redazione il torinese

Medio Oriente: Israele- Palestina, pace più difficile

FOCUS / di Filippo Re

Se l’ipotesi dei due Stati vicini sembra impossibile, quella di uno Stato unico pare ugualmente irrealizzabile per la diffidenza reciproca e l’odio che divide i due popoli e che nasce già sui banchi di scuola. Non accadeva da oltre vent’anni che un presidente degli Stati Uniti affermasse di non considerare la soluzione dei due Stati come l’unica via percorribile per risolvere la crisi israelo-palestinese ma di essere disponibile a studiare altre possibilità come quella di uno Stato unico.

Qualsiasi idea va bene, sembra dire Trump, uno Stato, due Stati, come vogliono le parti interessate, l’obiettivo è la pace e siano loro a decidere. Le alternative per arrivare alla composizione della crisi non mancano e Nikki Haley, l’ambasciatrice americana all’Onu, ha detto che l’amministrazione statunitense sta cercando di capire se esistono altre strade da percorrere, dalla soluzione dei due Stati, sebbene congelata dopo l’incontro con Netanyahu alla Casa Bianca, a quella di uno Stato binazionale o a una Confederazione. Oppure riprendere il negoziato partendo dai Paesi arabi, come propone il capo della Casa Bianca, per tuffarsi poi nel cuore del problema, lasciando ai due attori principali la discussione sugli insediamenti e sui confini e non viceversa come è stato fatto fin qui. Provare quindi a lanciare la palla nel campo arabo moderato con il quale si è instaurato un clima più distensivo e i rapporti sono più stretti, soprattutto in chiave anti-terrorismo. Netanyahu va oltre e afferma che molti Paesi arabi non considerano più Israele un nemico ma un alleato su cui contare per lottare contro i terroristi islamici, per cui non bisogna perdere questa grande occasione per cambiare il corso della storia. Insomma, un rimescolamento delle carte che evidenzia la complessità di una questione che a sua volta si inserisce in un contesto mediorientale sconvolto dagli eventi degli ultimi anni e tutto da ricostruire.

Messi da parte, per il momento, i due Stati, avanza l’ipotesi di uno Stato unico per due popoli. A questo punto, sostiene Hanan Ashrawi, storica portavoce palestinese cristiana e veterana dei negoziati, l’alternativa ai due Stati è o uno Stato unico con eguali diritti per tutti oppure l’apartheid, cioè una discriminazione tra i cittadini di serie A, gli israeliani, e quelli di serie B, i palestinesi. L’idea di uno Stato binazionale preoccupa anche gli israeliani. Dare la cittadinanza a oltre 2.000.000 di palestinesi, dopo aver inglobato la Cisgiordania, stravolgerebbe, secondo gli esperti, gli equilibri demografici di Israele, essendo il tasso di natalità dei musulmani molto più alto di quello degli ebrei, mettendo così a repentaglio l’esistenza di Israele come Stato ebraico. Ma forse oggi non è più così perchè, almeno secondo le ultime statistiche, sono le donne israeliane a fare più figli delle donne musulmane palestinesi, facendo passare l’arma demografica dalla parte di Israele. Dal puzzle israelo-palestinese saltano fuori dati interessanti che confutano in modo clamoroso l’opinione diffusa secondo cui gli arabi palestinesi userebbero il tasso di natalità per superare gli ebrei a casa di questi ultimi. Dal nuovo Atlante geopolitico dello studioso francese Frederic Encel (“Israele in cento mappe”, Libreria editrice Goriziana) emerge che il rapporto tra gli israeliani ebrei e gli israeliani arabi sta crescendo a favore degli ebrei smentendo la possibilità di un crollo demografico e la scomparsa dello Stato ebraico in un futuro neanche tanto lontano.

Negli anni Settanta, osserva il politologo, gli arabi musulmani che vivevano in Israele avevano in media otto figli per coppia mentre gli ebrei ne avevano tre. Oltre quarant’anni dopo il tasso di natalità degli ebrei è rimasto uguale ma quello dei musulmani è precipitato da otto a tre. Nel 2015 i neonati ebrei sono stati il 74% mentre quelli musulmani il 20 per cento. Se questi dati verranno confermati l’esistenza di Israele non sarebbe più a rischio ma nascerebbero probabilmente altri problemi come la difficoltà di convivere in pace nello stesso territorio, gli uni insieme agli altri con il rischio di discriminazioni anche pesanti, potenziali scintille che potrebbero innescare un vasto incendio. Tra le altre proposte si guarda anche a una Confederazione formata da Israele e da un’entità palestinese autonoma (è l’idea del presidente israeliano Rivlin), con propri governi e istituzioni comuni, i cui confini verrebbero controllati dall’esercito di Tel Aviv oppure all’ipotesi di una Confederazione tra Israele, la Giordania e i palestinesi di cui si parla da decenni. La Confederazione risolverebbe forse il problema dei confini e di Gerusalemme ma lascerebbe intatta la questione dei profughi, altro nodo complicato da sciogliere. Nel settembre 2014 spuntò fuori un fantomatico piano segreto del presidente egiziano Al Sisi, che per sbloccare il negoziato, offrì ai palestinesi un pezzo del Sinai da affiancare alla Striscia di Gaza in cambio della rinuncia di Abu Mazen alla Cisgiordania e al ritorno dei profughi. Non se ne fece nulla.

C’è poi il drastico piano di Naftali Bennet, leader del partito religioso ultranazionalista “Focolare ebraico”, che chiede l’annessione per legge del 60% della Cisgiordania (la zona C dei Territori) e la creazione di zone autonome palestinesi nei territori restanti. Bennet auspica che la nuova amministrazione americana dia la spallata definitiva agli Accordi di Oslo. Ma bisogna fare i conti con il mondo arabo che, con il piano di pace saudita del 2002, prevede la normalizzazione delle relazioni con Israele ma solo dopo il ritiro dai territori conquistati nel giugno 1967, di cui ricorre quest’anno il 50esimo anniversario, e la nascita di uno Stato palestinese, già riconosciuto da 138 Paesi. E sono trascorsi 24 anni da quando Rabin, Arafat e Clinton firmarono nel 1993 gli accordi di Oslo che ordinavano a Israele di ritirarsi dai territori palestinesi. E sono passati 22 anni dall’assassinio di Rabin, ucciso da un estremista ebreo nel 1995, quando in Cisgiordania vivevano 150.000 coloni contro i 650.000 di oggi. L’obiettivo di Netanyahu è quello di arrivare a un milione di coloni nel 2020. Il piano approvato dalla Knesset il 6 febbraio scorso che prevede la legalizzazione di 4000 case edificate su terre palestinesi apre la strada all’annessione delle colonie, come dopo la guerra dei Sei Giorni nel ’67, e la sua adozione (l’ultima parola spetta alla Corte Suprema) seppellirebbe definitivamente Oslo ’93. Il fallimento del processo di pace, oltre alle evidenti responsabilità di Israele, chiama in causa anche gli stessi palestinesi che, incalzati dalle pressioni dei Paesi arabi, hanno spesso rifiutato le proposte di pace che vari governi israeliani hanno avanzato, giungendo a restituire perfino il 95% dei territori occupati con Gerusalemme est capitale di un futuro Stato palestinese. È anche vero che nessun pezzo di carta è mai stato firmato dalle parti e si trattava più che altro di offerte verbali ma dimostravano pur sempre la volontà politica di Gerusalemme di scendere a difficili compromessi e fare dolorose concessioni territoriali. Dal mondo accademico e intellettuale israeliano si commenta con un po’ di sarcasmo: resta pur sempre la soluzione dei tre Stati. Uno per noi, uno per i palestinesi, un altro per gli estremisti di entrambe le parti.

Filippo Re

 pubblicato da “La Voce e il Tempo “

 

 

“Le regole del buongoverno” al Pannunzio

Lunedì 6 marzo alle ore 18, al Centro “Pannunzio” in via Maria Vittoria 35H, Sara Lagi e Pier Franco Quaglieni presenteranno il libro di Alberto Giordano “Le regole del buongoverno. Il costituzionalismo liberale nell’Italia repubblicana”, Edizioni De Ferrari. Come andrebbe disegnata una Costituzione per tutelare i diritti dei cittadini e favorire lo sviluppo di una democrazia matura? Esistono meccanismi capaci di scongiurare gli abusi di potere? La nostra Carta Costituzionale li contempla appieno? E che spazio assegna ai Partiti politici? Domande attualissime alle quali i liberali hanno tentato di rispondere sin dai tempi dell’Assemblea Costituente e lungo tutta la “prima Repubblica”. Il volume ricostruisce questa storia con un’attenta analisi del costituzionalismo liberale tra il 1943 ed il 1985: un viaggio attraverso le piccole e grandi “eresie liberali”che hanno costellato quarant’anni di vita italiana. Alberto Giordano insegna Storia dell’opinione pubblica presso l’Università di Genova.

Bimba di due anni azzannata al volto da un cane

Una bimba di due anni è ricoverata all’ospedale Regina Margherita.  E’ infatti stata azzannata al volto dal cane di famiglia, in strada del Meisino, a Torino. La bambina stava piccola giocando sul divano quando è caduta sul cane, che stava dormendo. L’animale, solitamente docile e tranquillo, ha reagito aggredendola. Il cane ora è da un veterinario amico della famiglia.

Torino Fashion Bloggers: 5 eventi top

Marzo marzo marzo… pazzariello! Che dite di prendere in mano penna e agenda e di segnarvi quello di cui avete bisogno per affrontare questi ultimi giorni invernali e salutare degnamente la primavera! Ecco i 5 eventi da non perdere!

BARBAROUX 24 – OPENING PARTY

Qual è il desiderio assoluto delle donne (ma anche degli uomini)? Ma chiaro, le S C A R P E ! Da Barbaroux 24 questo sogno non solo si esaudisce perchè si possono scegliere tra tanti modelli di pellami, forme e colori, ma perchè la scarpa dei tuoi sogni… la puoi realizzare direttamente tu! Come fare? Venire con noi all’opening party in Via Barbaroux 24 e scoprire le bellezze di Barbaroux 24, scegliere con un nostro stilista gli elementi necessari per realizzare la vostra scarpetta di Cenerentola! Ma non solo: basterà partecipare a un piccolo contest e incrociare le dita: le vostre limited personal edition potreste riceverle in regalo! Non vi sembra tutto bellissimo?

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24 MARZO – APERTURA DEL TORINO OUTLET VILLAGE DI SETTIMO TSE

È ufficiale, il Torino Outlet Village di Settimo Torinese aprirà il 24 marzo. Ben 19.500 metri quadrati di superficie commerciale capaci di contenere fino a 90 negozi tra le grandi firme della moda, come da Ralph Lauren ad Armani, Victoria’s Secret, Nike. Siete pronte a spendere tutto il vostro stipendio?

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DAL 2 MARZO – Dal futurismo al ritorno dell’ordine

Le mostre d’arte non possono mai mancare e questa volta vogliamo portarvi nel futur…ismo! Dal 2 marzo sino al 18 giugno il Museo d’Arti decorative Accorsi ospita la mostra “Dal futurismo al ritorno all’ordine”. Pronte per immergervi in geometrie a cui potete dare un significato tutto vostro?

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8 marzo – Festa della Donna a Infini.to

La festa della donna? Noi la passiamo al Planetario, perché l’universo femminile è più bello di quello maschile. Infini.to – Planetario organizza una serata al Museo dello Spazio con spettacolo del Planetario, Teatro e Apericena. Un modo alternativo per parlare di stelle e di gossip con le migliori amiche!

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30 marzo – UN NASTRO INTORNO ALLA BOMBA

Volete incontrare Frida Kahlo? Potete farlo!

Lo spettacolo “UN NASTRO INTORNO ALLA BOMBA, storia di Frida” vede come protagonista Frida Kahlo che in una chiacchierata tra amici confessa al pubblico episodi che hanno toccato la sua vita. Un viaggio che parte dalla sua infanzia per arrivare alla sua morte. Non perdetevelo, è il 30 marzo al Cap 10100!

 

Sì può andare a scuola di felicità?

Attraverso un nuovo modo di respirare, l’inner smile e gesti semplici ma efficaci

 

Sì può andare a scuola di felicità? Certo che si. Ne è convinto l’autore dell’omonimo libro, Enea Benedetto, studi in Francia nel campo della sociologia e appassionato di Pnl e delle teorie di Richard Bandler, portavoce anche del movimento “Acton for Happiness”, che ha come scopo principale quello di creare una società più felice per tutti.

” La felicità – spiega Enea Benedetto – non può essere considerata una positività continua e piatta, ma una positività interrotta, in cui sono presenti dei momenti di neutralità alternati a altri in cui ci si avvicina a uno stato di benessere emozionale. Quindi non deve essere intesa come una linea retta stabile, espressione di un flusso continuo. Nel mio libro intitolato “La scuola della felicità” spiego che la felicità personale, il nostro successo e la realizzazione di noi stessi si ottengono soltanto nel momento nel quale i nostri obiettivi e i nostri valori realizzano il “nostro grande sogno”. Esiste, comunque, un metodo per raggiungere la felicità, che consiste nel perseguire un equilibrio nei seguenti cinque settori della vita: creatività e lavoro, spiritualità, campo fisico (il che vuol dire saper instaurare un buon rapporto con il nostro fisico), settore relazionale (ovvero l’amore inteso nel senso più ampio del termine), e finanziario (comprendente una sicurezza di base o la capacità di generare flussi di cassa periodici senza dover lavorare)”.

“Il mio metodo per la scelta della felicità – prosegue Enea – è sostanzialmente semplice e parte da gesti che potrebbero sembrare banali, ma che, invece, rivestono un ruolo fondamentale nella nostra vita, come la respirazione, attraverso la quale ossigeniamo i tessuti e il cervello e, di conseguenza, i nostri sogni. La respirazione che suggerisco non è quella tipica dello yoga, né medica, ma propedeutica alla felicità, e serve a generare un’ossigenazione e un metabolismo di tutte le cellule, tale da permetterne una migliore qualità di vita. Dal metodo della respirazione si passa poi al cosiddetto “inner smile”, ovvero sorriso interiore. La respirazione felice prevede un rapporto 1-4-2, vale a dire 1secondo per l’inspirazione, 4  di ossigenazione e 2 di espirazione finale”.

” Un altro aspetto fondamentale – aggiunge Enea Benedetto – è rappresentato dall’inquadramento dei nostri obiettivi e dalla nostra capacità di fotografare le immagini felici del passato e renderle nitide nel presente. Con ogni mio cliente definisco la sfera della felicità con 5 spicchi diversi, quindi passo alla definizione dell’obiettivo e, solo in un momento successivo, entra in gioco la legge dell’attrazione, secondo la quale i pensieri diventano azioni. L’universo ci restituisce, infatti, tutte le passività e le positività che noi siamo capaci a trasmettergli, secondo la legge in base alla quale noi riusciamo a attrarre ciò su cui ci focalizziamo. Una teoria che sta alla base del mio pensiero è quella elaborata dal sociologo e economista parigino Vilfredo Pareto, che sostiene che l’80 per cento dei nostri benefici derivi dal 20 per cento delle nostre azioni, principio applicabile anche agli investimenti economici . Un’altra teoria che ho accolto pienamente è quella del flusso, elaborata da Mihaly Csikszentmihalyi, docente di antropologia e sociologia negli Stati Uniti. Secondo questo studioso sono otto gli “interruttori” per accendere la “luce della felicità”, ovvero per trasformare situazioni ordinarie in situazioni di flusso: obiettivi chiari, un riscontro immediato, concentrazione sul compito che ci si è preposti, successo del compito, coinvolgimento totale, esclusione degli altri per raggiungere l’obiettivo, controllo assoluto di se stessi e relatività del tempo”.

 

Mara Martellotta

Benedetto espone al Polski Kot

Presso il centro Polski Kot, un angolo stupendo di Polonia a Torino, oggi si inaugura la mostra fotografica di Claudio Benedetto, cui seguirà un concerto. Sì intitola “Polonia Polska” l’esposizione fotografica che inaugura sabato 4 marzo alle 18 presso il centro Polski Kot in via Massena 19/A e raccoglie i lavori fotografici di Claudio Benedetto, vale a dire gli scatti più recenti dedicati al Paese che si affaccia sul Baltico. Sarà aperta a partire dalle 18; tra le 19 e le 21 sarà possibile degustare bigos, la specialità polacca a base di cavoli, funghi e carne, accompagnata da pane nero e birra tipica a 5 euro. Dalle 21 prenderà avvio il Concertino per tastiera dell’artista macedone Marko Chvarko, accompagnato dalla propria voce narrante, che permetterà agli ascoltatori di scoprire uno dei Paesi più affascinanti d’Europa a partire dalla sua musica.

MM

Torino, torna la “Biennale”. Ma la democrazia è anche liberale

Di Pier Franco Quaglieni *

 

E’ stata annunciata la nuova edizione 2017 di “Biennale della democrazia”, l’iniziativa promossa dal prof. Gustavo Zagrebelski e dedicata quest’anno alle emergenze. Sicuramente gli ospiti sono numerosi (quasi 250) e il programma molto intenso ed anche qualificato.Il prof. Zagrebelski  è sempre  rigoroso e i suoi collaboratori sono validissimi. Ma il fatto che i due interventi- clou siano una lectio magistralis del presidente dell’Inps  Tito Boeri ( non certo in veste istituzionale come maitre à penser di una certa ben identificabile cultura ) e la conclusione del guru dell’anticamorra Roberto  Saviano è emblematico dell’aria che tirerà durante l’appuntamento torinese.Lo stesso manifesto della Biennale 2017, creato da Botto e Bruno (“un muro di periferia segnato dai graffiti  che trasmette un vago senso di claustrofobia”,così è stato definito) indica qual è lo spirito unificante dei tanti eventi.Uno dei temi sarà “la difesa del multicultalismo”, con una parola di troppo,la difesa .Infatti confrontarsi su questi temi delicatissimi significa non partire dagli a priori  ideologici,ma mettersi in discussione e permettere un confronto a 360 gradi. E’ certo giusto difendere le ragioni di culture e religioni diverse ,un tempo lontane e oggi vicine,ma non si può poi contraddirsi, disconoscendo filoni importanti della cultura italiana e occidentale,lasciandosi prendere da un”multicultarismo” che ,nell’accezione diventata comune, non è difesa della pluralità liberale,ma abdicazione sottomessa alla nostra stessa identità storica.Novità di quest’anno saranno manifestazioni al nuovissimo Polo del ‘900 e alla scuola Holden, due location emblematiche su cui non è caso di aggiungere nulla. Ciò che appare quasi totalmente  assente è la cultura liberale,quella cultura che vede le emergenze in modo molto diverso da Saviano, ad esempio. Eppure ci sono figure nazionali e internazionali che appartengono alla cultura liberale che potrebbe dare un contributo importante. Democrazia, a meno di  accettarne un’ interpretazione in chiave giacobina, significa confronto senza pregiudiziali ideologiche a tutto campo. Gobetti diceva che era meglio che le opinioni discordassero,perché dallo scontro,oltre che dal confronto,nascono nuove idee. Non è compito della Biennale elaborare “un pensiero progettante”, ma far conoscere posizioni diverse :saranno i cittadini partecipanti a decidere quale possa essere quella più condivisibile dal loro legittimo punto di vista. Va  infatti detto,e non è particolare secondario,che la Biennale è finanziata prevalentemente da enti pubblici. Il pluralismo delle idee quindi dovrebbe essere l’elemento caratterizzante della rassegna torinese. Non ci sembra affatto che sia così. Detto in modo sintetico e semplicistico,sulla Biennale aleggia  più lo spirito di Robespierre che quello di Einaudi padre. In ogni caso, la Biennale non è “un’impresa collettiva della nostra città”,come è stato autorevolmente affermato, perché pezzi importanti di questa città sono stati esclusi a priori. Essa infatti resta anche nel 2017 la manifestazione più significativa del cosiddetto “Sistema Torino”.

 

* Direttore del Centro Pannunzio

ALTISSIMO E SPAGNUOLO, IN SALA ROSSA UN RICORDO IN “ACCOPPIATA FORTUITA”

Il 20 marzo alle ore 12  in Consiglio Comunale a Torino verranno ricordati dalla Sindaca, dal Presidente del Consiglio Comunale  e dell’Associazione Consiglieri Emeriti i consiglieri comunali Renato Altissimo e Carla Spagnuolo. Il primo mancato nel 2015 e la seconda nel gennaio 2017. Non ricordo in passato abbinamenti casuali di questo tipo e non rammento  che si siano svolti a mezzogiorno. Che c’entra Altissimo con Spagnuolo? Uno è stato deputato, ministro, segretario del PLI,l’altra assessore comunale, consigliere regionale del Psi , Presidente del Consiglio regionale del Piemonte e poi nuovamente consigliere regionale di Fi. Carriere e percorsi totalmente diversi. E’ difficile trovare dei legami , se non nel dimenticato da tutti ” Lib-Lab” (la collaborazione tra liberali e socialisti voluta da Zanone e da Craxi ), sostenuto da Altissimo, ma non certo da Spagnuolo. E non vengono neppure menzionati coloro che, di norma, si aggiungono alle voci istituzionali (soprattutto amici dello scomparso/a). Forse a quell’ora si limiteranno a parlarne la Sindaca e i due presidenti. Non mi sembra il modo giusto di ricordare, in accoppiata fortuita, due consiglieri comunali che per un decennio sono stati in Sala rossa  protagonisti di rilievo, oltretutto in tornate amministrative diverse. 

 

Pier Franco Quaglieni

Višegrad, dove la Drina diventò la più grande fossa comune della Bosnia

“VIŠEGRAD.L’odio, la morte, l’oblio” (Infinito edizioni) è l’ultimo libro di Luca Leone e uscirà tra breve nelle librerie. Il volume, con la prefazione di Riccardo Noury e l’introduzione di Silvio Ziliotto, racconta una storia spesso dimenticata o taciuta. Nella primavera del 1992, all’inizio del conflitto che sino alla fine del 1995 insanguinerà la Bosnia Erzegovina, Višegrad venne sottoposta a un intenso bombardamento da parte dell’esercito regolare jugoslavo. Ritiratesi le forze armate, millantando una situazione ormai sicura e sotto controllo, la cittadina della Bosnia orientale finì sotto il controllo di un gruppo paramilitare guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić, che inaugurarono un regime del terrore e dell’orrore.

In pochi mesi la pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale – venne portata a termine con operazioni di rastrellamento, deportazioni, omicidi di massa e persino attraverso la combustione, in almeno due casi, di decine di civili all’interno di case private. Circa tremila persone vennero uccise e fatte scomparire. Lo stupro etnico ai danni di donne, bambini e uomini divenne pratica comune. Il fiume Drina mirabilmente cantato dal premio Nobel per la letteratura Ivo Andrić si trasformò nella più grande fossa comune di quella guerra. Questo reportage scritto sul campo racconta quelle vicende e, per stessa ammissione di Luca Leone, è un libro corale. Voci, storie, dolori e violenze che riempiono ricordi e incubi, le speranze riposte in una giustizia, che ancora non si è compiuta, prendono forma e aiutano a capire perché ciò che è iniziato a Višegrad è poi finito a Srebrenica in una sequenza terribile e disumana.

 

Višegrad è un esempio terrificante di pulizia etnica e la cattiva coscienza di coloro che hanno troppi scheletri nell’armadio tende a giustificare la rimozione collettiva, motivandola con la pesantezza dei ricordi e del disagio che questi provocano. Alcuni capitoli sono come un pugno nello stomaco; duro, ma necessario. Il racconto, colmo di passione civile e preciso, quasi chirurgico nel mettere in ordine fatti e testimonianze, riporta al clima terribile di quei giorni e di quei mesi dove tutto iniziava: i furti, la distruzione sistematica delle proprietà dei cittadini bosniaci-musulmani, le torture e le sparizioni, l’omicidio e lo stupro di massa. E’ un orribile calvario quello vissuto da migliaia di persone sulla linea di confine tra la Bosnia e la Serbia. Un albergo può chiamarsi “Vilina Vlas”       ( “capelli di fata”, come nelle fiabe) e nascondere tra le sue mura l’orrore puro? A Višegrad è accaduto. E’ lì che avevano il loro quartier generale i “signori neri di Višegrad”, i due cugini Milan e Sredoje Lukić. Due assassini e stupratori, condannati all’ergastolo e a 30 anni dal tribunale dell’Aja, che incutono ancora oggi timore al solo nominarli. In fondo da quelle parti, sulle sponde della Drina, è come se il genocidio continuasse. Per questo ha ragione Luca Leone nel ricordarci che occorre non dimenticare. Anzi: bisogna “leggere per capire”.  Anche se è difficile. Anche se viene voglia di chiudere gli occhi e la mente davanti agli orrori narrati nel libro. Ma bisogna sapere. Perché sulle terre di quella che un tempo è stata la Jugoslavia soffia ancora forte il vento del nazionalismo. E semina un po’ ovunque le spore del negazionismo. E’ pur vero che la guerra appartiene ormai ad un passato lontano, ma il germe della violenza è ancora ben vivo e inquina la vita di tutti i giorni. Bisogna cercare “sotto al tappeto la polvere grigia del dolore e della tragedia che piedi nazionalisti hanno cercato malamente e vigliaccamente di nascondere, dopo aver dato fuoco alla stoppa ed essere rimasti a godersi, applaudendo, l’incendio”.

Questi due decenni post bellici hanno visto di tutto: crisi economica, speculazione, aumento delle disuguaglianze, criminalità e corruzione. Accompagnate dalla mancata o ritardata e parziale giustizia, dall’impunità dei colpevoli alla frustrazione delle vittime, spesso obbligati – gli uni e le altre – a vivere fianco a fianco. Il potere costituito, quello dall’anima nera, vorrebbe dimenticare e far dimenticare cos’è accaduto. Cosa c’è di più catartico che omettere, nascondere responsabilità su crimini e aberrazioni? Il genocidio non avviene a caso, non è il frutto di un incidente, di un raptus dentro una logica violenta. Il libro di Luca Leone – e tutti gli altri che ha voluto dedicare, con coraggio e impegno, alla Bosnia – è di grande importanza perché rappresenta un formidabile antidoto contro il negazionismo. Negli ultimi vent’anni, i serbi bosniaci e la Serbia si sono impegnati a negare il genocidio, a classificare quello che è accaduto come uno dei tanti crimini che vengono commessi durante un conflitto. Così, il negazionismo è diventato una sorta di strategia di Stato. Qualcosa di simile ad una auto-assoluzione considerato il fatto che molti degli attuali politici sono le stesse persone che avevano qualche responsabilità o ruolo nell’apparato politico serbo all’epoca del genocidio. E la loro ideologia è ancora la stessa: un marcato nazionalismo che, negando i fatti, nega le proprie colpe e continua a provocare dolore e sconcerto alle vittime di tanta violenza. Nel libro che offre, appunto, una documentata testimonianza “corale”, parlano uomini straordinari come Amor Mašović ( il presidente dell’ente federale bosniaco per la ricerca delle persone scomparse), Rato Rajakil sindaco di Rudo (“gigante dalle spalle un po’ curve e dalla mente illuminata”) –  o l’ex generale Jovan Divjak, l’eroe serbo che difese Sarajevo. Ma sono soprattutto le donne ad essere protagoniste, vittime, ma anche testimoni determinate, inflessibili. Il dolore di Dzana, Lejla emerge, potente e drammatico, insieme al loro coraggio e a quello di tante altre donne. I racconti di Bakira Hasečić, la “lady Wiesenthal“ della Bosnia, lasciano senza parole. Una narrazione lucida, dolorosa, che strappa le parole e le memorie come pezzi dell’anima. Ogni ricordo è un morso nella carne. Per questo reportage e per tante altre storie e racconti bisogna essere grati a Luca Leone – autore anche di“Srebrenica. I giorni della vergogna” ,  “Bosnia Express” , “I bastardi di Sarajevo” e molti altri testi – uno dei più attenti e informati “testimoni” delle vicende bosniache.

Marco Travaglini

 

Porta Nuova, rientrato allarme bomba

Rientrato l’allarme bomba che, stamane, intorno alle 10,30, davanti alla stazione di Porta Nuova, ha fatto bloccare il traffico stradale. La causa è stata una sacca che, fatta  brillare successivamente dagli artificieri, è risultata piena di vestiti. Era stata lasciata nei pressi della fermata Gtt in corso Vittorio Emanuele all’altezza di piazza Carlo Felice, vicino ai giardini Sambuy.