redazione il torinese

L'Arma commemora l'appuntato Vinci

Lunedì 28 gennaio, l’Arma vercellese commemora il 30° anniversario del sacrificio del compianto Appuntato Salvatore Vinci, Medaglia d’Oro al Valor Civile “alla memoria”, caduto in servizio il 28 gennaio 1989 lungo la provinciale San Giacomo Vercellese-Villarboit, per mano di rapinatori che avevano assaltato un furgone postale.La commemorazione, cui parteciperanno le massime Autorità civili, religiose e militari della nostra Provincia, si svilupperà nella mattinata attraverso tre significativi e toccanti momenti: alle 09.30 con la deposizione di un cuscino di fiori al cippo collocato sul luogo dell’eccidio, lungo la strada provinciale “San Giacomo Vercellese-Villarboit”, alle ore 10,30 successive, in Vercelli, con la deposizione di una corona d’alloro presso la lapide commemorativa accanto al monumento all’Arma dei Carabinieri di piazza Amedeo IX e, infine, alle 11.00, nella chiesa di S. Agnese in S. Francesco, adiacente alla Caserma “Gunu Gadu”, sede del Comando Provinciale dei Carabinieri, dove l’Arcivescovo Marco Arnolfo celebrerà la Santa Messa.

Massimo Iaretti

Luci sulla Gran Madre

Uno scatto sulla Gran Madre in versione serale. Da notare le nuove luci blu sotto le arcate del ponte sul Po. La foto è di Gh Marius.

Anno giudiziario: migranti e mafie i temi caldi

Il procuratore generale del Piemonte, Francesco Saluzzo, all’inaugurazione dell’anno giudiziario al palagiustizia di  Torino ha detto cheNon c’è un settore geografico del nostro distretto nel quale non si sia  registrata e accertata la presenza di insediamenti di ‘ndrangheta. Preoccupa la persistente sottovalutazione del fenomeno che si coglie nell’opinione pubblica, nel sentire delle comunità che pure vivono, fianco a fianco, con i mafiosi”. Il pg ha anche affrontato il tema immigrati affermando che la politica di contrasto all’immigrazione clandestina e di controllo del territorio è “dovuta e sacrosanta ma al tempo stesso totalmente disinteressata al profilo umanitario. La pietà, declinata nel suo senso laico, è morta”. La cerimonia è stata aperta dal coro degli allievi carabinieri della caserma Cernaia e dalla fanfara della brigata Taurinense che hanno intonato l’inno di Mameli.

 

(foto: il Torinese)

Quel giorno sul treno al rientro dal funerale di Guido Rossa

“Compagno Guido Rossa te lo giuriamo, ogni terrorista lo denunciamo”. Per questo è stato ucciso. E’ stato ucciso per la denuncia di un terrorista rosso. Pioveva il giorno dei funerali. Pioveva a dirotto. Il cielo si toccava con la terra ed in pieno giorno era tutto buio.Tutto era amplificato. Angoscia, dolore, pianti e soprattutto rabbia. Rabbia per ‘l assassinio di un compagno, rabbia perché chi l’ aveva ammazzato diceva di essere un compagno. Sicuramente la notizia della sua morte fu un fulmine. Ma ci sconvolse. Alcuni non ne furono stupiti. Da alcuni anni nel triangolo industriale ed in particolare nelle fabbriche non si contavano morti e feriti Terrorismo rosso. Non accettavano ciò che si considerava un ossimoro. Rosso come colore politico era l’antitesi di terrorismo. Dopo l’omicidio del compagno non ci furono più dubbi. Gli assassini erano tra di noi. A Genova veniva giù il mondo. La pioggia compattava tutto e tutti. La rabbia di Luciano Lama e di Sandro Pertini, il Presidente partigiano, il primo partigiano d’Italia. Poi la granitica classe operaia genovese, gli operai dell’Italsider che si chiedevano dove avevano sbagliato, sapendo che Guido Rossa era stato lasciato solo in questa sua denuncia dei terroristi. Ed i camalli del Porto che sfilavano con i giubbotti di pelle. Era dal 1960 contro il governo Tambroni che non succedeva. Riprendemmo il treno per tornare a Torino. Qualcosa comunque non quadrava.  La verità compiuta avrebbe fugato i dubbi. Primo: non fu Guido Rossa che vide. Ma fu Guido Rossa che ebbe il coraggio di denunciare. Secondo: lo Stato non garantì un servizio di protezione. Ma ben più grave non lo garantì il Partito Comunista così come il sindacato.  Guido Rossa fu lasciato solo. Dura ammetterlo, ma la verità è rivoluzionaria. L’ assassinio aveva tragicamente determinato la svolta totale nella lotta al terrorismo rosso. Sempre sul treno di ritorno pensavo che la strada era ancora in salita. Da lì a mesi successivi ecco Dino Sanlorenzo presidente del consiglio regionale del Piemonte. Era anche Presidente del comitato antifascista. Effervescente e combattivo propose un questionario contro il fenomeno del terrorismo. Aderirono tutti ma una domanda che chiedeva se si era a conoscenza di fatti delittuosi scatenò la discussione.Chi accusava di voler incentivare la delazione. Chi è contro lo Stato è contro le Br. Addirittura ci fu chi (giovane comunista) propose di mettere ai voti questa proposta: ristampare il questionario togliendo la domanda. Non si votò perché l’imbarazzo prevalse. Anni dopo il Procuratore capo Giancarlo Caselli affermò che grazie a 54 di quelle anonime risposte si arrestarono numerosi terroristi rossi.Non c’era niente da fare. La sconfitta del terrorismo è avvenuta per il 50% con la politica e per il restante con la giustizia e la legge.Il terrorismo rosso non minava il sistema capitalistico ma minava il sistema democratico. Ed è triste che dopo 40 anni qualcuno che si dice della vera sinistra non l’abbia ancora capito.
Patrizio Tosetto

Auto si ribalta. Morti un ragazzo e una ragazza ventenni

Un altro incidente mortale sulle strade del Piemonte. Nella notte, nei pressi di Saluggia nel Vercellese, per cause ancora da accertare (forse per la strada ghiacciata), una Volkswagen Polo è uscita fuori strada ribaltandosi e finendo contro un muro. Sull’auto sono morti un 22enne di Livorno Ferraris, Manuel Nuzzo, e Lucrezia Saggio, 23enne di Saluggia.

(foto archivio)

Domeniche in Pinacoteca: dipinti a grande velocità

Il calendario da gennaio a marzo delle speciali iniziative domenicali dedicate ai bambini dai 4 ai 12 anni e alle loro famiglie

 La Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli presenta anche per quest’anno un nuovo e ricco calendario di proposte dedicate ai piccoli visitatori: le Domeniche in Pinacoteca, appuntamento settimanale riservato ai bambini dai 4 ai 12 anni. Ogni domenica alle 16.00, i bambini e le loro famiglie sono invitati a prendere parte alle speciali attività proposte: i partecipanti potranno scoprire attraverso una breve visita guidata la collezione permanente a cui farà seguito un laboratorio tematico dedicato ai bimbi. Gli incontri, della durata di 90 minuti, sono l’occasione per esplorare insieme il prezioso patrimonio della Pinacoteca Agnelli e trarre ispirazione per giochi educativi e creativi con il coordinamento degli educatori museali specializzati presenti. Nel mese di gennaio sono previsti i primi tre incontri durante i quali i bambini, anche in compagnia delle loro famiglie, potranno sperimentare nuovi linguaggi figurativi. L’ultimo appuntamento accompagnerà i piccoli partecipanti alla scoperta delle modalità di rappresentazione del movimento e della velocità sulla scia delle grandi sperimentazioni novecentesche.
Domenica 27 gennaio 2019, ore 16.00
Dipinti a grande velocità
Come si può rappresentare il movimento? Quali forme e quali colori evocano la velocità e il
dinamismo? Dopo un’introduzione alle tematiche principali della poetica futurista di inizio Novecento, attraverso una lettura delle opere di Giacomo Balla e Gino Severini e con riferimenti alle sperimentazioni dell’epoca in ambito fotografico e cinematografico, i bambini individueranno forme capaci di evocare il movimento. Alle forme ritenute più significative saranno associati colori con interventi pittorici volti ad enfatizzare il senso di moto dato dalla forma stessa.
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Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli | via Nizza 230/103 – Torino | www.pinacoteca-agnelli.it

“GLI ULTIMI GIORNI DI BISANZIO, SPLENDORE E DECLINO DI UN IMPERO”

Alla fine del Trecento Bisanzio è accerchiata, sta per cadere nelle mani dei turchi. I crociati europei cadono rovinosamente sotto i colpi degli Ottomani. In terra bulgara, prima a Nicopoli nel 1396 e poi a Varna sul Mar Nero nel 1444 si spengono le ultime speranze dei cavalieri cristiani di respingere gli Ottomani che avanzavano nei Balcani senza incontrare resistenza. La situazione è drammatica e l’Europa sembra sul punto di rispondere alla minaccia che arriva da Oriente. L’ombra dei sultani comincia a riflettersi sulle acque dorate del Corno d’Oro nella capitale bizantina sul Bosforo. Tocca a Manuele II Paleologo, imperatore di Bisanzio, giocare l’ultima disperata carta e chiedere l’aiuto dell’Europa. Si imbarca su una galea veneziana e parte con l’obiettivo di convincere i sovrani europei a coalizzarsi e aiutare militarmente Costantinopoli prima che sia troppo tardi. Accolto dal doge, Venezia è la prima tappa e, dopo la regina dei mari, raggiunge Milano, Parigi e Londra in un lungo viaggio compiuto tra il 1399 e il 1403 portando con sé rari e pregiati doni diplomatici e religiosi destinati ai sovrani europei e ai due Papi residenti a quel tempo a Roma e ad Avignone. Tra questi importanti regali spicca “l’icona di San Luca” di Freising (città presso Monaco di Baviera), opera bizantina che

raffigura la Madonna con il capo reclinato e le braccia protese in avanti nell’atto di pregare, dal titolo “La speranza dei disperati”, un simbolo del tragico momento in cui si trovava Costantinopoli tra la fine del Trecento e il Quattrocento, con i turchi alle porte. Ebbene, per la prima volta dopo oltre sei secoli l’icona di San Luca, custodita da sempre in Germania, è tornata a Venezia, la città della sua prima destinazione in Europa. È esposta nei saloni della Biblioteca Marciana della città lagunare nella mostra “Gli ultimi giorni di Bisanzio. Splendore e declino di un Impero”. Il prezioso oggetto, che risale al X secolo e, secondo l’antica tradizione cristiana, sarebbe stato dipinto dallo stesso apostolo Luca, è l’anima della mostra alla Biblioteca Marciana suddivisa in otto sezioni che illustrano il contesto storico e politico che portò alla caduta di Costantinopoli, il significato del viaggio di Manuele II in Europa e le testimonianze dell’intenso scambio culturale e commerciale tra Venezia e Bisanzio all’inizio dell’Umanesimo. Quando, nel 1402, il sultano Bayezid I, detto la Folgore, fu sconfitto ad Ankara da Tamerlano, il terribile condottiero dei Mongoli e l’incubo ottomano fu improvvisamente scacciato da Bisanzio, Manuele II interpretò l’inaspettata vittoria come un dono della Madonna “dei senza speranza”. Un breve documentario presenta la drammatica situazione di Bisanzio negli ultimi decenni prima della caduta di Costantinopoli. Nonostante l’acuirsi del conflitto bizantino-ottomano non mancarono tentativi di incontro pacifico tra le due culture e religioni, come dimostra il famoso manoscritto dei “Dialoghi con un musulmano” di Manuele II. Nella mostra si possono vedere le carte geografiche dell’epoca che presentano Costantinopoli e Venezia, luoghi di partenza e di approdo dell’imperatore nel suo tour in Europa. Tra i doni visibili nell’esposizione ci sono il reliquiario con una bolla imperiale donato all’antipapa Benedetto XIII e il reliquiario delle Spine della corona di Cristo dal Duomo di Pavia. L’icona di San Luca fu donata a uno degli uomini più potenti del tempo, Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano. Entrò poi in possesso dei veronesi della Scala e nel 1440 Nicodemo della Scala, vescovo di Freising, la regalò al Duomo della città. Le ultime sezioni della mostra illustrano la lunga tradizione di stretti rapporti tra Bisanzio e Venezia, già provincia dell’Impero romano d’Oriente, attraverso pezzi di grande valore realizzati a Bisanzio e giunti in laguna in epoche diverse come le cinque legature per libri liturgici della Biblioteca Marciana, la stauroteca (il reliquiario con frammenti di legno della croce di Cristo) del cardinale Basilio Bessarione proveniente dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia e il cofanetto per reliquie di Trebisonda conservato nel Tesoro di San Marco. Venezia si conferma città “bizantina” per eccellenza. Non solo per i legami storici ma anche per ciò che conserva da secoli, come l’icona della Madonna Nikopeia (portatrice di vittoria), conservata nella Basilica di San Marco, che gli imperatori portavano in battaglia come amuleto o come l’icona di San Luca che a Venezia non poteva mancare, almeno per qualche mese. L’esposizione, nata da una cooperazione tra il Museo diocesano di Freising e la Biblioteca Marciana di Venezia, è aperta al pubblico nelle sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana fino al 5 marzo 2019, tutti i giorni, 10.00-17.00, con ingresso dal Museo Correr.

Filippo Re

 

 

 

 

"GLI ULTIMI GIORNI DI BISANZIO, SPLENDORE E DECLINO DI UN IMPERO"

Alla fine del Trecento Bisanzio è accerchiata, sta per cadere nelle mani dei turchi. I crociati europei cadono rovinosamente sotto i colpi degli Ottomani. In terra bulgara, prima a Nicopoli nel 1396 e poi a Varna sul Mar Nero nel 1444 si spengono le ultime speranze dei cavalieri cristiani di respingere gli Ottomani che avanzavano nei Balcani senza incontrare resistenza. La situazione è drammatica e l’Europa sembra sul punto di rispondere alla minaccia che arriva da Oriente. L’ombra dei sultani comincia a riflettersi sulle acque dorate del Corno d’Oro nella capitale bizantina sul Bosforo. Tocca a Manuele II Paleologo, imperatore di Bisanzio, giocare l’ultima disperata carta e chiedere l’aiuto dell’Europa. Si imbarca su una galea veneziana e parte con l’obiettivo di convincere i sovrani europei a coalizzarsi e aiutare militarmente Costantinopoli prima che sia troppo tardi. Accolto dal doge, Venezia è la prima tappa e, dopo la regina dei mari, raggiunge Milano, Parigi e Londra in un lungo viaggio compiuto tra il 1399 e il 1403 portando con sé rari e pregiati doni diplomatici e religiosi destinati ai sovrani europei e ai due Papi residenti a quel tempo a Roma e ad Avignone. Tra questi importanti regali spicca “l’icona di San Luca” di Freising (città presso Monaco di Baviera), opera bizantina che

raffigura la Madonna con il capo reclinato e le braccia protese in avanti nell’atto di pregare, dal titolo “La speranza dei disperati”, un simbolo del tragico momento in cui si trovava Costantinopoli tra la fine del Trecento e il Quattrocento, con i turchi alle porte. Ebbene, per la prima volta dopo oltre sei secoli l’icona di San Luca, custodita da sempre in Germania, è tornata a Venezia, la città della sua prima destinazione in Europa. È esposta nei saloni della Biblioteca Marciana della città lagunare nella mostra “Gli ultimi giorni di Bisanzio. Splendore e declino di un Impero”. Il prezioso oggetto, che risale al X secolo e, secondo l’antica tradizione cristiana, sarebbe stato dipinto dallo stesso apostolo Luca, è l’anima della mostra alla Biblioteca Marciana suddivisa in otto sezioni che illustrano il contesto storico e politico che portò alla caduta di Costantinopoli, il significato del viaggio di Manuele II in Europa e le testimonianze dell’intenso scambio culturale e commerciale tra Venezia e Bisanzio all’inizio dell’Umanesimo. Quando, nel 1402, il sultano Bayezid I, detto la Folgore, fu sconfitto ad Ankara da Tamerlano, il terribile condottiero dei Mongoli e l’incubo ottomano fu improvvisamente scacciato da Bisanzio, Manuele II interpretò l’inaspettata vittoria come un dono della Madonna “dei senza speranza”. Un breve documentario presenta la drammatica situazione di Bisanzio negli ultimi decenni prima della caduta di Costantinopoli. Nonostante l’acuirsi del conflitto bizantino-ottomano non mancarono tentativi di incontro pacifico tra le due culture e religioni, come dimostra il famoso manoscritto dei “Dialoghi con un musulmano” di Manuele II. Nella mostra si possono vedere le carte geografiche dell’epoca che presentano Costantinopoli e Venezia, luoghi di partenza e di approdo dell’imperatore nel suo tour in Europa. Tra i doni visibili nell’esposizione ci sono il reliquiario con una bolla imperiale donato all’antipapa Benedetto XIII e il reliquiario delle Spine della corona di Cristo dal Duomo di Pavia. L’icona di San Luca fu donata a uno degli uomini più potenti del tempo, Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano. Entrò poi in possesso dei veronesi della Scala e nel 1440 Nicodemo della Scala, vescovo di Freising, la regalò al Duomo della città. Le ultime sezioni della mostra illustrano la lunga tradizione di stretti rapporti tra Bisanzio e Venezia, già provincia dell’Impero romano d’Oriente, attraverso pezzi di grande valore realizzati a Bisanzio e giunti in laguna in epoche diverse come le cinque legature per libri liturgici della Biblioteca Marciana, la stauroteca (il reliquiario con frammenti di legno della croce di Cristo) del cardinale Basilio Bessarione proveniente dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia e il cofanetto per reliquie di Trebisonda conservato nel Tesoro di San Marco. Venezia si conferma città “bizantina” per eccellenza. Non solo per i legami storici ma anche per ciò che conserva da secoli, come l’icona della Madonna Nikopeia (portatrice di vittoria), conservata nella Basilica di San Marco, che gli imperatori portavano in battaglia come amuleto o come l’icona di San Luca che a Venezia non poteva mancare, almeno per qualche mese. L’esposizione, nata da una cooperazione tra il Museo diocesano di Freising e la Biblioteca Marciana di Venezia, è aperta al pubblico nelle sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana fino al 5 marzo 2019, tutti i giorni, 10.00-17.00, con ingresso dal Museo Correr.

Filippo Re


 
 
 
 

Sofferenza psichica: tallone d’Achille della natura umana

La sofferenza psichica è un vissuto esistenziale e un elemento critico della natura umana. Fa parte dello svolgimento della vita affrontare momenti di sofferenza, chi più chi meno, siamo tutti vulnerabili emotivamente ed in una condizione di esperienza normale essa dovrebbe costituire un elemento reversibile,

legato a determinati avvenimenti dell’esistenza ed alla possibilità di recuperare uno stato di benessere funzionale. La capacità di guaribilità è connessa, però, alla dimensione e alla durata della situazione che può averla innescata. Esistono eventi come incidenti invalidanti o malattie gravi, che lasciano un residuo di sofferenza difficilmente cancellabile. E’ storia quotidiana di tutti i giorni quella di persone gravemente sofferenti psichicamente completamente alla mercé del destino, in balia dell’esterno senza nessun tipo di contenimento o aiuto. Sia in passato che oggi, per mancanza dei mezzi di sostentamento, la sofferenza psichica si trova a vagare all’interno della nostra società come una scheggia impazzita, senza confini sani né aiuti funzionali, per mancanza di risorse economiche, di spazi adeguati e di una cultura dell’empatia e dell’accudimento, ormai andata scemando negli anni, a tal punto da render difficile la distinzione e la convivenza fra condizioni esistenziali comuni e patologie psichiatriche, non perché quest’ultime vadano ghettizzate, bensì il contrario: manca una rete di assorbimento medico, sociale e psicologico, concreta, forte e che funzioni ,affinché gli individui affetti da patologie mentali invalidanti possano sentirsi accuditi e sostenuti. Sono svariate le tipologie di problematiche esistenziali che possano provocare sofferenza, con differenze molto marcate nella natura, durata e conseguenze nelle persone. Tutti siamo potenzialmente a rischio e, proprio per questo, dovrebbero esserci contesti sani a cui potersi rivolgere.

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Da un punto di vista storico, il 13 maggio 1978 il Parlamento italiano, approvando la “legge Basaglia”, ha abolito i manicomi, luoghi in cui venivano rinchiuse contro la loro volontà le persone con disturbi mentali. Tale presa di coscienza è derivata dalla consapevolezza che questi ospedali psichiatrici erano   “parcheggi detentivi e di isolamento” dell’individuo colpevole di non essere socialmente gradevole o adeguato. Questo atto è stato molto importante perché ha permesso di ridare risalto al problema della salute mentale portandola fuori dall’ottica del “male da tenere lontano” e restituendo dignità alle persone sofferenti. Ed è proprio quell’idea di accudimento verso chi ha bisogno che andrebbe ripresa oggi, per discutere di nuove riforme nei metodi usati. Oggi dovrebbe essere evitata la contenzione meccanica, cioè la pratica di legare i pazienti ai letti o l’affrancamento, cercando, invece, di incentivare con risorse economiche e sociali maggiori attività ricreative all’interno delle strutture sanitarie, restituendo una sensazione di cittadinanza alle persone con problemi di salute mentale ed eliminando il pericoloso rischio dell’isolamento. Un altro obiettivo potrebbe essere quello di sostenere un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) il più funzionale possibile a preservare le particolarità sociali della persona. E’ necessario, quindi, di fronte a situazioni di “deterioramento psichico”, utilizzare interventi terapeutici tempestivi e misure sanitarie idonee al caso in questione nel rispetto della dignità, dei diritti civili e politici della Costituzione Italiana. Sarebbe anche opportuno provare ad implementare il personale e le risorse a disposizione dei relativi presidi operativi, quali centri di salute mentale (CSM), centri diurni (CD) , strutture residenziali per chi ha bisogno di assistenza per lunghi periodi (RSA) e servizi psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC), cioè i reparti in cui avvengono ricoveri volontari e obbligatori 24 ore al giorno. Tutto ciò senza tralasciare il contatto con le famiglie dei pazienti, perché un mutamento psichico non incide soltanto sul singolo individuo, bensì su tutto il sistema famiglia che gravita intorno a lui e di cui egli fa parte.

 

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E’ indispensabile fornire più vicinanza ai nuclei familiari: individuo e famiglia non vanno lasciati soli per nessun motivo. Infatti nel campo della salute mentale è ancora ben presente l’effetto del pregiudizio, che va dalla paura alla vergogna ed alla colpa a cui sono sottoposti sia il paziente sia il suo nucleo di appartenenza. In tutto ciò i mezzi di comunicazione fanno la loro parte poiché, purtroppo, per necessità di audience sono sempre alla ricerca esasperata di sensazionalismo e spettacolarizzazione di una condizione di difficoltà. E qui inizia la complessità del confronto con qualcosa di difficile da spiegare poiché il disagio mentale, quando arriva, travolge tutto e tutti con gli effetti più diversi da caso a caso e con il peso maggiore che ricade sulla famiglia, la quale non può sempre essere in grado di reggerlo per tante ragioni: gravità del disturbo, età avanzata, mancanza di risorse economiche e sociali, conflitti interni, senso di disperazione. Infatti, a differenza di altre malattie meno invasive, quella mentale non concede tregua, non consente una vita familiare degna di questo nome, poiché è essenzialmente un elemento corrosivo del magma emotivo ed affettivo del nucleo d’origine. Bisogna, quindi, assolutamente aiutare le famiglie attraverso un’informazione chiara e disponibile relativa agli aspetti della terapia e con un accesso ai servizi pubblici più snello e più presente in termini di risorse umane ed economiche. Bisogna necessariamente investire sul concetto di salute mentale.

Davide Berardi

davide_berardi_78@yahoo.it

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Il limone, un amico benefico con un’anima poetica

Il suo profumo acre, il suo colore caldo e il suo gusto aromatico e rivitalizzante   hanno ispirato scrittori e poeti con odi e poesie, suscitato l’interesse della letteratura mondiale 

Questo frutto succoso e iconico possiede la capacità di portarci con l’immaginazione in luoghi forti e pieni di personalità dove la sua presenza fa da sfondo al patrimonio comune, al bagaglio culturale e dove, come scriveva Pablo Neruda, un giallo calice di miracoli, un raggio di luce convertito in frutto è il minuscolo fuoco di un pianeta. Il limone è sia pianta che frutto, un agrume della famiglia delle Rutaceae, che in Cina si coltivava già intorno all’anno mille d.c. . Il suo albero produce inoltre un profumatissimo fiore dal nome Zagara che viene utilizzato prevalentemente nella produzione di essenze e profumi. Nelle sue molte varietà, il Corso, di Sorrento, di Siracusa, la Mano di Buddha, di Amalfi, Marocchino, Greco, Yemenita, Giallo,   Verde, Dolce e persino il meno conosciuto Rosso, il suo uso, dalla buccia ai semi, è versatile, generoso e di ausilio in molti settori. L’uso farmaceutico è ampio e riconosciuto, le proprietà antisettiche e battericide come la buona capacità di ipoglicemico, infatti, ne fanno un valido alleato nella cura di diversi fastidi. Ha un buon potere calmante e riposante se utilizzato come olio essenziale profumato da nebulizzare o come emolliente durante un delicato massaggio. In caso di dolori muscolari o articolari, di gengiviti, herpes labiali ed eczemi può essere, senza sostituire farmaci o altre terapie mediche , davvero un valido supporto. Un’altra proprietà molto apprezzata di questo frutto è quella disintossicante: un bicchiere di acqua tiepida e il succo di un limone ogni mattina per 15/20 giorni depura e chiarifica. Molto valido è anche il supporto che il limone può dare è in caso di vene varicose e circolazione, è nota infatti la sua efficacia nel rendere le pareti dei capillari più resistenti. Incisivo infine è l’impiego del limone contro le zanzare, se si vaporizza la sua   l’essenza, infatti, o se si applica direttamente sulla pelle si limita significativamente l’uso di prodotti tossici e aggressivi.Se siamo all’aperto invece, mezzo limone e chiodi di garofano insieme tengono lontano anche altri fastidiosi insetti senza inquinare l’ambiente.

Maria La Barbera