di Claudio Chiarle *
Caro direttore,
anche la Cisl ha perso la sua autonomia dai partiti o meglio dal governo di turno. Leggo un contributo di Giorgio Merlo su “ilTorinese” in cui parla dell’autonomia del sindacato dagli schieramenti politici. Vengono raffrontati i due modelli: quello Cgil e Cisl. Concordo in parte sull’analisi della Cgil in quanto dentro di essa vi è comunque una dialettica tra le categorie, dove non tutte fanno riferimento a Landini, novello grillo-schleniano ma resiste una parte riformista.
Mi sembra invece molto lontana dalla realtà l’analisi sulla Cisl sopratutto dove, abbracciando tutta l’erba in un fascio, si fa della continuità della linea di fondo, da Pastore a Sbarra, un modello sindacale. La storia della Cisl è fatta di grandi discontinuità e cambiamenti e se nei primi anni, sino a Macario, ha seguito un percorso in cui anche il rapporto con la Dc era organico ma dialettico, senza invasioni di campo ma contiguo; con Carniti avviene una svolta profonda dove l’autonomia dai partiti, dalla Dc, diventa concreta, dove la Cisl diventa il sindacato pragmatico, della prassi, della contrattazione.
In quegli anni fiorisce una Cisl pluralista, dove il confronto interno diventa risorsa e rinnovamento. Una Cisl in cui sono presenti dai gruppi extraparlamentari della sinistra sino alla destra democristiana. Una dialettica che fa fiorire mille idee e dove la Cisl si attornia di intellettuali ed economisti. Uno per tutti, Tarantelli che pagò con la vita le sue scelte e che Carniti portò avanti sino alla rottura della Cgil sull’accordo per la scala mobile. Pensare a Carniti che rompe l’unità sindacale significa che le sue idee e convinzioni erano talmente forti che prevalsero su uno dei pilastri su cui ha fondato l’idea di Cisl: l’unità sindacale. Una rottura sui contenuti. Come nel 2001 la Fim, insieme alla Uilm, firmò il contratto nazionale dei metalmeccanici sul merito e la Fiom ideologicamente si autoescluse. Successivamente, con un cambio di impostazione, la gestione cislina di Marini aveva l’obiettivo di riportarla alla normalizzazione riducendo il ruolo dei Carnitiani, operazione proseguita con D’Antoni. Infine la debole gestione di Pezzotta consegnò l’organizzazione a Bonanni, ma ormai era un’altra Cisl. Quindi non c’è una sola Cisl da Pastore a Sbarra ma tante Cisl.
Dal dopo Pezzotta, il Patto per l’Italia fu una trappola del centrodestra in cui la Cisl di allora cascò, le rotture dell’unità sindacale furono ideologiche, di appartenenza o sostegno a schieramenti politici oppure contro l’altro blocco sindacale. Come si può dimenticare l’asse Bonanni-Sacconi con le loro inutili linee-guida su ogni materia inerente il lavoro. La gestione Bonanni ha trasformato più di altri la fisionomia Cisl. Un sindacato che non fa più “dell’autonomia dalla politica la sua carta identità indiscussa ed indiscutibile” ma quasi rivendica senza dichiarala un’appartenenza a un campo politico.
Ci sono tre modi per entrare nel merito delle questioni, per contrattare. La prima è non entrare nel merito e dire sempre no o ripetere slogan, questa appartiene in parte a Landini. La seconda è contrattare in autonomia con proposte proprie chiare, che significa fare conoscere a chi rappresentiamo la piattaforma di partenza e poi il risultato finale e comparare i risultati tra ottenuto e richiesto. C’è poi il terzo metodo che è quello maggiormente applicato dalla Cisl di Sbarra. Non avere più un riferimento iniziale dei contenuti; accordarsi con la controparte, in questo caso il governo, e poi fare un rilancio su quello che sappiamo già che il governo proporrà. Oltretutto è un metodo molto pericoloso con questa maggioranza, al punto che sovente la Cisl si è trovata spiazzata.
Un esempio della Cisl a trazione “sbarriana” di come si entra nel merito: da quando si è deciso in Cisl che siamo contro la progressività delle tasse e a favore della riduzione degli scaglioni Irpef? Oppure dire che c’è nella manovra finanziaria un “importante aumento degli stanziamenti del Fondo sanitario nazionale” quando persino la maggioranza cerca di evitare l’argomento sanità perché sa benissimo che gli stanziamenti sono irrisori e che non sono nemmeno sufficienti per stipendi e assunzioni. E poi perché si mette nella stessa frase la sanità e la detassazione dei premi di risultato per il privato spacciandoli per una cosa sola mentre sono due questioni completamente diverse? Da quando chiediamo uno sforzo aggiuntivo per il ceto medio sapendo che i salari non crescono e sapendo che il lavoro dipendente in buona parte si sta allontanando dal ceto medio, impoverendosi. Basti pensare alle difficoltà del rinnovo del contratto dei metalmeccanici proprio sulle richieste salariali. Sono solo alcuni esempi “di merito” ma ci aggiungerei il “ni” sull’autonomia differenziata che penalizza il Sud quando proprio lo stesso Sbarra e tutta la Cisl fanno del Sud una priorità.
Ma ricordo anche che nella piattaforma unitaria di aprile 2023 (la trovate sul sito Cisl) che lanciava le tre manifestazioni nazionali unitarie c’era scritto che occorreva “contrastare le disuguaglianze con una riforma fiscale fondata sulla progressività costituzionale… Siamo decisamente contrari sia alla flat tax di qualunque genere che alla riduzione del numero delle aliquote” e sulla sanità diceva: “Potenziamento occupazionale e incremento dei finanziamenti al sistema sociosanitario pubblico per garantire il diritto universale alla salute e al sistema di istruzione e formazione, maggiore sostegno alla non autosufficienza”. Dov’è finita la nostra proposta sulla non autosufficienza tanto sbandierata dalla Cisl e dai suoi pensionati? Siamo soggetti con autonomia rivendicativa o a sovranità limitata? Potrei continuare ma mi limito ad aggiungere che l’autonomia della Cisl si è infranta nei marosi di un riposizionamento o meglio ripiegamento su uno schieramento con cui si è pensato di scambiare una legge sulla Partecipazione, attraverso una campagna di raccolta firme per una legge di iniziativa popolare, con un atteggiamento più remissivo nei confronti del governo. Ingenuità sindacale pensare che la nostra proposta che prevede, tra l’altro, una modifica costituzionale sia realizzabile attraverso uno scambio con questo governo.
Ovviamente per realizzare questa politica serve una Cisl a “pensiero unico” e anche questo è stato fatto. Oggi non esiste dibattito in Cisl, gli organismi sono un rituale finalizzato al consenso. Il dibattito non è più a due sensi ma solo dall’alto verso il basso: si comunica cosa ha deciso il vertice Cisl, la base assiste e conferma. La forza della Cisl di Carniti, invece, era il confronto. Basti pensare che ai vertici Cisl il segretario generale e il segretario generale aggiunto provengono tutte e due dalla stessa categoria e da due territori contigui del sud. Nel nostro territorio la futura segreteria dei pensionati della Cisl Piemonte sarà rappresentata da tre componenti tutti provenienti dalla stessa categoria. E non sono gli unici esempi. Nemmeno più nella composizione dei gruppi dirigenti c’è pluralismo. Non è un caso ma è storia che ancora oggi, in Cisl, c’è chi sussurra nei corridoi di essere carnitiano, vorrà ben dire qualcosa.
* Già Segretario Generale FIM-CISL Torino e Canavese (2008-2019)
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