Caro direttore,
la carenza di farmacisti e la crisi nelle immatricolazioni alla facoltà di farmacia sono un fenomeno presente su tutto il territorio nazionale e il Piemonte non ne è esente. Esso è’ il frutto di politiche errate, ma non solo.
Questo fatto non deve soprendere, sono stati commessi molti errori, solo tre anni or sono abbiamo dovuto ingaggiare una dura battaglia, anche in Parlamento, per scongiurare l’idea del Presidente Nazionale della FOFI (Federazione che rappresenta tutti gli Ordini dei Farmacisti) e del Presidente dei titolari di farmacia (Federfarma) che volevano a tutti i costi l’introduzione del numero chiuso a livello nazionale e non solo sulla base delle esigenze di ogni singola facoltà.
Nonostante l’istruzione e formazione fossero al centro della strategia Europea per il 2020 e fossero considerati fattori chiave per la crescita e l’occupazione (e dunque per la competitività di un Paese). L’Italia già arrancava nei bassifondi delle classifiche europee: secondo i dati Eurostat, nel nostro Paese meno di una persona su sei, tra coloro che sono in età da lavoro, ha la laurea, il secondo dato peggiore in Europa dopo la Romania.
Scelte sbagliate che in molti fanno fatica a ricordare, ma che non sono il solo motivo della perdita di “appeal” di una professione che sulla carta sarebbe bellissima se le condizioni fossero diverse.
Dopo 8 anni che era scaduto, il nuovo CCNL firmato nel 2021 prevede un aumento di soli 80 euro quando già lo stipendio del farmacista italiano è tra i più bassi in Europa. Se a questo si aggiunge una vita sociale ridotta al “lumicino” per mancanza fisica di tempo e a permessi e ferie elargite non come un diritto ma come un “favore”, si ha un quadro preciso della situazione.
Non molti sanno o si sono resi conto che a reggere “l’urto” delle vaccinazioni e dei tamponi effettuati in farmacia sono stati proprio i dipendenti che forse riceveranno per queste operazioni a rischio solo “briciole”.
Elettrocardiogrammi, holter pressori e cardiaci, prenotazioni CUP, tutti servizi che richiedono competenze e che hanno aumentato il carico di lavoro nelle farmacie con personale sempre ridotto.
Ma il problema principale che determina una disaffezione alla professione di farmacista non è l’aumento del carico di lavoro, a cui del resto i dipendenti sono abituati, ma il clima che si vive in farmacia.
Il vassallaggio di medioevale memoria dovrebbe essere abolito, ma in questa professione sottilmente si ripropone con un rapporto continuamente conflittuale, ove pochi diritti sono riconosciuti e l’imposizione, anche nello svolgimento della professione, è la regola: si veda a tale proposito la consegna di farmaci senza la dovuta presentazione di ricetta medica.
Insomma manca il rispetto, i turni di lavoro sono massacranti e le gratificazioni completamente assenti. Inoltre, la maternità dalle colleghe è vissuta come una “colpa” per le reazioni che spesso generano nei titolari di farmacia. Certo non è giusto generalizzare, ma il fenomeno è a noi segnalato frequentemente. Per non parlare degli escamotage contrattuali utilizzati: stage su tutti.
E’ chiaro che queste situazioni prima o poi diventano di dominio pubblico e i candidati all’università ci pensano due volte ad iscriversi ad una facoltà che non da niente ne in termini economici ne di carriera. Poche le alternative e sempre sotto attacco, a tale proposito si veda la battaglia pluriennale di Federfarma per cancellare l’esperienza delle parafarmacie.
No, purtroppo non sarà il potenziamento delle azioni d’orientamento degli studenti delle scuole superiori a ribaltare la situazione, ci vuole un cambiamento più profondo, più moderno e meno “paternalistico”, a partire dalla considerazione che i titolari di farmacia hanno nei confronti dei propri dipendenti laureati: essi non sono i nuovi “schiavi” degli anni 2000, ma più semplicemente dei colleghi.
MOVIMENTO NAZIONALE LIBERI FARMACISTI
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