Torino, torna la “Biennale”. Ma la democrazia è anche liberale

Di Pier Franco Quaglieni *

 

E’ stata annunciata la nuova edizione 2017 di “Biennale della democrazia”, l’iniziativa promossa dal prof. Gustavo Zagrebelski e dedicata quest’anno alle emergenze. Sicuramente gli ospiti sono numerosi (quasi 250) e il programma molto intenso ed anche qualificato.Il prof. Zagrebelski  è sempre  rigoroso e i suoi collaboratori sono validissimi. Ma il fatto che i due interventi- clou siano una lectio magistralis del presidente dell’Inps  Tito Boeri ( non certo in veste istituzionale come maitre à penser di una certa ben identificabile cultura ) e la conclusione del guru dell’anticamorra Roberto  Saviano è emblematico dell’aria che tirerà durante l’appuntamento torinese.Lo stesso manifesto della Biennale 2017, creato da Botto e Bruno (“un muro di periferia segnato dai graffiti  che trasmette un vago senso di claustrofobia”,così è stato definito) indica qual è lo spirito unificante dei tanti eventi.Uno dei temi sarà “la difesa del multicultalismo”, con una parola di troppo,la difesa .Infatti confrontarsi su questi temi delicatissimi significa non partire dagli a priori  ideologici,ma mettersi in discussione e permettere un confronto a 360 gradi. E’ certo giusto difendere le ragioni di culture e religioni diverse ,un tempo lontane e oggi vicine,ma non si può poi contraddirsi, disconoscendo filoni importanti della cultura italiana e occidentale,lasciandosi prendere da un”multicultarismo” che ,nell’accezione diventata comune, non è difesa della pluralità liberale,ma abdicazione sottomessa alla nostra stessa identità storica.Novità di quest’anno saranno manifestazioni al nuovissimo Polo del ‘900 e alla scuola Holden, due location emblematiche su cui non è caso di aggiungere nulla. Ciò che appare quasi totalmente  assente è la cultura liberale,quella cultura che vede le emergenze in modo molto diverso da Saviano, ad esempio. Eppure ci sono figure nazionali e internazionali che appartengono alla cultura liberale che potrebbe dare un contributo importante. Democrazia, a meno di  accettarne un’ interpretazione in chiave giacobina, significa confronto senza pregiudiziali ideologiche a tutto campo. Gobetti diceva che era meglio che le opinioni discordassero,perché dallo scontro,oltre che dal confronto,nascono nuove idee. Non è compito della Biennale elaborare “un pensiero progettante”, ma far conoscere posizioni diverse :saranno i cittadini partecipanti a decidere quale possa essere quella più condivisibile dal loro legittimo punto di vista. Va  infatti detto,e non è particolare secondario,che la Biennale è finanziata prevalentemente da enti pubblici. Il pluralismo delle idee quindi dovrebbe essere l’elemento caratterizzante della rassegna torinese. Non ci sembra affatto che sia così. Detto in modo sintetico e semplicistico,sulla Biennale aleggia  più lo spirito di Robespierre che quello di Einaudi padre. In ogni caso, la Biennale non è “un’impresa collettiva della nostra città”,come è stato autorevolmente affermato, perché pezzi importanti di questa città sono stati esclusi a priori. Essa infatti resta anche nel 2017 la manifestazione più significativa del cosiddetto “Sistema Torino”.

 

* Direttore del Centro Pannunzio

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