redazione il torinese

Al forte di Bard l’estate “calda” dell’arte

Per prima, una mostra assolutamente particolare e focalizzata su un periodo di altissima creatività nella vita artistica di Henri Matisse; a seguire gli scatti fra il metafisico e il surreale (“frazione di secondo di realtà”) del grande Henri Cartier-Bresson, autentico pioniere del foto-giornalismo e figura mitica nella storia della Fotografia del Novecento; per concludere, i pannelli scolpiti su legno che raccontano la storia della Vallée realizzati da Giovanni Thoux, oggi fra i più originali interpreti della scultura di tradizione valdostana. Il programma espositivo per l’estate 2018 riconferma per il Forte di Bard una collocazione di primo piano fra i poli artistico-culturali di maggior prestigio a livello nazionale e internazionale. Andiamo per ordine.

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“Henri Matisse. Sulla scena dell’arte” – Fino al 14 ottobre.

Mostra inedita. Incentrata sul rapporto che Henri Matisse (1869-1954) ebbe con il teatro e la produzione di opere legate alla drammaturgia, raccoglie oltre 90 opere realizzate dal 1919 fino alla morte dell’artista francese, avvenuta nel 1954. Siamo nel cosiddetto pèriode Nicoise, seguito al trasferimento (1917) di Matisse a Cimiez, sobborgo di Nizza sulla Costa Azzurra. Sono gli anni in cui il pittore lascia parzialmente alle spalle i primitivi istinti fauve per dedicarsi alle sue “odalische” e a quel dipingere in chiave esotica (retaggio dei precedenti e lunghi soggiorni in Algeria e in Marocco) la bellezza delle sue modelle. Semplificazione delle forme, fin quasi all’astrattismo, campiture omogenee di colore, sempre più Matisse rifiuta la tradizione occidentale e si inventa figure danzanti nell’aria, improbabili ed essenziali, di forte cifra decorativa. Questo troviamo nel percorso espositivo al Forte, curato da Markus Muller (direttore del “Kunstmuseum Pablo Picasso” di Munster, da cui proviene buona parte delle tele, disegni e opere grafiche esposte) e articolato in quattro grandi sezioni: dai “Costumi di scena” a “Matisse e le sue modelle” fino a “Le odalische” e a “Jazz”. Una selezione di opere illustra il rapporto fortemente interattivo fra l’artista e le sue modelle, per lui “attrici” della sua arte, mentre l’esposizione di tappeti, abiti, oggetti d’arte orafa, collezionati dall’artista e concessi in prestito dalla famiglia, documentano con evidenza il grande interesse dell’artista per certo decorativismo orientaleggiante. Gli anni Quaranta sono anche quelli in cui il pittore sviluppa la tecnica dei “papiers découpés” (o “pittura con le forbici”, carte ritagliate, sintesi perfetta per Matisse fra colore e precisione della linea) di cui le opere, dai colori dissonanti, della serie “Jazz” – che non poco ispirarono la “pop art” americana e lo stesso Andy Warhol – sono la testimonianza più importante.

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“Henri Cartier-Bresson. Landscapes/Paysages” – Fino al 21 ottobre

Realizzata dal Forte di Bard in collaborazione con Magnum Photos International e Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi, la mostra presenta 105 immagini rigorosamente in bianco e nero, scattate da Henri Cartier-Bresson (1908-2004) fra gli anni Trenta e Novanta, in un curioso e attento girovagare, con l’inseparabile “Leica” al collo, fra Europa, Asia e America. Ogni scatto è rappresentazione di quell’“istante decisivo” che per l’artista – non a caso denominato l’“occhio del secolo” – è il “riconoscimento immediato, nella frazione di un secondo, del significato di un fatto e, contemporaneamente, della rigorosa organizzazione della forma che esprime quel fatto”. Raggruppate per soggetto – alberi, neve, nebbia, sabbia, tetti, scale, ombra, pendenze e corsi

d’acqua – le immagini documentano soprattutto la forte attenzione di Cartier-Bresson, co-fondatore nel 1947 della celebre agenzia “Magnum”, per l’ambiente; l’appassionata attrazione (con esiti non di rado surrealisti, ispirati all’arte fotografica di quell’altro grande che fu Eugène Atget) per il Paesaggio della Natura cui, tuttavia, si affianca a tratti un Paesaggio dell’uomo assolutamente integrato nella perfetta armonia di linee e geometrie formali che caratterizzano quel “mondo immenso del paesaggio” che l’artista “è riuscito a fare entrare nello spazio ristretto dell’immagine fotografica – come scrive Gérard Macérispettando i tre principi fondamentali che contengono la sua personale geometria: la molteplicità dei piani, l’armonia delle proporzioni e la ricerca di equilibrio”.

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“Racines. Eventi e protagonisti della storia valdostana” – Fino al 16 settembre

Ci sono tutti i passaggi chiave della storia locale, dall’insediamento di Saint-Martin-de-Corléans alla conquista romana e all’epoca medievale, fino ad arrivare ai tempi moderni, alla lotta di liberazione dai nazifascisti e alla conquista, il primo gennaio del ’46, dell’autonomia ( che ha permesso alla comunità di riappropriarsi della propria identità ) nei 25 stupendi pannelli scolpiti su legno di cirmolo firmati dall’artista valdostano Giovanni Thoux e ospitati fino al 16 settembre nelle sale dell’“Opera Mortai” del Forte. Nato a Verrès, nel ’35, Giovanni Thoux è figlio d’arte; eredita infatti dal padre falegname la passione per la lavorazione del legno. Dopo un lungo soggiorno in Giappone, a inizi anni Settanta rientra in Valle e affianca i fratelli nell’atelier di ebanisteria fondato dai nonni. Numerosi i premi e i riconoscimenti collezionati in un’ormai lunga attività che lo vede oggi fra i più originali interpreti di una scultura profondamente radicata (“Racines”, radici per l’appunto) alla storia e alla tradizione valdostana. In mostra troviamo bassorilievi in legno policromi, realizzati utilizzando colori ad acqua che l’artista fissa con vernici speciali trasparenti così da lasciare intravedere le venature del legno. A commento delle opere, testi a cura di Omar Borettaz, scrittore e bibliotecario della Biblioteca Regionale di Aosta.

Gianni Milani

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Forte di Bard (Aosta); tel. 0125/833811 – www.fortedibard.it

Orari: dal mart. al ven. 10/18; sab. dom. e festivi 10/19; lunedì chiuso. Aperto tutti i giorni dal 23 luglio al 2 settembre 10/19,30

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Foto

– Henri Matisse: “Il cowboy” da Jazz, stampa su stencil incollato su carta, Tériade Editore, Parigi 1947 – Kunstmuseum Pablo Picasso Munster/Succession H.Matisse/ S.I.A.E. 2018
– Henri Matisse: “L’incubo dell’elefante bianco” da Jazz, stampa su stencil incollato su carta, Tériade Editore, Parigi 1947 – Kunstmuseum Pablo Picasso Munster/Succession H.Matisse/S.I.A.E. 2018
– ph. Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos: “Brie, France”, 1968
– ph. Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos: “A transatlantic arriving in the harbour”, New York City, USA, 1959
– Giovanni Thoux:”Saint Ours”, bassorilievo su legno di cirmolo

 

 

  

 

Quelle estati di libertà in Barriera

STORIE DI CITTA’  di Patrizio Tosetto
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I ricordi di giovinetto in Barriera hanno i colori del sole estivo. I compiti scolastici estivi erano una formalità che avremmo sbrigato a settembre, noi fortunati che iniziavamo le scuole il 1 ottobre. Che poi con qualche aggiustamento del calendario si arrivava anche dopo. Nonostante l’inquinamento i colori rimanevano sgargianti.Giocare con gli amici non era un problema.  Bastava scendere in strada. Ma la parte del leone la faceva l’oratorio. Nelle vacanze estive anche di mattino era aperto. Chiusura alle 12 30. A casa per mangiare e poi di corsa giù in strada,  quattro piani senza ascensore ma la fatica non si sentiva mai. Poi ci siamo “emancipati” e tre giorni alla settimana andavamo in piscina. Piscina Sempione, dove per cambiarti ti davano un braccialetto con il numero della rotatoria. Ti spogliavi in cabina e via in acqua fino a sera quando la sirena suonava l’uscita. Ed il sole si “mischiava” alla assoluta libertà. Non dico amori… ma i primi sguardi a quella ragazzina sorridente  e timida che per tutta l’estate non hai avuto il coraggio  neanche di  salutarla. Tranne all’ultimo giorno, dove al “ciaooo” ci si riprometteva di rivederci a settembre. Cosa che non si verificava mai. Ma allora il tempo era altra cosa. Libertà e sole ci aiutavano nel vivere una Barriera di Milano che era tutta nostra. Poche le auto. Le nostre madri in casa erano fieramente casalinghe. Ed i nostri padri lavoravano alla Feroce (la Fiat). Io ero tra i più fortunati . Mio padre faceva il centrale e qualche volta ci si scambiava parsimoniose parole a cena. Qualche volta si parlava, ma  non esageriamo. Siamo figli di un tempo dove il padre era padre e il figlio il figlio.  Si cenava presto e poi di nuovo giù per strada per le ultime ore di luce. Giochi imposti biglie e ligia. Colpire con una pietra piatta altre pietre vincendo biglie di plastica con l’effige dei corridori da portarsi al mare per le piste di sabbia. Proprio così, ci si divertiva con poco. Che poi i soldi erano pochi. Ed io ero fortunato o abile perché mettevo da parte il ” bottino” per l’ estate al mare o in montagna.  Io fortunato nel gioco e fortunato di essere nato in Barriera dove anche il sole e la libertà erano un’altra cosa. Proprio oggi il rientro da alcuni giorni di relax. Mi sono fermato in Barriera per fare due passi a piedi. E per l’ ennesima volta non l’ho riconosciuta. Non ho voluto riconoscerla. Dalla pulizia delle strade alla convivenza tra le persone, la situazione peggiora sempre di più.  Una decina di persone in uno spiazzo di corso Palermo dietro l’ oratorio della Pace. Integrazione riuscita intorno a molte bottiglie di birra e vino.Tutti ubriachi e sono solo le le tre del pomeriggio. Lontano il ricordo di spensieratezza e il sole accecante di 50 anni fa. Ma al peggio non c’è limite. Telegiornale del Piemonte, notizia dell’accoltellamento perché  due uomini hanno litigato per i loro cani. Via Baltea, proprio lì davanti la sede della mitica 35, sezione del PCI.  Dove alle elezioni il popolo faceva la coda per chiedere chi votare. Sorridente diceva: “di voi comunisti mi fido”. I padri erano braccianti pugliesi che scappavano dai caporali e dalla assurda fatica dei campi nel Tavoliere. Oggi il ferito lotta tra la vita e la morte. L’accoltellatore è in prigione.  Posso solo chiudere gli occhi sperando di vivere un  lirico incubo. Ma so che non è cosi. E mi rifugio nel mio ricordo di libertà e di sole. Per me Barriera è rimasta ferma a 50 anni fa.

Sabato i funerali della famiglia piemontese distrutta nel crollo del ponte Morandi

Saranno celebrati sabato mattina alle 10 i funerali della famiglia di Oleggio (Novara)  distrutta nel crollo del ponte Morandi di Genova:  Cristian Cecala, 42 anni, la moglie Dawna e la figlia Crystal di 9 anni. La messa sarà officiata nella parrocchia di San Pietro e Paolo. Sarà proclamato il lutto cittadino. I  corpi verranno  cremati e i parenti di Dawna hanno dichiarato che vorrebbero seppellire la donna negli Stati Uniti dove abitano le tre sorelle.

In Mare la Pietà

Il 23 agosto  alle ore 12.30 presso il porto di Lampedusa, Fabio Viale presenterà In Mare la Pietà, un nuovo passaggio, questa volta attraverso un’azione performativa, di Souvenir Pietà (Madre), con il patrocinio del Comune di Lampedusa e il supporto della Galleria Poggiali.

Il lavoro dell’artista, da sempre caratterizzato dal virtuosismo della finitura dei suoi marmi e dal riferimento ai capolavori dell’arte classica, è indissolubilmente legato allo spiazzamento percettivo dello spettatore che in diverse occasioni si manifesta attraverso atti performativi. 

 

L’opera Souvenir Pietà (Madre) realizzata nel 2018 è la prosecuzione di Souvenir Pietà (Cristo), realizzata invece nel 2007. In entrambe le circostanze l’artista ha replicato in scala 1:1 la Pietà Vaticana di Michelangelo Buonarroti aggiungendo a questo capolavoro della storia dell’arte uno scarto percettivo determinate: nel primo caso è stato riprodotto il Cristo senza la Madre, nel secondo invece la Madre senza il Figlio a simboleggiare un’angosciata separazione. Il passo successivo del lavoro ha assunto poi una dimensione più concettuale con Lucky Ehi presentata in occasione dell’apertura della sede milanese della Galleria Poggiali. In questo caso Viale ha invitato a prendere posto nel luogo del Figlio e a riempire il vuoto tra le braccia della Madre un giovane nigeriano di religione cattolica sfuggito a morte e persecuzione, conosciuto in un centro di accoglienza per rifugiati di Torino. Quella Madonna in marmo bianco di Carrara diviene una madre universale, delle epoche e delle religioni, accoglie l’ultimo, assume le sembianze di una donna col velo e pare dismettere il portato cattolico connotato e fragoroso per divenire una figura universale velata da un copricapo di misericordia assoluta. Nell’esposizione milanese, la scultura era accompagnata da un manifesto di 4 metri per 3 che occupava tutta la parete della galleria e raffigurava Lucky Ehi nudo nel luogo del Cristo, e dalla registrazione sonora della sua storia di migrante.  Il nuovo passaggio del progetto di Fabio Viale sarà adesso quello di posizionare la scultura orfana del Cristo su un peschereccio ormeggiato presso il porto di Lampedusa in corrispondenza della Guardia Costiera. La statua, rivolta verso il mare, rappresenta la sintesi magniloquente di un messaggio di accoglienza e universalità. La Madre è pronta a ospitare su di sé, nel suo doloroso vuoto, l’universalità dell’uomo che giunge dal mare, offrendo il suo grembo all’intera umanità. Nel pomeriggio il peschereccio lascerà il porto e si fermerà a largo della scosta sud, accanto all’Isola dei Conigli, teatro di innumerevoli tragedie e drammatici naufragi tristemente celebri. La Pietà di Viale allora, in mare aperto, volgerà simbolicamente le spalle alla terra di Lampedusa e lo sguardo alla Libia.

 

 

Ragazzo annegato in piscina. Morta anche l’amica che ha tentato di salvarlo

Voleva fare il bagno in piscina ed è morto annegato un ragazzo di 21 anni. E’ morta anche l’amica, una 19enne di Cambiano che ha cercato di salvarlo. Il dramma in una villa di  Castelnuovo Don Bosco. La giovane vittima è Marco Lipari, di Chieri, che non sapeva nuotare ma pensava che il livello dell’acqua fosse basso. La casa è di proprietà di un medico torinese e i ragazzi, figli dei custodi,  erano con  un gruppo amici.

Muore schiacciato dal trattore

Un agricoltore è morto a 88 anni,  a San Martino Canavese, schiacciato dal suo trattore contro una una legnaia. Sembra dalle ricostruzioni dei fatti che il pensionato stesse smontando un rimorchio e all’improvviso il trattore si è rimesso autonomamente in moto verso una discesa. L’uomo avrebbe cercato di salire in cabina ma non è riuscito. I carabinieri stanno indagando sulla dinamica della vicenda.

Piemonte prima regione con legge per l’autoproduzione dell’energia da fonti rinnovabili

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Autoproduzione e condivisione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Sono questi i princìpi alla base della legge sulle comunità energetiche approvata nei giorni scorsi all’unanimità dalla terza Commissione del Consiglio Regionale del Piemonte e pubblicata  sulla Gazzetta Ufficiale. La nuova norma, che pone il Piemonte come regione all’avanguardia a livello nazionale, permetterà a comunità di persone, enti e imprese di scambiare tra loro l’energia prodotta da fonti alternative. Legambiente, anche attraverso il “Manifesto per l’autoproduzione da fonti rinnovabili” sottoscritto da centinaia di sindaci in tutta Italia, sollecita da diversi anni una modifica della legge nazionale che ad oggi prevede che possano produrre e vendere energia solo cooperative o consorzi storici, e che obbliga i singoli privati a rivendere il proprio surplus alla rete. “Il Piemonte, prima regione italiana a dotarsi di una legge di questo tipo, fa un passo importante nella direzione dell’autosufficienza energetica e della costruzione di un nuovo modello di cooperazione territoriale virtuosa -commenta Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. Una scelta importante che speriamo sia seguita da altre Regioni ma soprattutto dal Governo nazionale che invitiamo a recepire subito la Direttiva europea che verrà approvata ad ottobre su prosumer e comunità dell’energia, per evitare di perdere due anni e aprire subito opportunità nei territori e dar così forza all’autoproduzione e alla distribuzione locale di energia da fonti rinnovabili. La generazione diffusa di energia e un’autonoma efficienza energetica contribuiscono infatti alla riduzione del consumo di fonti fossili, delle emissioni inquinanti e climalteranti, ad un miglior utilizzo delle infrastrutture, alla riduzione della dipendenza energetica, alla riduzione delle perdite di rete e ad un’economia di scala”. Oggi il tema dell’autoproduzione e della distribuzione locale di energia da fonti rinnovabili è al centro dell’interesse generale per le opportunità che si stanno aprendo con l’innovazione nella gestione energetica, grazie all’efficienza e alla riduzione dei costi delle tecnologie e delle reti. Anche in Italia questa prospettiva avrebbe grandi potenzialità perché, in questa forma, le fonti rinnovabili anche senza incentivi diretti, potrebbero offrire un’adeguata risposta alla domanda di elettricità e calore negli edifici e nei territori, creando valore e nuova occupazione. Il Piemonte dunque, prima regione italiana, cerca di intercettare questa opportunità su ampia scala dopo anni in cui sul territorio, in forma sperimentale, è stato portato avanti ad esempio il progetto di Comunità Energetiche del Pinerolese promosso come capofila dal Comune di Cantalupa e premiato da Legambiente per aver avviato un piano di azione orientato all’autosufficienza energetica e volto alla costruzione di una comunità energetica locale. Ora questo tipo di esperienze potranno uscire dalla fase sperimentale e avere un’ampia diffusione. “La nuova legge regionale va nella direzione da noi auspicata –aggiunge Dovana-, anche se avremmo preferito che gli obiettivi e le azioni che vengono previsti per le future comunità energetiche fossero meno generici e prevedessero inscindibilmente la riduzione del consumo di fonti fossili associata con la riduzione delle emissioni inquinanti e climalteranti. Chiediamo quindi alla Giunta Regionale, nella predisposizione dei provvedimenti attuativi della legge appena approvata, di stabilire regole per evitare che l’incentivo alle comunità energetiche diventi un sussidio acritico alla realizzazione di qualsiasi tipo di centrale a biomassa”.

L’agricoltura piemontese guarda al futuro

Giungere ad una sempre migliore qualificazione delle produzioni in un’ottica di filiera integrata che muova dal campo passi alle operazioni di trattamento aziendale dei prodotti e si concluda  con la loro valorizzazione e commercializzazione

 È questo uno dei principali obiettivi annunciati dall’assessore regionale all’Agricoltura Giorgio Ferrero,  presentando in terza Commissione il Documento di economia e finanza regionale (Defr) 2019-2021 per la materia di competenza. “Bisogna migliorare la competitività dei produttori primari integrandoli meglio nella filiera agro-alimentare attraverso i regimi di qualità, la creazione di un valore aggiunto per i prodotti agricoli e la loro promozione nei mercati locali e nelle filiere corte. Serve una più efficace penetrazione nei mercati anche attraverso l’organizzazione sistemica delle imprese orientate ad obiettivi condivisi”, ha spiegato Ferrero.Tra le principali strategie, il Defr individua la garanzia della corretta concorrenza di mercato tramite i controlli sui prodotti di qualità (Dop, Igp, Igt, Sqn, biologico) e lo sviluppo di forme di valorizzazione e di promozione strutturate per differenti livelli comunicativi (il brand Piemonte, i marchi Dop e Igp, il sistema di qualità regionale, i Pat e i prodotti di nicchia) e per le diverse tipologie di target di consumatore e di mercato (locale, interno nazionale, interno europeo e paesi terzi), con particolare attenzione all’internazionalizzazione delle produzioni agroalimentari piemontesi di qualità. Tutto ciò attraverso la garanzia della sicurezza alimentare: dal rispetto delle norme di produzione attraverso analisi chimiche dei vini ai controlli sui residui di prodotti fitosanitari e all’etichettatura e alla tracciabilità dei prodotti zootecnici.Con il supporto dei Fondi europei, l’agricoltura piemontese guarda anche a facilitare l’insediamento e la formazione dei giovani e all’ammodernamento delle strutture aziendali.“Il documento prevede di indirizzare le richieste di intervento in un’ottica di co-finaziamento pubblico-privato con incentivazione al ricorso al credito”, ha aggiunto Ferrero.Altro tema al centro del Defr è il valore dell’acqua, il controllo della sua qualità e la corretta gestione delle risorse idriche.Per l’approfondimento delle conoscenze sulle superfici irrigate dai consorzi è prevista infine la realizzazione dei catasti informatizzati.

 

 

MB – www.cr.piemonte.it

A Montparnasse la tomba dimenticata di Chaim Soutine

In un angolo del vecchio cimitero di Montparnasse, a Parigi, c’è una lunga tomba di pietra, corrosa dal tempo e dalle intemperie, senza fiori e seminascosta da altre tombe imponenti. Sotto questa lapide giace Chaim Soutine, grande pittore di origine russa, scomparso il 9 agosto 1943, insieme all’ultima compagna della sua vita, Marie-Berthe Aurenche, la musa dei pittori surrealisti ex moglie di Max Ernst. Chaim Soutine, decimo di undici figli di un sarto ebreo, fin dall’infanzia viene osteggiato nella sua passione per il disegno da una famiglia, profondamente legata alle tradizioni religiose contrarie alla rappresentazione dell’essere umano, che cerca in tutti i modi possibili di impedirgli di dedicarsi all’arte, infliggendogli pesanti punizioni che creano in lui traumi, ferite e lacerazioni psicologiche che lo accompagneranno per tutta la sua esistenza. Soutine sviluppa una personalità schiva, caratterizzata da un’introversione profonda e da una spiccata timidezza. I fantasmi della sua infanzia continueranno a perseguitarlo, posandosi sulle tele, insinuandosi nei suoi dipinti, popolandoli di figure deformate, di buoi squartati che grondano sangue, di fiori enormi e palpitanti come rosse bocche spalancate, di paesaggi impazziti che sembrano trombe d’aria, tifoni, vortici, raffigurazioni che danno vita ad una pittura personalissima e profondamente coinvolgente fatta di colori violenti e squillanti che caratterizzano i suoi bambini, i suoi piccoli pasticceri, i suoi chierichetti e tutto quel mondo che dal lontano ghetto russo ha trovato spazio e immortalità nella sua arte e nei suoi quadri. Soutine, trasferitosi a Parigi nel 1913, si lega con una profonda amicizia ad Amedeo Modigliani. I due pittori non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro: l’italiano è affascinante, attraente, spavaldo ed esuberante, brucia se stesso e la propria scarsa salute in feste, ebbrezza e gesti folli, il russo è chiuso, timido, malinconico e cupo; la pittura del livornese è naturale, spontanea, fatta di schizzi e di linee buttati giù in un caffè, di donne nude, di amanti belle e spavalde, quella di Soutine è faticosa, meditata, piena di sofferenza, di dolore, casta, pudica, difficile da partorire, da realizzare. Eppure Modigliani prende l’artista russo sotto la sua ala protettrice, convincendo anche il proprio mercante a gestirlo, condividendo con lui gli scarsi guadagni e le lunghe notti insonni trascorse a bere e ad ubriacarsi, dipingendo quattro ritratti di questo amico che rappresenta il suo esatto contrario, una faccia antitetica e al tempo stesso indivisibile di una stessa moneta. Tuttavia quando, nel 1920, Modigliani si spegne all’Ospedale della Charité, distrutto dalla tubercolosi e dall’alcol, Soutine è lontano, a Vance, e laggiù apprende della scomparsa dell’amico. La morte di Modigliani lo sconvolge profondamente e resta traumatizzato anche dal suicidio di Jeanne Hébuterne, compagna del pittore italiano, gettatasi dalla finestra all’ottavo mese di gravidanza. Nuove ferite si aggiungono a quelle che l’artista portava impresse nell’anima, ferite che nemmeno i successi che la sua pittura inizia ad ottenere, scoperta dai collezionisti americani riescono a cicatrizzare.

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Del resto, Soutine si comporta nei confronti dei suoi quadri come Saturno con i suoi figli: li crea e, poi, per una strana paura connaturata in lui, per una sorta di insoddisfazione, li taglia, li brucia, li cancella, dominato da una furia distruttrice. La fama sembra diventare un peso e il denaro che guadagna, attraverso le proprie opere, viene rapidamente bruciato per concedersi lussi che non gli appartengono. Dopo la scoppio della Seconda Guerra mondiale, Soutine, essendo ebreo, è costretto a nascondersi per non essere catturato dai tedeschi e deportato. Deve diventare un fantasma, abbandonare Parigi e cercare rifugio nei centri minori della Francia. Il pittore si volatilizza, scompare, si annulla, sfuggendo a tutti, eccetto che alla morte che lo segue come un’ombra. Una pericolosa ulcera gastrica lo affligge da tempo e a causa di un improvviso aggravarsi del male, l’artista è costretto ad intraprendere un ultimo viaggio verso Parigi per tentare un’operazione che gli sarà fatale, in un carro funebre che lo cela a tutti, trasformandolo prematuramente in un cadavere. Soutine muore il 9 agosto 1943, senza aver ripreso conoscenza. Il decesso, tuttavia, viene segnalato soltanto l’11 agosto, per evitare controlli da parte degli occupanti che continuano, così, a cercarlo. Il funerale si tiene l’11 agosto: oltre alle compagne della sua vita Ma-Be Aurenche e Gerda Grot-Michaelis sono presenti soltanto tre persone nel cimitero di Montparnasse: Pablo Picasso, Jean Cocteau e Max Jacob. Inizialmente la tomba è anonima e soltanto dopo la fine della guerra viene inciso il nome di Soutine. Mentre il suo “Piccolo Pasticcere” batte i record d’asta e i suoi dipinti strazianti vengono ammirati nei grandi musei il pittore di Smilovici riposa dimenticato da tutti, come se, anche nella morte continuasse a perpetrare la necessità di essere invisibile, introvabile, nascosto e a parlare al mondo soltanto attraverso la forza devastante della sua pittura.

Barbara Castellaro