Sovraffollamento carcerario: problema individuale o sociale?

È di poche settimane fa la notizia che il carcere di Asti abbia tra i propri ospiti detenuti una percentuale di positivi al Covid19 del 35%, oltre a 12 positivi tra personale amministrativo e agenti di custodia.

Il problema non riguarda solo l’istituto di pena piemontese, ma è esteso su tutto il territorio nazionale.

Quest’ultima ondata di diffusione del contagio da Covid19, dunque, ha nuovamente portato alla luce il problema della corsa del virus nelle carceri italiane, strutture ormai organicamente sovraffollate di detenuti, nelle quali, oltre a carenze igieniche, di strumenti e programmi educativi, un ruolo preponderante gioca la mancanza di spazio dovuta ad un numero di detenuti eccedente la ordinaria capienza.

Nell’attuale situazione pandemica, pragmaticamente, ciò rende molto difficile, se non impossibile, garantire l’applicazione quantomeno della più elementare misura precauzionale, il distanziamento personale tra i detenuti.

Secondo i dati forniti nella propria Relazione annuale 2021 al Parlamento dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale l’inizio del 2020 era stato drammatico in termini numerici con 60.971 presenze nazionali a fronte di una capacità di meno di 50.000 unità.

Il 2021 ha visto una riduzione del numero dei detenuti, dovuta soprattutto ai legittimi interventi della magistratura di sorveglianza che, verso la metà dell’anno, ha consentito un assestamento a 53.661 unità, rispetto ad una capacità ospitativa limitata a 47.445.

Purtroppo quello del sovraffollamento carcerario è un problema annoso, ormai organico e strutturale, che ha visto l’Italia in più occasioni anche sottoposta al giudizio della Corte Europea dei Diritti Umani, che l’ha riconosciuta colpevole di una violazione sistematica e continuativa del diritto dei detenuti a non subire trattamenti contrari al senso di umanità e di dignità (art. 3 CEDU), con gravi incidenze e ripercussioni pregiudizievoli sul principio rieducativo della pena, previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione.

La pena deve certamente avere un carattere sanzionatorio e retributivo, deve essere “un castigo” per chi si è reso colpevole di un reato e un monito per la collettività, ma al contempo deve essere funzionale alla rieducazione e al reinserimento sociale del reo.

Quest’ultimo aspetto molto spesso viene sottovalutato ovvero declamato in termini di principio, ma poco compreso ed ancora meno attuato.

Eppure è un dato fondamentale, quello più rispondente all’interesse comune.

Sempre secondo la Relazione 2021 del Garante al Parlamento il maggior numero di detenuti è ristretto per pene detentive inferiori ai tre anni, decorsi i quali il soggetto sarà nuovamente in stato di libertà.

Obiettivo di rilevanza sociale dovrebbe essere quello, dunque, di ridurre potenzialmente il rischio di ricaduta nel reato, rispondendo ciò a quell’esigenza di sicurezza avvertita come priorità dai consociati.

La visione della detenzione meramente punitiva ha carattere miope, soddisfacendo un bisogno di sicurezza immediato, ma privo di lungimiranza e previsione a medio lungo termine.

Ecco allora che quello del sovraffollamento carcerario con tutte le criticità che da esso conseguono, violazione dei diritti umani, impossibilità di organizzare progetti rieducativi e di reintegro sociale, difficoltà di garantire supporto educativo e psicologico a tutti i detenuti, non solo svilisce in astratto principi costituzionali che sembrano distanti ed avulsi dalla realtà, ma ricade concretamente sul tessuto sociale, restituendogli soggetti che,dopo aver scontato la loro pena, potenzialmente potranno ancora e nuovamente rappresentare un pericolo per la collettività, non essendo stata soppressa o depotenziata la loro capacità delinquenziale.

La creazione di un sistema penitenziario che consenta di proporre risposte alla commissione di reati tese a responsabilizzare in vista del futuro, piuttosto che a porre rimedio al passato, dovrebbe, pertanto, rientrare tra gli obiettivi primari non solo dell’agenda politica, ma dell’intera società.

L’auspicio è che sul punto possa davvero, e finalmente, esservi unità di intenti, capacità di coordinamento e interesse comune, da parte di tutti coloro che possono intervenire sul sistema, a partire dalla semplice sensibilizzazione, almeno tramite una più puntuale e realistica conoscenza del fenomeno, dell’opinione pubblica.

A cura di Carmen Bonsignore (www.carmenbonsignore.it)

 

 

 

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