Gabriele Di Fronzo e Sfinge: l’ultimo viaggio di un uomo che custodisce il tempo

TORINO TRA LE RIGHE

Ci sono romanzi che non si limitano a raccontare una storia, ma aprono un varco. Per concludere questo 2025, per Torino tra le righe, voglio parlarvi di Sfinge, l’ultima opera di Gabriele Di Fronzo, torinese classe 1984, uno di quei libri che invitano il lettore a sedersi accanto al protagonista e a osservare il mondo con uno sguardo sospeso fra il passato e ciò che non è ancora accaduto. Di Fronzo, già autore di Il grande animaleLa samurai e Cosa faremo di questo amore, torna in libreria con un romanzo che profuma di sabbia antica e metropoli future. Una storia che parte da Torino, dal Museo Egizio, crocevia di memorie millenarie, e che si apre su Shanghai, città-mondo in cui tutto sembra essere costruito per sfidare – o ingannare – il tempo.
Il protagonista, Matteo Lesables, ha un mestiere che somiglia a un rito: è un courier, un custode viaggiante incaricato di scortare reperti preziosi nei loro spostamenti tra musei. Una vita trascorsa dentro aeroporti, casse climatizzate, sale espositive illuminate come templi. Sembra paradossale, ma Matteo ha passato più tempo con statue e papiri che con le persone. Quei reperti – fragili, solenni, muti – sono diventati la sua compagnia e la sua misura del mondo. Ed è proprio nel momento in cui sta per lasciare il lavoro, alla soglia dei sessant’anni, che gli affidano la missione più imponente: accompagnare a Shanghai la Sfinge del Museo Egizio di Torino. Un blocco di sabbia plasmato dal tempo, un enigma che attraversa millenni e che nel romanzo diventa quasi un personaggio.
Il viaggio di Matteo non è solo una trasferta lavorativa. È un attraversamento. Shanghai gli appare come un organismo vivente: luminoso, vertiginoso, spesso incomprensibile. Una città che non ha paura di cancellare ciò che è stato per edificare ciò che sarà. Il contrario esatto della sua amata Torino, che invece custodisce e stratifica. In questa metropoli sterminata, Matteo incontra Qi, giovane direttrice del museo ospitante. Una donna sfuggente, brillante, con una grazia fatta di chiaroscuri. Non è un amore quello che nasce – forse nemmeno un desiderio. È piuttosto un richiamo, la possibilità di rivedere se stesso da un’altra angolazione. E poi c’è un altro incontro, apparentemente minore ma decisivo: un uomo d’affari che gli parla di fiori in via d’estinzione. Sarà proprio un piccolo seme, minuscolo e tenace, a insinuarsi nella trama come una promessa inattesa.
Nelle pagine del romanzo, Di Fronzo intreccia i paesaggi del presente con quelli della memoria. Soprattutto con Sara, l’ex moglie che continua a vivere nei pensieri del protagonista come un’eco che non si decide a svanire. Matteo non sa spiegarsi perché quell’amore sia finito: lo osserva come si osservano i reperti che ha trasportato per una vita intera, cercando un senso nelle crepe, nella polvere, nel silenzio. La vera forza del romanzo sta forse qui: nel modo in cui mette in scena la solitudine come uno spazio abitabile, a volte persino necessario. Matteo attraversa Shanghai come ha attraversato la vita: con passo leggero, ma col peso degli anni che gli scivolano fra le dita come sabbia.
Sfinge è un romanzo che parla di tempo, più che d’amore, più che di viaggi. Il tempo che corrode, che conserva, che confonde. Il tempo delle statue, che sfida l’oblio, e quello degli uomini, che invece vi soccombono più facilmente. La voce di Matteo è quella di un uomo che ha passato la vita accanto alla storia degli altri e ora si ritrova a fare i conti con la propria. Eppure, nonostante la malinconia che attraversa queste pagine come un filo d’oro scuro, il finale lascia aperta una porta: perché anche quando tutto sembra all’ultimo giro, qualcosa può ancora germogliare.
Nel romanzo, Torino è presente come sottotraccia: nel museo, nei reperti, nella formazione del protagonista. Ed è proprio questa radice torinese – stabile, silenziosa, antica – a dare al libro una profondità particolare. Il viaggio verso Shanghai diventa così anche un viaggio di ritorno: non a una città, ma a ciò che resta, a ciò che vale la pena custodire. Con Sfinge, Gabriele Di Fronzo firma un romanzo colto, elegante, ma soprattutto capace di toccare quella parte dell’animo che non ha mai smesso di fare domande. Un libro che si legge come un lento avvicinarsi alla verità, una verità che non necessariamente consola, ma che illumina.
MARZIA ESTINI
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