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Amanda Sandrelli ritorna al Teatro Concordia per interpretare Caterina de La bisbetica domata di William Shakespeare, un personaggio affascinante per la sua ambiguità che mostra però la distruzione della sua personalità ribelle. Caterina è un personaggio che incarna un’ambiguità affascinante, un paradosso che la rende molto più complessa di una semplice “dama addomesticata”. La sua figura si presenta come un groviglio di contraddizioni: antipatica e intransigente, a tratti sboccata e con posizioni integraliste, qualcuno la definirebbe persino pazza. Eppure, sotto questa corazza, si cela una profonda libertà, un’adolescenziale e romantica aspirazione a un mondo in cui il matrimonio sia un atto d’amore, non una transazione sociale. Nella Padova shakespeariana de La Bisbetica domata, l’ambiguità non è prerogativa esclusiva di Caterina. Tutti i protagonisti sono segnati da colpe, intrappolati in una rete di ipocrisie e convenzioni sociali. In una società profondamente maschilista come quella inglese di fine Cinquecento, l’immagine di una Caterina “addomesticata” poteva apparire, all’epoca, come un personaggio comico, e la commedia come un edificante lieto fine, una sorta di “selvaggia addomesticata” che trova la sua redenzione nell’obbedienza. Tuttavia, la prospettiva è radicalmente mutata. Oggi, la rappresentazione de La Bisbetica domata non suscita più un senso di edificazione o di lieto fine. La visione che Caterina vorrebbe riscrivere le regole, opporsi alla madre e allo sposo, si scontra con una realtà fatta di umiliazioni e violenza. La sua sofferenza non è più fonte di riso, ma un’esperienza dolorosa e angosciante, pianificata fin dalle prime battute di Petruccio. Lui non è un uomo che cerca di conquistare una donna, ma un dominatore che mira a piegare una ricca e desiderabile preda, sapendo esattamente come farlo, con la forza o con l’inganno. Durante la rappresentazione, tra risate, travestimenti e dichiarazioni d’amore, si cela una violenza che raggiunge livelli da incubo. Ma il vero orrore si consuma dietro le quinte, in un luogo inaccessibile agli spettatori. Quando la porta si chiude, non arriva nessun principe azzurro a salvare Caterina. Lei piega la testa, ridotta a una creatura sottomessa, un “cagnolino” privato della sua forza e della sua identità. Di Caterina, quella ragazza ribelle e passionale che sognava l’amore, non rimane che un’ombra. Costretta all’umiliazione totale, tutti le voltano le spalle. Cosa l’attende tra le mura domestiche è un mistero, un problema che la riguarda esclusivamente. Noi, spettatori, possiamo solo fingere di essere felici, di celebrare un lieto fine che è in realtà una tragedia silenziosa. La commedia, in fondo, è solo una maschera dietro cui si cela una realtà ben più oscura e disturbante. Il suo “addomesticamento” non è una vittoria, ma una sconfitta, una perdita irreparabile di sé. E la risata, in questo contesto, suona come un’amara beffa. La vera domanda non è se Caterina sia stata addomesticata, ma a quale prezzo. |
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