della deportazione importantissimo, essendo stato il principale campo di concentramento, transito e sterminio italiano (altri campi di transito sorgevano a Fossoli, Ferramenti, Bolzano e — in Piemonte — a Borgo San Dalmazzo). In luogo della memoria importante come lo è la storia di questa città “dalla scontrosa grazia”, come scriveva Umberto Saba, dove sulle piazze e tra le vie soffia la bora e “ s’infrange l’ultima onda del Mediterraneo”.

 

Siamo con Afrin

Il 18 marzo, tre giorni prima del Newroz, l’inizio del nuovo anno per il popolo kurdo caratterizzato da grandi festeggiamenti e dalla speranza di un mondo migliore, le milizie di quello che si definisce Esercito Libero Siriano insieme alle forze armate Turche sono entrate ed hanno conquistato la città di Afrin, capoluogo della Federazione Democratica della Siria del Nord in cui era reale la pace e la convivenza tra i diversi popoli, uccidendo nel corso della loro “gloriosa” avanzata migliaia di combattenti e civili, uomini, donne e bambini, bombardando ospedali e convogli di persone in fuga dalla guerra e dalla violenza. Un paese della NATO, che l’Unione Europea finanzia per “gestire l’emergenza umanitaria” dei migranti provenienti dalle guerre orientali e mediorientali, che pretenderebbe di far parte dell’Unione Europea, ha intrapreso una guerra fuori dai propri confini e senza alcuna necessità di difendere il proprio territorio da attacchi di nazioni nemiche, contro una comunità autonoma, esempio di gestione laica, democratica e partecipativa, più unico che raro da quelle parti, che ha saputo preservare una parte della popolazione siriana dall’invasione di DAESH (l’Isis), colpevole solo di vivere in una zona di confine che il governo turco vuole far propria con il motivo di creare un cuscinetto di sicurezza per il proprio paese.

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Come persone, donne e uomini che hanno a cuore la pace nel mondo e l’eliminazione dei conflitti armati di ogni genere non possiamo accettare in silenzio questo fatto e ci dichiariamo solidali con la popolazione e le autorità di Afrin e della Federazione Democratica della Siria del Nord condannando senza riserve le autorità e l’esercito turco per le morti, la violenza e la distruzione prodotte dalla loro condotta scellerata. Per questo invitiamo tutte le istituzioni locali, nazionali e internazionali a condannare questi atti, ricorrendo a quei provvedimenti che si riterranno più opportuni per indurre la Turchia ed il suo presidente Erdogan, che ogni giorno rivela la sua natura reazionaria e dittatoriale sia nella politica estera che con la repressione ed eliminazione di ogni opposizione interna, al ritiro delle sue truppe da Afrin ed al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Per sostenere questa condanna e manifestare la solidarietà con Afrin e la sua popolazione invitiamo la cittadinanza a partecipare al scendiamo tutti in piazza il prossimo 5 aprile associandoci e dando continuità a tutte le iniziative torinesi, italiane e mondiali in difesa del popolo e delle istituzioni democratiche di AFRIN e di tutta la Federazione Democratica della Siria del Nord. Presidio che si svolgerà giovedì 5 aprile dalle 18 alle 19 in piazza Castello (di fronte a palazzo Madama) a Torino.

 

Coordinamento di cittadine/i, associazioni, istituzioni ed Enti locali
contro l’atomica, tutte le guerre e i terrorismi.
Paolo Candelari
Giampiero Leo

A 80 anni, dopo 25 di procedimento penale, gli viene restituito il posto di lavoro

DALLA SICILIA

Ha compiuto 80 anni ma rientra nel proprio posto di lavoro il funzionario della Motorizzazione civile di Messina, Eduardo Saija, che è stato riassunto con sentenza della Corte d’appello di Messina, in applicazione della  “Legge Carnevale”. L’uomo era dirigente alla Motorizzazione civile di Messina, ma  nel 1993 era stato sospeso a causa di un procedimento penale per presunti reati legati alla sua attività lavorativa. 25 anni dopo arriva  la sentenza della Corte d’appello penale di Messina del 20 febbraio 2009:  assolto per insussistenza del fatto.

40 anni di Croce Verde Vinovo Candiolo Piobesi

La Pubblica Assistenza Anpas, Croce Verde Vinovo Candiolo Piobesi apre l’anno dei festeggiamenti per il 40° anniversario di fondazione con lo spettacolo “Due volte Natale”, in programma il 6 aprile, alle ore 21, all’Auditorium di via Roma a Vinovo

La commedia sarà messa in scena dalla Compagnia teatrale “Un attore per amico”, gruppo composto da volontari e amici della Croce Verde Vinovo Candiolo Piobesi.

«Per celebrare i 40 anni di attività – spiegano i responsabili della Croce Verde Vinovo Candiolo Piobesi – abbiamo in calendario una serie di eventi, a cominciare dallo spettacolo a cura della nostra Compagnia teatrale. Durante l’anno parteciperemo a manifestazioni e organizzeremo open day per far conoscere la nostra realtà di volontariato e dare, allo stesso tempo, riconoscimento ai volontari e a tutti coloro che a vario titolo hanno contribuito a questa storia fatta di quotidiano impegno, di valori sociali e di solidarietà umana». La Croce Verde Vinovo Candiolo Piobesi, associata Anpas, grazie ai suoi 162 volontari, di cui 62 donne, effettua annualmente circa 12mila servizi divisi fra prestazioni convenzionate con le Aziende sanitarie locali, servizi d’istituto, servizi di emergenza 118. Il parco automezzi è composto da otto autoambulanze, due mezzi attrezzati per trasporto disabili e due autoveicoli per servizi socio sanitari e di protezione civile. La percorrenza annua per i servizi resi alla cittadinanza è di circa 360mila chilometri. L’Anpas Comitato Regionale Piemonte rappresenta 78 associazioni di volontariato con 9 sezioni distaccate, 9.471 volontari (di cui 3.430 donne), 6.635 soci sostenitori e 377 dipendenti. Nel corso dell’ultimo anno le associate Anpas del Piemonte hanno svolto 432mila servizi con una percorrenza complessiva di circa 14 milioni di chilometri utilizzando 382 autoambulanze, 172 automezzi per il trasporto disabili, 223 automezzi per il trasporto persone e di protezione civile.