Sul comodino il “Corriere dei Piccoli”. Non uno qualsiasi, ma il numero 31 del millenovecentosessantotto, quello che “celebrava” Michel Vaillant con un poster a colori allegato alla rivista. E sopra, a fianco della spalliera del letto, la foto ingrandita del “Drago di Cavarzere”, il grande Sandro Munari che, a bordo della sua Lancia Stratos HF, si era appena aggiudicato la coppia Fia per piloti, la massima competizione mondiale per auto da rally. Un’impresa da brivido e un vanto nazionale, visto che era il primo italiano a mettere le mani su quel trofeo.
L’asso francese delle quattro ruote, frutto dell’immaginazione e della penna di Jean Graton, e il pilota veneto che stracciava tutti sulle strade ghiacciate di Montecarlo; non era una stranezza, per una ragazzina di 14 anni? Non che disdegnasse, da piccola, le bambole, ma era incredibilmente attratta dai motori. Aveva persino pasticciato più volte (rivelando una certa qual competenza) attorno al suo motorino e avrebbe dato chissà cosa per poter guidare uno di quei bolidi.
Nei paesi francofoni andavano matti per quell’eroe di carta, il pilota più veloce di tutti i tempi, capace di mettere il muso della sua “Vaillante” davanti a quello delle altre auto alla 24 ore di Le Mans. Più affascinante di Jacky Ickx, simpatico come Mario Andretti, estroverso come Clay Ragazzoni, metodico come Niki Lauda. E lei, divorandone il fumetto, sognava ad occhi aperti di scendere in pista con la tuta e il casco integrale, infilandosi nello stretto abitacolo della monoposto e sfrecciare via contro vento. Una ragazza in gamba, Laura. Sveglia, simpatica e piena d’entusiasmo. La passione per le corse derivava dall’eccezionalità della sua famiglia? Nulla di più strano. Figlia di contadini, cresciuta nelle campagne del “profondo” Piemonte, non aveva ricevuto nessuna spinta verso i motori in genere. Sul retro del cascinale c’era, ben riparato da una tettoia, un vecchio trattore Fiat 25R, datato 1951, dal colore arancione ormai smunto. Alimentato a gasolio, con ruote non troppo grandi, stretto per poter viaggiare nel frutteto, quand’era in moto lanciava tutt’attorno un ruggito cupo e ansimante, determinato dall’usura e dal peso degli anni. Lo guidava suo zio Giovanni, con abilità e destrezza. Ma anche Laura, appena possibile, si metteva al volante e con il vecchio Fiat improvvisava corse impossibili sull’aia e nel grande prato dietro alla cascina. Il rombo del trattore seminava terrore tra gli animali. Le galline fuggivano, chiocciando disperate; i pulcini pigolavano in preda al terrore. I tacchini gloglottavano caracollando su e giù, minacciando le oche che, schiamazzando atterrite, avevano perso ogni parvenza di coraggio.
Solo il gallo, impettito e fiero re del pollaio, trovò un barlume di intraprendenza e tentò di fronteggiare il mostro meccanico, un gesto ardito che durò ben poco, poi, abbandonata ogni baldanza, fuggì pure lui a cercare riparo sotto la scala di legno che portava al fienile. Laura, incurante della baraonda creatasi, continuò le sue evoluzioni, percorrendo in lungo e in largo lo spiazzo della casa colonica per imboccare, infine, a tutta velocità il prato e il sentiero dei campi. In ogni momento della giornata che non la vedeva impegnata a scuola o a aiutare i suoi nell’attività agricola, le principali occupazioni erano fondamentalmente due: divorare libri e ogni tipo di pubblicazione le passasse tra le mani e guidare quel trattore che pareva aver visto la guerra tanto appariva malconcio. Non smentendo chi la considerava un vero maschiaccio, come i vicini della cascina dei Pioppi, quando il trattore denunciava la propria anzianità di servizio ansimando o tossendo a causa dei problemi al motore o alla parte meccanica, s’ingegnava a ripararlo. Con cacciaviti e chiavi inglesi, fil di ferro e pezze per le camere d’aria, sporcandosi di grasso dalla testa ai piedi, riusciva quasi sempre a riparare il trattore che, magari arrancando un poco, si rimetteva in cammino. Quando proprio non c’era verso di venirne a capo interveniva il signor Oreste Bulloni, conosciuto da tutti con lo pseudonimo di “mani d’oro”, un garagista capace di compiere dei veri e propri miracoli. Oreste voleva un gran bene a quella ragazzina alla quale pronosticò un brillante avvenire di meccanico. Ma la passione di Laura, oltre alle bielle e ai pistoni, era la guida. I brividi che provava in quelle scorribande sui prati, avvinghiata al volante, manovrando con secchi movimenti il cambio e pigiando, senza risparmio, sui pedali, la rendevano felice. Lo zio Arcibaldo decise di fare un regalo alla nipote, iscrivendola alla gara di trattori e altri mezzi agricoli che ogni anno si svolgeva a Casalborgone in occasione della tradizionale “Sagra del pisello”. Laura fece salti di gioia. Quale occasione poteva capitarle per dimostrare tutto ciò che aveva imparato, dando prova della sua abilità di guida in una vera competizione?
Nei giorni che precedettero l’evento faticò a pensare ad altro. La sua testa era là, tra i campi del piccolo paese dell’Oltrepò, di giorno e di notte. A volte si svegliava di soprassalto, immaginando di dover riparare un guasto del trattore mentre lo guidava come una forsennata sulle strade agricole ai margini dei seminativi. In effetti, come ogni anno, c’era grande attesa per la gara che metteva in palio il decimo trofeo “Il rombo del trattore”, accompagnato da un cesto di vivande, una generosa quantità di piselli, una fornitura completa per due cambi d’olio del motore e una tuta integrale dove campeggiava la scritta “Numero 1”, riprodotta in vernice fluorescente. Alla manifestazione, in programma per il giorno successivo, si erano iscritti in molti, chi con il proprio mezzo, trattore o altro veicolo destinato ad arature, semine, scavi o traino. Arrivati di buon’ora a Casalborgone, Laura e i suoi avvertirono, immediatamente, che lo spirito di competizione era alle stelle. Il pubblico, nonostante l’ora antimeridiana, dimostrava d’aver già apprezzato le mescite del vino e della birra nei rispettivi stand al fianco di quelli gastronomici dove i panini venivano imbottiti d’ogni ben di Dio, mentre sulle griglie roventi sfrigolavano braciole, salamelle e costine di maiale. “Il rombo del trattore” non era solo una sfida su quattro ruote, ma molto, molto di più. Tutti i driver (come li definiva Celestino Sbrodoli, speacker ufficiale della manifestazione che, con irruenza contadina e terminologia anglosassone, impugnava il microfono quasi volesse strozzarlo) partecipanti all’appuntamento organizzato per la “Sagra del Pisello” si erano ripromessi di mettere in campo abilità, tenacia, ma soprattutto la propria esperienza e le proprie abilità. Sì, perché a parte la giovanissima Laura, tutti i competitori – poco meno di una decina – erano dei veterani della corsa che si snodava tra i campi da Val Chiapini a Val Frascherina per terminare nella piazza principale del paese con la gimkana fra i birilli. Per vincere occorreva completare il percorso nel minor tempo possibile senza incorrere in penalità. Cosa non facile sulle stradine, sulle piste agro-silvo-pastorali, sui viottoli tra i campi, tra i covoni di fieno e le cascine.
Ma dai concorrenti in gara e dai loro mezzi agricoli di varie categorie erano attese le più spericolate e spettacolari evoluzioni. Il percorso andava fatto tre volte e, già dal secondo giro, erano rimasti in tre a contendersi la testa della gara, dopo aver staccato gli altri concorrenti, alcuni dei quali si erano ritirati. Il veicolo del mezzadro della cascina dei Fondi, Evaristo Centobuchi, fu il primo ad abbandonare la competizione a causa di un incidente. Il trattore era finito addosso ad una recinzione e il conducente era stato sbalzato sulle balle di fieno. Per pura fortuna non si era fatto quasi nulla, se nel quasi si potevano ricomprendere le numerose sbucciature su gomiti e ginocchia. Altri due concorrenti, uno dei quali montava una motozappa modificata, finirono la corsa in un grande campo di piselli dopo aver sfondato una staccionata. Il proprietario, evidentemente poco incline a tollerare quell’invasione di campo della coppia di partecipanti alla competizione motoristica, li inseguì, brandendo un forcone, e solo il provvidenziale passaggio in auto offerto dal cugino di uno dei due evitò il peggio ai malcapitati. La gara continuò senza pause e Laura fu tra i primi concorrenti a doppiare il povero ragionier Carlo Conticini che, a bordo di un vecchio Fiat 18 degli anni ’50, si era impiantato per la fusione del motore. La gru dei pompieri del distaccamento di Chivasso aveva recuperato il trattore, adibito al trasporto del foraggio, offrendo un passaggio anche al contabile che, stringendo una chiave del 22 tra le mani, non riusciva a trattenere le lacrime, lamentandosi con il mezzo ormai fuori uso: “Còsa ch’it l’has fàit a ‘l tò pòver Carlin?”. Una sorte diversa era capitata al mezzadro della cascina dei Pioppi, il signor Cascioni, costretto a gettare la spugna a causa di una improvvisa e fastidiosa “crisi” alla parte bassa e terminale dell’apparato digerente. Mancavano meno di due chilometri all’arrivo quando Fulgenzio Vigorosi, fittavolo di un terreno dalle parti di Cavagnolo e terzo concorrente rimasto in gara, sparì in una nuvola di fumo nero, inequivocabile e inappellabile sentenza di abbandono del motore del suo Carraro del ’58, il primo trattore con il marchio dei “Tre Cavallini”. Giunti ormai alle battute finali della gara, davanti al cartello che annunciava l’ultimo chilometro transitarono i due mezzi rimasti a contendersi il trofeo. Si annunciava un vero e proprio testa a testa tra il Fiat 25R di Laura e un rombante Landini 13000 da centotrenta cavalli, piccolo gioiello uscito dalla storica fabbrica emiliana di trattori nel 1989, guidato da Calogero Strappapeli, meccanico di origine siciliana, contitolare di un’officina meccanica a Verolengo.
La ragazzina cercava di tenere il ritmo dell’avversario, ma il veicolo dello Strappapeli era decisamente più veloce. Il destino, tuttavia, riserva sempre sorprese inaspettate, a volte anche spiacevoli. Fu proprio una di queste ultime a spegnere il ghigno che, fino a pochi attimi prima, sembrava stampato sul volto del meccanico. La sorpresa di materializzò sotto forma di una buca la cui profondità era celata dall’acqua che l’aveva riempita a seguito del forte acquazzone della sera prima. La ruota anteriore destra del Landini finì nella buca, il conducente perse per un istante il controllo e finì sbalzato nel fosso di scolo delle acque di irrigazione, provocando un fuggi fuggi di rane e rospi. Il trattore non si ribaltò e terminò la corsa contro un gigantesco ontano nero. Il conducente, coperto di fango, assistette attonito alla scena; illeso, ma moralmente scornato. Rimasta senza avversari, Laura percorse l’ultimo tratto tra gli applausi del pubblico che riconobbe in quella ragazzina la stoffa di una vera campionessa, caparbia nel carattere e diabolicamente in gamba nella guida. Il meritato successo le fece guadagnare, oltre ai premi, anche belle foto e ammirate parole sui giornali locali. Era felice per aver dimostrato di essere davvero una ragazzina in grado di farsi valere. Ma, nei giorni successivi, rendendosi conto che quella prova quasi temeraria le era costata moltissimo in termini di ansia, apprensioni e inquietudini decise di riflettere se continuare o meno a cimentarsi in quel genere di avventure. Non che fossero tante le occasioni per gareggiare con mezzi agricoli, ma, a suo parere, valeva la pena di riflettere su ciò che aveva provato. Ci ragionò abbastanza e, infine, prese una decisione. La passione per i motori faceva ormai parte delle sue passioni e non era certamente sua intenzione rinunciarvi. Le competizioni, invece, erano un altro paio di maniche. Troppa irrequietudine nelle fasi preparatorie, troppa fatica e trepidazione durante la gara. Decise, quindi, di lasciar perdere. Il desiderio della prova d’abilità se l’era tolto, in fin dei conti. Quando le fosse venuta voglia di far correre il trattore nei campi, tempo permettendo, il suo Fiat 25R era a disposizione, pronto ad assecondarne i voleri. Qualora avesse avvertito il desiderio di mettere le mani su cilindri e bielle, alberi motore e ingranaggi vari, annusando gli odori di benzina e del grasso lubrificante, nessun problema: la giovane avrebbe avuto modo di soddisfare la sua passione per la meccanica, mettendo in mostra l’innato talento senza dover sacrificare lo studio e chissà quali altre possibilità la vita le avrebbe offerto.
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