In scena da martedì 31 ottobre prossimo debutterà nel teatro torinese
Martedì 31 ottobre, alle ore 19.30, importante debutto al teatro Carignano de IL CASO KAUFMANN di Giovanni Grasso, protagonista Franco Branciaroli per la regia di Piero Maccarinelli.
Il CASO KAUFMANN vede protagonisti, oltre a Franco Branciaroli, Graziano Piazza, Viola Graziosi insieme a Franca Penone, Piergiorgio Fasolo, Alessandro Albertin, Andrea Bonella. Le scene sono di Domenico Franchi, le luci di Cesare Agoni, le musiche di Antonio Di Pofi e i costumi di Gianluca Sbicca.
Il CASO KAUFMANN è prodotto dal Teatro Stabile di Torino, Teatro Nazionale con il Centro Teatrale Bresciano, Fondazione Atlantide, teatro Stabile di Roma e i Parioli. Verrà replicato fino al 5 novembre prossimo.
Un condannato a morte ebreo chiede di poter vedere il cappellano del carcere perché pronto a convertirsi. Leo Kaufmann, interpretato da Franco Branciaroli, ha un altro scopo. Il sacerdote, incuriosito dalla sua tragica vicenda, accetta di restare con lui in cella per le sue ultime ore. IL CASO KAUFMANN è ispirato a una storia vera ed è la trasposizione teatrale dell’omonimo romanzo di Giovanni Grasso, vincitore nel 2019 di numerosi riconoscimenti teatrali, tra cui il Premio Capalbio per il romanzo storico. Racconta la sovversiva storia d’amore di un anziano commerciante ebreo e una giovane ariana nella Germania nazista degli anni Trenta.
“Molti sono I testi – spiega il regista Piero Maccarinelli nelle sue note di regia – che ci hanno parlato di quello che è successo al popolo ebraico dopo il 1933 in Germania e dopo il ’38 in Italia e in tutta Europa. Non sono mai abbastanza per ricordare e non dimenticare l’orrore di quella persecuzione razziale. Ancora oggi in molti Paesi lo spettro dell’antisemitismo si presenta in molte forme variegate. La scelta di Giovanni Grasso è quella della banalità del male nella delazione quotidiana, nella fabbricazione di prove inesistenti, nel sadismo di fatti mai accaduti, dove una semplice carezza da padre a figlia viene trasformata in una seduzione orrenda contro natura. Irene, ariana, viene mandata da Kaufmann, che è il migliore amico del padre, perché lui la possa aiutare con il lavoro. Da questo semplice scambio di favori tra un ebreo e un ariano si genera una macchina terribile di delazioni e sospetti che porteranno l’innocente Kaufmann a una condanna a morte. Credo che queste storie vadano raccontate senza sosta per non dimenticare e per capire quanto banale possa essere il male”.
A sconvolgere infatti l’esistenza cupa e afflitta di Lehamann Kaufmann è una lettera scritta nel dicembre del 1933, in cui il suo migliore amico gli chiedeva di prendersi cura della figlia Irene e di aiutarla a stabilirsi a Norimberga. Ha vent’anni, è bella, determinata e tra i due si instaura un rapporto speciale fatto di stima e di affetto, ma anche di desiderio. Però la ragazza è ariana e le leggi razziali stabiliscono che il popolo ebreo è nemico della Germania. Di qui nascono diffidenza e ostilità, che prendono il posto a sorrisi e rispetto. La giustizia, nelle mani dello spietato giudice Rothenberg, si trasforma in un mostro nazista e per la verità non c’è più scampo.
Mara Martellotta



Le promesse sono mantenute, la girandola di situazioni e di battute (i temi sessuali sono imperanti) che strappano la risata, i doppi sensi a manciate che rallegrano, i campanelli e gli squilli dei citofoni di casa, le incursioni satiriche, il clima di complicità che si stabilisce tra il pubblico e gli attori, ogni cosa fa bene alla serata. Se s’intravede qualcosa di scontato o di ripetitivo qua e là, tutto è prontamente rimesso in riga dal gran mestiere di tutti gli attori in scena, da Miriam Mesturino, fiammeggiante padrona di casa, tutta ardori e terrori, solo per un attimo pronta a rifugiarsi nella scalcagnata quanto tranquilla vita di un tempo, a Sergio Muniz, marito troppo comprensivo e sonnacchioso, affaccendato a ristabilire equilibri e abituale trantran, eccellente dispensatore d’ironia, da Valentina Maselli a Luca Negroni a Giuseppe Renzo, alla divertentissima, applauditissima Maria Cristina Gionta, cameriera dei signori. Un successone.
La più eterea stella del cinema italiano, l’altera e sognante Caterina Boratto, torinese, classe 1915, nata in un edificio Liberty in corso Francia, è sempre stata una donna di una bellezza classica, di un’eleganza innata, altera, un pò malinconica, e con lo sguardo da regina; per il grande regista Federico Fellini, “una donna dalla regalità completa”. Dopo aver frequentato il liceo musicale, su segnalazione di Evelina Paoli, una delle maggiori attrici teatrali del primo Novecento, cliente della pellicceria della mamma, nel 1937 esordisce inaspettatamente a soli 22 anni nel cinema come protagonista del film “Vivere!” di Guido Brignone, nella parte della figlia del celebre tenore Tito Schipa. Un successo nazionale e internazionale che le spiana la strada per Hollywood, dove frequenta Joan Crawford, Lana Turner, Spencer Tracy, Judy Garland e persino il grande scrittore Francis Scott Fitzgerald. Ma il suo debutto viene continuamente rinviato. E come tutti i sogni, allo scoppio della guerra, dopo tre anni di lavoro preparatorio negli studios per il debutto, il sogno s’infrange e con un viaggio di ritorno per mare, durante il quale Caterina viene scambiata per una spia, a causa dei timbri tedeschi di Berlino dove era andata a presentare “Vivere!”, rientra in Italia, a Torino. Sposa nel 1944 Armando Ceratto, uomo della Resistenza che riunisce il Comitato di Liberazione Nazionale nella sua clinica privata, la Sanatrix, una delle più importanti d’Europa per l’eccellenza di medici come Achille Mario Dogliotti, il chirurgo torinese dei casi disperati. E per circa una decina di anni la Boratto si ritira a vita privata e riprende a dare concerti come soprano. A ripescarla negli anni Sessanta è Federico Fellini che aveva conosciuto nel 1943 sul set di “Campo de’ Fiori”, il film con Aldo Fabrizi e Anna Magnani, l’ultimo girato prima del suo lungo distacco dal mondo del cinema. L’incontro avviene a Roma, Fellini la nota casualmente per strada mentre lei sta uscendo da un grande magazzino in una traversa di via della Croce. Caterina su suggerimento del regista Guido Sacerdote indossa un grande cappello marrone perché a Roma nessuna donna portava il cappello. Fellini, la nota, la riconosce, si fermano a parlare e l’istinto, così spesso decisivo, lo porta a chiederle di interpretare la parte della misteriosa ed elegante signora che appare in più di una scena del capolavoro “8½”. Nel 1974 avviene il folgorante incontro con Pier Paolo Pasolini che vuole la Boratto a tutti i costi in “Salò, le 100 giornate di Sodoma”; si dedica diretta da Filippo Crivelli anche all’affascinante esperienza dell’Operetta; interpreta Madama Pace in “Questa sera si recita a soggetto” per la regia di Giuseppe Patroni Griffi; nel 1987 partecipa al film di Luciano De Crescenzo “32 dicembre” e nel 1990 arriva l’incontro con Gigi Proietti per la realizzazione della situation-comedy “Villa Arzilla”. Un periodo di grande allegria, serenità e spensieratezza per il suo ritorno a Torino, dove negli 800 metri dello Studio 1 del Centro di Produzione Rai di via Verdi, il regista ricostruisce quattro ambienti ed un salone dove gli arzilli, sorridenti e vivaci protagonisti, i grandi Ernesto Calindri, Giustino Durano, Marisa Merlini e Fiorenzo Fiorentini si incontrano e scontrano per il divertimento dei telespettatori. La Boratto è la Greta Garbo di “Villa Arzilla”, un’ex attrice che non abbandona mai i suoi atteggiamenti da Diva.

