redazione il torinese

La Regione riqualifica fiumi e laghi

Fiumi e laghi: la Regione Piemonte ha come obiettivo il mantenimento o il recupero del buono stato delle acque superficiali e sotterranee in conformità con il Piano di gestione del distretto idrografico del fiume Po e con il Piano di Tutela delle acque, in via di revisione.

Creare passaggi per i pesci,  realizzare dispositivi per la continuità biologica dei corsi d’acqua, intervenire su alvei e sponde per ridurne l’artificialità. Questi alcuni degli interventi ammessi a finanziamento nel bando della Regione, da un milione e 260.000 euro, per la riqualificazione dei laghi e dei fiumi piemontesi, pubblicato il 26 aprile sul Bollettino regionale. Il bando è destinato agli enti locali, con delle premialità per quelli che presentano domanda in forma associata. Gli enti beneficiari del bando sono Comuni, in forma singola o associata, Province, Città metropolitana di Torino, Enti gestori delle aree naturali protette e aree della Rete Natura 2000. Ciascun proponente può presentare, anche in forma associata, fino a due domande di finanziamento per interventi che riqualificano i fiumi e i laghi e le aree circostanti attraverso passaggi per pesci – come la demolizione delle vecchie dighe ed opere trasversali – e migliorano le condizioni idromorfologiche. Fra questi interventi da segnalare la realizzazione di dispositivi che possano riconnettere la continuità biologica dei corsi d’acqua ostacolata da opere idrauliche, il ripristino delle aree umide, e la riduzione dell’artificialità di alvei e sponde. Il limite massimo finanziabile è fissato a 125.000 euro per progetto e per beneficiario. Nei casi in cui il progetto sia presentato in forma associata da più soggetti, potrà essere assegnato un importo massimo di 85mila euro per ciascun beneficiario. Le domande devono essere presentate in modalità elettronica ed entro le ore 12 del 15 giugno 2018. Per la Regione Piemonte la tutela della risorsa acqua è sempre più importante e al centro della pianificazione regionale, sia a livello di organizzazione del servizio idrico integrato, sia per il mondo agricolo e ambientale, nonché da monitorare continuamente nelle situazioni di emergenza come la siccità estiva o le alluvioni.

 

www.regione.piemonte.it

Il gasdotto della pace

FOCUS INTERNAZIONALE  di Filippo Re

Un gasdotto porterà la pace in Afghanistan dopo quarant’anni di guerra e di terrorismo? Sulla carta sembrerebbe proprio così. Tutti lo vogliono, tutti sono pronti a brindare, afghani, talebani, pakistani, indiani, perchè sarà una grande fonte di business per gli Stati coinvolti. Si chiama Tapi (prende il nome dalle iniziali dei Paesi coinvolti, Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India) e porterà, a partire dalla fine del 2019, se tutto filerà liscio, 33 miliardi di metri cubi di gas all’anno dai pozzi turkmeni di Galkynysh in Pakistan e in India attraverso il territorio afghano passando nelle regioni centro-meridionali controllate dai Talebani. La gigantesca infrastruttura occuperà migliaia di persone e darà un sostanziale benessere economico alla regione centroasiatica. Un’opportunità commerciale e politica per rilanciare lo sviluppo della disastrata economia nazionale liberandola dalla dipendenza dal gas russo. Ma dietro queste rosee prospettive restano seri dubbi sulla possibilità di realizzare interamente l’infrastruttura per l’elevata instabilità della regione. Gli attacchi terroristici e le minacce dei talebani e dell’Isis che puntano alla distruzione del gasdotto mettono a rischio il proseguimento dei lavori. Nonostante gli attentati che continuano a sconvolgere Kabul e le altre città afghane qualcosa si sta muovendo dietro le quinte dei contatti segreti in corso da alcune settimane tra il governo di Kabul, appoggiato dagli Stati Uniti e dalle forze Nato, e i Talebani o con una parte importante di essi. Cosa è accaduto? Gli “studenti coranici” si sono fatti avanti e hanno chiesto di trattare con gli americani per tentare di risolvere l’infinita crisi afghana. Colloqui diretti Stati Uniti-Talebani sarebbero un’assoluta novità poiché il gruppo islamista ha sempre anteposto il ritiro delle truppe straniere all’inizio di qualsiasi trattativa con Kabul e i suoi alleati. Il governo afghano ha risposto offrendo una tregua incondizionata ai talebani sperando di aprire una trattativa con i jihadisti. Un piccolo passo avanti verso il dialogo tra le parti sembra dunque esserci, almeno a giudicare dalle parole del portavoce degli islamisti, Zabihullah Mujahid, favorevole alla realizzazione del Tapi nelle aree sotto il loro controllo. Mujahid ha anche ricordato che il primo contratto per la sua costruzione fu firmato dai talebani stessi quando erano al governo dell’ “Emirato islamico dell’Afghanistan”, dal 1996 al 2001. Il progetto, al centro dell’attenzione dei Paesi asiatici da quasi 30 anni, prevede il trasferimento dai pozzi turkmeni (il Turkmenistan è il quarto produttore di gas al mondo) verso l’Asia meridionale di 33 miliardi di metri cubi di gas all’anno ma è bloccato a causa dell’interminabile guerra e per i problemi di sicurezza che comporta il passaggio del gasdotto in Afghanistan per 700 dei 1800 chilometri complessivi del tragitto. Il gasdotto giungerà nelle città afghane di Herat e Kandahar e raggiungerà l’insediamento di Fazilka presso il confine tra India e Pakistan. Il primo tratto della conduttura tra i giacimenti di gas in Turkmenistan e la città afghana di Herat è stato finalmente completato. I leader di Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan e India, insieme ai generali americani e ai comandanti della Nato, si sono incontrati a Herat per festeggiare la fine dei lavori tra imponenti misure di sicurezza messe in atto anche dai 500 militari italiani schierati in città. A finanziare i lavori ci pensa l’Asian Development Bank con dieci miliardi di dollari insieme alla Banca per lo sviluppo islamico ma c’è anche un nuovo attore sceso in campo, l’Arabia Saudita, che ha deciso di investire in modo massiccio nell’esecuzione del Tapi. Questo corridoio del gas porterà sviluppo e cooperazione a quattro nazioni e collegherà l’Asia centrale a quella meridionale attraverso l’Afghanistan dopo oltre un secolo di divisioni, ha sottolineato il presidente afghano Ashraf Ghani, intervenendo alla cerimonia che si è svolta a Herat. Il Tapi non solo riavvicina l’India e il Pakistan e il Pakistan all’Afghanistan, opposti da pesanti diatribe ma ha anche ottenuto il via libera dei Talebani afghani che hanno garantito la loro piena collaborazione”. Un tratto di gasdotto, quello più facile, è stato completato, ora comincia la fase più complicata e rischiosa con l’attraversamento del territorio afghano, metà del quale è controllato dagli insorti, dai talebani ed è colpito ripetutamente dagli islamisti dell’Isis, l’ultimo gruppo arrivato in terra afghana con il trasferimento di migliaia di miliziani dai territori perduti in Siria e Iraq. I Talebani, i ribelli più forti sul campo anche se divisi in fazioni rivali, non sono però in grado di conquistare Kabul e sconfiggere l’esercito afghano, sostenuto da truppe occidentali, e questo può essere uno dei motivi che li spinge a cercare il dialogo con il governo. Il gasdotto porterà il gas turkmeno in Pakistan e in India, oltrechè in Afghanistan, stimolando l’economia in gran parte del Paese asiatico martoriato da decenni di guerra e già ricchissimo di risorse minerarie come l’uranio, a condizione che la guerra finisca. Se tutto procederà nel migliore dei modi, le casse governative riscuoteranno ingenti tasse per il transito della pipeline sul suolo afghano e introiti per 500 milioni di dollari all’anno per garantire la sicurezza delle strutture, in gran parte interrate. Altrettante risorse finiranno nelle tasche dei Talebani, forse superiori a quelle derivanti attualmente dalla coltivazione e dalla vendita dell’oppio che l’anno scorso ha fatto registrare una crescita record. Nei territori amministrati dai Talebani l’aumento della produzione dell’oppio ha registrato nel 2017 un aumento eccezionale di quasi il 90%, percentuale considerata allarmante dal rapporto annuale preparato dall’Ufficio dell’Onu contro il traffico di droga e la criminalità organizzata (Undoc) presentato di recente a Kabul. Ora le condotte verranno allungate verso le bollenti province di Helmand e Kandahar, sotto il controllo talebano, fino al confine pakistano. Ad accelerare i passi dei talebani nella ricerca di un’intesa con Kabul c’è la forte rivalità con l’Isis che può contare su numerosi combattenti ben armati che hanno rivendicato gli ultimi sanguinosi attentati a Herat e nella capitale dove una numerosa folla festeggiava il Nawruz, il capodanno persiano, solennità odiata dai fondamentalisti perchè non islamica. A questo punto non ci resta che sperare nel gasdotto e nei negoziati con i talebani. Anche padre Giovanni Scalese, il parroco di Kabul che vive rinchiuso nel bunker dell’ambasciata italiana, ripone le ultime speranze di pace nel dialogo tra il governo e i talebani e nella costruzione della conduttura trans-afghana. “Solo con la pace possiamo sfruttare le risorse naturali del Paese e far transitare un’opera così importante come la pipeline in costruzione, tutte cose ben più importanti e redditizie del commercio criminale dell’oppio. L’interesse economico potrebbe avere successo dove le armi e la diplomazia hanno fallito”.

Dal settimanale “La Voce e il Tempo”

 

 

 

 

 

Museo Risorgimento aperto lunedì

In occasione della Festa del 1 maggio il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano resterà straordinariamente aperto anche lunedì 30 aprile, secondo il consueto orario dalle ore 10 alle ore 18 (ultimo ingresso ore 17). Una scelta che intende favorire i turisti che saranno a Torino in occasione del ponte ed offrire un’immagine accogliente della città. Saranno organizzate visite guidate al percorso museale sia domani, sia martedì 1 maggio, sempre alle ore 15.30.

Il pubblico potrà inoltre visitare la mostra fotografica “Arma il prossimo tuo. Storie di uomini, conflitti, religioni” allestita nel corridoio monumentale della Camera Italiana. Attraverso gli scatti dei

fotoreporter Roberto Travan ePaolo Siccardi, la mostra racconta alcuni dei luoghi del mondo devastati negli anni più recenti e ancora oggi da guerre, scoppiate per motivi diversi (politici, economici, etnici), ma tutte accomunate da una sottile linea rossa: la religione, il dovere di combattere in nome di Dio, oggi come ieri.

La mostra è stata inserita nel programma di Fo.To. – Fotografi a Torino, la manifestazione che dal 3 maggio propone un fitto calendario di esposizioni e di eventi dedicati alla fotografia. Sarà dunque prorogata fino a domenica 9 settembre 2018.

Allerta per grandine e temporali

E’ allerta gialla su quasi tutta le regione per i temporali e per i venti forti nelle zone appenniniche. L’Arpa – Agenzia regionale per la protezione ambientale prevede maltempo per 36 ore con temporali, localmente forti, sulle aree montane e pedemontane nordoccidentali e settentrionali poi in estensione alle pianure.  Si prevedono forti venti sull’Appennino Ligure. Dopo una pausa lunedì  pomeriggio il tempo sara nuovamente brutto il 1° maggio:  sono previsti temporali, i più forti nel Cuneese, con quota neve 1.600-1.700 metri.

A proposito della Festa del lavoro

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani in occasione della Festa del lavoro intende far soffermare il mondo della scuola sulle problematiche inerenti alla classe docente, che, anche in questi giorni, trovano ampio spazio sui media nazionali.

Nel corso degli anni si è andato consolidando sia un abbassamento funzionale che un ridimensionamento strutturale del ruolo del docente, fattori il cui frutto ha comportato una perdita di consapevolezza da parte dell’opinione pubblica in merito alle reali difficoltà nella gestione di classi sempre più complesse, numerose e articolate e sugli ingenti investimenti connessi all’esercizio di tale professione (laurea, specializzazioni, precariato, concorso). Pare che i docenti siano diventati bersaglio preferito di una campagna denigratoria, che ha per fine quello di smantellare il pensiero critico in una società sempre più consumistica e “allettata” proprio da “sirene” nefaste, che solleticano i più bassi istinti e spingono in direzione del disimpegno più totale, morale e culturale, producendo “disvalori” e falsi miti.

Oggi, rispetto al passato, sono diminuiti sia il tasso di sindacalizzazione sia la partecipazione attiva a causa della disaffezione della classe docente nei confronti delle organizzazioni di settore.

Indubbiamente l’esperienza pratica acquisita sul campo, supportata dall’integrità morale, laddove ci sia, costituisce un ottimo punto di partenza; ma il valore intrinseco costituito dalle letture importanti, anche e soprattutto di contenuto umanistico – giuridico, determina lo spartiacque tra il sapere e il tecnicismo; tra l’improvvisazione, in molti casi, e una visione globale più profonda. Se i docenti vengono malmenati, sbeffeggiati e denigrati, succede perché incarnano principi oramai non solo sorpassati, ma fortemente e tragicamente dissonanti rispetto alla faciloneria “dilagante” attuale. Nell’opinione generale, purtroppo, per fare soldi studiare non serve, come attesta la fuga dei cervelli desolatamente in atto da molti anni nel nostro Paese.

Alla luce degli attuali standard europei, evocati in ogni circostanza e per i più svariati motivi, tranne che per la retribuzione, riteniamo inadeguati gli aumenti contrattuali rispetto alle responsabilità sempre più crescenti connesse all’esercizio di tale ruolo e sconfortante “il processo alle intenzioni” cui quotidianamente viene sottoposta la categoria. Tutti questi singoli fattori insieme producono un effetto devastante, con l’esito finale dello svilimento della figura del docente. Sia ben chiaro che la consapevolezza critica impone continue riflessioni sui meriti e demeriti di tale professione; tuttavia la diffidenza e la mancanza di autorevolezza, che non deriva magicamente solo dal carisma personale esercitato, ma anche da strumenti “veri”, operativi, a disposizione della propria quotidianità lavorativa, non aiutano l’insegnante a esprimersi al meglio nel proprio lavoro. E questo costituisce una possibilità mancata per la società, per la formazione delle future generazioni, e un concreto rischio di burnout per tanti colleghi.

Oggi chiediamo che il lavoro svolto dai docenti delle scuole secondarie venga considerato usurante, in modo da scongiurare situazioni che possano degenerare, anche a causa di condizioni di salute incerte, unite ad un’età ragguardevole. Crediamo sia necessario per il nuovo Governo intervenire al più presto sul tema del precariato, riducendone le dimensioni, e sviluppare politiche che facciano ricongiungere al più presto i docenti di ruolo con le proprie famiglie, specialmente se hanno maturato tanti anni di servizio fuori dalla sede di residenza. Auspichiamo che in questa giornata si possa realmente riflettere insieme e avviare una programma di azioni funzionale al miglioramento della scuola, basato sul dialogo e sul confronto reale con la classe politica attuale. In gioco non ci sono solo i docenti…

prof. Romano Pesavento

Presidente Coordinamento Nazionale Docenti della Disciplina dei Diritti Umani

 

Giovane muore investito da auto. Il conducente era ubriaco

E’ stato investito da un’auto mentre stava attraversando la strada. La vettura lo ha trascinato per decine di metri  e lo ha sbalzato sulla corsia opposta. L’investitore si è fermato per soccorrerlo, ma non è stato possibile salvarlo. E’ morto così un giovane di 28 anni questa mattina presto a Torino in corso Regina Margherita nei pressi del sottopasso di corso Principe Oddone. Gabriele Turcan era di origini romene. Il conducente della Lancia Musa, un suo connazionale di 26 anni, è stato arrestato per omicidio stradale. Gli è stato rilevato un tasso alcolemico di 2 grammi al litro, 4 volte rispetto al valore massimo consentito.

 

(foto archivio)

Moro. L’inchiesta senza finale

A 40 anni dai fatti, la tuttora molto dibattuta vicenda del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro è cruciale per comprendere la storia del nostro Paese. Per chi cerca risposte e non si accontenta di sospetti né di inconcludenti elenchi di interrogativi in sospeso, il problema principale è quello di orientarsi


Un qualificato contributo in questo senso viene dal libro di Fabio Lavagno e Vladimiro Satta: l’uno, sola voce dissonante all’interno della Commissione parlamentare che ha svolto un’inchiesta sulla vicenda Moro dal 2014 a fine 2017, e l’altro ex-curatore della documentazione della Commissione Stragi e storico. Il volume fa il punto sullo stato attuale delle conoscenze, focalizzando l’attenzione sulle risultanze dei lavori più recenti, mettendole a confronto con quelle formatesi nel corso dei decenni e presentando al lettore, in appendice, documenti giudiziari e parlamentari che finora non avevano avuto il rilievo che avrebbero meritato. Inoltre, il libro offre una mini-rassegna stampa di commenti all’inchiesta parlamentare, in cui spicca una lettera aperta scritta dal giudice emerito Rosario Priore, per anni titolare delle inchieste della Procura di Roma sulla vicenda Moro.

Lavagno mostra come il finale, o meglio il “non finale” della recente inchiesta parlamentare fosse già stato segnato dall’impianto politico di cui la legge istitutiva era espressione e come la predilezione della Commissione per le narrazioni in stile ghost story abbia fatto perdere una preziosa occasione per chiudere un periodo drammatico che ha lasciato una profonda traccia nella memoria collettiva. Sottraendo le riflessioni al frastuono delle polemiche, procedendo con rigore ed equilibrio, i tempi sarebbero invece maturi, argomenta Lavagno, per liberare la memoria dai fantasmi, assolvendo così una funzione di umanità e di rilievo politico, oltre che storico. Satta affronta le principali questioni che, attraverso la relazione di dicembre 2017 della Commissione parlamentare, sono entrate e attualmente campeggiano nel dibattito pubblico sulla vicenda: le ricostruzioni giudiziarie, parlamentari e storiche del passato furono condizionate da negoziati tra istituzioni e Br per creare una verità di comodo? L’agguato del 16 marzo 1978 in via Fani poteva essere prevenuto grazie ad un messaggio arrivato dal Medio Oriente? Le Br fecero da sole o furono strumento di agenti stranieri? Cosa c’entrano un bar di via Fani e un appartamento di via dei Massimi? Quali leggende sono state demolite dalla Commissione d’inchiesta?

Il libro di Lavagno e Satta, dunque, si distingue nel vasto panorama dei volumi e dei programmi dedicati all’uccisione di Moro e degli agenti della sua scorta perché è il più aggiornato, perché si basa su evidenze dotate di ampi riscontri e non su impressioni soggettive o peggio ancora su fantasie, perché non lascia il lettore in alto mare e, al contrario, chiarisce il senso della vicenda: il massacro di via Fani ed il sequestro e omicidio di Moro non furono un episodio a sé stante, bensì l’apice della lotta armata che, con tragica coerenza, flagellò l’Italia per lunghi anni, prima, durante e dopo la primavera 1978.

 

 

EDUP 2018 – Pagine 296 – Euro 22,00

La figura femminile nell’arte tra l’Ottocento e il Novecento

Un delizioso quadro di ampio respiro, in cui troviamo rappresentata una piccola bergera nell’atto di portare al pascolo il suo gregge, potrebbe idealmente aprire la mostra. Colpisce, di quella contadinella, lo sguardo sperduto e malinconico, contenuto (come i gesti) in un armonico scenario alpino che per lei é limite invalicabile di paesaggio e di vita. Sguardo ben diverso dal cipiglio fiero, pronto ad agguantare il mondo, della giovane contadina protagonista di un altro dipinto e che forse ha percepito nell’aria irrequieti sentori di novità “rivoluzionarie” portate, anche per lei – con il secolo dei “lumi” alle spalle e le nuove pulsioni romantiche nell’aria – dal mutare delle idee e dei tempi. Due giovani donne, accomunate dal lavoro sostanzialmente similare e dai tempi pressoché combacianti. Eppure così diverse. Anche perché, in ogni caso, nel Bel Paese di fine Ottocento – e a dispetto di una “questione femminile” già altrove emersa negli ultimi anni del secolo precedente – la donna continua ancora, nell’immaginario collettivo a rappresentare pur sempre e soprattutto l’“angelo del focolare” o, di contro, la figura affascinante, raffinata ed elegante, inquieta e perfino trasgressiva dell’aristocrazia o dell’high society d’allora. Manca ancora, nell’ottica del “femminile”, un’impronta di impegno sociale generalizzato, teso a rivoltare cose e fatti e costumi vecchi di secoli. Quella raccontata dalla pittura di fine Ottocento e dei primissimi anni del Novecento è dunque, proprio per questo, una figura femminile dalle molte e controverse sfaccettature. Lo mettono in chiara evidenza le opere esposte fino al 25 maggio nelle sale della Galleria Aversa di via Cavour 13. Opere prevalentemente a firma di artisti di area subalpina, “girovaghi” (almeno negli anni di lavoro e permanenza a Torino e in Piemonte) fra le tre location allora assolutamente tappe d’obbligo per gli “addetti ai lavori”: dall’Accademia Albertina al Circolo degli Artisti alla Promotrice delle Belle Arti.

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Per lo più si tratta di nomi importanti e noti in una stagione pittorica “di alto fervore culturale – ebbe a scrivere Marziano Bernardi – che fece di Torino fra il 1880 e il 1902, con le Quadriennali e le Triennali, il maggior e più vivo centro artistico italiano”. L’itinerario può aprirsi con il torinese Vittorio Cavalleri. Suo quel vigoroso Ritratto di giovane contadina (cui s’è prima accennato), realizzato probabilmente negli anni in cui il pittore si trasferì nella campagna torinese del Gerbido, ospite del pittore Mario Gachet suo allievo. Di quel ritratto, dal segno incisivo e dai potenti richiami cromatici, balza agli occhi la ferma postura “garibaldina” della contadinella con tanto di foulard rosso al collo su camicia bianca a maniche corte e lunga gonna nera. Lo sguardo fiero e l’aria combattiva. Guerriera dei campi. Assai diversa da La contadina del milanese Carlo Bonomi (1928 circa), stupenda scultura in bronzo di essenziale quasi astratta cifra stilistica, in cui l’artista coglie e trascrive con rara sensibilità e mestiere da vendere la fatica e la rassegnazione della donna curva sotto il peso del carico quotidiano. Che è carico materiale, ma anche dell’anima. Simile, pur se calato in un contesto scenico decisamente meno drammatico, a quello de La Bergera (anche di lei s’è detto), opera di Andrea Marchisio, pittore fortemente orientato ai temi “di genere” e di chiara ispirazione romantica, portato a toni cromatici delicati. Torinese anche lui, come Angelo Garino, di cui in mostra ammiriamo Il riposo della Governante, opera piacevolissima e un po’ “sfrontata” nel quieto ma scomposto (e forse rubato) relax dell’inserviente, agghindata all’uopo come allora s’usava, in un interno borghese ricco di elementi d’arredo e alle spalle una piccola quadreria da buon collezionista. Alla poetica visione di una “Maternità” ben partecipe alle multiformi immagini del paesaggio naturale o all’intimità dell’ambito famigliare si ispirano invece il ricco e composito I Fiori della Mamma e il delizioso Dopo il bagnetto dei torinesi Giovanni Battista Carpanetto, ritrattista generoso nell’esuberanza dei dettagli ma anche apprezzato cartellonista pubblicitario, e Celestino Turletti, artista di gran scuola (all’Accademia Albertina fu allievo di Gamba e Gastaldi) e dotato di una particolare vena ironica che lo rese all’epoca assai popolare.

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Al “tema materno” si lega anche la magnifica Maternità sulla spiaggia, parte di un trittico ambientato ad Albenga e realizzato dal piemontese di San Sebastiano Po Demetrio Cosola, certamente fra i maggiori pittori dell’ultimo Ottocento subalpino per le qualità cromatiche e le preziose sottigliezze luministiche di quadri risolti, come in questo caso, con una capacità di sintesi e un’essenzialità di segno davvero stupefacenti. Ricco di reminiscenze impressioniste anche Dolci Sogni o Damina, l’altro quadro di Cosola presente in mostra. Di forti contrasti cromatici e di rapide e corpose pennellate che con acrobatici guizzi danno vita ad un’animata scena mercatale (siamo probabilmente a Venezia), si compone anche Lo Scialle Rosso di Alessandro Lupo: un altro torinese affascinato dal colore, sussidio formidabile – grandiosa quella scomposta imponente macchia rossa che riesce a dominare l’intera scena – ai canoni della più accademica pittura ottocentesca. E accanto, l’esaltante esperienza parigina di un Carlo Pittara, che lasciata ormai alle spalle l’avventura pur gloriosa della “Scuola di Rivara”, un anno prima della morte dipinge un’inaspettata Malinconia, pastello di delicata poesia e di un imprinting accademico perfino un po’ osé che lo accosta – con le dovute cautele – al gusto per le “divine donne” di un Giacomo Grosso o all’elettrizzante fascino della “Belle Epoque” che fu proprio del grande ferrarese Giovanni Boldini. E su questa linea si inserisce anche La Parigina realizzata nel 1911 dal partenopeo Ulisse Caputo, abile nel miscelare la verve orientaleggiante del maestro Domenico Morelli con effetti cromatici di intenso vigore suggeritigli dalle dame eleganti della Parigi del tempo. Lontani monti e campagne, le contadine, le pastorelle, le inservienti e le liriche affettuosità di mamma, siamo ormai al centro di un mondo medio-alto borghese in cui la donna è dorata espressione di eleganza e raffinata bellezza, instancabile animatrice dei salotti cittadini più à la page. E così è per Giulio Rosati, romano (fra i più importanti orientalisti dell’epoca) che nel 1885 compose quel sontuoso all’eccesso Nell’Atelier, non a caso esposto nella mostra “L’Ottocento elegante” tenutasi a Rovigo nel 2011. “Soggetti impero”, dai quali fu fortemente attratto anche Alpenore Gobbi, emiliano di Montecchio. Suo L’anello, dalla resa quasi miniaturistica delle stoffe, degli abiti e degli arredi. Perfino strabordante nella puntigliosa qualità dei dettagli, al pari di Tornano le rondini del napoletano Salvatore Postiglione, eccellente acquerellista, capace di soggetti potenti, ricchi di vita e di colore. Di intensa e profonda poesia, in una sorta di fiaba chagalliana (ancora a venire), vive infine L’Amour en Bleu del marchigiano Serafino Macchiati.

Gianni Milani

 

Nelle foto:

Celestino Turletti, “Dopo il bagnetto”, olio su tela, firmato

Alessandro Lupo, “Lo scialle rosso”, olio su tela, firmato

Angelo Garino, “Il riposo della governante”, olio su tela, firmato

OGGI E’ LA DOMENICA PER LA SOSTENIBILITÀ

Il 29 aprile è la terza domenica ecologica del 2018, delle nove, durante l’anno, dedicate alla sostenibilità ambientale, promosse per stimolare un cambiamento nelle abitudini individuali e nel modo di vivere in città. Le “domeniche“ promuovono la cittadinanza attiva e intendono far crescere la coscienza ambientale.  Domenica il centro storico cittadino, chiuso al traffico veicolare dalle ore 10 alle ore 18 entro i confini della Ztl centrale, diventerà uno spazio aperto e vivibile.  L’area sottoposta al blocco e le abituali esenzioni per particolari categorie di cittadini e di veicoli sono indicate dall’ordinanza apposita.

Inter-Juve: la gioia di Allegri, l’amarezza di Spalletti

Massimiliano Allegri dopo la vittoria per 3-2 della Juve sull’Inter a San Siro dice che bisogna “fare i complimenti” ai calciatori bianconeri. Per il tecnico juventino si è trattato di un “passo importante verso lo scudetto”. Una partita che non si presentava facile  perché “vincere a San Siro è molto complicato. In un campionato in alcuni momenti si possono perdere delle certezze: fortunatamente i ragazzi le hanno ritrovate”. Per il tecnico interista Spalletti, invece,  i suoi calciatori non meritavano questa sconfitta: “una partita che valeva moltissimo… ci vorranno alcuni giorni per smaltirla”, ha dichiarato all’Ansa.