Con l’affascinante nome OPERAZIONE RAGNATELA (SPIDER WEB), domenica 1mo giugno 2025 – come ormai noto – ben 117 droni (suddivisi in più mezzi ruotati) sono stati lanciati dalle Forze Armate ucraine verso quattro basi aeree russe distanti migliaia di chilometri dai confini che separano i due Paesi (una quinta è ufficialmente fallita per problemi non certi ma condivisi dai due schieramenti).
Le basi citate sono nelle regioni di Murmansk, Irkutsk, Ivanono, Ryazan e Amur ma sembra ormai quasi certo che solo due abbiano subito danni veramente gravi.
Una è la base di Murmansk, remoto nord ovest russo accanto la Finlandia e l’altra si trova nella Siberia centrale a più di 8000 chilometri da Mosca, vicino alla Mongolia settentrionale.
Prime notizie davano per distrutti ben 41 fra bombardieri strategici e caccia-bombardieri. I numeri poi si sono modificati nel giro di qualche ora. Nella consueta guerra dell’informazione i dati sono spesso imprecisi ma in caso di una trentina di mezzi distrutti – o temporaneamente inutilizzabili – un terzo della flotta aerea ex sovietica sarebbe ora fuori combattimento.
A raccontarlo in poche righe, si potrebbe considerare un’operazione semplice per i tempi super-tecnologici che viviamo da tempo: camion con cassoni modificati per una doppia soffittatura scoperchiabile, carichi di piccoli droni ad elica caricati con esplosivo ad alto potenziale sono stati fatti partire da breve distanza dagli obiettivi, le cui difese non hanno più potuto opporre valide difese.
Questa semplicità è solo di facciata… come ogni militare un minimo esperto sa, fatto noto è che le gli attacchi via aria a strutture aeroportuali arrivano da lontano.
Per questo ogni difesa di perimetro si basa precipuamente su missili guidati da radar. In aggiunta, ogni base aerea oppone a ipotetici attacchi di fanteria pattuglie di terra, per intercettare potenziali aggressori di fanteria.
L’attacco ucraino con mezzi ruotati civili fatti avvicinare agli obiettivi, con piccoli droni guidati da remoto, ha invece saputo andare oltre gli schemi tradizionali.
Si è trattato di un’operazione estremamente complessa e durata un anno e mezzo, che ha coinvolto servizi segreti ucraini, aiuti ‘esterni’, certamente basi di appoggio spionistico sul territorio, molta capacità tattica e, nel complesso, un capitale umano di altissimo livello.
Anche da considerare che, in quanto guerra ANCHE civile, non è difficile ipotizzare che ci siano russi di origine ucraina disposti a collaborare per Kiev (come per Mosca contare su fiancheggiatori di origine russa ma residenti da generazioni in zone ‘ora nemiche’).
In ogni caso il presidente Volodymir Zelensky ha commentato l’operazione come “brillante successo raggiunto in 18 mesi dall’inizio della sua pianificazione”.
Quante vittime e quali i danni?
Senza entrare in speculazioni partigiane per questa o l’altra parte, il dato delle vittime russe sembra si aggiri attorno numeri di 12/15 vittime e TUTTE militari (a differenza dei macelli causati ‘sul terreno’ dalla controparte russa, responsabile di vittime civili ucraine vicine all’abnorme numero di 14/15.000 persone).
I costi economici: nonostante che una parte tenda ad esagerare i danni inflitti al nemico e l’altra a diminuirli, un dato probabilmente veritiero (fonti Difesa USA) sarebbe di 7 miliardi di dollari, con la distruzione del 34% dei vettori strategici della Federazione, non poco anche per una grande nazione come quella russa.
Nel complesso, fra mezzi distrutti e danneggiati, più o meno seriamente sono 5 bombardieri strategici Tupolev Tu-95MS (aereo simile ai B-52 americani ma ancora equipaggiato da motori a turboelica), due Tu-22M3 e un aereo da trasporto militare Antonov An-12 (altre fonti riferiscono anche di uno o più aerei radar A-50).
Come noto, dal 2022 è iniziata una guerra di invasione di logoramento, certamente devastante per la nazione invasa, ma che si sta rivelando molto onerosa in tutti sensi anche per la controparte di Mosca.
Fatto evidente è che per la Russia, l’attacco del 1mo giugno rappresenta un danno militare e reputazionale di qualche portata, ma più simbolica che operativa, che non impedirà un prosieguo di successi militari in quasi tutte le regioni ucraine toccate da questa guerra. Il riferimento alle conquiste di Donetsk, Kharkiv e Sumy pare inequivocabile.
Cosa colpisce piuttosto è la non casuale coincidenza con i colloqui di pace di Istambul, fissati per il giorno dopo l’attacco.
Se cerchi la pace, non certo idea vincente è inasprire la guerra. Alternativamente, Kiev potrebbe anche aver cercato di dimostrare a Mosca che la partita non è finita e tante frecce sono ancora nella faretra ucraina.
Girano voci ai vertici NATO del possibile desiderio di voler prolungare lo scontro da parte ucraina, sperando di riprendere territori ora in mano nemiche.
La Storia fissa i fatti, ma quando questa si sta scrivendo, tante sono le variabili, le menzogne, i tranelli all’Informazione.
Gli Stati Uniti hanno subito preso le distanze dall’operazione, ma sembra provata una forma di aiuto satellitare e di Intelligence da parte della Gran Bretagna.
In quel caso, si potrebbero ipotizzare ulteriori differenti logiche di intervento sul dramma ucraino da parte americana, rispetto a quella britannica, non più nazione UE, ma pur sempre europea.
La situazione di teatro continua a dimostrarsi mobile, molto incerta per tutti gli stakeholders coinvolti, Italia compresa.
Quando tuona il cannone, il domani potrebbe rilevarsi diverso, addirittura opposto all’oggi.
Ferruccio Capra Quarelli
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