Il Museo della Montagna al Monte dei Cappuccini di Torino compie 140 anni
Il Museo della Montagna a Torino al Monte dei Cappuccini compie 140 anni. Questa, unitamente alla Conferenza delle Alpi che si è conclusa ieri, venerdì, a Torino (ed è stata ribattezzata il “G8 dei Ministri delle Alpi”) è stata occasione per Lido Riba, presidente di Uncem Piemonte per offrire alcuni spunti di analisi sul rapporto tra Torino e le montagne:
“Se non si riparte dalle comunità che oggi vivono la montagna, la organizzano, ne determinano una crescita o una arretratezza, uno sviluppo o una stagnazione, difficilmente si può interpretare correttamente la montagna. Ripartire dall’uomo e dalle comunità, ma anche dalle espressioni molteplici con cui queste si organizzano sul territorio. Per restare alle istituzioni, ripartiamo dai Comuni montani, gran parte piccoli e in forte difficoltà a riorientare lo sguardo e a superare i municipalismi figli del campanilismo. Per andare verso l’economia, ripartiamo dall’organizzazione del turismo, dell’agricoltura, dell’artigianato, dei servizi, del terzo settore. A questi piani si deve intrecciare la questione antropologica e l’innovazione di processi, dei sistemi, dello sviluppo socio-economico. Di fatto oggi il rapporto di Torino con le sue Alpi può partire da questi e da altri fronti per definirsi e compiersi, come detto recentemente anche dal sindaco di Torino Piero Fassino. Non può però prescindere da un tema oggi molto attuale in molte altre aree del mondo dove, come qui, il centro incontra la periferia e genera un rapporto sussidiario, in particolare nell’uso delle risorse. In India, in Cile, come a New York viene introdotto il concetto economico-sociale di Pagamento dei servizi ecosistemici-ambientali. Per la nostra realtà, la città consumatrice deve in sostanza riconoscere – socialmente ed economicamente – il ruolo della montagna produttrice di beni. Si pensi all’acqua, al clima, al paesaggio, alla protezione dal dissesto grazie a una corretta gestione dei versanti e del patrimonio forestale oggi abbandonato. Via la retorica, si lasci lo spazio alla definizione di un nuovo modello di sviluppo, certamente diverso tra aree, ma comunque incardinato sul diritto ad esso che la montagna deve poter esercitare.
Diversi temi finora, sui quali il confronto tra città e montagna deve crescere. Ecco perché il Museo della Montagna e più in generale il Club Alpino italiano non dovrebbero tralasciarli. Non ci sono “solo” geografi, Alpinismo e la scalata, nella montagna di oggi. Per Uncem sono tre dimensioni centrali, ma se lasciate sole rischiano di non essere capite dalla comunità e restare buone solo per addetti ai lavori. I fondatori del Cai – va ricordato – guardarono in alto non certo solo per sport o spirito di conquista. Quei territori al margine, quelle vette impenetrate dall’uomo, chiedevano un’azione culturale di conoscenza (va detto che un museo è per definizione conoscenza), che poi si è evoluta con il Novecento, secolo breve dei grandi investimenti – fino ai Sessanta – nelle Alpi. Una dimensione culturale-evolutiva, sociologica, che mi spiace qui sintetizzare troppo, ben messa in evidenza da Annibale Salsa, past president Cai, di fronte agli oltre 300mila soci del Club.
Sinergie tra enti, imprese e istituzioni dai comuni tratti distintivi e dai convergenti obiettivi, sono indispensabili. Come Uncem, abbiamo recentemente coinvolto anche il Cai Piemonte nel delineare le nuove prospettive e possibilità del turismo nelle aree montane piemontesi, “white e green”, 365 giorni l’anno. E allora perché non raccontiamo oggi questi cambiamenti– nell’uso delle risorse, nei nuovi mestieri della montagna, nel turismo e nelle trasformazioni del paesaggio, nell’architettura alpina, nella comunicazione – al Museo della Montagna quale luogo che appunto custodisce 150 anni di storia delle Terre Alte? Perché non facciamo uscire questo luogo dal racconto, anche esaltante e glorioso, dell’alpinismo e dei geografi? Rendiamo utile e fruibile questo Museo a chi vive e opera nelle aree montane piemontesi, ai giovani che lasciamo la città e creano impresa in montagna, alle Unioni montane di Comuni che non vogliono più essere espropriate dei beni collettivi dalla città ricevendo in cambio briciole, ai politici e ai manager del territorio che devono formarsi in un’Accademia alpina che nasce dalle Università, agli albergatori e ai ristoratori della montagna che a diversi livelli – dal ClubMed all’Albergo diffuso, passando per l’hotel che dalla villeggiatura si riconverte ai flussi di Expo2015 – generano posti di lavoro e Pil. Portiamo fuori dal museo collezioni, foto, documenti, video, film, potenzialità. Facciamole viaggiare nelle Alpi e lungo l’Italia, anche se con poche risorse a disposizione. Proviamo insomma a scrivere nuove pagine nella grande storia del Museo della Montagna”
Massimo Iaretti
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