redazione il torinese

Piccole e grandi intese. Da trent’anni se la giocano i soliti

Grande scatto in avanti di Sergio Chiamparino nella lotta dei sondaggi verso il candidato del centrodestra,  fino a ieri in pole position nel vincere le elezioni in Regione Piemonte . Intorno alla Tav si sta giocando quasi tutto. Chiara Appendino si è già  giocata il tutto per tutto per essere considerata un po’ diversa dai suoi sodali pentastellati. Ma l’aver tentato di tenere un piede in due scarpe non paga.    Il terreno della Tav è troppo scivoloso, soprattutto ora con 23 km di galleria in Italia e l’80 % dell’insieme delle strutture in Francia. Poi ci sono i soliti dietrologi. Fanno notare che le 7 pasionarie c’erano e ci sono sempre state dietro le quinte della politica torinese. Evidenziano chi erano e vogliono (forse) diventare. Dei loro rapporti familiari e parentali. Si sono fidate di Chiara e sono rimaste bruciate dalla sua giovane inesperienza e (forse) non si fidano dei partiti esistenti. Con poche certezze, così come c’è la difficoltà di Cirio di rappresentare l’intero schieramento di centrodestra. Ed eccoli i tartufai di notizie e di segnali che chiedono: è realistico l’accordo tra Forza Italia e il Chiampa? Il nostro Governatore ce la mette tutta. Non facile ma non impossibile. Come l’Araba fenice ritorna la possibilità di un accordo sotterraneo tra i berlusconiani e il Chiampa supportato da mille liste civiche. La notizia delle notizie è l’arrivederci del nostro Piero Fassino. Ciau Turin, vado fora a travaié. Ingrata città, ti voglio tanto bene ma non mi hai capito. Ha fatto il sindaco per dovere d’ufficio girando il mondo per far investire capitali qui. Zero riconoscenza da parte degli imprenditori che solo ora si sono accorti di aver sbagliato abbracciando Chiara Appendino.
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Il vicesindaco sfilerà con i gruppettari al corteo No Tav. Mai così in basso le istituzioni locali. I fassiniani non ci sono più ed hanno rotto le righe. Dio per tutti e tutti per sè. Metà da una parte e metà dall’altra. Persino la decennale collaborazione tra Paola Bragantini e Nadia Conticelli sembra rotta. Magari un gioco delle parti con sfondo la candidatura alle regionali. Spunta  poi la candidatura di Mauro Marino. Proprio lui, giovane repubblicano Presidente del Consiglio Comunale di Torino, tra gli inventori di Allenza per Torino e (forse) inventore di Valentino Castellani, grande amico dell’allora potentissimo Enrico Salza, antichissimo amico di Sergio Chiamparino. Ora grande sponsor politico delle Si Tav . Corsi e ricorsi storici. Con alcuni dettagli: sono passati più di 25 anni . Sembra un secolo. E le cavallette pentastellate in tre anni hanno fatto un deserto e l’ hanno chiamato decrescita infelice. Mai demordere. Mauro Marino ha aiutato in modo esemplare Renzi e Boschi. Competente di finanza e buon avvocato. Inoltre affine proprio a questo mondo di alta borghesia torinese. Repubblicano, e tutti conoscevano le simpatie della famiglia Agnelli verso i Repubblicani di Ugo La Malfa. Solo Umberto era democristiano. Una pecora nera in famiglia c’ è sempre.
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Solo che ora non c’ è più la Fiat  e gli Agnelli sono cittadini del mondo. E già qualcuno comincia nel dire che Mauro Marino potrebbe essere un buon candidato a sindaco. Da una parte l’industriale Boglione e dall’altra appunto Marino. I conti tornano anche perché la nostra Chiara Appendino non regge più. Non conta più nulla e le hanno voltato tutti le spalle. E chi a suo tempo si é sbagliato giura che non si sbaglierà più. Ci vuole sia in Regione che in consiglio comunale un governo amico della Tav, pure i francesi ce lo chiedono. Parlare con Toninelli o la Castelli del caso è del tutto inutile. Sono il solito malfidente. Il grande sponsor di Mauro Marino è Mauro Laus. Essendo lucano non dovrebbe far parte del giro da trent’anni. Lui non ha imparato il torinese. Ma è uomo intelligente e  capace di aspettare i tempi maturi. Nel mentre, con il suo nuovo ruolo di senatore, è grande estimatore di Matteo Renzi che non molla e dà direttive al gruppo come al partito. Matteo Renzi che in tempi non sospetti ha detto che Gallo non va bene per fare il segretario regionale. Matteo Renzi che essendo toscano è un attento conoscitore dei cosiddetti poteri forti . Un po’ come noi torinesi: un occhio ai poveri e una notevole attenzione alla finanza e industria . Viceversa non si andrebbe da nessuna parte. Sergio Chiamparino è rientrato in gioco, su questo non ci sono dubbi. 70 anni come non sentirli. Vedremo se simile sorte toccherà al PD. Una cosa è sicura, il centrodestra non sta a guardare.
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Sono stato a Trino dal vice sindaco Roberto Rosso. Anche qui ( forse ) la storia si ripete. Il Roberto Rosso che ha perso con Sergio Chiamparino. Il Roberto Rosso che non andando d’ accordo con Enzo Ghigo ne ha denunciato la scorrettezza: al ballottaggio mi ha boicottato. Ora che Enzo Ghigo è tra i più accaniti sostenitori dell’accordo con Chiampa. Roberto Rosso che nella Sala di Camillo Benso Conte di Cavour nel Comune di Trino mi ripeteva : “con Fratelli d’ Italia desidero dire la mia alle regionali. Non si vince o si perde la Regione solo con Torino. Anzi il centrodestra vince soprattutto fuori da Torino. Sono anche consigliere comunale di Torino. E anche a Torino sono cambiate le cose…nella continuità”. Tre anni sono bastati per capire che con i pentastellati non c’è molto da capire.
Tre anni per capire che se la giocano i soliti, da trent’anni a questa parte.
Patrizio Tosetto

L’omaggio a Bertolucci, i ragazzi e la solitudine, ancora la famiglia con i suoi problemi

Dal pomeriggio di lunedì, scorrono prima di ogni proiezione sugli schermi del TFF36 immagini dei film di Bernardo Bertolucci, tra il rosso di Novecento e il bianco e nero delle prime prove. Un montaggio preparato velocemente, un omaggio dovuto (che avrà la sua giornata domenica prossima, quando al Massimo 3 verranno proiettati Novecento, Il conformista e Io ballo da sola). Lui dice: “Come vorrei vedere oggi un film di Bergman in 3D, come vorrei vedere oggi un film di Fellini in 3D, come vorrei vedere il mio prossimo film in 3D. Credo che quella rivoluzione tecnologica che oggi vediamo operare nel cinema sia un tappeto volante su cui bisogna saltarci sopra”. Ha detto Emanuela Martini: “Un visionario, un intellettuale, soprattutto un sognatore. Bernardo Bertolucci, dopo la rivoluzione, ha fatto il cinema come non immaginavamo più di farlo: più grande della vita, e per questo capace di restituirci tutta la vita, e la Storia, e la memoria, e il futuro, nelle loro profondità”. E ogni volta scatta forte l’applauso. Ciao Bernardo.

 

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Intanto l’Ufficio Stampa del festival consegna le prime cifre, le prime affluenze. Nel primo weekend (venerdì 23 – domenica 25), oltre all’aumento degli accrediti rispetto allo scorso anno, si registra anche un aumento di biglietti venduti, passando dai 15.459 della passata edizione ai 16.174 di oggi. Una leggera flessione al contrario per gli abbonamenti, siamo passati ai 603 odierni contro i 667 del 2017, mentre gli incassi complessivi nei tre giorni ammontano a 164 mila euro a fronte dei duemila in più precedenti.

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Forse il più bel film visto finora al festival è The guilty del regista danese Gustav Möller, 85’ serrati, di quelli che senti di dover ammirare fotogramma dopo fotogramma, non una sbavatura, una tensione fatta di voci concitate e di brevi silenzi, di domande e dell’attesa delle risposte che a volte non arrivano immediate

L’attore protagonista si chiama Jakob Cedergren, c’è da sperare che la giuria si ricordi sia di lui che del film. L’uomo è incollato ad un tavolo e ad uno schermo, auricolare e microfono sempre in funzione, telefonate in cerca di aiuto, anche stupide a tratti o di drogati colpevolizzati e mandati al diavolo. Confinato al pronto intervento telefonico, per un’indagine interna, si saprà, un collega coinvolto: riceve la chiamata di una donna che sostiene di essere stata rapita, che forse è sotto il terrore di un’arma, accusa il proprio compagno. Tutto accade in tempo reale, sotto le luci fredde di un’unica stanza, la macchina da presa fatta di primissimi piani che tirano fuori emozioni, rabbie, timori, solitudini, voglia di riscatto, in una dura descrizione come raramente ricordiamo di avere visto sullo schermo, in una lotta ad ogni secondo tra realtà e apparenza, in uno spasmo che corre diritto verso la sequenza finale. Un thriller ma certo non soltanto, una sequenza di immagini esatte, di emozioni autentiche, capaci di far provare allo spettatore una perfetta, lenta immedesimazione. Sul terreno della debolezza corre al contrario Angelo, produzione Austria/Lussemburgo firmata da Markus Schleinzer (alla sua opera seconda), che ha coinvolto pure la nostra Alba Rohrwacher, 111’ suddivisi in tre capitoli, tediose immagini a camera fissa e tediosa la vicenda di cui non sentivamo davvero la necessità. Che è quella di Angelo Soliman, personaggio del Settecento viennese, storicamente qui adattato alle leggi del cinema, strappato al continente africano all’età di sette anni, nato forse nel Camerun o forse in Nigeria, venduto a una duchessa, battezzato e istruito, paggio alla corte di principi, promosso al rango di “Moro principesco”, conoscitore di ben cinque lingue, viaggiatore, chiamato a far parte di delegazioni impegnate in diverse corti, amico di musicisti (Mozart che si ricordò di lui per uno dei personaggi del Flauto Magico e Haydn), iniziato alla Loggia massonica nella capitale austriaca. Un matrimonio segreto gli negò in seguito la protezione del suo principe e alla morte, nel 1796, l’imperatore Giuseppe II volle che il suo corpo venisse scuoiato e impagliato, posto in una teca e mostrato al pubblico, tra animali e oggetti del vecchio continente: sino al giorno (i moti del ’48) in cui la collezione imperiale sistemata nella biblioteca dell’Hofburg venne spazzata via da una granata e dall’incendio che ne seguì. Il film ci rende tutto questo in maniera sbiadita, in un anonimato che non fa altro che elencare dei fatti, senza alcuna emozione, poveramente, quadro dopo quadro, e non sono certo sufficienti l’ambientazione (dove concorrono peraltro incomprensibili apporti di oggi) e i costumi o le bellurie della fotografia a farcelo accettare a cuor leggero. Se il tema del lavoro ha trovato al festival il proprio giusto spazio, attualissimo, anche la famiglia con le disgregazioni che si formano all’interno, con l’assenza di questo o quel genitore, con i figli spinti a crescere troppo in fretta occupa più di un titolo. Tematiche più che simili le abbiamo già saggiate nei giorni scorsi, anche qui applausi e pollici versi si confondono, per qualche tentativo riuscito davvero malaccio ti chiedi che cosa abbia spinto i selezionatori a metterlo in concorso. Tra i cattivi, Nervous translation della giovane regista filippina Shireen Seno, storia di una bambina di otto anni, perennemente chiusa in casa, una madre impegnatissima con il lavoro e per nulla affettiva, un padre assente che comunica con la figlia attraverso nastri registrati che puntualmente le invia. La piccola, oltre a crescersene tutta sola, è obbligata a impiegare il proprio tempo: e la regista registra ogni dettaglio dei suoi giochi, della preparazione e della cottura di cibi in una piccola cucina in miniatura, per tanti interminabili minuti, sicura delle proprie scelte, dei tempi impiegati, del vuoto quotidiano di cui si vuole dare testimonianza ma che bisticcia tremendamente con le leggi della sintesi e del montaggio. Non si approda a nulla. Con buona fuga dello spettatore. Mentre una gran bella maturità si apprezza nell’adolescenziale All these small moments dell’americana Melissa Miller, dove l’impacciato Howie deve combattere contro le debolezze di due genitori che sono lì lì per dividersi, contro le ansie di un fratello minore che forse vorrebbe crescere più di lui, contro i primi desideri per una ragazza, pure lei affettivamente male in arnese più grande di lui e incontrata per caso una mattina in autobus, contro i sinceri sentimenti di una compagna di scuola, triste e bullizzata. Howie, sconquassato fuori e dentro di sé, tira dritto per la sua strada, vivendo giorno dopo giorno quanto più può, trincerandosi nella calma e mettendo ordine con il prevalere dei veri sentimenti. La regista, alla sua opera prima, quei piccoli momenti ce li lascia gustare tutti, con intelligenza, con un’osservazione intima e costante, con i tanti particolari colti al volo che costruiscono il film, con gusto e con ironia. Speciale il giovane protagonista Brendan Meyer, tutto vero, dalla testa alle scarpe.

 

Elio Rabbione

 

 

 

Nelle foto grandi: Jakob Cedergren è l’ottimo interprete di “The Guilty” del danese Gustav Möller; una scena del deludente “Angelo” dell’austriaco Markus Schleinzer; “All these small moments” dell’americana Melissa Miller, altro film applaudito in questi giorni al Torino Film Festival

Allegri commenta la qualificazione: “Merito del lavoro quotidiano della squadra”

Massimiliano Allegri festeggia su Twitter la qualificazione bianconera agli ottavi di Champions League conseguita con un turno di anticipo in occasione della vittoria con il Valencia. “Raggiungere il primo traguardo di tappa stagionale così è un premio per il lavoro quotidiano dei ragazzi. Ci aspetta un dicembre importante, da giocare con la stessa energia”. C’è in ballo il primo posto nel girone a Berna scontro lo Young Boys nell’ultimo turno. La  vittoria garantirebbe alla Juve la sicurezza di piazzarsi davanti davanti al Manchester United.

 

(foto: Claudio Benedetto www.fotoegrafico.net))

Un calcio al razzismo

Il Centro per l’UNESCO di Torino e Juventus Football Club s.p.a. indicono la IX edizione del Bando “Un Calcio al Razzismo”

 

DUE CONTRIBUTI LIBERALI DELL’IMPORTO DI 5.000 € LORDI CIASCUNO PER 

a. Associazioni di volontariato ONLUS, operanti nella Regione Piemonte e iscritte al Registro Regionale del volontariato

b. Associazioni di volontariato ONLUS, operanti in Italia e iscritte al Registro Regionale del volontariato di riferimento

 

DOMANDE DA PRESENTARE ENTRO IL 31 GENNAIO 2019. 

 

Scarica il bando qui 

Vincent, che disegnava le stelle

 

Nessuno aveva idea da dove venisse quell’uomo allampanato, magro come un chiodo. Il volto, incorniciato da una rada barba grigia, era illuminato da due vivaci occhi neri, che luccicavano al riparo dalle folte sopracciglia. Parlava poco ma in quel poco  dava prova di una grande padronanza della lingua che usava con una dizione praticamente perfetta, da accademico. Un fatto, questo, che rendeva ancor più stridente il contrasto con la sua figura dimessa, infagottata nella lunga e lisa marsina con le grandi tasche sformate dall’uso. A tracolla portava una piccola cassetta di legno con colori e pennelli e , sottobraccio, un seggiolino pieghevole e alcune tele. Sul lago apparve sul finire dell’estate che, come capitava spesso dalle nostre parti, tra un temporale e l’altro, aveva ceduto ben presto il passo ad un anticipato autunno. Nell’aria si avvertiva già quel sapore d’ottobre quando nelle ore del meriggio l’aria rinfrescava portando in giro quei profumi di terra bagnata, muschio e funghi che s’accompagnavano all’arcobaleno di  colori morbidi e caldi che si confondevano nel giallo e nell’arancio, nel marrone e nel rosso delle foglie.

barca pennelli

Vincent si soffermava a guardare la natura e i giochi di luce, sedendosi al margine di un bosco oppure su una panchina del lungolago, guardando le isole e oltre, dalla parte opposta dov’era la “sponda magra” del Maggiore. A Vincent piaceva quel lago dall’anima volubile, simile in tutto e per tutto a quella di una donna di carattere e spirito. Amava quei colori pastello  che salivano dalle morbide e azzurre onde al verdazzurro dei dorsi di monti alle spalle di Luino, Laveno e più in giù, tra l’’Eremo di Santa Caterina del Sasso Ballaro e  la rocca Borromea di Angera. Colori che, all’improvviso, potevano mutare in tinte scure e minacciose sotto i venti impetuosi, mugghianti delle tempeste. Era un mondo che lo incuriosiva, popolato da gente di frontiera, battelli che solcavano le acque  e orizzonti racchiusi tra le montagne. Era un solitario e apprezzava i silenzi e quella riservatezza fatta di sguardi complici e di parole annodate alle brezze della tramontana e dell’Inverna. Ma Vincent, più di ogni altra cosa, amava le stelle. Le dipingeva quando comparivano e prima che sparissero. Per ogni alba che schiariva il cielo, accompagnando gli ultimi astri al riposo o per ogni firmamento pieno di lucenti stelle, Vincent aveva occhio e cuore nel trasferirne l’emozione sulla tela, in colori e delicati colpi di pennello.

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Il fornaio, Degrande, guardando i quadri, sospirava ogni volta, ripetendo : “Se esiste il pan di stelle, qualcuno l’ha sbriciolato in cielo. Guarda come pulsano vive, brillano luminose. Mamma mia, che belle!”. E assestava una manata di compiacimento sulle spalle di Vincent, lasciandogli la sua infarinata impronta sulla giacca.Prima di arrivar lì, in primavera si era fermato sulle colline del Monferrato per non perdere l’appuntamento con le Liridi che ogni anno, a metà aprile, sciamavano per il cielo con la loro cascata di stelle cadenti. “Quel nome strano”, diceva a chi lo ascoltava incuriosito,”lo prendono dalla costellazione della Lira, dove appaiono, tra Ercole e il Cigno. Uno spettacolo di piccoli frammenti luminosi che, entrando nell’ atmosfera, si disintegrano in spettacolari fiammate”. Poi, più per onorare  la tradizione che per altro, causa il brillare della luna piena,  il 10 agosto – la notte di San Lorenzo –  erano saliti fino all’alpeggio della Scèrea per osservare lo sciame meteorico delle Perseidi. Nonostante fossimo stati graziati dal tempo in quell’estate che pareva un autunno, il cielo era così luminoso da rendere quasi impossibile vedere qualche scia di stella cadente. Infatti, solo l’Audenzio Marchelli, ad un certo punto, gridò “Ne ho vista una! Un bolide! Grossa!”. Ma la vide solo lui e forse quel litro di Barbera che si era scolato da solo alla  Casa del Popolo aveva contribuito più del dovuto a far sì che vedesse ciò che non apparve agli sguardi degli altri. Ad ogni modo la traccia lasciata dalle Perseidi che attraversano i nostri cieli si poté vedere, in misura minore, fino a oltre la metà di agosto. Ma furono poche, isolate apparizioni. E siccome era noto che è meglio essere sdraiati piuttosto che seduti, armandosi di pazienza poiché gli occhi hanno bisogno di un po’ di tempo per adattarsi al buio e vedere meglio ciò che accade nell’oscurità del cielo, ai due fratelli Sgranocchi capitò di finire nel prato delle vacche del Carlin.

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Lunghi e diritti, distesi in mezzo ai “boasc”, le “boasse”, le cacca delle mucche. E ci vollero un bel bagno nel Selvaspessa e un paio di “giri” nel mastello con la lisciva – loro e i loro vestiti – per togliersi di dosso quel “profumo” che non era certo di violetta. Intanto Vincent, notte dopo notte, dipingeva. E di giorno, s scriveva sul suo quaderno nero dalla copertina di cartone sottile, con l’etichetta appiccicata, bianca e rossa, dai bordi frastagliati come quelli delle fotografie di un tempo. Ci scriveva ogni cosa e serviva a tante cose. Lo usava come “segna conto”, dove il signor Lipelli riportava la spesa che avrebbe dovuto pagare alla fine della settimana o del mese; vi riportava le impressioni dei suoi viaggi e degli incontri che gli capitava di fare, fissandoli sui fogli per non disperderne la memoria. E, soprattutto, riportava alcune frasi che l’avevano colpito. Una più delle altre. Questa: “…guardare le stelle mi fa sempre sognare, così come lo fanno i puntini neri che rappresentano le città e i villaggi su una cartina. Perché, mi chiedo, i puntini luminosi del cielo non possono essere accessibili come quelli sulla cartina della Francia?”. Queste parole, scritte da Vincent Van Gogh in una delle famose lettere al fratello Theo, rappresentavano  un’ulteriore conferma del fascino che quei “puntini luminosi” esercitavano anche sul “nostro” Vincent.

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Molti quadri di quell’artista straordinario e maledetto erano  costellati di quei  “puntini luminosi” sospesi nel blu e nel nero della notte che solo all’occhio inesperto potevano sembrare messi lì a caso dalla fantasia del pittore olandese  quando invece erano frutto di una scelta ben precisa. E qui Vincent s’infervorava, dimenticandosi d’essere taciturno. Raccontava ,ad esempio, com’era nato la Notte stellata sul Rodano, uno dei suoi quadri più celebri. Quando iniziò a lavorarci nel 1888, cioè prima di incontrare Paul Gauguin, Van Gogh si trovava già nella città di Arles, dove tra le sponde del fiume Rodano scoprì un punto adatto per rappresentare un soggetto che lo rende particolarmente felice. «Sto lavorando […] a uno studio del Rodano, della città illuminata dai lampioni a gas riflessi nel fiume blu. In alto il cielo stellato con il Gran Carro, un luccichio di rosa e verde sul campo blu cobalto del cielo stellato, laddove le luci della città e i suoi crudeli riflessi sono oro rosso e verde bronzeo…», scrisse infatti il pittore.

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Ma c’era di più. “Un astronomo è persino riuscito a stimare l’esecuzione del quadro in una notte compresa tra il 20 e il 30 settembre 1888 alle ore 22;30 grazie a un a ricerca accurata della posizione dei “puntini luminosi“, disse Vincent. Incuriosendoci,aggiunse: “E notò persino un piccolo errore: la costellazione dell’Orsa Maggiore, rappresentata sopra le luci della città, appare infatti deformata, cosa che farebbe supporre una pausa di almeno quaranta minuti nell’esecuzione dell’opera, essendo il cielo notturno mutato col trascorrere del tempo. Forse il pittore si è dedicato ad altro, per poi riprendere il lavoro e fissare “erroneamente” le rimanenti stelle in una posizione diversa. Non è incredibile,eh?”.Scuotendo la testa, sedendosi su una vecchia pietra miliare, sospirò: “Non avremo mai certezze sulla ragione che spingeva Van Gogh a rappresentare su tela quei “puntini luminosi” incisi, appunto, come su di una cartina geografica in cielo, ma a giudicare dalla passione con cui noi artisti e pure gli scienziati scrutano il cielo potete almeno intuirlo anche voi”. Non lo disse ma s’intuì il suo pensiero su Van Gogh, alla ricerca di Dio nel cielo stellato, tormentato dal “male di vivere” tant’è che, in una lettera, scrisse “Se prendiamo il treno per andare a Rouen o a Tarascona, possiamo prendere la morte per andare in una stella”. Così, scacciati i pensieri,  ci siamo dati appuntamento per la notte del 14 dicembre, nella parte alta della “Tranquilla”, a nord di Oltrefiume, in vista della cava di granito. Lì, con gli sguardi rivolti al cielo, a rincorrere le traiettorie delle stelle cadenti d’inverno, le Geminidi. Si sarebbe potuti venire anche qualche giorno più avanti, aspettando il rientro di Paolo dal nord Africa dove si era recato ( mi pare in Algeria)  sei mesi prima per ragioni di lavoro, ma il rischio era alto. Lo sciame era visibile fino al 19 dicembre ma occorreva evitare che venisse penalizzato dalla Luna molto ingombrante. E già ad agosto eravamo rimasti con un palmo di naso, a guardar per aria quel cielo illuminato a giorno. ”Le Geminidi in genere non deludono mai, sono le stelle cadenti più belle dell’anno, più suggestive delle Perseidi di agosto per intensità, luminosità, colori”, diceva Vincent.

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E lo spettacolo  fu davvero memorabile. Una straordinaria  cascata di stelle che disegnarono traiettorie da una parte all’altra del cielo. E andò avanti per tre notti, visibile anche in riva al lago, dove stavamo lì tutti: noi a guardare, Vincent a dipingere. Tutti infagottati per ripararci dal freddo pungente. Ogni tanto si “riparava” nel bar dell’Imbarcadero. Dalla radio accesa del bar udimmo una canzone “..l’estate prendeva una piega di nuove speranze.. cadevano stelle come fosse l’ultima notte felice del mondo.. l’ultima notte importante per dimenticare di essere soli..di essere soli da sempre”. Il titolo, che l’annunciatrice aveva quasi sospirato, era poesia pura: “Le stelle cadono nella notte dei desideri”.  Ci scoprimmo a farci delle strane domande. “Ma dove cadono, le stelle? E che rumore fanno? Forte? O solo un fiato di vento, leggero, leggero? Dove cadono le stelle?”. Franco Splolito, l’amico poeta, non perse l’occasione. Fece un lungo respiro. Socchiuse gli occhi e allungò il braccio destro, aprendo la mano.

notte rodano

E declamò. “ Cadono le stelle e non fanno rumore, affascinanti scie luminose che solcano il cielo, in attesa di essere raccolte per dar luce ai nostri desideri …Fiammelle tenuti  nella nera notte,illusioni fatue  per chi speranza più non ha e per chi alla speranza non rinuncia…Lucciole  che brillano, indistinto chiarore di un sogno cercato, voluto, sperato. Stelle luminose, che nell’universo sono le gioie più preziose..”. Alvaro, con le lacrime agli occhi per la commozione, applaudì. E anche Ugo, Filiberto e Giovanni batterono le mani. Jolanda, invece, nascondendo il volto in un fazzoletto, sospirò un appena percettibile “ grazie, Franco”. Lui, dopo un rapido inchino, guardò Vincent e disse: “Amici miei, è questo nostro artista che va ringraziato. E’ lui che, con pennelli e colori, da corpo ai nostri sogni”.  Qualche mese dopo, ai primi annunci di primavera, una mattina, passando davanti all’osteria del Gallo Nero, non lo vedemmo seduto sulla panchina dov’era solito riordinare la sua borsa degli attrezzi. Chiedemmo dove fosse, ma nessuno sapeva la risposta. Forse se n’è andato giù al lago a dipingere.. Forse è dall’Ugo, a scegliere dei colori.. O dalla Maria dell’Osteria dei Gabbiani, dai. Si è sempre saputo che per la Maria aveva un debole, no? .. Ma lui non era in nessuno di questi posti e nessuno l’aveva visto o incontrato. Solo il vecchio Samuele disse che gli era parso di vederlo andar via, a notte inoltrata, sulla strada verso Stresa. Ma lo sapevano tutti che a Samuele piaceva bere e che la sera era talmente “carburato” da scambiar lucciole per lanterne.. Fatto sta che passo l’intera giornata e verso sera di lui non s’era vista nemmeno l’ombra. Vincent non c’era più. Se n’era andato, In silenzio. così com’era arrivato quasi un anno prima. Erano solo rimaste, in cielo le stelle. Tante, belle ma meno luminose del solito. Quasi fossero tristi. Ma le stelle, possono essere tristi? Vincent avrebbe risposto che forse sì. O forse no. Alzando un poco le spalle, inarcando le sopracciglia, abbozzando un sorriso. Ma Vincent era ormai lontano.

 

Marco Travaglini

 

Ecco il nuovo “Lingotto cinese”

Il Politecnico di Torino ha vinto, nel settembre 2017, il concorso internazionale nell’ambito della trasformazione della ex fabbrica di Pianoforti Pearl River Piano Group nella città cinese di Guangzhou (Canton)

 

Ispirandosi al Lingotto, l’architetto torinese Michele Bonino e i suoi collaboratori trasformeranno questa area in un parco della musica e del cinema aperto alle start up e all’innovazione.Il nascente Pearl River Piano Cultural Park, soprannominato dalla stampa italiana il “nuovo Lingotto Cinese”, si presenta in effetti con una struttura dalla straordinaria capienza di 133.000 mq, capace di ospitare 7 macro aree funzionali: industria musicale, cinematografica, museo didattico, scuola musicale, incubatore per imprese, servizi e creazioni di eventi culturali e d’intrattenimento. L’operazione della Pearl River Piano Cultural Park si pone inoltre come uno dei maggiori futuri centri attrattivi nella città di Guangzhou, stimando circa 5mila presenze giornaliere di persone impegnate in attività lavorative e oltre 3mila visitatori giornalieri.In questi giorni una delegazione di Guangzhou, coordinata dalle Relazioni Internazionali della Città di Torino, è in visita a Torino per presentare questa importante trasformazione urbana. A Palazzo civico è stato illustrato il progetto agli assessori Francesca Leon, Alberto Sacco e Marco Giusta e, con un video, a Lucia Pasqualini Console di Italia a Guangzhou, e al sistema imprenditoriale torinese.Successivamente è stata sottoscritta una proposta di collaborazione fra la Città di Torino, la Città di Guangzhou e il Politecnico.La giornata è stata quindi l’occasione per aprire un confronto tra operatori nei campi del cinema e della musica, ma anche nel settore dell’innovazione e del food & beverage, sulle opportunità imprenditoriali e di collaborazione tra istituzioni cinesi e torinesi. Il confronto è stato finalizzato ad aprire un ponte istituzionale tra i due territori, nell’ottica di apportare benefici e facilitazioni in termini di investimenti e trasferimenti culturali, all’interno del futuro Pearl River Piano Cultural Park.

 

Nel pomeriggio la delegazione visiterà il Politecnico di Torino, con il quale la Pearl River Cultural Management Park coopera in maniera frequente ormai da diversi anni. Ad accogliere la delegazione, il Rettore Guido Saracco e il professor Michele Bonino, Delegato del Rettore per le Relazioni con la Cina. Infine, nella mattinata di mercoledì 28 novembre si terrà nella sede della Film Commission Piemonte, un workshop operativo finalizzato a creare opportunità di collaborazione tra la Pearl River Piano Cultural Management Park e il sistema di imprese e istituzioni torinesi che operano nei settori della produzione musicale e cinematografica.

Melegatti. Il ritorno

Il ritorno in scena e quindi sulle tavole italiane, della Melegatti ci riempie di gioia. Quasi un modo per festeggiare, in anticipo il Natale

A Verona, la Melegatti ha riaperto, seppur a ranghi ridotti, lo stabilimento dolciario, ridando lavoro a 35 addetti. Dopo 124 anni di onorata attività, anche questo storico marchio rischiava di chiudere e si spera che altri ne vengano assunti. Tutti si aspettavano che, dopo il via libera del Tribunale di Verona all’azienda Melegatti per l’autorizzazione alla produzione, in tempo utile, per le festività pasquali della linea dolciaria, l’acquisto avvenisse da parte del Gruppo Hausbrandt Trieste 1892, operativo nei settori di caffè, birra, vino e alta pasticceria: 500 addetti, 98 milioni di fatturato nel 2017.  Le offerte ventilate facevano l’ ipotesi di ristrutturazioni del debito con un assegno proposto a garanzia di 1 milione di euro. Somma ovviamente insufficiente al risanamento dell’industria dolciaria, ma sufficiente indizio di intenzioni serie da parte del Gruppo estremamente solido della Famiglia Daniele Zanetti. Non è stato così anche se l’apertura è avvenuta, ma bensì da parte dell’imprenditore veneto Roberto Spezzapria e suo figlio Giacomo. La riapertura in tempo per la scorsa Pasqua non c’è stata e quella per le festività natalizie, sono arrivate tardi, ma ancora quasi in tempo. Auguri alla Melegatti e, se non siete a dieta, mangiate il suo panettone.

Tommaso Lo Russo

 

Sformato di funghi porcini

Ottobre tempo di sagre in tutto il nostro bel Piemonte…Proprio alla sagra del fungo ho assaggiato questo sformato che vi invito a  provare

 

Ifunghi sformatongredienti per 6 persone:

300gr. di funghi porcini freschi
30gr. di funghi porcini secchi
300gr. di ricotta
50ml. di panna da cucina
30gr.di parmigiano grattugiato
1 piccola cipolla
1 ciuffo di prezzemolo
olio, sale, pepe

 

 

Ammollare i funghi secchi in acqua tiepida. Nel frattempo, pulire i funghi, tagliarli a pezzi e farli saltare in padella con cipolla e prezzemolo tritati, olio. Dopo 5 minuti, unire i funghi ammollati, strizzati e tritati, aggiustare di sale e lasciare insaporire per qualche minuto. Quando freddi, frullarli nel mixer (tenerne qualcuno da parte per guarnire) con le uova, la panna, la ricotta, il parmigiano ed il pepe. Imburrare uno stampo (o 6 stampini individuali), versare il composto e cuocere a bagno-maria in forno caldo per 30 minuti a 200 gradi (fare prova stecchino).Togliere dal forno, sformare e guarnire con i pezzi di funghi rimasti e qualche foglia di prezzemolo. Un successo garantito.

Paperita Patty

Cinque compagnie piemontesi in giro per il mondo

Move! è il nuovo fondo annuale ideato da Piemonte dal Vivo, per il sostegno alla mobilità internazionale degli artisti piemontesi o residenti in Piemonte, con l’obiettivo di creare nuovi legami ed opportunità oltre confine

 

Move! è un esempio concreto di come sia possibile per i nostri artisti creare nuovi legami ed opportunità oltre confine – dichiara Matteo Negrin, direttore di Piemonte dal Vivo –. Allo stesso tempo, sviluppare relazioni internazionali, in uno scambio virtuoso tra l’Italia e gli altri paesi, contribuisce a rafforzare l’immagine del nostro territorio e delle eccellenze che lo abitano.

Nella prima annualità di azione del bando sono state selezionate cinque realtà e altrettanti progetti: la Piccola Compagnia della Magnolia partecipa con una propria creazione all’ international Theatre Festival a Szczecin Polonia e allo SKUPI International Theatre festival a Skopje in Macedonia. L’Asia è invece meta dell’Associazione Didee arti e comunicazioni, ospitata nell’ambito dell’Indonesian Dance Festival con il progetto Le Foglie e il Vento. Sempre nell’ambito della Danza si sviluppa la proposta del BTT Balletto Teatro Torino che anche grazie al Sostegno di Move! Porta sul Palco del festival de Ballet Internacional Havana de Cuba/ fabrica de Arte la nuova creazione di Laura Domingo Agüero. Tornando in Europa la Cooperativa Italiana Artisti beneficerà di un contributo per un periodo di residenza in Belgio, mentre La Società Reale Ginnastica di Torino avrà l’opportunità di partecipare al Festival Arena di Praga. Per un settore naturalmente votato alla mobilità qual è quello dello spettacolo dal vivo, l’internazionalizzazione rappresenta un ambito strategico, necessario per garantirne la crescita e lo sviluppo – dichiara Antonella Parigi, assessore alla Cultura della Regione Piemonte – Non posso quindi che accogliere favorevolmente questa nuova misura di Piemonte dal Vivo, che potrà certamente essere implementata in futuro.

 

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