Geopolitica, il vuoto di potere dura poco

IL PUNTASPILLI di Luca Martina

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Un principio chiave della geopolitica è che il vuoto di potere non dura mai a lungo. Quando un territorio perde controllo o influenza da parte di un attore, un altro (spesso avversario) tende a colmare immediatamente quel vuoto. La Cina ne è l’esempio più evidente, avendo saputo sfruttare questa dinamica per estendere la propria influenza su un insieme sempre più ampio e variegato di Paesi, rappresentato dall’evoluzione, intervenuta negli ultimi anni, del gruppo dei “BRIC”, irresistibile polo di attrazione per una nuova generazione di Paesi “non allineati” (coloro che durante la Guerra Fredda non si schieravano formalmente con nessuno dei grandi blocchi di potere nelle relazioni internazionali)… con l’Occidente.
Il termine “BRIC” è stato coniato nel 2001 da Jim O’Neill, economista di Goldman Sachs nel suo articolo “Building Better Global Economic BRICs”. L’acronimo BRIC indicava: Brasile, Russia, India e Cina. La tesi proposta da O’Neil era che queste economie emergenti avrebbero dominato l’economia globale entro il 2050 grazie alla loro crescita rapida, popolazione numerosa e risorse naturali abbondanti.
Risale a qualche anno dopo, nel 2006, il primo incontro informale tra i ministri degli esteri dei BRIC all’Assemblea Generale ONU al 2009 il primo vertice ufficiale a Ekaterinburg (Russia), dove fu formalizzata la cooperazione. Nel 2010 avviene poi l’ingresso del Sudafrica, trasformando il gruppo in BRICS. Dal primo gennaio 2024, il mondo ha a che fare con una versione riveduta ed allargata dei BRICS: ai cinque membri originari (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) si sono infatti aggiunti Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Indonesia (l’Argentina ha declinato l’invito). Il BRICS+, così viene ora definito, rappresenta oltre il 46% della popolazione mondiale, produce circa il 37% del PIL globale a parità di potere d’acquisto (grafico seguente, aggiornato a fine 2022) e controlla quasi la metà della produzione petrolifera mondiale e una quota significativa di materie prime strategiche. Agli 11 Paesi membri si sono aggiunti recentemente altri 10 “Paesi partner” (categoria introdotta nel 2024): Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Thailandia, Uganda, Uzbekistan e Vietnam.
Questi ultimi non sono membri a pieno titolo, ma partecipano ai vertici, alle riunioni ministeriali e possono contribuire ai documenti ufficiali.
Sebbene non costituiscano una minaccia diretta, le forme alternative di cooperazione Sud-Sud sono spesso meno trasparenti e più bilaterali: l’UE, per esempio, non ha un rapporto unitario con i BRICS+ ma solo relazioni con i singoli Paesi (ad es. accordi con India, Brasile, Sudafrica).La volontà di creare una valuta comune (o di accrescere l’utilizzo di valute locali) potrebbe inoltre indebolire il sistema di pagamenti internazionali (SWIFT) ed il dollaro, con effetti indiretti sul commercio internazionale. Si corre così il rischio di perdere influenza e rapporti economici nei Paesi emergenti, dove la New Development Bank (NDB) e la cooperazione BRICS+ offrono alternative più rapide e a condizioni meno restrittive. La NDB, fondata nel 2015 con sede a Shanghai, è il braccio finanziario dei BRICS e con l’allargamento del BRIC ha ampliato la sua base di capitali e membri ed ha come obiettivo quello di finanziare importanti progetti infrastrutturali nei Paesi membri, offrendo un’alternativa alla Banca Mondiale e al FMI, promuovendo gli scambi in valute locali e riducendo la dipendenza dal biglietto verde.
I principali finanziatori della NDB sono i Paesi fondatori dei BRICS, che hanno contribuito in modo paritario alla sua costituzione con un capitale autorizzato di 100 miliardi di dollari (versato per 52,7). Ogni Paese fondatore ha quote uguali e diritti di voto paritari, a differenza di istituzioni come il FMI o la Banca Mondiale (dove il peso dipende dalla quota detenuta ed è maggiore per i Paesi più importanti).La NDB ha inoltre creato il Contingent Reserve Arrangement (CRA) “si tratta di una piattaforma di sostegno finanziario reciproco alla quale i membri dei BRICS possono ricorrere in caso di difficoltà nella bilancia dei pagamenti. Il CRA è pienamente operativo ed è accessibile in qualsiasi momento su iniziativa di uno dei membri. Attraverso il CRA, i membri si impegnano a fornire riserve internazionali per un importo complessivo fino a 100 miliardi di dollari USA, così ripartiti: Cina (41 miliardi USD), Brasile (18 miliardi USD), India (18 miliardi USD), Russia (18 miliardi USD) e Sudafrica (5 miliardi USD). I nuovi membri dei BRICS possono richiedere l’adesione al CRA, che sarà valutata dal Consiglio Direttivo dell’organismo, in conformità al Trattato per l’istituzione del BRICS Contingent Reserve Arrangement, datato 15 luglio 2014. Ad oggi, nessun Paese partecipante ha dovuto richiedere risorse al CRA.”
Dal 2021, la NDB ha accolto nuovi membri che partecipano anche finanziariamente ma non hanno diritto di veto e la governance rimane equamente distribuita tra i fondatori: Bangladesh, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Algeria, Colombia e Uzbekistan.
Questi Paesi non hanno lo stesso peso decisionale dei fondatori ma contribuiscono al capitale e possono accedere ai finanziamenti. I principali progetti (120) finanziati dalla NDB dal 2016 sono stati pari a circa di 35 miliardi di dollari, ancora poca cosa rispetto ai 120 miliardi erogati nel solo 2025 dalla World Bank ma sono certamente destinati a crescere esponenzialmente nei prossimi anni. Ciò che deve preoccupare maggiormente l’occidente è il fatto che non si tratta della “semplice” creazione di un’area di libero scambio bensì di sistema commerciale e finanziario alternativo a quello attuale, dominato dal dollaro, con evidenti intenti da parte della Cina di coalizzare intorno a sé un sempre maggior numero di Paesi, con conseguenze potenziali di ampia portata (non solo economica). La globalizzazione ha prodotto certamente degli effetti indesiderati (e passi frettolosi, come l’ammissione della Cina nel WTO) ma ha comunque consentito una crescita economica accelerata ed una riduzione della povertà globale che l’ascesa dei movimenti populisti e l’accresciuta importanza dei Paesi non allineati con i valori rappresentati dall’Europa e gli Stati Uniti rischia ora di ostacolare. Compito dei Paesi occidentali sarà quello di seguire con attenzione quanto sta avvenendo e contribuire a riportare tutto nell’alveo di una corretta competizione tra aree fisiologicamente concorrenti ma comunque parti di un sistema di scambi sempre più integrato e produttivo di reciproci benefici.
Non riuscirci ci esporrà ad un futuro sempre meno stabile e difficile da prevedere.
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