Collocate nella centrale piazza Ottinetti ad Ivrea, due monumentali sculture dell’artista franco-polacco, innamorato dell’Italia
Fino al 27 novembre
Due giganti. Due giganti di superba, straordinaria bellezza. Incute perfino una sorta di reverenziale rispetto la coppia di sculture in bronzo, di imponente monumentalità (in cui la suggestione del mito si intreccia a cifre narrative di marcata impronta letteraria), che da giovedì 21 luglio e fino a martedì 27 novembre stazionano – suggestivo il colpo d’occhio – in piazza Ottinetti ad Ivrea. A realizzarle (una nel 2001, l’altra nel 2010) il grande Igor Mitoraj, nato nel 1944 a Oederan (poco lontano da Dresda) e scomparso a Parigi nel 2014, ma sepolto, per suo espresso desiderio, a Pietrasanta, la sua “Piccola Atene”, dove Mitoraj arrivò (dopo un irrequieto girovagare fra Parigi, New York, Messico e Grecia) nel 1979, innamorandosene a tal punto da stabilirvisi nel 1983, scegliendo come abitazione e atelier un vecchio laboratorio di marmo in disuso, che ristrutturò e che oggi rappresenta la sede di riferimento per la gestione e conservazione del suo immenso patrimonio artistico: l’“Atelier Mitoraj”, cui appartengono le due opere esposte oggi ad Ivrea, in occasione delle celebrazioni di “Ivrea 2022. Capitale Italiana del Libro”. Curata da Costanza Casali (assessore eporediese alla Cultura) e da Luca Pizzi (componente dell’ “Atelier Mitoraj”), l’esposizione, dal titolo emblematico di “Mitoraj a Ivrea. Mito e letteratura” mette in luce, sottolineano i curatori, “il mito, punto di incontro tra la letteratura e l’arte, campo privilegiato del lavoro di Mitoraj. Il suo lavoro infatti affonda le radici nella tradizione classica e nel mito greco: una forma di resistenza, di difesa, di attaccamento ‘al bello’ che oggi rappresenta più che mai un messaggio di speranza”. Senza tuttavia escludere le voci, a lui più consone e vicine, della contemporaneità, di quell’arte post-moderna che in Mitoraj si concretizza attraverso l’interruzione, brutale ma voluta e ben studiata, di un singolarissimo lavoro plastico (busti maschili, soprattutto) in cui la figura si appalesa con arti e teste troncate: fratture che per l’artista alludono al mistero dell’antico che arriva a noi per frammenti, allusioni ed evocazioni. D’altronde, raccontava lo stesso Mitoraj, “un’opera d’arte non è mai finita”. “La creazione – aggiungeva – è come il viaggio di Ulisse verso Itaca. La cosa più importante è quello che succede durante. Perché Itaca da sola non può dare molto”. La meta da sola non può dare molto. In mezzo c’è la sofferenza, i mille dubbi, il lavoro incessante. Fare arte, per lui, era come “costruire una muraglia cinese: mattone dopo mattone”. E sentenziava deciso: “Se un artista può sopportare tre giorni senza creare, significa che non è la sua strada. Se qualcuno non è convinto del suo cammino non è felice”.
Parole che trovano giusto e pieno riscontro nelle due sculture ospitate ad Ivrea: “Ikaria grande” (2001) ed “Hermanos” (2010), entrambe in bronzo. La prima, opera imponente di oltre sei metri d’altezza, si riferisce a uno dei miti che più hanno appassionato l’artista, quello del volo, che Mitoraj ha esplorato lungo tutto il suo percorso di ricerca: il volo di Icaro che è il volo negato all’uomo, con la surrealtà di quella mano, sbucata non si sa da dove né appartenente a chi, stretta alla caviglia del figlio di Dedalo e Naucrate, per impedirgli inutilmente di compiere il “folle volo”. “Hermanos”, invece, affronta il tema dei gemelli, “diversi e uguali, desti e sognanti, separati ma comunque per sempre uniti”. Ad Ivrea, alla sera dell’inaugurazione, è stato anche ricordato, attraverso l’esecuzione di famose arie d’opera, da parte di un pianista e di un tenore, il grande lavoro compiuto in ambito teatrale da Igor Mitoraj che curò le scenografie e i costumi di varie opere liriche, dalla “Manon Lescaut” e “Tosca” per i teatri della “Fondazione Puccini” all’“Aida” e alla “Messa da Requiem” di Verdi per i “Giardini di Boboli” a Firenze e, nel 2013, per il Centenario della “Fondazione dell’Arena di Verona”. La scelta di Ivrea per questa mostra e per un artista ospitato in spazi immensi come la “Valle dei Templi” ad Agrigento o la “Piazza dei Miracoli” a Pisa o ancora, nella retrospettiva del 2016, nel sito archeologico di Pompei, “è motivata – sottolinea Luca Pizzi dell’‘Atelier Mitoraj’ – dal forte legame del Maestro con il mito e il mondo classico, che è alla base della letteratura. Riflettere su questo aspetto, in quest’anno in cui Ivrea è ‘Capitale Italiana del Libro’ è sicuramente importante, così come lo è porre in dialogo l’arte e la letteratura, due ‘mondi’ della cultura strettamente legati tra loro”.
Per ulteriori info: www.ivreacapitaledellibro.it
Gianni Milani
Nelle foto di Luisa Morussi:
– “Ikaria grande” e “Hermanos” collocate in piazza Ottinetti
– “Ikaria grande”, bronzo, 2001
– “Hermanos”, bronzo, 2010
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