Classe dirigente e qualità della democrazia

Da anni si discute su come selezionare la classe dirigente politica nel nostro paese.

Certo, per svariati decenni la classe dirigente era la conseguenza concreta e diretta di un cursus honorum preciso e dettagliato. C’erano alcuni ingredienti di fondo che caratterizzavano quel percorso: militanza politica, radicamento territoriale, rappresentanza sociale, capacità di elaborazione politica e culturale e, soprattutto, conoscenza dei problemi. Certo, poi c’erano le eccezioni ma, di norma, il contesto politico ed ambientale in cui maturava la classe dirigente politica ed amministrativa rispettava quei canoni di fondo. Una prassi e un percorso che sono definitivamente saltati dopo l’irruzione dei partiti personali, dei cartelli elettorali e, soprattutto, dopo l’avvento del populismo di marca grillina. Metodi e prassi – o meglio sub culture – che hanno distrutto i partiti democratici e collegiali, raso al suolo le tradizionali culture politiche, azzerato la competenza e la preparazione e, infine, premiato l’improvvisazione, la casualità e la strutturale e granitica fedeltà al capo partito. Elementi, questi, che di fatto bloccano all’origine qualsiasi forma di selezione vera ed autentica di una credibile classe dirigente politica. Il tutto è condito da leggi elettorali che, come ovvio e persin scontato, riflettono la natura e il profilo dei partiti. Cioè partiti o rigorosamente personali oppure, come nel caso del Pd, articolato in una molteplicità di correnti militarmente organizzate che riproducono la natura personale del partito. Nel caso specifico, ogni corrente è un partito in miniatura.
Ecco perchè non sarà affatto facile invertire la rotta sul tema, spinoso e decisivo, della selezione della classe dirigente. Un tema antico e noto alle cronache politiche se è vero che già all’inizio della seconda repubblica si paventava il rischio che il tempo dell’investitura dall’alto precedeva quello della legittimazione democratica dal basso. E proprio la fedeltà è diventata il criterio di fondo attorno al quale si gioca l’intero capitolo della selezione della classe dirigente. Una fedeltà al capo che prescinde dalla politica, dalla discussione, dal confronto e da tutto ciò che qualifica la politica, rafforza i partiti e rilancia la partecipazione democratica. Un compito e una sfida che nella politica italiana non possono più attendere e che richiedono da parte dei partiti, o di ciò che resta di loro, un soprassalto di orgoglio. Certo, non sono sicuramente le primarie lo strumento per centrare questi obiettivi. Un escamotage burocratico e protocollare che ha dimostrato la sua strutturale inefficacia e la sua inutilità se si vuole realmente favorire una selezione mirata e qualificata della classe dirigente. E, forse, è anche giunto il momento affinchè le storiche e nobili tradizioni culturali del nostro paese riscoprano sino in fondo la loro ricchezza e la loro specificità per rilanciare quei valori e quelle modalità concrete che hanno contribuito per decenni a fare della politica non solo un esercizio di esaltazione del capo e delle sue gesta ma un luogo di elaborazione e di costruzione della politica. Per questi motivi la selezione della classe dirigente diventa, ora più che mai, un tema decisivo per la stessa qualità della nostra democrazia.

Giorgio Merlo

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