SPETTACOLI- Pagina 25

I premi collaterali del Torino Film Festival

Comunicati ieri  in conferenza stampa i premi collaterali della 42 edizione del Torino Film Festival alla presenza della madrina Cristiana Capotondi.

(foto G. Prestipino)


PREMIO RAI CINEMA CHANNEL

Acquisizione diritti web e free tv per l’Italia.

Miglior film Concorso Cortometraggi a:

DUE SORELLE di Antonio De Palo

Con la motivazione: “Un film che fa sentire addosso il freddo e lo strazio di chi nella vita è stata ridotta in schiavitù da colui che invece doveva proteggerla, grande prova dei protagonisti che interpretano il male senza fare sconti, lasciandoci però la speranza della libertà”.

PREMIO ACHILLE VALDATA

Miglior film Concorso Lungometraggi

La Giuria dei lettori di TorinoSette, composta da Tina Valerio, Cristiana Peyla, Elena Genovesio, Paola Giachello e Beatrice Berton, assegna all’unanimità il premio Achille Valdata per il miglior lungometraggio a:

 

L’AIGUILLE di Abdelhamid Bouchnack

Con la motivazione: “Per la sua grande universalità. È un film bellissimo, coraggioso e commovente su un tema che si vede poco nel cinema di finzione: l’intersessualità”.

 

PREMIO SCUOLA HOLDEN

Come da tradizione le allieve e gli allievi della Scuola Holden hanno assistito alle proiezioni della quarantaduesima edizione del Torino Film Festival e hanno assegnato il Premio per la miglior sceneggiatura a uno dei lungometraggi in concorso. I lavori della giuria sono stati coordinati dalla docente Sara Benedetti.

Gli allievi hanno assegnato il Premio per la miglior sceneggiatura a:

L’AIGUILLE di Abdelhamid Bouchnack

Con la motivazione: “Grazie a una drammaturgia intensa che procede per azioni, dialoghi mai banali e atti mancati, il film racconta un conflitto di grande potenza che ricade su tutti i personaggi. La regia esalta una sceneggiatura che sa modulare il registro, dall’ironia al dramma, e tenere incollati fino all’ultima scena. Un inno alla libertà di autodeterminarsi contro ogni ostacolo”.

Conferiscono due Menzioni Speciali a:

  • UNDER THE GREY SKY di Mara Tamkovich
  • PONYBOI di Esteban Arango

 

PREMIO OCCHIALI DI GANDHI

La giuria della quattordicesima edizione del premio, composta da Loredana Arcidiacono, Dario Carlo Cambiano, Eleonora Camerlo, Melissa Camerlo, Matteo Damiani, Umberto Fulcheri, Anna Monteccone, Isabella Piscopo, assegnato dal Centro Studi “Sereno Regis” (Torino) al film che meglio interpreta la visione gandhiana del mondo, conferisce gli Occhiali di Gandhi a:

FROM GROUND ZERO di AA.VV. ideato da Rashid Masharawi

Con la motivazione: “Per aver saputo guardare oltre la vendetta, oltre l’ingiustizia quotidianamente subita, con una pluralità di linguaggi che mostrano la resistenza del popolo palestinese attraverso l’atto creativo e la gioia di stare insieme: per la capacità di raccontare l’atrocità della vita quotidiana senza mai trasmettere messaggi di odio”.

Conferisce una Menzione Speciale a: L’AIGUILLE di Abdelhamid Bouchnack

Con la motivazione: “Perché denuncia l’ingiusta realtà che vivono quasi sempre le persone intersex, private del diritto di scegliere la propria identità. Per la forza con cui interpella gli spettatori su un tema profondamente divisivo; perché svela i tanti preconcetti che permeano la nostra società”.

 

PREMIO INTERFEDI

La Giuria Interfedi, promossa dalla Chiesa Valdese e dalla Comunità Ebraica di Torino, con il patrocinio del Comitato Interfedi della Città di Torino, e composta da Anna Coisson (Chiesa Valdese), Violet Kimiaee (Comunità Ebraica) e Walter Nuzzo (Comitato Interfedi) attribuisce l’undicesima edizione del “Premio per il rispetto delle minoranze e per la laicità” al film:

L’AIGUILLE di Abdelhamid Bouchnack

Con la motivazione: “Con grande efficacia sottolinea il fondamentale diritto della persona alla propria autodeterminazione, denuncia le discriminazioni da parte della società fondate su stereotipi e pregiudizi e richiama alla responsabilità individuale di fede, senza cercare risposte preconfezionate dalla religione di appartenenza”.

 

Finocchiaro e Serra Yilmaz, due attrici da non perdere

Nichetti dopo ventitré anni torna al cinema

Amichemai”, titolo che non ammette correzioni e che non sa quanto i sentimenti possano trasformarsi. È l’opera più recente di un ritrovato Maurizio Nichetti, classe 1948, un’infilata di successi iniziata con “Ratataplan” nel 1989 sino al 2001, poi più nulla. Certo, altre cose, altre aspirazioni, ma cinema basta, “non ho più avuto tra le mani – e quelle mani, nella sala del Romano, dopo la proiezione/incursione torinese, visto che tutti hanno fretta di tornarsene a Milano, che ha accompagnato all’interno del TFF nella veste di fuori concorso, le muove aprendole e chiudendole, velocemente, come se afferrassero aria e vuotaggine – un qualcosa che mi soddisfacesse, questa cosa qui invece ci ho tenuto a farla”, mi confessa. “Amichemai” è un’opera leggera, impalpabile, con un trionfo di certi buoni sentimenti e di lieto fine come oggi non s’usa più, pare che se ne abbia paura, pare che si tenda a cancellare, a perdere; ma forse è anche un’opera troppo inconsistente in quella sua leggerezza che, proprio all’interno della sceneggiatura firmata dall’autore, si sgretola strada facendo, con una seconda parte che va a morire a dispetto di ogni migliore intenzione che la prima aveva cercato con gusto e con pungente umorismo di costruire.

Aysè è la badante turca che da un paio d’anni accudisce il vecchio nonno Gino ridotto in carrozzina dopo l’ictus, con affetto e con certe accortezze che tra le mura suonano storte ma anche con tutto quel piglio che le è personale e che l’ha fatto ormai diventare la padrona della casa. Casa in cui a primeggiare dovrebbe essere la Anna, cittadina di Trieste ma di chiara impronta meneghina, disgiunta da un consorte che da troppo tempo è lontano per lavoro, in Bulgaria, ma si sa che le sue giornate ad accudire parti di vitellini e ansie e affetti verso una figlia e pazienti appoggi verso i doveri scolastici di un giovane nipote rendono distratta e assente. Messo com’è, il vecchio Gino prima o poi se ne va all’altro mondo, lasciando alla solerte Aysè in eredità il proprio letto che sventaglierà molte sorprese e alla Anna la possibilità di liberarsi di un peso piuttosto ingombrante. Sarebbe sufficiente cogliere le occasioni, lucidamente. Ma per le giravolte improvvise dei destini, sarà proprio Anna ad accompagnare Aysè, su un pickup giallo, con la scusa che facendo una piccola deviazione si può andare a trovare quel consorte che da tempo non si vede. Tutto troppo prevedibile. Sono isolate nel racconto quelle punte salienti del viaggio che tali rimangono ma che non trovano davvero altro materiale – decisamente necessario – a puntellarle: vale a dire è mal congegnata la doppia incursione degli angeli custodi della strada, chi è scambiato per un poco di buono rimane una vuota macchietta, il marito che s’è allocato in maniera un po’ ingarbugliata ma splendida allo stesso tempo non è quella gran bella novità. Persino le scene del salvataggio del pickup ricostruito in studio e il moderno green screen sanno troppo di forzato espediente. Si cerca di sopperire – e i ventitré anni di interruzione sono una testimonianza – con le tecniche che in tempi recenti hanno preso a interessare anche il cinema. Per cui due intraprendenti “content creators” al femminile documentano con i loro cellulari il proseguire della lavorazione del film, le fatiche e le gioie di Nichetti che con decenni di distanza pare voler ripercorrere orme felliniane.

Linguaggi nuovi? espedienti per ravvivare? momenti più o meno allegri e incalzanti per riempire una materia che mostra stanchezza? Sembra che quel pickup a un certo punto fatichi ad andare avanti e dispiace dicevamo ripensando ai giusti tasselli con i quali il film aveva preso il via. A riempire la storia sono le due interpreti, Angela Finocchiaro (a lei si deve pure una graffiata nel soggetto) e Serra Yilmaz, un cerino acceso quella, tutta guizzi e vampate e delusioni, e una infaticabile diplomatica questa, con metodi che pare conoscere parecchio bene. Mettono allegria e risate, costruiscono in una serata un’accoppiata autentica, sono loro due a meritare il costo del biglietto quando “Amichemai” uscirà.

Elio Rabbione

Nella foto di Pietro Rizzato, Maurizio Nichetti durante le riprese del film, e le interpreti Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz (sul fondo).

In onda “L’amica geniale” girata a Torino

Lunedì 2 dicembre, in prima serata su Rai 1, andrà in onda il quarto appuntamento con la stagione finale de ” L’amica geniale – Storia della bambina perduta”. La serie, basata sulla tetralogia di romanzi di Elena Ferrante, diretta dalla regista Laura Bispuri e creata da Saverio Costanzo, è stata girata anche a Torino, per 4 settimane di preparazione e 5 settimane di riprese nell’autunno del 2022 con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.

 

Una saga di enorme successo, tratto da un romanzo che ha avuto una fortuna planetaria e nel corso della quale si sono potute e si potranno ancora ammirare le magnifiche location torinesi: dai portici di piazza Castello, al Rettorato dell’Università di Torino, il Cimitero Monumentale, la Stazione di Porta Nuova, alla Scuola Elementare Margherita di Savoia e l’IRV, l’Istituto di Riposo dei “Poveri Vecchi”. Tra le novità di questa quarta, e di certo ultima stagione, l’attrice Alba Rohrwacher che unisce il volto alla voce narrante e diventa personaggio nei panni di Elena “Lenù” Greco, al posto di Margherita Mazzucco, mentre la nuova Lila è interpretata da Irene Maiorino. Nino Serratore, interpretato in precedenza da Francesco Serpico, ha il volto di Fabrizio Gifuni.

La vicenda riprende l’ avvincente storia sulla base dell’ultimo libro “Storia della bambina perduta”, che partendo dalla metà degli anni Sessanta, vede le due protagoniste oramai adulte con alle spalle delle vite piene di avvenimenti, scoperte, cadute e “rinascite”. Tra alti e bassi la loro relazione diventa il filo conduttore di un racconto che esplora l’evoluzione personale, sociale e storica di un’Italia in trasformazione. La colonna sonora di Max Richter, con la sua intensità emotiva, ha poi il potere di immergere lo spettatore in un mondo che, pur essendo lontano appare incredibilmente reale. La forza delle parole di Elena Ferrante, la sensibilità degli interpreti ed il legame profondo con la realtà del rione rendono questa stagione una continuazione che, pur con i suoi limiti, non smette di affascinare e di lasciare un’impronta indelebile nel cuore di chi la segue. La scorsa settimana l’Amica geniale 4 ha superato i 3,4 milioni di spettatori con il 20, 1 % di share.

Igino Macagno

Al teatro Alfieri l’adattamento del romanzo di George Orwell ‘1984’ con Violante Placido

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Il 30 novembre alle 19.30  e il 1 dicembre alle 15.30 il teatro Alfieri di Torino ospiterà il nuovo adattamento del romanzo di George Orwell ‘1984’, un tour de force teatrale che combina il thriller, il noir, la storia romantica e la spettacolarità. 

Sono 101 minuti di adrenalina pura. L’adattamento del romanzo di George Orwell 1984 è  sempre stato acclamato da critica e pubblico a Londra e Broadway e il capolavoro orwelliano è sempre stato in cima alla classifica dei libri più letti di ogni anno. Oggi, nel mondo della rete, della dittatura tecnologica e del controllo digitale, mantiene intatta la sua attualità sconvolgente e si presta a una rappresentazione  impietosa dei nostri tempi in cui la privacy è un’illusione, viene messa continuamente in discussione la nozione di verità oggettiva e potere  e servilismo procedono fianco a fianco, in modo tale da far sembrare vana ogni forma di ribellione.

La regia è di Giancarlo Nicoletti, l’adattamento è  di Duncan Macmillan e Robert Icke. Interprete principale Violante Placido, insieme con Ninni Bruschetta, Woody Neri e un cast di sei attori.

 Saranno presenti in  scena videoproiezioni, effetti speciali, telecamere a circuito chiuso per rappresentare un mondo, quello descritto dallo scrittore inglese nel suo romanzo, in cui tutto è permesso, ma secondo i dettami del Grande Fratello.

Mara  Martellotta

Andrea Battistoni direttore musicale del Teatro Regio

 

Il teatro Regio di Torino ha annunciato la nomina di Andrea Battistoni a direttore musicale, un momento fondamentale per il teatro e il suo futuro. Battistoni, figura di spicco nel panorama musicale internazionale,  entrerà in  carica ufficialmente dal primo  gennaio 2025, con un mandato che abbraccerà due stagioni.

Stefano Lo Russo, presidente della Fondazione Teatro Regio e sindaco della città  commenta: ”Annunciamo con piacere la nomina di Andrea Battistoni, cui diamo il benvenuto,  come direttore musicale del Regio, e siamo certi che la sua presenza e la sua guida non potranno che rafforzare la capacità del teatro di rinnovarsi e sperimentare attraverso un’offerta artistica di grande qualità,  consolidando il percorso che lo sta riportando a essere un punto di riferimento nel panorama nazionale e internazionale. Siamo certi che il nuovo direttore, che ha già un legame di collaborazione consolidata con il nostro Teatro, proseguirà nel cammino intrapreso verso una proposta culturale trasversale e inclusiva,  aperta  a tutte e a tutti”.

“La nomina di Andrea Battistoni a direttore musicale del Teatro Regio rappresenta un passaggio fondamentale nel percorso di rilancio intrapreso oltre due anni fa – spiega il Sovrintendente Mathieu Jouvin – con l’obiettivo di portare il nostro Teatro al livello che gli compete, il più alto. Siamo orgogliosi di accogliere un artista così giovane e straordinariamente affermato, il cui talento e visione musicale sapranno arricchire la nostra proposta artistica  e rafforzare il ruolo del Regio come punto di riferimento nel panorama lirico internazionale”.

Battistoni sarà presente al Regio con almeno due titoli d’opera e diversi concerti.

Mara Martellotta 

Sanremo, Conti svela il cast ufficiale

Si parte come ogni anno: l’appuntamento è fissato per domani, domenica 1 dicembre, su Rai 1, durante l’edizione delle 13.30 del Tg1. Carlo Conti svelerà, in diretta da Sanremo, il cast ufficiale dell’edizione numero settantatrè del Festival della Canzone italiana; così avremo modo di scoprire tutti i protagonisti in gara dell’amata e/o odiata tradizionale kermesse canora. Secondo le dichiarazioni del direttore artistico Conti alla stampa in questi ultimi giorni, il numero dei cantanti che si esibiranno al Teatro Ariston dall’11 al 15 febbraio 2025, salirà rispetto ai 24 artisti annunciati inizialmente.

Ci saranno come sempre grandi ritorni ed anche tanti volti nuovi della scena musicale italiana, ed il TotoSanremo è già in corso da mesi. La novità di quest’anno riguarda i vincitori di Sanremo Giovani, che non saranno più ammessi in gara con i big, ma gareggeranno all’interno della ripristinata categoria delle “Nuove proposte”.

 

Al momento, hanno avuto accesso alla finale che si svolgerà a Sanremo mercoledì 18 dicembre, e  che verrà trasmessa su Rai 1 con la conduzione di Carlo Conti e del tortonese Alessandro Cattelan, nove “giovani”: Alex Wyse, Bosnia, Arianna Rozzo, Grelnos, Settembre, Selmi, Tancredi, che è il più conosciuto di tutti, della scuderia degli Amici di Maria De Filippi, ed ancora, Mew e Mazzariello. Si aggiungeranno a loro i finalisti di Area Sanremo./ Quindi è oramai tutto pronto per l’edizione 2025!

Ma lo sapete chi inaugurò la prima di edizione, presentata dal Salone delle feste del Casinò municipale di Sanremo dal “mitico” Nunzio Filogamo, il 29 gennaio 1951, in un’atmosfera rilassata e priva di quella tensione che caratterizzerà il Festival da lì a pochissimo?! Si tratta del brano dal titolo ” Sorrentinella”, nell’interpretazione del torinesissimo Duo Fasano che partecipò a ben 5 Sanremo per poi avere successo in tutta Italia e girare per tutto il mondo in tournée con gli altri affermatissimi cantanti dell’epoca come Nilla Pizzi, la “Regina della Canzone” e vincitrice dei primi 3 Festival, Achille Togliani, Gino Latilla, Giorgio Consolini e Carla Boni.

Perchè quindi non dedicare una via od un giardino a Torino alle gloriose gemelle Secondina, detta Dina, e Terzina, detta Delfina, nate proprio nel capoluogo piemontese, il 21 settembre 1924, esattamente 100 anni fa? Debuttarono con il Maestro Cinico Angelini negli anni ’40 accompagnando come coro i solisti più popolari ed in breve arrivarono persino ad inaugurare il Festival di Sanremo! Un bel ricordo da parte della loro città se lo meriterebbero.

 

Igino Macagno

Rock Jazz e dintorni a Torino: Mario Biondi e i Fast Animals And Slow Kids

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA

Martedì. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Hang Massive. All’Inalpi Arena arriva Tananai.

Allo Spazio 211 si esibiscono i The KVB.

Mercoledì. Sempre allo Spazio 211 sono di scena i King Hannah.

Giovedì. Al teatro Colosseo si esibisce Mario Biondi. Al Circolo Margot di Carmagnola

suona Karl Phillips And The Rejects. All’Hiroshima Mon Amour per 2 sere consecutive è

di scena Cisco.

Venerdì. Al teatro Concordia suonano i Fast Animals And Slow Kids. Allo Ziggy si esibisce

Massimo Pupillo + Ramon Moro. Al Blah Blah sono di scena i Date At Midnight. Allo Spazio 211

si esibiscono i Le Feste Antonacci. Al Magazzino sul Po suonano i Monkey Sound. All’Inalpi

Arena arriva Irama. Al Folk Club si esibisce Ken Stringfellow. Al Circolo Sud è di scena Raissa.

Sabato. Al Folk Club suona il trio di FLO. Al teatro Concordia è di scena il Sunshine Gospel Choir.

Al Circolo Sud Nicolò Piccinini canta Ivan Graziani. All’ Inalpi Arena arriva Gigi D’Alessio.

Al Magazzino sul PO sono di scena i Narratore Urbano. Al Blah Blah suonano i Hell in The Club.

Domenica. Al Blah Blah si esibiscono i Bull Brigade+ Fantastici 4 R-Evolution.

Pier Luigi Fuggetta

Ute Lemper e Sergey Khachatryan le “stelle” di dicembre

Note di Classica

Lunedì 2 alle 20 al teatro Vittoria, per la stagione dell’Unione Musicale, Justin Taylor al

clavicembalo eseguirà musiche di Bach e B. Marcello. Martedì 3 alle 20 sempre al teatro

Vittoria, il Quartetto Castalian eseguirà musiche di Beethoven e Antonioni. Il concerto sarà

preceduto alle 19.30 dall’aperitivo. Giovedì 5 alle 20.30 e venerdì 6 alle 20 all’auditorium

Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Andrès Orozco-Estrada e con Pablo Ferràndez al violoncello, eseguirà musiche di Dvoràk e Richard Strauss. Sabato 7 alle 18 al teatro Vittoria, il quartetto Petra

con Antonio Valentino, eseguirà musiche di Haydn, Beethoven e Mendelssohn. Domenica 18

alle 16.30 sempre al teatro Vittoria, per l’Unione Musicale, Antonio Ballista al pianoforte e con

Alberto Batisti voce recitante, eseguirà musiche di Debussy e Poulenc. Giovedì 12 alle 20

al teatro Regio, debutto di “Giselle”, balletto in 2 atti con musica di Adolphe-Charles Adam.

L’Orchestra del teatro Regio sarà diretta da Papuana Gvaberidze/ Levan Jagaev. Repliche fino a

mercoledì 18. Sempre giovedì 12 alle 20.30 e venerdì 13 alle 20 all’auditorium Toscanini, l’Orchestra Rai diretta da Kirill Karabits e con Sergey Khachatryan al violino, eseguirà

musiche di Chacaturian e Dvorak. Mercoledì 18 alle 20.30 al Conservatorio per l’Unione musicale,

Ute Lemper voce con Vana Gierig pianoforte , Giuseppe Bassi contrabbasso e Mimmo Campanale batteria, eseguiranno musiche di Brel, Weill, Lemper, Prima, Hollaender, Dylan, Piazzolla.

Sabato 21 alle 20 al teatro Regio debutto de “Lo Schiaccianoci”. Balletto in 2 atti, musica di Cajkovskij. L’Orchestra del teatro Regio sarà diretta da Papuna Gvaberidze/Levan Jagaev. Repliche fino a lunedì 30. Domenica 22 alle 18 all’Auditorium Toscanini, “Concerto di Natale”. L’ Orchestra

Rai diretta da Andrès Orozco-Estrada e con Mario Acampa voce recitante, eseguirà musiche

di Cajkovskij.

Pier Luigi Fuggetta

Questo “Giardino”, Leonardo Lidi irrompe nei giorni nostri

Sino al 1° dicembre, al Carignano

 

Nella scena anonima inventata questa volta da Nicolas Bovey, ancora prima che il “Giardino” cechoviano inizi tutto pare già aver avuto un esito, sedie bianche disseminate sul palcoscenico, a terra come dopo lo saranno i ciliegi, il rovesciamento dell’ordine e l’abbandono. Soltanto il sussurro del vecchio Firs dimenticato. Poi attraverso i grandi teli neri di plastica che delimitano il palcoscenico, che cadranno o verranno staccati con rabbiosa decisione, ancora i ciliegi nel finale, irrompono gli attori, vestiti di colori e di abiti moderni, tute giubbotti giacche a vento, qualcuno – per la necessaria distribuzione? – scambiando ruoli maschili e femminili, per cui la governante di casa Charlotta è Maurizio Cardillo in calzoncini corti, giacchetta color limone e barba e occhi segnatissimi di blu mentre la sempre ottima Orietta Notari da Leonid Gaiev s’è fatta inevitabilmente Lenja, la sorella della padrona di casa. Irruzione nei nostri giorni, e raggiranti quanto personali comodità, che rientrano in quel campionario a cui Leonardo Lidi ci ha ormai abituati, tutto sta a vedere se noi quell’abitudine ce la siamo fatta (per tacere dei mugugni altrui nel corridoio d’uscita dal teatro).

Con “Il giardino dei ciliegi”, produzione dello Stabile dell’Umbria e coproduzione di quello torinese e del Festival dei Due Mondi spoletino, sino a domenica 1 dicembre al Carignano, Lidi conclude la terna che in precedenza ha visto “Il gabbiano” e “Zio Vanja”, sconvolgendo ancora molti, giocando con il giubilo sfrenato delle nuove generazioni (che nelle aule della scuola dello Stabile da lui stanno imparando), tentando in ogni modo di épater le bourgeois (cerco ancora adesso che butto giù queste note una ragione, abbassato il soffitto, per averlo fatto diventare una spiaggia dove tutti possano prendere il sole in costume da bagno; come mi chiedo perché certi personaggi debbano diventare delle macchiette, penso all’Epichodov di Massimiliano Speziani, già eccellente Vanja) e forse ingannando quei mostri sacri che se non hanno una vera, felice motivazione per essere strattonati meriterebbero di dormirsi un sonno tranquillo. 

Lidi ha confessato – sto prendendo a prestito una sua intervista a La Stampa dei giorni scorsi – di aver preso il “Giardino” e di averlo affrontato “da un altro punto di vista, esaltandone l’aspetto rivoluzionario, di forza, molto presente nel testo”, andando in direzione opposta a un teatro che va contro i nostalgici e il teatro della nostalgia, pare proprio a spada tratta, ed esaltando la “concentrazione sul presente” che avrebbe tutti i requisiti per essere profondamente salvifica. Guardando altresì quel “testo della nostalgia” con sin troppa supponenza, una sorta di bullismo questa volta teatrale, e scomodando l’anima del buon Strehler che di quella nostalgia s’era imbevuto nella propria messinscena del ’74, che aveva guardato con occhio di dolore soffocato alla “camera dei bambini” e riempito di foglie cadenti l’ombrellino della Cortese e fatto scivolare attraverso il palcoscenico, tra una “carambola” e l’altra, il trenino dell’infanzia lontana di Santuccio. Che poi in un gioco, che è eguale dal 1904, a sei mesi dalla morte dello scrittore, che sempre ritorna, la nostalgia è ancora lì, vicinissima a noi, a portata di mano, tutti la tocchiamo, il testo di Lidi non può non mantenerla e gli attori la nominano.

Immancabili, incancellabili, ci mancherebbe, per sottolineare il nuovo corso, “l’aspetto rivoluzionario”, i cambiamenti sociali e i proprietari terrieri che scapperanno a Parigi con il magone delle loro perdite e non capiscono quel presente che già li sta travolgendo, l’eterno studente dalle idee liberali e il figlio del servo della gleba, quello sempre preso a calci e obbligato ad andare con i piedi nudi d’inverno, che s’è fatto grande e furbastro e s’è comprato lui il giardino (Mario Pirrello, bravissimo nel suo Lopachin, uno studio perfetto di gesti e di frase smozzicate e di parole cercate nell’aria della chiacchiera), i ricordi delle giovani figlie di Ljuba, gli attimi trascorsi in quella casa, un arrivo e una nuova partenza che sembrano avvolgere la Storia e le tante storie. L’ultima stazione, questa del “Giardino”, di un viaggio, quello intrapreso da Lidi post pandemia, uno sconquasso per ritrovare ancora il teatro e il pubblico: ma “termineremo il viaggio confusi, pieni di domande e con pochissime risposte”, chi l’avrebbe mai detto?, e già nella mente del regista non ancora quarantenne si agita un filo rosso, “mi è sempre sembrato palese che il nostro giardino è sinonimo di nostro teatro.” Non vuol già dire voltarsi indietro, la ricerca del sarcasmo e dello spigolo dissacrante che cambiano in affetto, forse lontanissimo, forse non ammesso, verso questa vecchissima scatola magica? Chissà che cosa riuscirà a inventare la prossima volta Lidi, a dissacrare: per adesso io mi tengo stretto il ricordo – la nostalgia – di quel trenino e di quell’ombrellino riempito di foglie.

Gli appassionati della parola di Cechov e gli inseguitori di Lidi avranno modo di partecipare – bella occasione davvero – alla maratona inventata dal nostro Stabile, domani 30 novembre: sempre al Carignano, “Il gabbiano” alle 11,30, “Zio Vanja” alle 15,00 e “Il giardino dei ciliegi” alle 18,30 tour de forse fisico e mnemonico per tutti gli attori. Nella globalità del racconto, chi sarà a vincere, l’autore classico o il regista spericolato?

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Gianluca Pantaleo

Al 42mo TFF storie di famiglie e i rapporti madre/figlia

La nascita, le scelte fatte e da farsi, la volontà di tener nascosto il proprio stati, il saper
condurre avanti una vita insieme e l’affidamento, la sparizione e la ricerca di un essere
umano a te così vicino, i rapporti e la loro complessità. Quelli della famiglia, dei legami
madre/figlia, delle unioni che coinvolgono visceralmente, sono i temi che più hanno
trovato spazio nelle scelte fatte per il concorso del 42mo TFF, quelle che più hanno
colpito il sentimento del gruppo selezionatore. Felicità e dramma eterni, a ogni
latitudine del mondo, sotto sguardi e con prospettive diversissimi, dal Belgio alla
Tunisia, dalla Corea del Sud all’Iran, dalla Danimarca alla Germania. Di qui, da
quest’ultimo paese, arriva una delle opere più belle del festival, avvolta di una cruda
realtà, di un oggi esasperato, di un panorama che ha parecchie ombre di una certa
gioventù che vediamo stranamente vivere nelle città, della sua debolezza, dei non-
sogni che continuano a coltivare, dei molti rapporti in cui non si possono intravvedere
luci, della miseria di certi ambienti, della sicura solitudine. Il titolo è “Vena”, la regista
è Chiara Fleischlacker, trentenne, con studi di psicologia a Friburgo, già autrice di
cortometraggi e documentari, questo è il suo diploma di sceneggiatrice e regista
all’Accademia del cinema del Baden-Wuerttemberg. Questo è forse un piccolo
capolavoro che guarda con occhio più sicuro a certe esistenze giovanili, dove la
commiserazione e i sentimenti stereotipati non trovano posto, ma anche ogni piccolo
attimo di una relazione, ogni più piccola area buia vengono guardate, analizzate,
lavorate con un bisturi che apre altre ferite, un lavoro eccellente di scrittura prima e di
direzione poi. Una storia che in tutta la sua gelida quanto struggente evoluzione non
dovrebbe lasciare indifferenti i giurati, un’interpretazione, quella della matura e più
che umanamente espressiva Emma Drogunova, da tenere presente quando si tratterà
di assegnare i premi finali.
Jenny già alcuni anni prima s’è vista obbligata dai servizi sociali ad affidare alla madre
il suo primo figlio, adesso è incinta del suo nuovo compagno Bolle, passione smisurata,
un’attrazione fisica e d’emozioni ma le giornate riempite dalle droghe che coinvolgono
pienamente entrambi. Il suo stato dovrà essere affidato a una giovane ostetrica,
dicono ancora i servizi, una decisione che rende Jenny dapprima chiusa, decisamente
contraria, scettica e arrabbiata contro quella persona che dovrebbe sorvegliarla e
decidere per lei: poi inaspettatamente, giorno dopo giorno, le asprezze si allentano e
un legame fatto di sincera complicità si instaura tra le due donne, prende posto la
fiducia che lascia alla ragazza affidare il proprio segreto a Marla, un segreto che la
lega al passato e che la condannerà a staccarsi da sua figlia quando nascerà. Estrema
verità, lucido racconto, attenzione estrema alla tragedia di una giovane donna e al suo
staccarsene, un ritratto autentico – e quello del compagno contiene altrettanto le
necessarie asprezze e quei momenti che dovrebbero portarlo a una liberazione che
non avviene – che è al centro di un film che convince appieno.
Dalla Danimarca arriva – claudicante e imperfetta – la storia di Cecilia, una quindicenne
orfana ospite di un orfanotrofio all’inizio degli anni Cinquanta. Aspetta un bambino, e
lo spettatore presto intuisce chi ne abbia approfittato. Non è quello che interessa
all’opera prima del giovane Jacob Møller, “Madame Ida”, il film non andrà ancora una
volta a descrivere il rapporto tra vittima e carnefice. La realtà da scoprire è altrove, tra
le nebbie di una campagna che dovrebbe rassicurare. Per nascondere la gravidanza,
Cecilia è condotta nella casa di Ida, nella ricca casa dove un tempo si svolgevano
concerti e feste e cene e dove ora ogni cosa appare chiusa in un silenzio e in
un’assenza di vita che coinvolgono la padrona di casa e l’anziana domestica Alma: con
la decisione che la creatura alla nascita verrà affidata a Ida in adozione, cancellato
ogni diritto di Cecilia. Non accetta la ragazza la nuova coabitazione nei primi tempi ma
poi prendono il sopravvento gli atti di affetto, le premure, i gesti e le serate passate a
cercare una certa unione, si fa largo quell’amore di una famiglia che Cecilia non ha
mai provato. Come allo stesso tempo Ida ritrova quel legame che in precedenza aveva
​perso. Fino a questo punto la scrittura di Møller è sicura, si lascia seguire con
attenzione; poi come per la volontà sconsiderata d’infilarsi in un vecchio romanzone
d’appendice dell’Ottocento, di quei racconti a puntate che avrebbero fatto il successi
di qualche gazzetta, quella medesima scrittura ci informa della disgrazia che ha
colpito Ida anni prima, del suo allontanarsi dal mondo, del perché una certa porta della
grande casa continui a essere chiusa, perché una cena di bentornati amici prenda
strade che ribollono di una sessualità a lungo dimenticata, come Cecilia debba
ubbidire alla decisione del ritorno e come il finale s’inviluppi in modo disordinato, non
trovando una via d’uscita che confezioni appieno quelli che erano stati dei promettenti
preamboli.
Elio Rabbione
Nelle immagini, scene da “Vena” (Germania) e da “Madame Ida” (Danimarca)