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Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino
Martedì 5 dicembre, ore 21.30
Irene Robbins
Irene Robbins, pianista, vocalist, compositrice e lyricist proveniente da Detroit, presenta martedì 5 dicembre in Osteria Rabezzana tracks dal suo ultimo cd “In my Words” insieme a brani originali e standards.
Irene Robbnis ha un approccio singolare, arrangiando brani del jazz moderno di Monk, Max Roach, Corea, con testi originali dalla voce melodiosa quanto bluesy. Le sue interpretazioni mixano gli stili a lei familiari, swing, latin, funk e, laureata in direzione corale, musica classica.
Il Trio Detroit Sound è composto da Irene Robbins, Francois Laurent di Parigi, fretless bass e chitarrista classico e Stefano Calvano, batterista e percussionista creativo e virtuoso.
Ora di inizio: 21.30
Ingresso:
15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)
Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta
Info e prenotazioni
Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.it
Cats – foto Gianluca Saragò
Tutte le informazioni sui social e sul sito www.teatrocolosseo.it sui profili social del Teatro.
“Tu non mi possiedi, non sono uno dei tuoi tanti giochi
Tu non mi possiedi, non dire che non posso andare con altri ragazzi
E non dirmi cosa fare
E non dirmi cosa dire
E per favore, quando esco con te
Non mettermi in imbarazzo, perché
Tu non mi possiedi, non provare a cambiarmi in nessun modo
Tu non mi possiedi, non legarmi perché non ci starei mai
Oh, io non ti dico cosa dire
Io non ti dico cosa fare
Quindi lasciami essere me stessa
È tutto quello che ti chiedo”
Cresciuta a Tenafly, nel New Jersey da genitori ebrei, Lesley Gore è stata scoperta nell’età dell’adolescenza.
Il suo primo singolo, uscito quando aveva 16 anni, fu “It’s My Party”, forse ancora uno dei pezzi più famosi, col quale raggiunse nel 1963 la prima posizione nella Billboard Hot 100 per due settimane ed il 9º posto in Gran Bretagna.
Nonostante Gore non avesse dichiarato nulla fino al 2005, la sua omosessualità non era propriamente un segreto, e lei stessa dichiarò che, nei circoli di divertimento, il suo orientamento sessuale era ben conosciuto.
Dichiarò inoltre che non sapeva del suo orientamento fino all’età di 20 anni, e quando scoprì di essere omosessuale, non pensò mai di rivelarlo pubblicamente, ma allo stesso tempo non si preoccupò di nasconderlo.
Il brano si rivolge a un fidanzato possessivo e rivendica l’indipendenza delle donne.
Sottolinea a voce discreta la non appartenenza a nessun uomo.
E’ stata vista come una dichiarazione contro la nozione di un uomo che “possiede” una donna e contro i sistemi di disuguaglianza radicati oramai nei secoli.
“In un amore tossico scivoli da un girone dell’Inferno a un altro, sempre più in basso, sempre più nel buio e nell’umiliazione.
E ogni volta che incontri il tuo custode infernale continui a scambiarlo per un angelo.”
Vi invito all’ascolto ed attendo le vostre impressioni sul brano:
Buon ascolto
(8) You Don’t Own Me – YouTube

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!



5 e 6 dicembre 2023, ore 21
Teatro Gioiello, Torino
Consiste Entertainment, per celebrare i dieci anni di carriera del Musicteller Federico Sacchi, porta sul palco del Teatro Gioiello di Torino, martedì 5 e mercoledì 6 dicembre, con Federico Sacchi, la backing band degli SLWJM e ospiti d’eccezione: Willie Peyote, Gianni Denitto, Simone Garino, Barbara Menietti e altri per un viaggio in un secolo di black music tra storytelling, musica e teatro, alla ricerca dei brani che hanno colpito e cambiato il nostro immaginario collettivo.
Dal blues di Blind Willie Johnson e il jazz di Billie Holiday fino all’Hip-Hop di J Dilla e Common, passando per Miles Davis, John Coltrane, Nina Simone, James Brown, Marvin Gaye, Stevie Wonder, la disco, la techno di Detroit e la House di Chicago. Black HI(T)story Revisited è l’esperienza di ascolto di Federico Sacchi, il narratore di musica e sound designer che ha animato il red carpet dell’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, unita al future jazz soul screziato di elettronica degli SLWJM.
Black HI(T)story Revisited è una produzione Consiste Entertainment
Federico Sacchi, MUSICTELLER
Autore, regista e interprete della performance originale L’esperienza d’ascolto, veri e propri documentari dal vivo che fondono storytelling, musica, teatro, video e nuove tecnologie. Nei suoi spettacoli racconta intrecci tra musica e vita di artisti e dischi che hanno generato o ispirato rivoluzioni e movimenti culturali. Nel 2016 ha creato, in collaborazione con l’associazione DocAbout, il format di divulgazione musicale crossmediale reDISCOvery. Opera professionalmente nel campo musicale da più di tre lustri svolgendo l’attività di divulgatore musicale, organizzatore di eventi, mercante di dischi, presentatore, cantante, produttore, critico e consulente musicale.
Ha collaborato con Teatro Stabile Torino, Fondazione Cinema per Roma, MonfortinJazz Festival, Jazz:Re:Found Festival, Lovers Film Festival, SeeYouSound International Music Film Festival, Compagnia di San Paolo, Galleria Campari (per cui ha curato nel 2016 la sezione musica della mostra Bittersweet Symphony) Salone del Libro, Circolo dei Lettori e L’Indice dei Libri del Mese. Dal 2013 al 2016 è stato consulente musicale e organizzatore per il FuoriLuogo Festival. Dal 2017 è socio fondatore e consulente musicale del centro culturale FuoriLuogo.
SLWJM (SlowJam)
Quartetto future jazz soul di musicisti piemontesi (con base Asti) attivo dalla fine degli anni ’10. Nel 2018 pubblicano l’EP “Undone I” definito dal cantante e divulgatore Gegè Telesforo “una delle uscite più interessanti del 2018”. Nel 2021 pubblicano l’album “Mega” (Bunya Records) che raccoglie ottime recensioni sulla stampa nazionale e internazionale.
Consiste srl è una società che opera nel mondo della musica, dell’entertainment, dei grandi eventi a forte impatto culturale. Ha da poco curato CASA TENNIS, CASA GUSTO, LA NOTTE DEL TENNIS e gli EVENTI DIFFUSI durante le ATP FINALS 2023. Ha curato la regia e la co-direzione artistica dell’EUROVISION VILLAGE di TORINO e la cerimonia di chiusura delle UNIVERSIADI INVERNALI 2023 a (Lake Placid – New York). In parallelo la società si occupa del restauro di spazi culturali, edifici storici e spazi urbani. Fondata da Stefano Pesca, direttore artistico, regista e show designer, attivo nel campo a livello internazionale dal 2003, e dall’Arch. Simone Massimilla, che dal 1995 si occupa di restauro architettonico e di beni tutelati. La Consiste srl ha l’obiettivo di generare impatto sociale tramite la riqualificazione degli spazi e la proposta di eventi artistici unici e tailor made.
INFO
5 e 6 dicembre 2023, ore 21
Teatro Gioiello, via Cristoforo Colombo, 31, Torino
Un’esperienza d’ascolto (con band live) di Federico Sacchi
Regia: Federico Sacchi
Federico Sacchi, Musictelling/voce
Leonardo Barbierato, basso/contrabbasso
Paolo Longhini, voce/chitarra
Davide Mancini, batteria/percussioni
Lorenzo Morra, piano, keyboards
Ospiti:
Willie Peyote, voce
Gianni Denitto, sax contralto
Barbara Menietti, danza
Simone Garino, sax alto e sax baritono
Biglietti: 32 euro + prevendita
Prevendita su Ticketone
A luci spente, il 41mo TFF lo si guarda lasciando riaffiorare – forse troppo impietosamente – i difetti che sono serpeggiati attraverso questi otto giorni di proiezioni. Forse il ritorno alla direzione di Steve Della Casa lo scorso anno e le scelte fatte per il concorso e fuori avevano mandato la testa di ognuno in piena euforia, l’aria allegra del quarantennale, il mantenimento del popolare e del colto era ancora una volta riuscito, l’imbarazzo tra una proiezione o l’altra, persino le code e i panini mangiati al volo erano benedetti. Quest’anno, anche cogliendo chiacchierate qua e là, scambi d’idee tra amici e vecchie conoscenze, di pubblico e di addetti ai lavori, è parso che un po’ di magia e di smalto si siano persi per strada e che l’entusiasmo generale abbia difettato, che anche le proiezioni per la stampa al Centrale non abbiano mai visto le resse, che le code all’ingresso delle sale si siano fatte desiderare. Forse un po’ di ripetitività, forse un po’ di stanca, forse la vana ricerca di prime e di anteprime capaci di incuriosire e di farsi inseguire come era capitato negli scorsi anni.

Con l’anno prossimo ci sarà l’arrivo di Giulio Base (prodotto del nuovo corso politico: ma anche chi va spesso al cinema mi chiedeva in questi giorni “chi è?”), già guardato malamente e con occhio “sinistro” prima che ancora metta piede in città, e neppure troppo a torto – anche se sarebbe ed è parecchio ingiusto e gratuito buttargli la croce addosso con dodici mesi d’anticipo -, visto il completo digiuno di festival, della presenza di una filmografia un pochino sbiadita, di una perseveranza nei salotti romani e della presenza di una consorte che favoleggia e instaura eventi mondani e che vorrà ben volentieri dare una mano. Il colto e il popolare, da sempre cifre dominanti del TFF, spariranno o per lo meno avranno una brusca virata? Vedremo davanti al Regio o al Lingotto i tappeti rossi, tanto per scimmiottare, con i nostri poveri fichi secchi, Venezia o Roma? Saliranno verso le Alpi manipoli di cinematografari romani, stelline d’alto lignaggio, fior di nomi che si muovono soltanto a certe regole? I finanziamenti, soprattutto, individueranno le strade giuste per poter lievitare? Dovrà lavorare, il Base, far quadrare i conti, magari dovrà scegliere percorsi nuovi che non siano, per le retrospettive, né l’horror della Martini né il western di Della Casa, magari sarà capace di buttare all’interno quella ventata d’aria fresca che rinnovi un po’ il festival.

Viene il forte dubbio, a scorrere i premi che chiudono il concorse di questo 41mo Torino Film Festival che il momento storico che stiamo attraversando, l’Europa in prima linea, abbia forzato un po’ la mano ai giurati, tra i quali i nomi italiani di Lyda Patitucci ed Elisabetta Sgarbi. Delle quattordici opere in concorso, suddivise secondo leggi vigenti (!) non sempre condivisibili tra sette registi e sette registe, il miglior film è stato giudicato “La palisiada” dell’ucraino Philip Sotnychenko, con una motivazione che, in sottotraccia, nella sua estrema stringatezza, pare lasciar intravedere una decisione politicamente corretta e sbrigativa: “Film complesso, di grande libertà registica nella costruzione delle scene che, concatenandosi trovano il loro senso autonomo. Il regista, alla sua opera prima, dimostra assoluta padronanza di mezzi”. Film complesso, perché? Per quali ragioni? Sicuri che quella affermata concatenazione sia la forza del film e la sua superiorità? Sicuri che i due colpi di pistola che dovrebbero far da specchio al passato – del 1996, quando sta per essere abolita la pena di morte – e al presente – ma la guerra attuale non c’entra – dell’Ucraina siano cinematograficamente chiariti, che il cammino tra rastrellamenti e sommari processi porti in tutta chiarezza alla sbrigativa esecuzione del finale? Che la ricostruzione della polizia e la rappresentazione di una realtà falsata siano rese in maniera approfondita e concreta? Le zone buie rimangono, senza negare al giovane regista una sua personale ricerca. Per chi scrive, con la convinzione dell’indomani, assai più coerente, narrativamente potente, capace di tratteggiare con estrema padronanza i vari caratteri della storia, “Le ravissement” della francese Iris Kaltenbäck (una motivazione che non fa una grinza o un piccolo dubbio: “film armonicamente riuscito, dove tutto concorre all’ottimo risultato finale. Iris Kaltenbäck, con la complicità degli interpreti Hafsia Herzi, Alexi Manenti e di tutto il cast, realizza un’opera prima matura e coinvolgente”). Che aggiunge il premio alla migliore attrice (la Herzi: mentre per la nostra Barbara Ronchi, sempre più matura e convincente nell’assolo di “Non riattaccare” di Manfredi Lucibello si è dovuto inventare una Menzione speciale); il premio per il migliore attore all’argentino Martìn Shanly, protagonista (e regista ricco di pretese) del dimenticabile “Arturo a los 30”.
Elio Rabbione
Nelle immagini: “La palisiada” di Philip Sptnychenko, premiato miglior film al 41mo TFF; “Le ravissement” di Iris Kaltenbäck, premio speciale della giuria e miglior attrice a Hafsia Herzi (a sinistra); un intenso primo piano di Barbara Ronchi, menzione speciale per “Non riattaccare” di Manfredi Lucibello.
Di Matthias Martelli, per la regia di Arturo Brachetti, un omaggio al geniale e ironico Fred Buscaglione
Al Teatro Carignano atteso debutto martedì 5 dicembre prossimo alle ore 19.30, per FRED!, lo spettacolo di e con Matthias Martelli, per la regia di Arturo Brachetti, con Walter Ricci e Fabrizio Bosso, coproduzione Teatro Stabile di Torino.
Lo spettacolo, coprodotto da Enfi Teatro insieme al Teatro Stabile di Torino, Teatro Nazionale e il Parioli, resterà inscena fino a domenica 17 dicembre.
Il talento istrionico di Matthias Martelli e quello musicale di Fabrizio Bosso, riportano in vita il mondo notturno e pieno di amori, whisky e sigarette di Fred, mescolando narrazione e musica dal vivo alle invenzioni registiche di Arturo Brachetti. Fred Buscaglione è stato il musicista più innovativo degli anni Cinquanta, capace di fondere gli stili americani con il jazz della tradizione melodica italiana, irriverente, istrionico, destinato a una morte prematura sulla sua Ford Thunderbird rosa, che ne consacrò il mito.
Buscaglione, come Gipo Farassino, era originario di Torino.
Il profilo di un artista ironico e provocatorio, che ha segnato la storia d’Italia. Chi era veramente Fred Buscaglione? Un uomo irrequieto e al tempo stesso geniale, ironico, che ha cambiato la storia della canzone italiana.
Il teatro di Matthias Martelli unisce gestualità a mimica e parola e incontra la rivoluzionaria musica di Buscaglione, nell’interpretazione vocale del talentuoso Walter Ricci, impreziosita dalla tromba di Fabrizio Bosso. Al pianoforte Alessandro Gwis, Matteo Rossi al contrabbasso, Mattia Basilico al sassofono e Luca Guarino alla batteria.
Grazie alle visionarie interpretazioni registiche di Arturo Brachetti, FRED! accompagna lo spettatore attraverso vita e canzoni di quello che sarebbe diventato un mito e un genio assoluto.
Una miscela di note, parole e immagini che faranno scoprire un altro Buscaglione, potente e fragile, simbolo della sua epoca e capace di parlare al futuro.
Teatro Carignano, piazza Carignano 6.
Orari degli spettacoli martedì, giovedì e sabato ore 19.30. Mercoledì e venerdì ore20.45. Domenica ore 16. Lunedì riposo.
Mara Martellotta
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Si avvicinano le ultime proiezioni di questo 41mo TFF, edizione mai affollatissima (giusto aspettare le cifre a completo spegnimento degli schermi), tranquilla nei titoli offerti ovvero digiuna di una o forse più storie che abbiano – al di là di innocenti contrasti, di pareri discordi subito persi all’uscita delle sale, di opinioni che non intaccano amicizie né accendono chiassose chiacchierate – espresso il caso eclatante, il film bomba. Curioso di vedere come saprà comportarsi la giuria alle prese nella riunione finale con chi lasciare fuori dai premi e chi onorare di un riconoscimento. Per il momento, in concorso, dal cinema dell’Arabia Saudita, ad opera del regista Ali Kalthami, veniamo a sapere che “mandoob” è termine che dà il titolo al film e che sta a significare non soltanto il fattorino, colui incaricato di consegnare un pacco ma altresì chi possa essere compianto per la perdita di una persona o per una qualche altra disgrazia o tout court una persona sfigata. In una notte fatta delle luci delle auto imbottigliate in un traffico sempre congestionato e delle ombre dei vicoli dei quartieri poveri di Riyad, pronti ad alternarsi con quelli lussuosi e illuminatissimi, architetture avveniristiche che sono rifugio più o meno esposto e chiaro di gente piena di denaro, quel termine si appiccica a Fahad, uomo in tutta apparenza tranquillo, un padre da curare e al quale dedicare più attenzioni e una sorella, madre di una bambina, che lui cerca di aiutare economicamente, dividendosi tra le consegne della notte e l’impiego quotidiano nei box di un call center. Un’aggressione a sconvolgere la tranquillità dell’uomo, un ritorno della memoria e della vicenda a qualche giorno precedente – strizzando l’occhio ad un thriller magari d’oltreoceano: che gli americani non ne rubino il soggetto? – per raccontare la fitta spirale di violenza entro cui il protagonista è caduto. Tanto per cominciare il licenziamento di Fahad, arriva in ritardo e con i clienti che intercetta al suo telefono risponde frettolosamente, dando poi di matto con il responsabile al momento in cui gli viene imposto di fare le valigie. Si butta sulle consegne, in un mondo dentro a cui guarda alla corruzione, all’illegalità, al denaro facile, alla merce che sottrae a chi tenterà con ogni mezzo di recuperare. Alla sua voglia di emergere, qualsiasi siano i modi e i mezzi. Fahad cerca il successo sporco, come tanti fanno e hanno fatto prima di lui, buttarsi nel traffico degli alcolici potrebbe aprirgli un tranquillo futuro: ma la sua notte di ordinaria follia si tinge sempre più di colori lividi. Seppur con un ritmo quasi ad ogni giravolta convincente, il film di Kalthami si ferma all’esposizione avventurosa dei fatti senza voler rovistare più a fondo in quel terreno scivoloso in cui il protagonista si è imprudentemente avventurato.

Ancora in concorso, batte bandiera ucraina – ma i giorni dolorosi che la nazione sta vivendo non ci sono mostrati, semmai le decadi precedenti, con la politica e la storia degli anni Novanta della Russia e l’Ucraina da poco indipendente -, “La palisiada”, ancora una terminologia e un significato a fare da titolo ad un film. Palisiada, ci verrà spiegato quasi al termine dell’opera firmata da Philip Sotnychenko, sta a significare una ridondanza di parola: come se quella tanto attesa spiegazione facesse definitivamente luce su quanto di troppo per noi confuso abbiamo visto in circa 100’ minuti di proiezione! Un ispettore di polizia e uno psicologo forense si ritrovano a far luce sull’esecuzione (è una delle ultime, tra non molto la pena di morte verrà abolita) di un uomo condannato per la morte di un ufficiale, la ricerca delle prove, l’infedeltà delle immagini e le testimonianze di donne mute arbitrariamente tradotte, la sua spiccia condanna eseguita con metodi bui e quantomai sbrigativi, un’eliminazione sviata a carico di un qualche malato burocrate o di un drappello governativo (?) che sta contando le sue ultime ore. Un colpo di pistola finale anticipato da un altro iniziale, improvviso, stupido, in un ambito familiare, ancora più inspiegabile, ancora più oscuro. Nessuno osa dire che Sotnychenko, qui all’opera d’esordio, sia uno sprovveduto alle prime armi, il rastrellamento dei prigionieri o le carrellate sui mercatini posti sui binari fanno cinema robusto, come quel girovagare con la macchina da presa in un alloggio che sta per essere abbandonato, uno sguardo attento e pietoso su mobili, oggetti, sulla carta scolorita che ricopre le pareti, come quel cercare sul corpo di una donna attraverso i tatuaggi i ricordi del passato: ma lo spettatore tranquillo dell’Occidente avrebbe la pretesa di barcamenarsi all’interno con un po’ più di sicurezza. Avvertiamo il rimando all’Ucraina di ieri e a quella di oggi, ma parecchio non è chiaro quando si esce dalla proiezione.
C’è già un piccolo passato cinematografico alle spalle della regista sudcoreana Jiyoung Yoo. In “Birth” la giovane Jay è una scrittrice che tenta di sfondare nel mondo dell’editoria, il suo compagno Gun-woo un apprezzato insegnante di lingua inglese che viene spinto dal direttore della scuola a accettare il posto di responsabile della nuova succursale per i più piccoli. Tutto pare filare nel migliore dei modi: se non fosse per una indesiderata gravidanza che viene a disturbare i progetti del futuro. Jay vorrebbe rinunciare al proprio bambino, il suo stato fisico non glielo permette mentre la situazione inizia a rovinare un solido rapporto di coppia; lui coltiva in sé il desiderio di costruire una famiglia e si deve addossare l’intero andamento della casa. Come se non bastasse, a confondere l’esistenza della donna è quella autobiografia con cui costruisce il suo nuovo romanzo “Birth” come la consapevolezza tutta personale che la gravidanza stia rendendo sterile la sua vena di scrittrice, che altre del suo gruppo abbiano quel successo è ormai negato, che anche chi ha sempre creduto in lei e sempre l’ha sostenuta stia tornando sulle proprie idee. Resistono appieno due caratteri che continuano a fronteggiarsi, fermo ognuno nelle proprie convinzioni: ed è nello studio finissimo di quelli che la buona mano della regista eccelle. Tuttavia, secondo un modo di fare cinema intimamente legato al suo tempo e soprattutto ai suoi luoghi, un mondo di silenzi, di sguardi, di scene bruscamente interrotte, di dialoghi asciugati e rarefatti, di fissità protratte per troppi secondi che stridono con i nostri “mezzi” e con i nostri sentimenti di fare cinema.
Elio Rabbione
Nelle immagini: scene tratte da “Mandoob” (Arabia Saudita) per la regia di Ali Kalthami; “La palisiada” di Philip Sotnychenko (Ucrania); “Birth” della regista sudcoreana Jiyoung Yoo.
Domenica 3 dicembre, alle ore 16.45 al Teatro Juvarra di Torino, seconda edizione del Vitamine Jazz Festival,
curato da Raimondo Cesa, con una rappresentanza dei musicisti che volontariamente, da sei anni, donano la
loro arte nei reparti dell’Ospedale S. Anna per rispondere all’appello della Fondazione Medicina a Misura di
Donna.
Nel corso del concerto saranno rievocate le musiche che hanno caratterizzato “Vitamine Jazz”. Le sonorità
jazzistiche daranno il loro colore a motivi classici, mediterranei e sudamericani.
Le “Vitamine Jazz”, il più articolato, ampio e longevo programma al mondo di esecuzioni di jazz realizzate in
un ospedale, 370 dal 2017, sono riprese all’Ospedale Sant’Anna in presenza, per la settima stagione
consecutiva, a partire dal 15 novembre 2023.
Il programma si avvale di oltre 300 jazzisti di fama nazionale e internazionale che portano il benvenuto alla
vita nei reparti di maternità, accompagnano le cure oncologiche durante le chemioterapie e danno valore ai
tempi di attesa nelle sale d’aspetto e al pronto soccorso.
La diffusione delle “Vitamine Jazz” durante la pandemia è avvenuta tramite social e ha contato più di un
milione di visualizzazioni, annoverando anche molte utenze estere.
Il progetto, che si colloca nel percorso strategico sull’alleanza virtuosa tra “Cultura e Salute” varato dalla
Fondazione nel 2011, è stato valutato “benefico per le pazienti e per gli operatori sanitari, nel sistema delle
relazioni” nel corso dei focus group condotti da Catterina Seia, Responsabile progetto “Cultura e Salute” della
Fondazione, insieme ai ricercatori di Pier Luigi Sacco, Economista della Cultura, con infermieri e medici
esposti ogni giorno alla sofferenza.
Le donazioni ricevute saranno destinate ai progetti di ricerca, prevenzione e cura delle disabilità invisibili
della donna, tra cui l’endometriosi e le cefalee, uno degli assi di impegno della Fondazione Medicina a
Misura di Donna, che sostiene borse di ricerca e servizi di medicina integrativa.
Per informazioni e prenotazioni: eventi.fondazionemamdmail.com, 339.4307283 e 335.1320634
Donazione minima 25 euro.
Modalità di versamento:
▪ link (https://aderenti.medicinamisuradidonna.it/donazione/vitamine-jazz-festival/),
▪ QR code
▪ bonifico (IBAN IT64 G030 6909 60610000 0062 768 Intesa San Paolo. Causale: Concerto di Natale)
