SPETTACOLI- Pagina 228

Tra tutti l’iraniano “Botox” eccelle per il suo realismo intriso di humour nero e allucinato

Ancora le proiezioni dei film in concorso al 38mo Torino Film Festival

 

Prima o poi una domanda ce la dovremo fare. Al di là delle visioni e di ogni giudizio, bello o brutto che sia, confortante o negativo. Perché, pur nel rispetto della preziosa esistenza, e delle scelte effettuate, il clima d’angoscia dei dodici titoli in concorso, coniugato in differenti direzioni? Frutto inevitabile di un’attualità che sembra a tutti i costi soffocarci e non permetterci vie di fuga? Perché le nuove generazioni cinematografiche, quelle che intraprendono con positivi risultati o con immaturità, incertezze, pallide vanità un nuovo percorso, scelgono o trovano rifugio, ai loro occhi più sicuro (la descrizione della realtà), nel mondo di oggi, nella società con i suoi mali? Da quanto tempo qualcuno non gira completamente pagina e ci regala una commedia (non uno di quei troppi titoli che ci sforna, a tratti con grande povertà, il cinema di casa nostra – e non è che per i titoli che ci arrivano dal resto d’Europa e oltre l’erba del vicino sia sempre più verde -, ma una di quelle che potrebbero trovar posto in un luogo cinematografico per eccellenza, una rassegna, un festival, una mostra, definitelo voi, una di quelle che magari un tempo venivano definite “sofisticate”, fornendo eleganza e humour: a memoria frettolosa, da quelle parti, di divertimento e di bella scrittura, l’edizione 37 del TFF sfornò Il grande passo con Fresi e Battiston, nel 2017 Armando Iannucci presentò il suo Morto Stalin, se ne fa un altro), dalla sceneggiatura significativa soprattutto, tutta sorrisi o risate e dialoghi brillanti come non se ne sentono da tempo? Non significherebbe girare la testa dall’altra parte, per qualcuno potrebbe segnare l’occasione per affrontare molti degli stessi problemi con un filo di vivifica ironia. L’approccio di Pif al mondo della mafia dovrebbe aver insegnato qualcosa. Eravamo nel 2013. E’ un mondo difficile da affrontare, pieno di timori per le radici leggere, guardato con la convinzione dell’inattualità forse, di situazioni e svolgimenti che non farebbero più presa sul pubblico.

 

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Pertanto, per quanto riguardo l’edizione numero 38, noi ci siamo sciroppati sniffate che nemmeno il più provetto pusher ha mai distribuito in simile quantità, identità sessuali irrisolte, famiglie in lotta dove uno fisicamente e non solo è lontano dall’altro, assassini da compiersi come bere un bicchier d’acqua, animali martoriati e immediatamente sepolti, comunità e povertà difficilmente recuperabili, il cattolicesimo chiuso e gli insegnamenti dell’imam, mestieri con cui sbarcare il lunario che rendono poco o nulla, attentati e morti che richiamano il Bataclan, padri e madri assenti mentre i figli s’arrangiano come possono, inciampando magari ad ogni passo, i nonni di cui prendersi cura o ancora capaci di badare ai nipoti e regalare un sorriso, la fuga sognata da molti per la tanta voglia di scorgere un futuro, la ricchezza a lungo sospirata e che il più delle volte non ripaga, la Storia da riscoprire, quella di oggi dolorosissima e quella di ieri che ha visto inganni e guerre e vittime. Di questo panorama pressoché privo di luci, nulla di nuovo con il brasiliano Casa de Antiguidades di Joao Paulo Miranda Maria, fatto di magia e di realtà, la storia del vecchio Cristovam, un uomo di colore originario delle zone rurali del nord del Brasile trasferitosi al sud per lavorare in una fabbrica di latte. Una vita che deve fare i conti con le frange xenofobe, con la solitudine, con le privazioni di ogni giorno. Riscoprendo un’antica sala abbandonata e ritrovando all’interno vecchi oggetti che lo riportano indietro negli anni, l’uomo troverà la forza di sopravvivere. Un percorso che si riempie di momenti irrisolti, di figure tratteggiate in modo approssimativo, di sogni o vaneggiamenti, di maschere e di un pallido horror lungo cui con qualche difficoltà lo spettatore riesce ad avanzare. Mentre Regina diretto da Alessandro Grande, unico titolo italiano in concorso, ambientato tra angoli bellissimi della Calabria, farebbe ben sperare nella sua prima mezz’ora descrivendo il rapporto stretto, all’indomani della scomparsa della madre, che s’è venuto a stabilire tra un padre e una figlia quindicenne, motivo primo quel gran desiderio di lei di fare la cantante, per nulla ostacolata anzi spinta a provini e prime serate, magari addolciti con qualche presente verso chi organizza. Ma un giorno, mentre sono su una barca a motore sulla distesa d’acqua di in lago della Sila, un incidente, la morte di un sub, viene a capovolgere le loro esistenze e lo stesso rapporto. Per il padre è stato un incidente, Regina si lascia travolgere dai sensi di colpa. Di qui ha inizio una giravolta verso un debole thriller che abbandona la vecchia strada, non da corpo alla vicenda e soprattutto cancella in sé l’analisi genitore/figlia che aveva fatto ben sperare in una qualche riuscita.

 

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Sognano l’Italia Mofe e Rosa nel nigeriano This is my desire dei fratelli Arie e Chuko Esiri. Il desiderio di rappresentare attraverso quadretti quotidiani le aspirazioni dell’uomo e della donna, lui operaio in fabbrica, lei parrucchiera: dovranno entrambi abbandonarle, tentando di costruire in patria quel futuro che speravano altrove. Ben raccontato, curiosi personaggi tratteggiati con un certo gusto, fatti e chiacchiere che delineano una intera quotidianità. Toccando il tema della omosessualità, Poppy field del rumeno Eugen Jebeleanu vince su Why not you, produzione Austria/Belgio firmata da Evi Romen, di ambientazione altoatesina, ovvero la storia di Mario, ballerino e cuoco, tossicodipendente, per cui la danza non sarà mai una professione fissa. Quando perde in un attentato ad opera degli integralisti – restandone lui illeso – l’amico Lenz a Roma, dove è andato nella speranza di un provino, la sua vita rimane sconvolta, al paese tutti lo guardano con indifferenza, le condoglianze ai genitori del morto, produttori vinicoli, non sono affatto gradite: mentre si fa avanti Nadim che lo introduce nella esigua schiera dell’imam e degli altri affiliati. Un mondo nuovo in cui trovare i mezzi per abbandonare il prossimo? Senza spiegazioni o partorendo idee e ripensamenti, Mario cambia abiti e mente. Sfugge la strada che ha seguito, forse soltanto la danza gli indicherà una più sicura indicazione verso il futuro. Più duro, lineare, compatto, saggiamente esplicativo Poppy field. Dove Cristi (Conrad Mericoffer che è un macigno, possibile migliore attore?), poliziotto abituato a vivere quotidianamente con dei colleghi per cui l’unico credo è essere uomini e machi senza se e senza ma, tenta di tenere nascosta la sua esistenza di omosessuale. Un giorno è chiamato a intervenire con i compagni ad una manifestazione in cui un gruppo omofobo ha fatto interrompere in un cinema un film dai contenuti lgbtqi: i toni già aspri s’inaspriscono allorché uno dei manifestanti minaccia di smascherare Cristi. Per la durata di gran parte dei complessivi 81 minuti, si intrecciano rabbia, sguardi, parole urlate, colleghi che insinuano e momenti di dura difesa, violenza, decisi ricatti, verità che possono da un momento all’altro venire a galla. Jebeleanu racchiude il racconto con estrema tensione nel chiuso della sala cinematografica, dentro il rosso delle poltrone, chiedendosi altresì se quel machismo imperante non sia anche capace di fare sessualmente altre scelte.

 

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Su uno dei gradini più alti dei premi, vorremmo vedere quello che maggiormente ci sembra meritare attenzione, Botox dell’iraniano Kaveh Mazaheri, ovvero la parabola da giustiziere delle sorelle Akram (l’attrice la interprete possibile migliore attrice?), che alterna momenti più o meno lucidi ad altri decisamente di povertà mentale, e Azar, che serve in un istituto dove ricche signore, con il botox, vanno per ringiovanire. Con loro vive un fratello, allegro, uomo tuttofare, di quelli con la battuta pronta che a volte offende inconsapevolmente. Akram, un mattino, offesa per l’ultima volta, lo scaraventa giù dal tetto dove sta lavorando. Se ancora ci fosse qualche dubbio sullo stato comatoso dell’uomo, Azam accelera la fine con un sacchetto di plastica. Mentre le sorelle diffondono sempre più la voce che il congiunto se ne sia andato inaspettatamente in Germania (del resto lo sentivano tutti che stava studiando il tedesco): proprio mentre Azim ha bisogno di riposte definitive alla sua intenzione di coltivare e commerciare certi funghi magici. Audace, a tratti folle nelle visioni e nei monosillabi rotti di Akram, pronto ad affidarsi al sogno e alla speranza più sconquassata, costruito sugli sprazzi di humour nero e dentro una geometria sapientemente portata avanti, chiuso nelle strette mura di casa del trio per aprirsi su quel lago gelato entro cui – un pezzo bellissimo e maturo di cinema – scompare la vittima all’interno della sua auto, Botox riserba un finale a sorpresa, che nasce nella mente delle due donne, un piccolo inatteso capolavoro, scoppio ultimo di un film che si spera possa trovare posto sui nostri schermi abituali, in tempi decisamente normali, culturalmente più liberi e aperti.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini: “Regina” diretto da Alessandro Grande; “This is my desire” dei nigeriani Arie e Chuco Esiri; un momento do “Poppy field” interpretato da Conrad Mericoffer; le sorelle assassine di “Botox” dell’iraniano Kaveh Mahazeri

Intrecci barocchi (online)

RIPARTE IL 1° DICEMBRE

La stagione durerà fino al 27 dicembre

Dopo aver inaugurato la propria quarta edizione il 13 ottobre con il concerto Cantate, inserito nella programmazione della rassegna Back to Bach organizzata dall’Accademia Maghini, ed essere stata costretta a interrompersi bruscamente dalla recrudescenza della pandemia, Intrecci Barocchi riparte il 1° dicembre con una serie di undici concerti in streaming, che faranno compagnia ai numerosi appassionati del repertorio preromantico fino al 27 dicembre.

Le oggettive difficoltà derivanti dalla grave situazione sanitaria,hanno imposto una radicale revisione del cartellone e costretto le quattro associazioni organizzatrici, l’Academia Montis Regalis, l’Accademia Maghini, l’Accademia Corale Stefano Tempia e I Musici di Santa Pelagia, a lavorare freneticamente per produrre una serie di registrazioni di altissimo livello da diffondere sulle proprie pagine Facebook, prima tra tutte quella di Intrecci Barocchi, e sul canale YouTube di SoloClassica Channel. Come hanno sottolineato i responsabili di tutte e quattro le associazioni: «Si è trattato di una vera e propria corsa contro il tempo, che ci ha permesso di realizzare un programma estremamente variegato, che spazia dal repertorio sacro a quello profano, dal Seicento al Settecento, da opere vocali a lavori strumentali e da brani universalmente famosi ad altri virtualmente sconosciuti, nell’interpretazione non solo delle formazioni “di casa”, ma anche di alcuni dei migliori cantanti ed ensemble del panorama barocco italiano. In questo modo contiamo di raggiungere un pubblico molto più vasto, anche al di fuori del Piemonte. In effetti, questo potrebbe essere un passo avanti decisivo per far diventare Intrecci Barocchi una rassegna dal respiro realmente nazionale, in grado di portare – quando la pandemia sarà finalmente passata – i più acclamati interpreti del nostro paese».

Il programma comprende ben undici concerti della durata di circa 40 minuti, che verranno diffusi gratuitamente in streaming ogni martedì, giovedì e domenica alle 18.30 dal 1° al 27 dicembre e che, in seguito, potranno essere visti on demand in qualsiasi momento. «La registrazione di ogni concerto – afferma Piero Tirone, neopresidente della Stefano Tempia costituisce una valida testimonianza di un progetto molto ambizioso, che ha potuto contare sul concreto sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte, della Compagnia di San Paolo e della Fondazione CRT e che, negli anni passati, si è concretizzato in due spettacolari coproduzioni che hanno visto uniti i nostri quattro ensemble corali e strumentali nell’esecuzione di due dei massimi capolavori della letteratura barocca come l’Oratorio di Natale di Johann Sebastian Bach e il Messiah di Georg Friedrich Händel».

La “ripartenza” vedrà protagonista il 1° dicembre, alle ore 18.30,il trio di strumenti originali Ensemble À l’Antica, formato dal flautista Luigi Lupo, dalla violinista Rossella Croce e dalla cembalista Anna Fontana, che presenterà da “Da Bach ai Bach”, una godibilissima silloge di opere scritte da Johann Sebastian Bach (Sonata in sol maggiore BWV 1038) e da tre dei suoi figli più famosi, Carl Philipp Emanuel (il “Bach di Berlino”), Johann Christoph Friedrich (il “Bach di Bückeburg”) e Johann Christian (il “Bach di Milano e di Londra”). Questo concerto rientra nella stagione dell’Accademia Corale Stefano Tempia ed è realizzato in collaborazione con il festival Back TO Bach.

Giovedì 3 dicembre sarà la volta di Giulio Sanna, violoncellista giovane, ma già affermato a livello internazionale, che eseguirà sul suo Andrea Castagneri del 1739 le Suite n. 1 e 5 per violoncello solo BWV 1007 e 1011 di Johann Sebastian Bach, due dei più insigni monumenti della letteratura solistica di tutti i tempi. Organizzato dall’Accademia Maghini, questo concerto rappresenta il terzo e ultimo appuntamento dell’integrale delle suites per violoncello solo del sommo Cantor lipsiense, iniziata due anni fa.

Di seguito riportiamo i programmi dettagliati dei primi due concerti e i dati essenziali degli altri nove.

Martedì 1° dicembre 2020 – ore 18.30

DA BACH AI BACH

Johann Sebastian Bach (1685-1750)

Sonata in sol maggiore per flauto traversiere, violino e basso continuo BWV 1038

Largo – Vivace – Adagio – Presto

Carl Philipp Emanuel Bach (1714-1788)

Duetto per flauto traversiere e violino Wq. 140/H.598

Andante – Allegro – Allegretto

Johann Christoph Friedrich Bach (1732-1795)

Sonata in do maggiore per flauto traversiere, violino e clavicembalo concertante

AllegroAndanteRondò. Allegretto

Johann Christian Bach (1735-1782)

Trio in sol maggiore per flauto traversiere, violino e basso continuo W Blnc 2

Allegro assaiLarghettoPresto

Ensemble À L’Antica

Luigi Lupo, flauto traversiere

Rossella Croce, violino

Anna Fontana, clavicembalo

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Giovedì 3 dicembre 2020 – ore 18.30

SUITES, TERZA TAPPA

Johann Sebastian Bach (1685-1750)

Suite n. 1 in sol maggiore per violoncello solo BWV 1007

Preludio – AllemandaCourante – Sarabande – Menuet I – Menuet II – Gigue

Suite n. 5 in do minore per violoncello solo BWV 1011

Preludio – AllemandaCourante – Sarabande. Gavotte I – Gavotte II – Gigue

Giulio Sanna, violoncello

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Prossimi concerti:

Domenica 6 dicembre 2020 – ore 18.30

“COMBATTA UN GENTIL CORE” – ARIE DA OPERE VENEZIANE

Opere di Benedetto Marcello, Antonio Vivaldi, Georg Friedrich Händel e Giuseppe Tartini

Lucia Cortese, soprano

Diego Cal, tromba barocca

Nicolò Dotti, oboe barocco

Matteo Anderlini, violino solista

Camerata Accademica

Paolo Faldi, direttore

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Martedì 8 dicembre 2020 – ore 18.30

WANDELN IN DER LIEBE

CAMMINARE NELL’AMORE

Opere di Johann Sebastian Bach e Georg Philipp Telemann

Natalie Lithwick, mezzosoprano

Ensemble cameristico dell’Academia Montis Regalis

Maurizio Fornero, clavicembalo e direzione

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Giovedì 10 dicembre 2020 – ore 18.30

GEORG PHILIPP TELEMANN

SONATE A DUE FLAUTI

Luigi Lupo, flauto traversiere

Pietro Berlanda, flauto traversiere

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Domenica 13 dicembre 2020 – ore 18.30

TAFELMUSIK

Opere di Isaac Posch e Heinrich Ignaz Franz Biber

Harmonicus Concentus

Gabriele Raspanti, violino e direzione

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Martedì 15 dicembre 2020 – ore 18.30

SORGEA DAL SEN DI LETE

Cantate di Giovanni Legrenzi

Mauro Borgioni, baritono

Ensemble Mvsica Perdvta

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Giovedì 17 dicembre 2020 – ore 18.30

OTTONI BAROCCHI

Opere di Gabrieli, Bach

Ensemble Canaveisan Brass

Maurizio Fornero, organo

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Domenica 19 dicembre 2020 – ore 18.30

UNA VIRTUOSA DEL SEICENTO

Opere di Barbara Strozzi

Lucia Cortese, soprano

Harmonicus Concentus

Gabriele Raspanti, violino e direzione

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Martedì 22 dicembre 2020 – ore 18.30

CUM JUBILO

Opere di Johann Sebastian Bach, Arcangelo Corelli e Franz XaverBrixi

Valentina Chirico, soprano

Massimo Lombardi, tenore

Matteo Cotti, organo

Academia Montis Regalis

I Musici di Santa Pelagia

Consort Maghini

Claudio Chiavazza, direttore

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Domenica 27 dicembre 2020 – ore 18.30

SALMI DAVIDICI

Opere di Benedetto Marcello

Gli Armonici della Serenissima

Ribellioni giovanili, fughe e tragici ricordi, protagoniste sono le donne

Proiezioni al femminile al 38mo Torino Film Festival

 

Stiamo arrivando al giro di boa dell’attuale TFF, claustrofobico, soffocato dalle misure anticovid, e ancora siamo un po’ a corto, come ci suggerirebbero le parole dell’equipe di selezionatori, di quelle “visioni mozzafiato” in cui ci si dovrebbe imbattere macinando per una settimana e poco più immagini dopo immagini. Ci imbattiamo invece, senza ripensamenti, come promesso da più e più parti, man mano che avanziamo nelle visioni, in quel “mantenere l’impegno di sostenere a pieno la politica internazionale del “50/50 by 2020” lanciata dal Toronto Film Festival.

 

Per la prima volta nel concorso viene infatti riservato uno spazio equo alle produzioni realizzate da registi donne e a quelle realizzate da registi uomini”. Ovvero un’operazione fatta con il bilancino. Attuali obbligatorietà che lasciano sempre perplessi, conditio sine qua non che inevitabilmente può stridere con le personali libere scelte e che, a tratti, suscita il dubbio dell’imposizione. Restando saldamente fissi nell’idea da sempre coltivata che l’altra metà del cielo abbia coltivato e stia coltivando esempi eccellenti e per molti versi difficili da raggiungere, continua a lasciarmi a dir poco stupito questo patto ormai di ferro (mi viene in mente che l’Academy e il Festival di Berlino sono andati ben oltre e per certi versi ben peggio!) che pretende ad ogni occasione di delimitare con matematica esattezza la metà del campo.

Perché poi dovremmo anche imbatterci in un’”ampia immaginazione e innovazione”, sempre restando alle autofelicitazioni del gruppo selezionatore. E qui è un po’ più difficile stare a guardare, pieni di convinzione.

Immaginazione e innovazione che davvero non abbiamo scorto nelle Ninas della spagnola Pilar Palomero, alla sua opera prima, ovvero i primi turbamenti della dodicenne Celia, in compagnia di un gruppetto di amichette, lei che, nell’inizio degli anni Novanta, in quel di Saragozza, vive sola con la madre, frettolosa e assente, senza aver mai conosciuto il padre, morto a quel che le è stato detto prima che nascesse, che guarda alle prime ribellioni, che saggia i primi trucchi ed il primo rossetto, che guarda con il primo e nuovo interesse un ragazzino, che deve affrontare le prime prevaricazioni, che prova a bere e a maneggiare un preservativo, che vive e subisce un’educazione dalle monache, che fa domande per sentirsi rispondere semplicemente “perché è così”. Anche qui, in un mondo abitato soltanto da donne e dove gli uomini sono assenti, un forte disagio, il desiderio di affidarsi alla figura materna che più dovrebbe darle sicurezza ma che più le sfugge, la voglia di inseguire i codici giovanili delle compagne: in un discorso che non tocca soltanto la protagonista ma che tutti prima o poi abbiamo vissuto. Poi Palomero abbandona all’improvviso queste riflessioni, dove non mancano momenti costruiti con significativa efficacia, per accennare frettolosamente a questioni del tutto personali (la ricerca di un passato, la visita alla nonna), per far scivolare anonimamente una vicenda che doveva essere costruita in altro modo.

Pur nella sua semplice linearità, nelle sue continue divisioni di mondi e di persone, di personaggi sciupati nel loro insignificante evolversi e di frasi che spingono al sorriso piuttosto che alla riflessione (ma qui forse la colpa è nostra, lontani da letterature e filosofie), di qualche gradino più su è Mickey on the road della regista Lu Mian Mian. La storia di Mickey e Gin Gin, due giovani amiche diverse tra loro, nel fisico e nella mentalità. Tanto la prima mette in evidenza i propri tratti androgeni, si muove e si comporta senza eccessiva femminilità, insegue nella frequentazione del tempio quelle danze tradizionali che apparterrebbero soltanto ai maschi, quanto l’altra è una ballerina eccentrica e svampita nei locali notturni, tutta vuota leggerezza, legata al suo cellulare e ai peluche colorati che si porta appresso come dolcissimi trofei. Mickey vive con la madre, in preda all’alcol e alla depressione, abbandonata anni prima dal suo uomo, Gin Gin sogna di riabbracciare il bel giovanotto da cui aspetta un bambino e che sembra sparito nel nulla. Da Taiwan raggiungeranno insieme Canton, alla ricerca delle due figure maschili di riferimento: immergendosi in tristezze e delusioni, con un padre che s’è rifatto nel lusso una vita e una famiglia, con il ragazzo che spinge Gin Gin verso l’eccitazione senza freni di un amico e non ha nessuna intenzione di promettere niente. Gustose e indovinate le annotazioni che la regista coglie durante il soggiorno delle ragazze, dal furto dei bagagli all’aiuto di nuovi amici, dall’apprendere che Facebook e Google map sono censurati e dal sentire attraverso gli altoparlanti sugli autobus che la Cina di Xi Jin Ping sia impegnata “nella promozione dei valori della democrazia e dei diritti umani”. Forse il simbolismo di quel lungo ponte nelle scene finali sta proprio lì a riaffermare quell’impegno, immagine quanto personale non saprei.

Opera prima, ma estremamente matura, carica di sentimenti e di verità, impregnata di storia fatta filtrare attraverso parole e ricordi e di drammi personali, è Wildfire di Cathy Brady. L’Irlanda di oggi che ancora si volta al suo passato, a quel lungo periodo del secolo scorso che vide opposte lotte, che fu attraversato da attentati, tradimenti, uccisioni. Tra queste distese di verde, si ricompone il legame che lega due sorelle, l’una, Kelly, scomparsa da casa per molto tempo, abbandonata e sola, vittima di insicurezza e fragilità, l’altra, Lauren, sposata con Sean, rimasta a tirare avanti, tra casa e lavoro, che tenta di dare di sé l’immagine di donna forte e mentalmente stabile. Entrambe nel ricordo della morte della madre (un ricordo che si lega a quello di un’intera epoca e lo richiama in vita, accomunando pubblico e privato), nebuloso, impreciso, sempre ricostruito secondo la necessità del momento, del loro umore e delle loro reciproche passioni, una realtà deformata e legata all’instabilità mentale di Kelly (l’ostinazione a voler indossare il cappotto rosso della madre, le nuotate e l’impatto con l’acqua, il rapporto con il proprio corpo) che a tratti finisce per travolgere anche la sorella. Con una scrittura attenta ai particolari, alle ribellioni e ai rapporti con gli altri (il marito e cognato, le ipocrite colleghe di Lauren), forte nelle sottolineature, mai banale nei momenti che più s’immergono nel dramma e soprattutto, al limite del piccolo quanto ricercato capolavoro, efficacissima nell’afferrare e nell’addentrarsi in due psicologie, con ogni loro turbamento, e nel farle ruotare senza posa attraverso i tanti movimenti alti e bassi che le colpiscono, Wildfire è un’opera da tener presente in sede di premiazione. Un’opera finalmente completa che deve dire grazie alla grinta delle due interpreti, a Nora-Jane Noone che è Lauren e soprattutto a Nika McGuigan che è Kelly, scomparsa per cancro non appena terminate le riprese del film. Che a lei è stato dedicato.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini: la giovanissima interprete di “Las ninas” di Pilar Palomero; da Taiwan “Mickey on the road” di Lu Mian Mian; e due momenti di “Wildfire”, matura opera prima firmata da Cathy Brady

Una madre alla ricerca del figlio scomparso e i giovani tra violenza e droga in un’America senza più illusioni

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Il 38mo Torino Film Festival alle sue prime proiezioni on line

Ci si ritrova chiusi in casa, in quest’epoca di rapporti interrotti, davanti al proprio pc, a guardare le prime immagini di un festival che meno festival non si potrebbe, rintanati in un silenzio anonimo e in qualche modo persino doloroso. Ma tant’è. Prova, semmai ancora ce ne fosse necessità, della grande bellezza della sala, del fruscio del tuo vicino di poltrona, della visione di un pubblico che occupa con forza e passione gli spazi e assiste tra delusioni e applausi, dello scambio di idee con la persona sconosciuta, della tela bianca che ti regala da sempre mille e più emozioni. Ma tant’è. Una magia che in questo 38mo Torino Film Festival, varato crediamo tra mille fatiche dal suo direttore Stefano Francia di Celle e dal proprio staff, si perde, scompare, per restringersi in un rettangolino più o meno ampio, povero, inusuale. Ma tant’è. Un festival che pare dedicato alla rivoluzione femminile, uno specchio a riflettere tutti i mea culpa di questa nostra epoca, dedicato alla inequivocabile presenza della donna, alla sua voglia di fare e di essere presente, di guadagnare quelle posizioni a lungo negatele.

Una giuria di cinque donne legate al cinema, provenienti dalla Siria e dal Regno Unito, dal Giappone e dall’Iran e dall’Italia (Martina Scarpelli), tanto per cominciare, nessuna a ricoprire il ruolo di presidente. Belle affermazioni sempre al femminile a scorrere i titoli del concorso e non soltanto quelli. Il primo titolo ad ambire il traguardo finale con il suo premio di 18.000 euro vede una donna al comando, Fernanda Valadez, con la sua opera prima Sin senas particulares, una donna che scrive una storia, la dirige, la produce, e donne sono le sue più strette collaboratrici al risultato finale. Che indulge magari a qualche ricamo di troppo, come le visioni incalzanti della natura (gli alberi setacciati con sguardo troppo partecipe, il volo degli uccelli e le gocce d’acqua seguite nel loro lento scorrere al di sotto dei tetti), ma che non perde mai tutta la propria forza nel descrivere la disperazione di una madre, chiusa nella tragedia e nella violenza che oscurano quella parte di mondo che corre tra Messico e Stati Uniti. Due giovani sono scomparsi mentre cercavano di raggiungere un nuovo futuro, da tempo non se ne sa più nulla: poi di uno di loro viene rintracciato e riconosciuto il corpo carbonizzato, dell’altro, il figlio della donna, la borsa da viaggio soltanto. Mentre le autorità spingono questa madre a firmare quei documenti che chiuderebbero uno dei tanti casi che giorno dopo giorno occupano la miseria messicana e che troppo spesso vengono nascoste ai famigliari e ai mezzi d’informazione, Magdalena intraprende il suo viaggio alla ricerca del figlio per scoprire la verità: e lungo quel viaggio, sono gli incontri con altre madri e con la loro disperazione, con i sacchi in cui sono racchiusi i cadaveri e il puzzo che si espande da quei camion, con quelli che già infelicemente hanno intrapreso la strada del ritorno, per ricongiungersi ad una casa lasciata all’abbandono e i congiunti spariti. Un viaggio che è una cronaca, disperata e umanamente asciutta, che descrive il dolore ma non s’abbandona ad una commozione di facile maniera. Una linearità che sta negli occhi della protagonista Mercedes Hernandez, nella capacità della Valadez di raccontare con primissimi piani o con il ripetuto seguire della macchina da presa, vicinissima ai personaggi, l’aria di terrore che ormai impedisce di respirare in quelle terre. E ancora nella volontà della stessa regista di allontanarci dai massacri e dai fuochi che nascondono le tracce con una fotografia fuori fuoco: al centro della quale un demonio nerissimo continua ad affermare la propria oscura presenza.

Una terra desolata arriva anche dagli States con The evening hour diretto da Braden King, opera seconda di un regista pressoché cinquantenne tratta dal romanzo di Carter Sickels. Sono le montagne del West Virginia, con i suoi piccoli centri minerari come Dove Creek dove non c’è più lavoro, dove esistono file di roulotte a definirsi abitazioni, dove le nuove generazioni hanno ormai cancellato ogni idea di futuro o illusione e dove i vecchi si dondolano sotto il portico o vegetano in vecchie strutture di accoglienza. Tra i ragazzi circolano la violenza o la droga e le tante birre dell’unico bar, le ragazze si perdono in modo definitivo o cercano ma inutilmente di rifarsi una vita, qualcuna con un po’ più di fortuna ha l’occasione di riciclarsi come commessa. Tra tutti c’è Cole, allevato nella casa dei nonni, per i concittadini “il dottore” anche se è soltanto un semplice inserviente tra gli anziani della locale casa di cura: un giovane sveglio che tra cento gesti quotidiani pieni d’affetto s’è creato una più o meno redditizia attività rivendendo agli amici tossici quei medicinali sottratti ai suoi assistiti. Al pusher che la fa da padrone tra quelle quattro case la cosa non piace, come non piace che un vecchio compagno di liceo di Cole sia tornato in città per mettere su un suo personale mercato che andrebbe a rovistare tra quegli equilibri già da tempo stabiliti. King ha parecchio materiale su cui lavorare (c’è anche il ritorno a casa della madre di Cole, un tempo cacciata da un padre predicatore tutto inflessibilità e citazioni dalla Bibbia, la repulsione e forse il successivo riavvicinamanto di un figlio abbandonato), forse troppo, e non sempre riesce a governarlo. Certo il film mal sopporta la durata delle due ore; tra qualche personaggio ben tratteggiato (le illusioni e i progetti malsani dell’amico ritornato) e la descrizione di una natura bellissima che circonda il piccolo paese, si creano azioni e atmosfere che portano al finale intriso di sangue: ma si vorrebbe che la vicenda non andasse per assaggi sulle cose e sugli uomini, si ha l’impressione che manchi quella durezza che renderebbe ancor più ardua e dolorosa l’intera materia. Inoltre ci vorrebbe un interprete assai più incisivo: ma questo giovane Philip Ettinger appena spenta la visione ce lo siamo già dimenticati, senza alcun rimpianto.

Elio Rabbione

Nelle immagini: Mercedes Hernandez, protagonista di “Sin senas particulares” di Fernanda Valadez (Messico/Spagna); due momenti di “The evening hour” diretto da Braden King e interpretato da Philip Ettinger

Il Torino Film Festival ai tempi del Covid apre i battenti negli studi Rai

20 novembre alle  ore 18:30

https://www.raiplay.it/programmi/torinofilmfestival

La cerimonia di apertura del 38 Torino Film Festival è stata realizzata dallo studio TV1 del Centro di Produzione Rai di Torino che ospita il programma “Che succ3de?” condotto da Geppi Cucciari su Rai3.

Una scenografia mozzafiato, con un vidiwall che si anima con tutte le immagini del festival, sei telecamere e un allestimento tecnologico da programma di prime time.

 

La cerimonia sarà visibile il 20 novembre 2020 alle ore 18:30 sul sito di RaiPlay nello spazio dedicato al TFF e curato da Rai Movie.

 

A fare gli onori di casa Stefano Francia di Celle, direttore del TFF; con lui la vicedirettrice Fedra Fateh e il direttore del Museo Nazionale del Cinema Domenico De Gaetano.

In collegamento il presidente del Museo Nazionale del Cinema Enzo Ghigo, la sindaca di Torino Chiara Appendino e il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio.

 

Nel corso della cerimonia viene raccontato il passato e il presente del cinema, con un particolare e sentito pensiero a tutti i grandi artisti che ci hanno prematuramente lasciato.  Viene presentata la giuria tutta al femminile e si ricordano alcuni dei temi di questa edizione. In rappresentanza di tutti gli autori, interviene da remoto Davide Bongiovanni che nel suo corto (R)esisti affronta la drammatica contemporaneità dell’emergenza Covid.

 

La cerimonia si chiude con il collegamento dal Messico con la regista Fernanda Valadez e parte del cast tutto al femminile del film d’apertura Sin señas particulares: la produttrice e montatrice Astrid Rondero, l’autrice della colonna sonora Clarice Jensen e l’attrice protagonista Mercedes Hernández.

Per maggiori informazioni e la visione del film:

https://www.torinofilmfest.org/it/38-torino-film-festival/film/sin-se%C3%91as-particulares/41023/

 

Nello studio di “Che succ3de?” è stato anche realizzato parte del programma speciale per il conferimento a Isabella Rossellini del Premio Stella della Mole per l’innovazione artistica, che sarà possibile seguire venerdì 27 novembre alle ore 18:00 sempre sul sito di RaiPlay nello spazio dedicato al TFF e curato da Rai Movie.

Rai è main media partner del 38 Torino Film Festival.

 

Tutte le novità del Sottodiciotto Film Festival & Campus

 21° Sottodiciotto Film Festival & Campus (programma per le Scuole: 20 novembre – 8 dicembre 2020; programma per il pubblico: 4-8 dicembre 2020)

Dal 4 all’8 dicembre, un’edizione online sulla piattaforma streaming di MYmovies54 film (di cui 24 cortometraggi in concorso), incontri e masterclass ad accesso gratuito.

“My families” il tema della 21ma edizione. Il Festival esplora attraverso il cinema un concetto mutevole e in continua evoluzione raccontando diverse, possibili famiglie: emergenti e tradizionali, naturali o d’elezione, felici o infelici, funzionali o disfunzionali. Nella sezione “That’s all families”, legata direttamente al tema del Festival, se ne incontrano di ogni tipo: quelle borghesi e patriarcali ostili alle differenze in Madame, di Stéphane Riethauser, quelle acquisite attraverso lo sport in Sisterhood di Domiziana De Fulvio, quelle composte da animali in Los Reyes, di Bettina Perut e Ivan Osnovikoff, e quelle allargate di uomini e animali  in The Cat Rescuers, di Rob Fruchtman e Steven Lawrence, quelle segnate dalla nascita di una nuova vita e dalla morte in Nel mondo, di Danilo Monti, quelle magiche e misteriose di Ceniza negra, di Sofia Quirós Ubeda, quelle che producono killer di professione in Samp, il nuovo film di Flavia Mastrella e Antonio Rezza.

 

Tanti tipi di legami e tante famiglie diverse anche nella ricca sezione di animazione: a cominciare da quelle dei pionieri del selvaggio West nel film di apertura del Festival, Calamity, il nuovo lungometraggio di Rémi Chayé dedicato all’infanzia scatenata di Martha Jane Canary-Burke, per passare al rapporto simbiotico tra  La linea e la mano del suo geniale papà Osvaldo Cavandoli, che il Festival ricorda a cento anni dalla nascita, e alla famiglia di pari del terzetto dei Super Pigiamini, idoli dell’età prescolare, raccontati dall’autore della serie, Christian De Vita, nella prima e unica masterclass interamente pensata per i più piccini. Non mancano neppure le famiglie delle favole: c’è un padre cattivo come solo i fratelli Grimm potevano inventare in La Jeune Fille sans mains, di Sébastien Laudenbach, e un cucciolo sperso in cerca d’adozione in L’Extraordinaire Voyage de Marona di Anca Damian. Infine, almeno un prototipo modello, quello della famiglia Mezil, protagonista della celebre serie degli anni 70-80, mentre il Festival non dimentica i cento anni dalla nascita di Gianni Rodari, riproponendo due personaggi dei suoi racconti, Cipollino e Giovanni il distratto, in un’insolita versione animata russa.

 

Un omaggio a due maestri dell’obiettivo, Martha Cooper ed Elliott Erwitt. La leggendaria fotografa dei writer è protagonista del film di chiusura del Festival, Martha: A Picture Story, di Selina Miles, mentre al celebre artista della Magnum è dedicato il documentario-ritratto Elliott Erwitt. Silence Sounds Good, di Adriana Lopez-Sanfeliu.

 

Con la sezione “Sweet families” un omaggio ad Alexandre Rockwell e al suo cinema indipendente, fatto “in famiglia”, con cui il regista statunitense esplora la dimensione più intima dei legami affettivi e parentali e porta anche moglie e figli sul set come interpreti dei suoi film. In collegamento da New York, anche una masterclass del regista statunitense su “Il cinema indipendente da Cassevetes a oggi”.

 

Nella sezione “Animare l’impegno” (a cura di Missioni Don Bosco), un omaggio al regista spagnolo Raúl de la Fuente e ai suoi film che danno voce agli ultimi e raccontano le storie taciute. Tra questi, il suo premiato Ancora un giorno, sulla guerra civile in Angola, presentato dal regista insieme con Willie Peyote, che ha scritto, con i Bluebeaters, la title-track della colonna sonora del film.

 

Al Festival, due dei film finalisti allo Young Audience Award 2020, il più importante premio europeo dedicato al cinema per ragazzi, promosso da European Film Academy: Rocca Changes the World, di Katja Benrath, e My Extraordinary Summer with Tess, di Steven Wouterlood.

 

Una nuova sezione, Sotto18 Industry, che apre il Festival ai professionisti del settore cinematografico con due primi appuntamenti dedicati alle serie tv, il genere più amato dal pubblico teen. Il primo incontro, all’interno dei Production Days organizzati da Film Commission Torino Piemonte, sarà dedicato al cult di successo ormai mondiale “Skam Italia”, ospite il regista Ludovico Bessegato. Il secondo al giovane emergente Alessandro Guida (tenuto a battesimo da Sottodiciotto), autore del corto Pupone, pensato per essere sviluppato in serie, ospite di un incontro con gli amatissimi attori di “Baby” e “Skam Italia”.

 

Il tema-guida della 21ma edizione al centro anche della sezione Wikicampus, gli incontri organizzati in collaborazione con il DAMS. Accademici, studiosi, scrittori, fotografi e professionisti del settore cinematografico si confrontano sulla famiglia immortalata su pellicola, nelle fotografie, nei filmini in super8 o nei filmati degli archivi storici, raccontata nei romanzi e descritta nelle web series…

 

Il cinema dei più giovani in mostra in specifiche sezioni competitive e non competitive: nel nuovo Campus Short Film Competition, rivolto agli studenti delle università e delle scuole post-diploma, nella call #iogiroincasa, con cui bambini e ragazzi sono stati invitati a raccontare la propria esperienza del confinamento durante la pandemia, nel tradizionale Concorso nazionale Sotto18 OFF, aperto alle opere realizzate in ambito extrascolastico dai giovanissimi che non hanno ancora raggiunto la maggiore età.

 

Il programma per le Scuole, dal 20 novembre all’8 dicembreproiezioniincontriattività didattiche, laboratori ripensati per la modalità online, ma senza rinunciare, per quanto possibile, all’interazione con il giovanissimo pubblico e al suo coinvolgimento diretto. Al centro del programma, come sempre, il Concorso nazionale dei prodotti audiovisivi realizzati dalle Scuole, che gareggiano in tre sezioni (Scuole dell’Infanzia e Primarie, Scuole Secondarie di I grado, Scuole Secondarie di II grado) e in cui, in quest’edizione, si sfidano 175 titoli finalisti.

“Un canale televisivo Rai per sostenere la cultura”


La cultura non deve morire di Covid-19. Il lockdown ha chiuso i teatri, il cinema, i concerti e ogni altra forma di fruizione culturale.

Questa necessaria decisione governativa, se da un lato permette di contrastare più efficacemente il propagarsi del virus, sta mettendo in ginocchio gli operatori culturali e sta privando noi cittadini di una componente fondamentale della conoscenza. Una possibile risposta c’è! La Rai, che vive grazie al nostro canone televisivo, dedichi un canale solo alla produzione culturale, acquistando per tutto il 2021 spettacoli e concerti da registrare nei teatri, nei cinema, nei circoli e in ogni luogo delle nostre città. Mandare in onda ogni giorno, a tutte le ore, eventi culturali renderebbe il nostro “stare a casa”, per noi e per i nostri ragazzi, più sopportabile e aiuterebbe una categoria peofessionale che merita tutto il nostro sostegno. Perchè con la cultura non solo si mangia, ma con la cultura si vive!

 

Inviato da iPhone

In tempo di pandemia, il 38mo TFF e la scommessa on line

In programma dal 20 al 28 novembre / Strano, questo Torino Film Festival che prenderà il via il 20 per chiudersi il 28 di novembre.

Ci eravamo abituati a quelle code che preludevano ad inquadrare il film che s’andava a vedere o a quei panini considerati frettolosi intervalli tra una proiezione e l’altra, magari felice opportunità a scambiare quattro impressioni con chi saliva con noi verso lo schermo.

Arrivato alla sua 38ma edizione, con un badget di circa un milione e 200 mila euro, il TFF che vedremo è costretto a rinunciare ad una ipotesi di formula mista, ovvero la somma ancora piacevole della sala di proiezione e di un’intrusione nel vasto mondo della rete: poi il tutto, considerata l’invasione giorno dopo giorno più pericolosa della pandemia, del morbo che uccide fisicamente e culturalmente, ridotto ad un trasferimento esclusivamente on line. Il presidente del Museo Nazionale del Cinema, Enzo Ghigo, parla di “piazza virtuale”, di “avvolgente accoglienza”, dell’occasione per “ritrovarsi”, ma sappiamo già fin d’ora che non sarà la stessa cosa. Che niente sarà più, bello ed entusiasmante, come prima.

Il progetto, una retrospettiva, che da mesi Emanuela Martini pensava di potere portare a termine s’è dovuto cancellare, vista la mancanza dei diritti in streaming, tanto per cominciare a dire un appuntamento di cui sentiremo la mancanza. Ci si inventa, e lode sia, fasce orarie (sulla piattaforma MyMovies, dalle 14 del pomeriggio per una disponibilità di 48 ore; ogni singola proiezione avrà il costo di euro 3,50, a scelta un carnet di 10 film per il costo di 30 euro sino a giungere ad un abbonamento sostenitori di 100 euro, per quella idea di comunità festivaliera che il direttore del TFF Stefano Francia di Celle desidererebbe sempre più in espansione), la visione di film restaurati (“In the Mood for Love”, datato 2000, capolavoro di Wong Kar-wai), libri autori e masterclass, “mettendo in luce il fondamentale ruolo educativo del festival, che vuole avvicinare i giovani creando gli spettatori di domani, in forte affinità con quella che è la mission del museo”, come sottolinea Domenico De Gaetano, Direttore Museo Nazionale del Cinema. Come se non bastasse, proclami alle stelle, altisonanti: “Con l’edizione 2020, il Torino Film Festival afferma il suo impegno nei confronti degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Uniti, concentrandosi in particolare sul raggiungimento degli obiettivi numero 4 (Fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti), 5 (raggiungere l’eguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze), 10 (Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni) e 16 (Pace, giustizia e istituzioni forti)”. Per mettersi sulla buona strada sin dall’inizio, si dà voce per il concorso ufficiale ad una giuria tutta al femminile, cinque giurate senza far posto alla di una presidente, par inter pares come alla tavola di re Artù e si ritira fuori dal mazzo la carta glamour conferendo a Isabella Rossellini il Premio Stella della Mole “per l’innovazione artistica” (siamo alla prima edizione, sarà stato difficile andare a scartabellare i curriculum dei possibili premiandi…), “riconoscimento per la sua inesauribile creatività, l’esplorazione di ogni forma d’arte e l’incommensurabile capacità di trasformarsi per interpretare con altrettanta efficacia sia Alfred Hitchcock che un ragno”. Si è pure scomodato Gustavo Rol, cui in grande amicizia Fellini ricorreva per dare corpo al versante onirico di certe sue storie, portatore di quell’atmosfera “del mistero e dell’ignoto, dell’inspiegabile e del bizzarro” che serpeggia tra tanto cinema. A scegliere, sono 12 titoli da inquadrare ancora meglio nei giorni prossimi, tra il danese “Breeder” di Jens Dahl, il sudafricano “ Fried Barry” firmato da Ryan Kruger, il russo “Mom, I befriended Ghosts” di Sasha Voronov e “The oak room” del canadese Cody Calahan.

A sfogliare il programma, ci imbattiamo ancora in “Torino Corti 38”, negli otto titoli di “Back to Life”, dove trova posto il passato e il presente, una memoria del cinema e il racconto di una società, da “Avere vent’anni” (1967) di Fernando Di Leo al “Federale” di Luciano Salce; nel “Fuoriconcorso”, “sezione variegata”, un festival dentro il festival fatto di opere prime e seconde che raccontano, a detta dei selezionatori, quel che di più interessante ci avrebbe dato l’annata cinematografica, opere che non hanno trovato posto nella selezione ufficiale ma che comunque meritano un ben preciso posto di riguardo, meritevoli di distribuzione. In collaborazione con Seeyousound arriva “Billie”, documentario su Billie Holiday di James Erskine, e con Fish&Chips “Une dernière fois”, opera prima di Olympe de G.; collaborazioni pure con gli attori del sistema cinema torinese come Film Commission Torino Piemonte (“1974-1979 Le nostre ferite” di Monica Repetto e “Nuovo cinema paralitico” di Davide Ferrario), Torino Film Lab (“The Salt of our Water” esordio del regista bengalese Rezwan Shahriar Sumit) o Associazione Museo Nazionale del Cinema che quest’anno assegna il Premio Maria Adriana Prolo a Cecilia Mangini, regista e fotografa, di cui sarà proiettato “Due scatole dimenticate – Viaggio in Vietnam”, realizzato con Paolo Pisanelli. Ancora all’interno di “Fuoriconcorso”, uno sguardo al teatro con Paul Vecchiali (“Une soupçon d’amour”, tra rivalità amorose al femminile ed l’”Andromaque” di Jean Racine) e all’arte di Ezio Gribaudo (“La bellezza ci salverà” di Alberto Bader) o di Helmut Newton, maestro della fotografia nel ritratto (“The Bad and the Beautiful”) che ne ha fatto Gero von Boehm, o ancora a quella di Franca Valeri, con “Zona Franca” di Steve della Casa; del napoletano Antonio Capuano “Il buco in testa”, con Teresa Saponangelo, ispirato alla vicenda della figlia di un vicebrigadiere di polizia ucciso da un militante di sinistra e il suo incontro, anni dopo, con l’assassino, o di Tony D’Angelo “Calibro 9”, riduzione d’un titolo anni ’70, attualissima storia di ‘ndrangheta con Marco Bocci e Alessio Boni.

Nel panorama complessivo 133 film (su un totale di 4000 opere visionate), suddivisi in lungo medio e cortometraggi, opere prime e anteprime mondiali e internazionali, 4 anteprime europee e 40 italiane. Dodici i film in concorso, Romania, Brasile, Francia, Stati Uniti, Nigeria, Austria, Belgio e Korea tra i paesi partecipanti, unico titolo italiano “Regina” di Alessandro Grande, la storia di una quindicenne orfana di madre, il cui sogno è diventare una cantante. L’unico a credere nel suo talento e ad offrirle ogni aiuto è il padre, che ben la comprende dal momento che lui stesso ha dovuto rinunciare alla propria carriera musicale pur di restare accanto alla figlia. Un legame fortissimo fino al giorno in cui un evento imprevedibile cambierà le loro vite. Da tener d’occhio, produzione Messico-Spagna, “Sin senas particulares” di Fernanda Valadez, una madre alla ricerca del proprio figlio che da mesi ha abbandonato il Messico per cercare un altro avvenire al di là della frontiera con gli Stati Uniti.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini, “Regina” di Alessandro Grande e “Sin senas particulares” di Fernanda Valadez, in concorso; “Une soupçon d’amour” di Paul Vecchiali e “Un buco in testa” di Antonio Capuano, per “Fuoriconcorso”

“Riporta il cinema a Racconigi!”

E’ partita la campagna di crowdfunding di “Progetto Cantoregi” per dotare la “Soms” di Racconigi di un proiettore cinematografico
Racconigi (Cuneo)

“Ha da passà ‘a nuttata”. Parole celebri del grande Eduardo mai come oggi di tanto stringente attualità. Cosi, proprio in tempi di chiusura, causa emergenza sanitaria, delle sale cinematografiche, la città di Racconigi – circa 10mila abitanti e fra i centri più importanti sotto vari aspetti del Cuneese – spera, a buriana pandemica terminata o per lo meno placata, di potersi dotare del piacere di trascorrere qualche ora al cinema. Piacere cui da tempo i racconigesi sono stati purtroppo costretti a rinunciare, se non “emigrando” oltre i patrii confini. Alla città del famoso Castello, residenza dei reali sabaudi dove nacque l’ultimo re d’Italia Umberto II e che, nell’aprile del 2019 (tanto per restare in tema) diventò addirittura set cinematografico per alcune scene di “Outfit”, lungometraggio d’azione scritto e diretto dall’inglese Matthew Vaughn , manca infatti per concretizzare il suo sogno semplicemente un proiettore, un semplice proiettore. Non poca cosa. Ma con qualche aiuto fattibile. Anche perché la sala già ci sta. E’ l’ampio “Salone Gamna” (dalla platea a gradinate che ospita 110 posti) della “Soms”, ex Società Operaia di Mutuo Soccorso di via Costa, oggi sede dell’Associazione Culturale “Progetto Cantoregi”. E proprio dall’Associazione presieduta da Marco Pautasso è nata l’idea di un progetto di crowdfunding tesa alla raccolta di fondi da utilizzare all’uopo. “Il nostro sogno – dicono alla Soms – è quello di poter realizzare iniziative e rassegne filmiche, dedicate di volta in volta a un tema, a un Paese, a un periodo storico, a un regista o a un movimento cinematografico, oppure di poter proiettare pellicole per bambini e famiglie”. Claim del progetto “Riporta il cinema a Racconigi!” e la campagna di crowdfunding – promossa attraverso video, immagini e news online, ma anche con l’utilizzo di locandine affisse in città – ha preso il via nei giorni scorsi attraverso Facebook, Instagram e Whatsapp di “Progetto Cantoregi”, sul sito www.progettocantoregi.it e su www.retedeldono.it. I cittadini avranno tempo fino al 31 gennaio 2021 per la loro donazione, da 10 euro in su, e contribuire così all’acquisto del tanto sospirato proiettore. Ai donatori saranno riconosciuti “premi” speciali di ringraziamento per il loro sostegno, come ingressi gratuiti alle proiezioni e un posto in prima fila alla serata inaugurale della prima stagione cinematografica, nonché la borsa di tela con il logo della “Soms” e di “Progetto Cantoregi”.
“Riportare il cinema a Racconigi – spiega il sindaco Valerio Oderda – riportarlo all’interno del salone ‘Soms’ emoziona tutti noi. Tornare a proiettare nei locali in cui il cinema ha vissuto per molti anni è un sogno che si realizza per i tanti racconigesi che ne hanno un nitido ricordo e per i giovani che pur non avendo memoria diretta ne hanno sentito parlare. E’ di certo un altro passo in avanti nella crescita culturale della città, grazie a ‘Progetto Cantoregi’ e a chi vorrà sostenere con una donazione l’iniziativa”.
Url diretto per donare:
https://www.retedeldono.it/it/progetto-cantoregi/riporta-il-cinema-a-racconigi
La campagna è realizzata nell’ambito del progetto “Crowdfunding 2020. Nuove risorse per dare fiducia al Terzo Settore” promosso dalla Fondazione CRC in collaborazione con “Rete del Dono”.
Info: 335.8482321 – www.progettocantoregi.it – info@progettocantoregi.it – Fb Progetto Cantoregi – Tw@cantoregi – IG Progetto Cantoregi.
g. m.

A Isabella Rossellini il premio “Stella della Mole”

La stella a 12 punte protagonista anche dell’immagine guida del 38 Torino Film Festival

Il Premio Stella della Mole per l’innovazione artistica del 38 Torino Film Festival viene conferito a Isabella Rossellini, poliedrica artista di fama internazionale.

 

“Con questo Premio, che rappresenta non solo la Mole Antonelliana ma tutta la storica tradizione cinematografica della nostra città, il Museo Nazionale del Cinema e il Torino Film Festival vogliono rendere omaggio alla Settima Arte e ai suoi protagonisti – sottolinea Enzo Ghigo Presidente del Museo Nazionale del Cinema. Il nuovo corso del TFF, che coniuga passato, presente e futuro, viene perfettamente sintetizzato dall’immagine della stella, ideale collegamento, simbolo prezioso e ricco di significati. Siamo felicissimi che la prima a riceverlo sia Isabella Rossellini, artista di fama internazionale, antesignana di quel cinema così vicino alla filosofia del TFF e da sempre impegnata nella conservazione della memoria storica”.

Il nuovo simbolo del Torino Film Festival è anche protagonista dell’immagine guida di questa edizione, poiché collega la storica eccellenza tecnologica di Torino con il suo spirito innovativo e una creatività in continua evoluzione. Questa spettacolare stella a 12 punte è originale, universale e senza tempo. Scegliendo la Stella come suo simbolo, il Torino Film Festival vuole celebrare il suo impegno per l’innovazione, la diversità e la collaborazione. La stella della Mole Antonelliana mette in relazione il passato di Torino con il suo futuro, la “culla” del cinema italiano con i nuovi artisti da tutto il mondo che vengono celebrati al festival.

Motivazione

Novità del 38 Torino Film Festival è il Premio Stella della Mole per l’innovazione artistica che sarà attribuito ad artisti il cui contributo al cinema è altrettanto originale, universale e senza tempo.

Il Torino Film Festival ha l’onore di conferire quest’anno il Premio Stella della Mole per l’innovazione artistica a Isabella Rossellini quale riconoscimento per la sua inesauribile creatività, l’esplorazione di ogni forma d’arte e l’incommensurabile capacità di trasformarsi per interpretare con altrettanta efficacia sia Alfred Hitchcock che un ragno.

Con la sua grazia elegante, la sua raffinatezza e intrepida capacità di esplorare nuovi orizzonti ha saputo portare bellezza in ogni forma d’arte in cui si è misurata, dal cinema al teatro, ai video musicali, alla moda. Isabella Rossellini è amata e apprezzata in tutto il mondo per la sua arte originale, universale e senza tempo.

 

Il Premio ha una componente tecnologica del tutto unica ed è realizzato in alluminio attraverso la tecnologia avanzata dell’Additive Manufacturing, grazie alla collaborazione del Politecnico di Torino e con il coinvolgimento di Competence Industry Manufacturing 4.0, il polo costituito dai due atenei torinesi insieme a 23 partner industriali per la diffusione di competenze legate all’Industria 4.0.

 

L’iniziativa fa parte di Torino Città del Cinema 2020, un progetto di Città di Torino, Museo Nazionale del Cinema e Film Commission Torino Piemonte, con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in collaborazione con Regione Piemonte, Fondazione per la Cultura Torino www.torinocittadelcinema2020.it

(foto Michele D’Ottavio)