redazione il torinese

Peperoni ripieni “Carmagnola Style”

Se in passato siete stati alla sagra del peperone di Carmagnola e vi è venuta l’acquolina in bocca, bene, allora questa ricetta fa sicuramente per voi…

 

Ingredienti per 4 persone:

 

4 peperoni rossi carnosi
300gr.di salsiccia di maiale
200gr.di carne trita magra di vitello
1 uovo intero
3 cucchiai di parmigiano
un mazzetto di prezzemolo
un mazzetto di menta
olio evo
sale e pepe q.b.

Preparare la farcitura mescolando in una terrina la carne con la salsiccia, l’uovo, il parmigiano, il trito di prezzemolo e menta, sale e pepe. Lavare i peperoni, tagliare la calotta e tenerla da parte, svuotarli dai semi e dalle parti bianche e riempirli con la farcitura, irrorarli di olio evo, chiuderli con le calotte e infornare a 200 gradi per 30/40 minuti. Servire a piacere con riso in bianco.

Paperita Patty

I paesi più felici del mondo

L’Organizzazione per la Cooperazione Economica ha stilato una classifica con i 10 paesi più felici al mondo, i posti ritenuti più vivibili in base a reddito, istruzione, salute, aspettativa di vita e stato sociale.

La maggior parte di questi sono paesi nordici: Finlandia, Norvegia, Canada, Danimarca e Olanda dove di certo il sole, le temperature miti, il mare e il tanto decantato stile di vita mediterraneo non sono proprio il punto forte. Evidentemente sono anche altre le condizioni che fanno di un popolo, di una nazione un concentrato di felicità e di entusiasmo per la vita. Il lavoro, la certezza di potersi permettere una esistenza dignitosa, una casa e tante altre cose tra cui hobby e desideri, una rete sociale fatta di condivisione, mutuo soccorso, amicizia, senso della comunità, attenzione alla salute, un sistema educativo funzionale ed efficiente. Altri paesi dove si rileva una buona qualità della vita sono Australia e Messico, ma anche Israele, Nuova Zelanda e Costa Rica. Ultimamente si è molto parlato di fattore Hygge, il segreto della felicità danese, una parola di origine germanica che non ha una traduzione precisa, ma molto chiaro è il concetto che esprime: sentirsi soddisfatti, creare e vivere una atmosfera piacevole e accogliente caratterizzata dalla presenza affettuosa di persone care. Sembra una situazione da pubblicità, una favola, una storia di fantasia, invece è possibile. Aiutarsi, mettere da parte rancori legati alla quotidianità, non litigare per la politica, evitare di accanirsi sui difetti degli altri coltivando invece la positività e il concetto di vicinanza e supporto reciproco è uno stile di vita esistente, reale. L’higging ha avuto talmente tanto successo in posti come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti che sono stati organizzati addirittura dei corsi per imparare a praticarlo. Ovviamente non si cambia mentalità e abitudini in un attimo, ma la possibilità di affrontare la quotidianità concentrandosi sul benessere proprio e degli altri è uno stimolo importante nella ricerca della felicità. I legami sociali possono essere quindi un antidoto allo stress, alla negatività, al quel male di vivere tipico dei nostri tempi. Stare insieme cordialmente e allegramente aiuta persino il sistema immunitario e favorisce la longevità ed è proprio semplice come appare.

Maria La Barbera

 

La volata di Calò

Storie di uomini e biciclette nel 60° anniversario della morte di Fausto Coppi

 

È lui che nel 1926 , lavorando nella sua bottega, s’inventa dalla a alla zeta la prima bicicletta fabbricata nell’isola più grande del mediterraneo. Porta il suo nome come marchio

Quella di Calò Montante è una  storia che sfuma nella leggenda. In Italia, terminata la prima guerra mondiale,  il ciclismo diventa uno degli sport più popolari; sono gli anni di del dualismo tra il piemontese Costante Girardengo e il lombardo Alfredo Binda e sulle strade polverose e sconnesse la bicicletta diventa per molti  una vera passione, a partire dai più giovani. Anche per Calogero Montante, classe 1908, che arriva al punto di costruirsi, da solo, una bici da corsa montandola pezzo per pezzo. Lo fa al suo paese, nel mezzo della campagna  siciliana riarsa dal sole e dalle zolfare: Serradifalco,in provincia di Caltanissetta. È lui che nel 1926 , lavorando nella sua bottega, s’inventa dalla a alla zeta la prima bicicletta fabbricata nell’isola più grande del mediterraneo. Porta il suo nome come marchio. L’amore per le due ruote è tanto forte al punto da spingere Calò a formarsi una squadra di ciclisti, con tanto di divise cucite dalla sarta del paese sulle quali campeggia ricamata la scritta “Montante”. Poi la passione si trasforma in un vero e proprio lavoro: viene aperta una fabbrica e le bici Montante diventano un marchio prestigioso. Si producono biciclette per i carabinieri (modello truppa e modello ufficiali) per i postini e i macellai, bici di tutti i tipi e per tutte le esigenze. La fabbrica resterà attiva sino agli anni Cinquanta quando l’azienda Montante, comincerà a occuparsi di moto e si espanderà poi in altri settori. La storia di quest’impresa è raccontata in un libro del giornalista Gaetano Savatteri, pubblicato da Sellerio con uno scritto di Andrea Camilleri: “La volata di Calò”. Una bella storia , quasi leggendaria, di un artista della meccanica, di un inventore che dal suo paese di zolfatari siciliani lanciò i suoi “Cicli Montante” in tutt’Italia. Anche l’inventore del commissario Salvo Montalbano, nel suo racconto, ricorda quando nel luglio del 1943 pedalava a fatica “senza mai un problema meccanico” da Serradifalco a Porto Empedocle, lungo una strada dissestata dalle bombe e dai carri armati. Un ricordo vivo, quello di Andrea Camilleri, perché grazie a quella bicicletta, imprestatagli dai suoi amici di allora, riuscì a ritrovare il padre che si era salvato dai bombardamenti. Durante lo sbarco degli americani sulla costa Sud dell’isola, Camilleri con la sua famiglia si andò a rifugiare a Serradifalco, per sfuggire ai bombardamenti di Porto Empedocle. Finiti quei terribili giorni era necessario andare a scoprire che fine avesse fatto il padre, di cui non si avevano più notizie. Un viaggio del genere, in quegli anni era come affrontare l’incognita di una lunga e “perigliosa” avventura. E   quella bicicletta che glielo consentì. Così, in un passaggio,  lo descrive Camilleri: “ A un quarto circa del percorso, Alfredo forò per laterza volta. E io decisi di abbandonarlo al suo destino, visto che la mia bicicletta procedeva imperterrita, salda, forte, non subiva forature, la catena rimaneva sempre ben ferma al suo posto, i raggi nelle cadute non si rompevano, il manubrio non si piegava di un millimetro, una vera meraviglia. Ripresi, da solo, il mio viaggio. E ogni tanto le parlavo, alla bicicletta, carezzandole la canna come se fosse la criniera di un cavallo”. Prima e più dell’automobile, la bicicletta è stato il mezzo di trasporto per eccellenza della società di massa. Meccanica sofisticata e leggera, disponibile a tutti, il suo essere simbolo molto umano di modernità e di futuro affascinò subito gli spiriti liberi e industriosi. Come quello di Calò Montante, scomparso ultranovantenne nel 2000, la cui storia è descritta da Gaetano Savatteri con garbo e maestria.  “Nell’anima c’è sempre la passione per la bici, per le corse, per i giri d’Italia che riprendono – scrive Savatteri – nuovi duelli sulle strade d’Italia. Adesso sono quelli tra Coppi e Bartali. L’Italia è divisa, nello sport e nella politica. Democristiani e comunisti. Peppone e don Camillo. Fausto e Gino. Coppi elevato a simbolo del laicismo, Bartali emblema del cattolicesimo tradizionale. Calogero Montante nel 1948 sceglie di stare dalla parte di Bartali”. E lo fa con le sue biciclette, tutte su misura. Ogni esemplare è unico, così come è unica la terra dove Calò le realizza, nella sua Serradifalco, arida zona sulfurea ai margini di una cavità carsica, dove sperimentò la sua industriosa fantasia che lui stesso ribattezzò come il suo “ peccato del fare”.

Marco Travaglini

Storie di Capodanno: rifuggite la mediocrità, cercate la grandezza

Buon anno a tutti i Luigi che hanno perso l’amore della propria vita. A chi ha avuto il coraggio di inseguirlo e tenerselo stretto e a chi questo coraggio non l’ha avuto, perché -si sa- costa cara la felicità.  Buon anno a chi ogni tanto, sentendosi perso, andrà in Chiesa e a chi con Dio non ha più un dialogo da molto tempo

 

Che siate bravi in matematica o no, poco importa. La resa dei conti è arrivata anche quest’anno. Il tempo di tirare le somme, di tracciare un bilancio dell’anno appena trascorso. Sono molte le persone a cui non piace Capodanno. Chi la trova una festa inutile, chi la ritiene addirittura frivola. “Se qualcuno non è soddisfatto della propria vita, deve ricominciare, senza aspettare un giorno in particolare, frutto di convenzioni”, ho sentito dire.

E poi, l’incontro. Lo scorgo da lontano, un uomo anziano che cammina spaesato in via Garibaldi. Mi aspettavo una personalità stile Grinch, così, cicapui come sono, mi sono diretta verso di lui. “Mi scusi se La disturbo. Volevo solo sapere cosa pensasse Lei di questo periodo e soprattutto del Capodanno.” Mi fissa negli occhi e noto che il suo sguardo è pervaso da un velo di tristezza. “Vede, signorina, ho amato la stessa donna per cinquant’anni. Era la mia vicina di casa. La ragazza della porta accanto. Era tradizione che trascorressimo insieme Natale e Capodanno. È stata il mio grande amore, ma non ho mai trovato il coraggio di dirglielo. Avrei solo voluto che lo sapesse, prima di andarsene un paio di mesi fa.” Inizia a piangere. “Da allora non mi do pace. Quest’anno avrei voluto chiederle di sposarmi…” e mi mostra la scatolina contenente l’anello. “Non posso che maledirmi per questo, eppure continuerò ad amare questo periodo dell’anno. Perché mi ricorderà sempre lei.”
Quest’uomo meraviglioso si chiama Luigi. E mi ha fatta commuovere.

Buon anno a tutti i Luigi che hanno perso l’amore della propria vita. A chi ha avuto il coraggio di inseguirlo e tenerselo stretto e a chi questo coraggio non l’ha avuto, perché -si sa- costa cara la felicità.  Buon anno a chi ogni tanto, sentendosi perso, andrà in Chiesa e a chi con Dio non ha più un dialogo da molto tempo. Buon anno a chi non si arrenderà e a chi getterà la spugna, sovrastato dagli eventi.

A chi si è trovato la vita rivoluzionata da un momento all’altro e ha anteposto il senso di responsabilità alla propria felicità. A chi sarà con noi fisicamente, e a chi non ci sarà neppure con un messaggio. In qualunque modo voi vi chiamiate, non dimenticate di essere felici. Circondàti da quelle persone che non pensano come amarvi, ma che vi amano senza pensare. Perché chi pensa troppo non vi ama veramente. Rifuggite la mediocrità. Aspirate alla grandezza. Inseguite il grande amore: esiste, da qualche parte. Fate del vostro meglio. Date il massimo. E se non sarà sufficiente, ricominciate a respirare. Avete davanti a voi un anno intero per riprovare.

Tersilla Garella

L’utilizzo del Laser nelle problematiche della nostra pelle

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Col passare degli anni il cambiamento del nostro aspetto è inevitabile, ma resta un fenomeno assai poco gradito soprattutto alle donne, seppur ultimamente anche gli uomini comincino a preoccuparsene

Non sono solo le rughe a preoccuparci, spiega il Dott. Luca Spaziante, Specialista in Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica, ma anche quel fisiologico invecchiamento della pelle causato dall’età che avanza e che si presenta col cedimento dei tessuti , con la comparsa di macchie e con capillari evidenti spesso difficili da mascherare.  Sulla pelle nuovi colori si stratificano, elementi di forma si modificano, non solo per il tempo che passa, ma anche a causa dell’ambiente e delle malattie. La pelle può essere paragonata alla tela di un pittore su cui la comparsa di una problematica può cambiare i colori, le linee e le forme provocando un continuo rimaneggiamento. Ma nell’arte i dipinti e le sculture alla fine risultano levigate e ci sussurrano la valenza della bellezza estetica della pelle, che mediante il suo colore, la sua conformazione e suoi incisi, può mostrarci la sua età, le emozioni e le espressioni più significative. Alcune ricerche dimostrano che in Italia più di 3,5 milioni di persone soffrono di infiammazioni della pelle, in diverse zone sensibili del corpo e soprattutto sul volto. Fra queste l’88% presenta importanti ripercussioni a livello emotivo per la difficoltà a relazionarsi con gli altri, mentre il 22% delle persone restanti soffre di disturbi depressivi.Dati da non sottovalutare e utili soprattutto per capire l’importanza di offrire gli strumenti giusti per contrastare questi detestati inestetismi.
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Ecco perchè inizia allora la lotta alle rughe, alle macchie cutanee, al rilassamento dei tessuti del viso e del corpo che dà vita a un floridissimo mercato in ambito farmaceutico e cosmetologico. Ma la sicurezza di un risultato eccellente, afferma il Dott. Spaziante, si può trovare solo nel connubio tra l’utilizzo di un buon cosmetico e un trattamento di medicina estetica di qualità. I trattamenti laser permettono di combattere con efficacia gli inestetismi della pelle come rughe e rilassamento cutaneo, macchie cutanee, angiomi, capillari, cicatrici ed esiti di acne. Gli inestetismi della pelle abbracciano innanzitutto le preoccupazioni delle donne e possono svelarsi già durante la giovinezza, in quel periodo in cui i teenager divengono molto critici nei confronti del proprio aspetto fisico facendo nascere in loro la preoccupazione di non essere apprezzati dai compagni di scuola e dai propri coetanei. Tra gli inestetismi più temuti e detestati sono sicuramente da annoverare l’acne giovanile con i conseguenti esiti cicatriziali. Cicatrici e psiche, sottolinea il Dott. Spaziante, spesso si scontrano creando disagi emotivi importanti, soprattutto nei ragazzini. Lo rammenta anche un sondaggio condotto da Opinion Health nel Regno Unito su 1000 persone: l’impatto psicologico di una vita “segnata” da una cicatrice su alcune persone può diventare così pesante a tal punto da far cadere l’individuo in una profonda depressione. La disarmonia tra cicatrice e psiche è agevolata dal fatto che sovente non viene chiesto un aiuto o un consiglio nemmeno al proprio medico. Si tende sempre a dire: “tanto non si può fare nulla“, quando invece questa conclusione è assolutamente errata.
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Esistono diverse tipologie di laser che differiscono a seconda della lunghezza d’onda emessa e quindi hanno differenti utilizzi; ciascun tipo di impulso laser viene assorbito da un particolare pigmento e quindi ha un differente “bersaglio”.

Il LASER CO2 è un trattamento efficace e sicuro che può minimizzare la comparsa di cicatrici acneiche ed è anche in grado di determinare una importante contrazione delle fibre collagene ed elastiche presenti nel derma, rendendo così la cute molto più tonica. La profondità di trattamento è basata fondamentalmente sulla quantità di energia CO2 utilizzata e dal numero di passaggi eseguiti. Oltre al laser CO2, consigliato per le cicatrici dell’acne, ma adoperato con successo in generale per il ringiovanimento cutaneo, può essere proposto il LASER FRAZIONALE, utilizzato anche sulle piccole rughe del volto e per il ringiovanimento cutaneo non ablativo. Attraverso le fibre ottiche, il laser produce dei minuscoli forellini in profondità provocando la denaturazione del collagene e la conseguente produzione di nuovo collagene, processo alla base del ringiovanimento del tessuto cutaneo. Tra i trattamenti laser è il più versatile, perché i tempi di ripresa sono rapidissimi. La LUCE PULSATA o IPL (Intense Pulsed Light) è una tecnologia che, grazie all’emissione di energia luminosa, permette di colpire la zona interessata senza ledere i tessuti circostanti. La luce pulsata ad alta intensità, è utilizzabile solo ed esclusivamente, per le sue particolari caratteristiche, da personale medico e permette di trattare in modo efficace e poco invasivo una vasta gamma di lesioni benigne. L’azione della luce pulsata è particolarmente evidente nei trattamenti di ringiovanimento cutaneo, nella riduzione delle iperpigmentazioni della pelle e di epilazione definitiva. 

 

.Le metodologie descritte sono assolutamente non pericolose e in grado di ridonare alla pelle il suo aspetto naturale, ma è di primaria importanza essere informati correttamente, da medici esperti, sui vari trattamenti possibili e sulle giuste aspettative La scelta del trattamento più indicato – sostiene il Dott. Spaziante deve essere sempre concordata con il paziente dopo un’accurata visita, per definire insieme un programma personalizzato“. Solo così si potrà arrivare ad una ritrovata freschezza del volto senza un’alterazione delle sue caratteristiche naturali perché comunque “La pelle con le sue caratteristiche di colore, odore, rugosità, con gli elementi suoi propri, permette di evidenziare una individualità unica ed irripetibile: ogni individuo possiede la sua pelle personale” (Didier Anzieu, psicoanalista francese).

 

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TORINO –  ALBA –  ASTI

 

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Venezia, come un anno fa: la Chiesa dei pirati affonda in laguna

Vi riproponiamo l’articolo pubblicato un anno fa, il 16 novembre 2018. La situazione non solo non è migliorata, ma peggiorata

E’ universalmente conosciuta come la basilica di San Marco, visitata ogni anno da 30 milioni di turisti. Oggi rischia di finire sott’acqua come tutta Venezia

In questi giorni l’acqua salmastra è arrivata al centro della chiesa, ha aggredito statue e sculture con la grande preoccupazione che l’umidità, salendo verso l’alto, raggiunga gli splendidi mosaici dorati bizantini del XII secolo fino a farli sparire. Per alcuni scrittori dell’Ottocento il tempio dell’evangelista Marco era la chiesa dei pirati, “immenso forziere di ricchezze composto da pezzi rubati o conquistati ad altre civiltà, un sogno orientale, una chiesa moresca o una moschea cristiana innalzata da un califfo convertito”. San Marco è un pezzo d’Oriente in laguna, un angolo di Costantinopoli trapiantato a Venezia. Quando i veneziani andavano alle Crociate tornavano a casa con un bottino enorme, con galee stracolme di marmi, colonne, capitelli e reliquie sacre portate via da chiese ed edifici storici nei Paesi orientali in cui andavano a far la guerra o a vendere i loro prodotti. Erano insuperabili in tutto ciò. Molti di questi oggetti, oggi collocati dentro e fuori la basilica, sono giunti dalla capitale dell’Impero bizantino dopo la IV Crociata del 1204, nota come il sacco di Costantinopoli, la crociata della vergogna, quando i cristiani massacrarono tanti altri cristiani. I più famosi sono i quattro cavalli di bronzo dorato che abbellivano l’ippodromo sul Bosforo, diventati poi i cavalli di San Marco. Venezia è impregnata di influssi bizantini e a quell’epoca era un via vai di artisti e mosaicisti greci che giungevano in laguna da Bisanzio per decorare le chiese cittadine. San Marco stessa è stata costruita nell’828 a croce greca sul modello della chiesa dei Dodici Apostoli che sorgeva su un colle della Roma d’Oriente dove oltre 500 anni fa fu abbattuta per lasciare spazio alla moschea di Maometto II il Conquistatore. Per evitare i danni causati dall’inquinamento atmosferico i cavalli originali sono al sicuro all’interno della basilica con un fascio di luce che esalta il loro splendore mentre sulla facciata della chiesa compare una copia della quadriga bronzea. All’esterno, nell’angolo che guarda Palazzo Ducale, stazionano quattro imperatori romani con spada al fianco, forse i tetrarchi che si divisero l’Impero, scolpiti nel porfido rosso, quasi fossero di guardia al Tesoro della basilica. Anche queste statue erano a Bisanzio e furono portate a Venezia nel 1204. Non erano a Costantinopoli e neppure ad Acri, come si è pensato per lungo tempo, i cosiddetti “pilastri acritani”, in bella mostra a pochi metri dai tetrarchi. Non sono stati trafugati dai veneziani a San Giovanni d’Acri nel 1258 ma in un’antica chiesa greca. All’interno di San Marco c’è un altro tesoro costantinopolitano. In fondo alla navata sinistra, i fedeli si raccolgono in preghiera davanti alla Nikopeia (Portatrice di Vittoria), l’icona dell’ XI secolo che i sovrani bizantini portavano in battaglia come amuleto e la custodivano nel monastero del Pantocrator a Costantinopoli. L’immagine sacra fu presa dai crociati dopo uno scontro con un reparto militare comandato dall’imperatore e finì a Venezia, ennesimo bottino della quarta Crociata. Si trovava nel medesimo monastero anche la magnifica iconostasi di smalti, gemme e pietre preziose collocata oggi nella Pala d’Oro in San Marco. Altri oggetti sacri e reliquie furono portati a Venezia dopo la conquista di Costantinopoli nel 1204 e si possono vedere nel Tesoro della basilica. Fino a quando sarà possibile ammirare tutto ciò? Per la quarta volta nella storia l’alta marea ha invaso la parte centrale della basilica per arrivare proprio sotto l’altare della Madonna Nikopeia dopo aver ricoperto per 90 centimetri il pavimento a mosaico dell’atrio.

Filippo Re

 

L’Italia del Rinascimento. Lo splendore della maiolica

Oltre 200 capolavori raccontano a Palazzo Madama la storia della maiolica italiana nella sua età dell’oro

C’è tutta la storia, affascinante e unica, della maiolica rinascimentale italiana – forse la forma d’arte che nella misura più completa e con i colori incredibilmente più accesi riflette il mondo in cui vivevano donne e uomini del Rinascimento – nella prestigiosa mostra, fra le maggiori del genere realizzate in anni recenti in Italia, allestita nella “Sala del Senato” di Palazzo Madama a Torino, fino al prossimo 14 ottobre. La rassegna riunisce per la prima volta oltre 200 manufatti (fra piatti, vasi, ciotole e brocche doviziosamente istoriate), autentici capolavori realizzati, fra la metà del ‘400 e la seconda metà del ‘500, dalle più prestigiose manifatture italiane e provenienti da collezioni private fra le più importanti al mondo nonché dalle stesse collezioni di Palazzo Madama. A curarne l’esposizione, in collaborazione con Cristina Maritano (conservatore di Palazzo Madama per le Arti decorative), uno dei massimi esperti mondiali del settore, quel Timothy Wilson cui si devono fra l’altro i cataloghi sistematici delle raccolte del British Museum di Londra, del Metropolitan Museum di New York, della National Gallery di Victoria in Australia e dell’Ashmolean Museum di Oxford, di cui Wilson è attualmente conservatore onorario. Fra le numerose opere selezionate, in un tripudio di colori di stupefacente vivacità – dai tipici fondi blu agli ocra intensi e ai gialli sfumati abbinati ai verdi luminosi – conservatisi nel tempo in modo perfetto (grazie alla particolare tecnica della maiolica), troviamo alcune chicche di autentica e prodigiosa maestria: dal grande “Rinfrescatoio del Servizio Salviati”, uscito nel 1531 dalla Bottega di Pietro e Paolo Bergantini di Faenza (oggi custodito in Palazzo Madama), alla “Brocca in porcellana medicea”, anch’essa nella raccolta di Palazzo Madama e prima imitazione europea della porcellana cinese, fino alla magnifica coppia di “Albarelli” (collezione privata), dall’incredibile lucentezza degli smalti, con decorazioni di animali, allegorie e motivi vegetali, opera di Domenego da Venezia, il più celebre dei Maestri lagunari della metà del Cinquecento. Ad aprire la mostra, in “Camera delle Guardie”, è una grande vetrina che richiama alla mente il mobile protagonista della sala da pranzo rinascimentale, la “credenza”, dove le signore del tempo (soprattutto nelle residenze di campagna) esponevano in bella mostra le maioliche, che venivano anche usate a tavola o offerte come doni in occasione particolari, quali matrimoni e nascite. Particolarmente fiorente, divenne anche il loro utilizzo nei corredi da farmacia, commissionati in genere da istituzioni religiose. La seconda tappa della mostra porta poi nella “Sala del Senato”, con le “esclusive” maioliche di Deruta, Faenza, Urbino, Gubbio, Venezia, Castelli e Torino, realizzate dai principali Maestri dell’epoca, fra i quali Nicola da Urbino e Francesco Xanto Avelli da Rovigo (detto Santino), che fu anche colto umanista e poeta alla corte di Francesco Maria I della Rovere, duca di Urbino. L’iter espositivo prosegue, infine, illustrando l’ampia varietà di temi riprodotti sulla maiolica istoriata (specifica caratteristica nata nelle botteghe dei ceramisti italiani), pittoricamente impreziosita da soggetti religiosi, ma anche profani e amorosi, tratti dai miti e dalla storia antica, o riguardanti – in caso di servizi araldici- lo status sociale della committenza, in genere importante. Le fonti grafiche per questo tipo di pittura (che andava a costituire, all’interno delle dimore signorili, una sorta di “pinacoteca in miniatura”) derivavano dai repertori di incisioni circolanti nelle botteghe dei “maiolicari” e che fungevano da tramite per riprodurre in scala ridotta le opere più celebri dei grandi pittori del tempo. Da Michelangelo a Raffaello, fra i più gettonati. In programma, a margine della mostra, è previsto anche un convegno internazionale dal titolo “Il collezionismo fa grandi i musei”, che si terrà il 16 e il 17 settembre nelle sedi di Palazzo Madama a Torino e del Palazzo dei Musei di Varallo Sesia.

Gianni Milani

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“L’Italia del Rinascimento. Lo splendore della maiolica”

Palazzo Madama – Sala Senato, piazza Castello, Torino; tel. 011/4433501 o www.palazzomadamatorino.it

Fino al 14 ottobre

Orari: lun. – dom. 10/18, mart. chiuso

 

 

 

Nelle foto

– Bottega di Pietro e Paolo Bergantini: “Rinfrescatoio del Servizio Salviati”, Faenza, 1531 
– “Brocca in porcellana medicea”, Firenze, 1575 – 1580
– Domenego da Venezia: “Albarello con allegoria della Terra”, 1550 -1570
– “La Sibilla Eritrea”, Faenza, 1500 – 1520
– Bottega di Orazio Pompei: “Bottiglia da Farmacia”, Castelli, 1550 -1560
– Francesco Durantino: “Coppa traforata”, Torino, 1578

Quel 12 settembre 1683

In Austria destra e sinistra litigano furiosamente, con mazze e coltelli, su un famoso evento di oltre tre secoli fa

Vienna liberata il 12 settembre 1683 dal grande assedio ottomano continua a far discutere gli storici e a far litigare le forze politiche. L’anniversario oppone la sinistra che governa la capitale e l’opposizione di estrema destra che chiede un monumento che ricordi la vittoria sui turchi musulmani. Il Comune non vuole la statua disegnata dalla destra, considerata troppo forte e offensiva verso i musulmani, ma una versione più soft. Quest’anno le due fazioni si sono perfino scontrate fisicamente sulle colline che sovrastano Vienna. Si racconta che, guardando la torre del Duomo di Santo Stefano a Vienna, un viaggiatore turco, nel Seicento esclamasse: “Voglia Allah concedere che possa essere trasformato in minareto e che un giorno risuoni da esso il richiamo alla preghiera musulmana”. Vienna fu attaccata più volte dalla potente armata ottomana che non riuscì mai ad occuparla. In particolare i due grandi assedi del 1529 e del 1683. Quanto patirono i viennesi assediati dai giannizzeri del sultano! Mesi di assedio, con pochi viveri, acqua, armi e munizioni, aspettando i soccorsi che tardavano ad arrivare. Il pensiero va soprattutto all’estate 1683 quando le madri austriache temevano per i loro figli che sovente venivano rapiti dai turchi nei dintorni della capitale. Se l’esercito ottomano avesse occupato la capitale imperiale è probabile che ben pochi sarebbero scampati al massacro e tanti altri ridotti in schiavitù. Da un testamento, datato 1694, si apprende che una donna anziana di Enzersdorf, nei pressi di Vienna, Maria Pockhin, piange disperata la scomparsa delle cinque figlie, rapite di notte dai turchi durante l’assedio e mai liberate, finite probabilmente in qualche harem di visir o pascià. La sua eredità, nonché i quattrini per far celebrare per 23 anni dopo la sua sepoltura tre messe alla settimana dai francescani del paese, viene consegnata a un parente, per lasciarla ancora dieci anni a disposizione delle figlie di cui non si hanno più notizie. Il documento è una preziosa testimonianza di come i viennesi vissero quelle drammatiche settimane con l’armata del gran visir Kara Mustafà sotto le mura di Vienna con 150.000 uomini armati e 300 cannoni. Sono i giorni che precedono il 12 settembre 1683, il giorno della liberazione di Vienna dall’assedio ottomano. La capitale barocca è in preda al panico e migliaia di viennesi fuggono terrorizzati dai turchi. Tra loro anche l’imperatore Leopoldo I che fugge da Linz con la famiglia, 400 cavalli e 200 carri stracolmi di principi e principesse. Non meno numeroso e pittoresco è il seguito degli invasori della Mezzaluna nel quale spiccava l’harem mobile del sultano trasportato da cento carri. I viennesi, intanto, venivano invitati sd arrendersi e a convertirsi all’islam. Gli abitanti, stremati dalla carestia e dalla paura, si preparavano al peggio. A salvarli ci penserà un uomo chiamato Giovanni, il re polacco Giovanni Sobieski, che alla testa dei suoi ussari e di un’alleanza internazionale piomberà come un’aquila sull’accampamento ottomano mettendo in fuga i turchi e arrestando l’espansione dell’Impero dei sultani verso il resto dell’Europa. Insieme a Sobieski c’era anche un giovane Eugenio di Savoia che comandava un reggimento di dragoni. Era il 12 settembre 1683, una giornata memorabile nella storia dell’Europa moderna. Il gran visir Kara Mustafà fu strangolato dai suoi fedelissimi e la sua testa fu portata al sultano. Per i turchi fu l’inizio del declino. In 15 anni persero quasi metà dei territori conquistati nei tre secoli precedenti.

Filippo Re

 

Berlinguer, trentacinque anni dopo

Sono passati trentacinque anni dall’11 giugno del 1984, il giorno in cui è morto Enrico Berlinguer. Gli fu fatale l’ultimo comizio tenuto qualche giorno prima a Padova in vista dell’appuntamento elettorale per il rinnovo del parlamento europeo. Le immagini, per lo più in bianco e nero, ci rimandano il suo viso scavato, il corpo minuto. Una velata malinconia nello sguardo , il timbro di una voce antica. Quella stessa voce che proponeva – con lucidità –  una visione del mondo nuova; la necessità di portarsi dietro tutti in scelte più avanzate, di cambiamento, dove impegnare i destini di un popolo che si diceva comunista, ma di un tipo del tutto originale, italiano e democratico, innervato nella Costituzione repubblicana. Quell’uomo che sembrava così  fragile, si chiamava Enrico Berlinguer. Gentile, riluttante, pacato, colto. Uomo di unità, affezionato alle speranze dei giovani, schivo e apparentemente inadatto alla leadership al punto che -come qualcuno disse –  stava male prima di ogni incontro televisivo. Un uomo, secondo  Alfredo Reichlin ( scomparso un paio d’anni orsono, con il quale ebbi l’onore di lavorare quand’era direttore de L’Unità, giornale glorioso che ora non c’è più) che per conformazione fisica e psicologica “poteva fare il bibliotecario”, ma che si dimostrò un eccezionale e insostituibile “capo di un popolo”.

La folla che lo salutò in occasione dei funerali per le strade del centro di Roma fu la testimonianza più evidente dell’amore che il popolo italiano provava per questo uomo gracile e forte allo stesso tempo, partito dalla Sardegna non per fare la “carriera politica” ma per “impegnarsi” nella politica. Tra quei drammatici fotogrammi che accompagnano i suoi ultimi istanti in piazza della Frutta , ce n’è uno, quasi impercettibile a un osservatore poco attento: quello del suo ultimo sorriso alla folla, dopo aver pronunciato le sue ultime parole “..lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini”. Sta tutto in quel sorriso la bellezza di Berlinguer. La bellezza di chi ha scelto di occuparsi in maniera disinteressata degli altri; di avere uno scopo nella vita che va oltre se stessi. In quel sorriso è racchiuso un manifesto politico, troppo in fretta archiviato dopo la sua morte e troppo strumentalmente ritirato fuori per esigenze di propaganda. Il sorriso di un uomo che  è ancora tra noi perché le sue intuizioni politiche e culturali avevano scavato nel profondo della crisi italiana, ne avevano tirato fuori i nervi scoperti attraverso i quali si poteva vedere il futuro della nostra società e dell’Europa.

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 Un uomo, fatto passare per un conservatore e che, all’opposto, sapeva leggere con visionaria lucidità il cambiamento in corso, cercando di proporre una via d’uscita democratica, non populista.  Berlinguer riuscì ad affrontare un tema ostico e da molti  mal digerito  come l’austerità che non aveva nulla a che vedere con le ricette neoliberiste e monetarie ma con l’idea di affrontare il tema dei consumi  e della produzione all’interno di una società più giusta, sobria, solidale, democratica, attraverso una migliore distribuzione dei redditi e una condivisa responsabilità tra le classi che esistevano (e esistono..) ancora. Un discorso che affascinò il cattolicesimo progressista e che confermò quella diversità dei comunisti italiani che si fondava non certo sulla purezza ideologica, ma sull’appartenenza a una comunità e a un’idea  della politica basata su una visione morale ( e non moralista), intesa  come servizio, studio, avanzamento e lotta democratica. Si dirà che il mondo è cambiato, è più veloce, ha altre esigenze, e che sono stati commessi tanti errori lungo il cammino. Nulla può essere più vero. Gli stessi che sostengono questo, tante volte, argomentano di come il nostro paese sia cambiato in peggio, per la crisi e per lo spazio esiguo che hanno le giovani generazioni, per l’assenza di futuro. Forse è cambiato in peggio anche perché, invece di contrastare alcune derive,  le abbiamo assecondate; perché si è stati troppo indulgenti nello sposare parole d’ordine, modi di essere, ideologie che non appartengono a una parte che si propone di essere la parte dei più deboli; perché così tanto impegnati a ricercare il futuro si è pensato, più volte in questi anni, di trovarlo gettando via le lezioni del passato.

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Ecco perché, senza nostalgie ma con il senso dell’attualità, riemerge potente l’insegnamento di Berlinguer. Perché non basta un tweet per “riempire la propria vita”, ma occorre riscoprire il pensiero lungo, quello che invita a guardare al mondo con realismo e creatività, innovazione e obiettivi proiettati nel futuro. Quel “pensiero lungo”, che non è ideologia arrugginita né fuga dalla realtà, manca molto alla politica di oggi. E Berlinguer questo “pensiero lungo” lo cercava nelle suggestioni che arrivavano dall’ambientalismo, dal pacifismo, dai movimenti delle donne. Con il sorriso di chi diceva “.. Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita”. Parole dette con un sorriso, dolce e determinato. Parole di Enrico Berlinguer.

Marco Travaglini

Pic-nic ferragostano senza problemi di infezioni alimentari

Feste di mezza estate appena fuori Torino per la classica scampagnata, grigliate in campeggio, pranzi al mare: in estate aumentano i casi di tossinfezione alimentare. Le alte temperature stagionali facilitano la moltiplicazione di batteri e la produzione delle loro tossine. 

 

Durante i mesi estivi il numero di tossinfezioni alimentari aumenta in maniera considerevole. Secondo l’americano Center for Disease Control, nella tarda estate i casi aumentano dalle 2 a 4 volte rispetto all’inverno e anche i report europei confermano il trend: in Piemonte, in media, a luglio e agosto i casi sono più numerosi del 15% rispetto all’inverno.

 

Questo accade per due motivi. In primo luogo, le temperature ambientali sono più alte e, associandosi spesso ad un’elevata umidità, favoriscono la moltiplicazione batterica e la produzione di tossine. Il secondo motivo è di tipo sociale, legato all’aumento delle attività all’aperto, dei barbecue e dei pic-nic, situazioni in cui le condizioni igieniche della propria cucina o del ristorante non sono certo garantite.

 

Da oggi quindi, davanti al barbecue o sul plaid da pic-nic sarà utile attenersi a queste poche ma fondamentali  regole: pulire le mani e la zona di preparazione del pasto, separare i cibi crudi dai cotti, mantenere la catena del freddo, cuocere bene gli alimenti a rischio e riporre gli avanzi in maniera corretta.

 

PULISCI le tue mani e la zona dove preparerai o mangerai il tuo pasto

SEPARA gli alimenti che cuocerai sul posto, da quelli pronti al consumo

RAFFREDDA tutti gli alimenti con siberini e borse termiche fin da casa

CUOCI bene la carne, soprattutto quella più spessa e quella di pollo

RICHIUDI con cura gli avanzi per non contaminarli