SPETTACOLI- Pagina 136

“Ricorderesti il mio nome se ti vedessi in paradiso?”

Music Tales, la rubrica musicale 

Ricorderesti il mio nome

se ti vedessi in paradiso?

avresti le stesse sensazioni

se ti vedessi in paradiso?”

Siamo nel 1992, avevo vent’anni.

Eric Clapton scriveva e dedicava a suo figlio Conor, scomparso nello stesso anno, a soli 4 anni, cadendo dal 53º piano di un palazzo a New York, la ballata “tears in heaven” (lacrime in paradiso).

La canzone è stata dapprima incisa nella colonna sonora del film Effetto allucinante del 1991, e poi nell’album Unplugged (vincitore del Grammy come Album dell’anno) l’anno successivo. È tra le canzoni di maggior successo interpretate da Clapton e conquistò nel 1993, tre Grammy Awards: “Registrazione dell’anno”, “Canzone dell’anno” e “Miglior interpretazione vocale maschile”. Inoltre, Tears in Heaven, si trova al 362º posto della lista dei 500 migliori brani musicali secondo Rolling Stone.

Anni dopo, la canzone è stata dedicata anche alle vittime dello tsunami del 2004, cantata da diverse celebrità come Ozzy e Kelly Osbourne, Phil Collins, Elton John, Mary J. Blige, Rod Stewart, Gwen Stefani, Scott Weiland, Robbie Williams, Josh Groban, Ringo Starr, Steven Tyler, Andrea Bocelli, Katie Melua, Slash alla chitarra e Duff McKagan al basso elettrico.

Ma di questo molto poco mi importa, ci è dato a sapere da wikipedia e tanto di cappello, ma…quel che veramente mi regala emozionaalmente questo brano è sofferenza, speranza, amarezza e arresa. Tutto allo stesso tempo.

Oggi, nel giorno del funerale di una persona a me molto vicina, ve la voglio regalare questa canzone, dedicandola a chi non possiamo respirare più; senza spendere altre parole se non queste:” non aspettate, se potete, a cambiare vita, a cambiare voi stessi, a sorridere, a mettere una camicia che non volete sciupare, a mangiare la cosa che vi piace di più senza pensare ai chili di troppo; non rimandate un appuntamento, non privatevi di un abbraccio, non lasciate che ci siano cose non dette. Cercatevi, non risparmiatevi, non mandatevi un whatsapp ma andate a bere una cosa insieme…suonate e cantate insieme, accarezzate chi avete di fianco e diteglielo quanto lo amate o quanto vi fa incazzare.

Questo meccanismo delle dodici ore di lavoro ogni giorno, del “domani poi lo farò”, produce da sempre tensioni sociali, nevrosi, depressioni, malattie e soprattutto la sensazione precisa di perdere per sempre l’occasione della vita.

Fosse anche solo l’occasione per star bene.

La vita è solo ed esclusivamente adesso.

Ciò che non abbiamo osato, abbiamo certamente perduto.”

Buon ascolto

Chiara De Carlo

https://www.youtube.com/watch?v=0lOBE7IwUOY&ab_channel=MusicTravelLove

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

A Torino nuovo approdo di Mutamorfosi’, uno degli spettacoli rivelazione dell’anno

Informazione promozionale 

 

“Muta-Morfosi”, scritto e interpretato dall’artista salernitana Sara Lisanti e introdotto dal reading poetico di Gian Giacomo Della Porta, Premio Quasimodo nel 2017, si sta affermando come uno degli spettacoli “rivelazione” di questo anno in corso.

Grazie a un tour di successo, “Muta-Morfosi” è stato selezionato per la rassegna del MilanoOff Fringe Festival, che si svolgerà dal 25 settembre all’8 ottobre prossimo, e tornerà a Torino il 30 giugno prossimo alle 20:30 presso lo Spazio Trama di via Mazzini 44, nell’ambito degli eventi de LaFeltrinelli Torino, prima di approdare il 6 luglio al GreenBox di via Sant’Anselmo 25. Il 12 luglio prossimo sarà all’interno della rassegna estiva “Estate in Circolo”, organizzata da L’ARTeficIO APS presso i Giardini dell’Anagrafe e ne “Il cortile della felicità” di Associazione Nessuno il 14 luglio prossimo presso il Polo Lombroso, in via Lombroso 16.

Lo spettacolo avrà inizio a partire dal momento poetico denominato “La calma della crisalide”, simbolo di imminente trasformazione attraverso il viaggio della vita. Tale poesia contiene in sé la forza che precede la realizzazione della bellezza, preparando lo spettatore alla fase della pièce in cui la parola lascia spazio ai colori, al silenzio e, infine, alla musica di un’immagine in movimento interpretata dall’artista Sara Lisanti, ricca di talento,che si troverà rinchiusa all’interno della propria sofferenza. Lo spettatore sarà posto di fronte alla consapevolezza ultima dell’artista, finalizzata a innescare le varie fasi della metamorfosi.

Attraverso una continua stratificazione di suoni che andranno a determinare l’intensità di ogni sequenza, Sara Lisanti cambierà pelle più volte, prendendo spunto dalla muta tipica del rettile e armonizzandosi nel più umano concetto di “venire al mondo”.

MARA MARTELLOTTA

Rock Jazz e dintorni a Torino: Raiz e gli Statuto

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GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Mercoledì. Al Blah Blah si esibiscono i Creepin’ Death. Al Lambic è di scena Giovanni Battaglino. Al Cafè Neruda si esibisce il folksinger Terje Nordgarden.

Giovedì. Al Dash blues con Soul Sarah e Gaetano Pellino. Al teatro Alfieri concerto di Raiz a tema dal titolo “Lechaim” con l’Auditoriumband. All’Hiroshima Mon Amour suonano i Lab Graal. Al Maffei si esibisce Naska. Al Blah Blah sono di scena gli ArtemiXia Cor. Al Magazzino sul Po si esibiscono gli Al Doum & The Faryds. Allo Spazio 211 è di scena Claudio.

Venerdì. Al Magazzino sul Po suonano i Materazi Future Club. Al Folk Club si esibisce Eileen Rose accompagnata da Rich Gilbert e dal duo Musica da Ripostiglio. Al Blah Blah suonano i Temple of Deimos. Al Magazzino di Gilgamesh si esibisce Grayson Capps. Al Bunker suonano i Crummy Stuff, Dalton e DiscoMostro.

Sabato. Al Jazz Club si esibisce il quartetto di Max Gallo e Sabrina Mogentale. Al Cap 10100 gli Statuto festeggiano 40 anni di carriera. Al Circolo della Musica di Rivoli, fiabe in musica con il sestetto Cattivi Bambini. Al Magazzino sul Po è di scena la cantautrice Giove. Allo Ziggy si esibiscono i Corpus Delicti. A El Paso suonano per la causa Mapuche : Fukuoka, Bobson Dugnutt e Deriva e la Casa del Boia.

Domenica. Il pianista Emanuele Sartoris suona con l’armonicista Alberto Varaldo al Jazz Club.

Pier Luigi Fuggetta

“Lechaim”, concerto per il “Giorno della Memoria” Al Teatro “Alfieri” con Raiz e “AuditoriumBand”

Nella prima esecuzione pubblica a Torino

Giovedì 26 gennaio, ore 21

Scelta di memoria e scelta di speranza, già nel titolo del concerto dedicato al “Giorno della Memoria”, promosso dal “Polo del ‘900” di Torino e dalla “Fondazione Musica per Roma”, per giovedì 26 gennaio (ore 21) al Teatro “Alfieri” di piazza Solferino 4, a Torino. Titolo che recita “Lechaim”, dal brindisi ebraico che inneggia “alla Vita”, attraverso un’accurata, e dall’approccio rinnovato, scelta musicale a ricordo della “Shoah”, affidata all’“AuditoriumBand”, una delle orchestre residenti in “Auditorium Parco della Musica” di Roma, che insieme al cantante Raiz o Rais o Raiss (al secolo Gennaro Della Volpe, ex voce e leader, fino al 2003, degli “Almamagretta”) affronta – insieme a musicisti talentuosi operanti nei generi più diversi come Gigi De Rienzo, Franco Giacoia, Osvaldo Di Dio e Claudio Romano – brani legati all’Olocausto e ai nefasti orrori delle persecuzioni naziste.

La prima esecuzione pubblica a Torino, presso il Teatro “Alfieri”, si aprirà con un intervento video dell’Onorevole Furio Colombo, estensore della “Legge della Repubblica n. 211” del 2000 che ha istituito il “Giorno della Memoria”, e con la presenza di Lidia Maksymowicz, sopravvissuta al Campo di Concentramento di Auschwitz. Un momento collettivo aperto al pubblico gratuitamente (su prenotazione), nato dalla collaborazione tra “Polo del ‘900” “Città di Torino” con il sostegno del “Comitato della Regione Piemonte per l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione Repubblicana del Consiglio Regionale del Piemonte”.

Il concerto si muove su differenti piani narrativi. Il primo, quello più direttamente legato alla “Shoah” con brani di DylanCohenGucciniBattiatoJoy Division ma anche di Hannah Senesh giovane eroina di guerra autrice di versi struggenti, o attraverso la sorprendente versione country blues che il polistrumentista americano Mark Rubin fa di un classico come “Es Brent” o “It’s Burning”, testimonianza di una “cultura cosmopolita che sa ibridarsi e sopravvivere in ogni condizione”. L’altro, quello della persecuzione di tutte le minoranze e qui troviamo De André e “The Indigo Girls” tra gli altri. E, infine, il piano più contemporaneo dove la band aggiunge una “sfumatura nuova”: ricordare l’orrore nazista perché non accada più e celebrarne il fallimento attraverso la musica di Paul SimonGene Simmons dei “Kiss”, Bestie BoysDavid Lee RothAmy WinehouseDonald FagenBilly JoelJoey RamoneRobby Krieger dei “Doors”.

L’ingresso al Teatro “Alfieri”, come detto, è libero ma con prenotazione obbligatoria: tel. 011/5623800 o biglietteria@fdfgestioniattivitateatrali.com

Il giorno successivo al concerto di Torino, venerdì 27 gennaio (sempre alle ore 21), “Lechaim” si sposterà all’ “Auditorium Parco della Musica” di Roma, in via Pietro de Coubertin, al numero 10.

Anche nella Capitale, ingresso libero con prenotazione obbligatoria: tel. 06/802411 o www.auditorium.com

g.m.

Questo è stato. Voci sulla Shoah

Mercoledì 25 gennaio, ore 21  Teatro Concordia, Venaria Reale (TO)

 

“Questo è stato. Voci sulla Shoah” è una mise-en-espace nata per celebrare La Giornata della Memoria: un modo per ricordare l’abominio della Shoah non solo attraverso le parole delle vittime, ma anche attraverso quelle dei carnefici.

Non si tratta di un semplice reading. La scena è praticamente vuota. A riempirla, due sedie e due leggii. I cambi di costume da parte degli attori riportano a quegli anni di orrore, ma sono soprattutto le testimonianze a rendere vivo il ricordo di quel tempo. Goebbels e Mengele espongono le loro aberranti teorie, mentre Primo Levi, Elisa Springer, Nedo Fiano, Settimia Spizzichino raccontano della vita, se così si può chiamare, all’interno dei lager nazisti.

A chiudere il tutto, “Se questo è un uomo”, la poesia di Primo Levi, a ricordarci che “questo è stato”. Musica e proiezioni di immagini e filmati non fanno solo da cornice al momento recitativo, ma sono elementi cardine dello spettacolo.

La bellezza di una testa, la grandezza di un attore

All’Astra, sino a domenica 22 gennaio, Dostoevskij e Orsini

Credo sia lo spettacolo più emozionante della stagione, significando emozione quel raccoglitore che accoglie la bellezza di un testo e la grandezza di un attore, i grandi temi del sentire umano come il pensiero e la sua libertà e il magma della coscienza, la a tratti geniale ri-costruzione – ancora una volta – della complessità di un personaggio tra i più intriganti e controversi della letteratura, il piacere dell’ascolto laddove il recitato e la voce, accompagnati dalla proprietà della scrittura e da un linguaggio davvero “penetrante”, vengono scanditi in ogni momento della serata, laddove ogni sillaba se ne sta splendidamente al posto suo e non incespica, l’una sull’altra, come troppo spesso accade sui palcoscenici di oggi, con gli effetti dell’oscuro o del nebbioso, le pause che si perdono nei ricordi (anche quelle non previste, causate da uno stupido cellulare a distruggere una intera sospesa atmosfera, sono un’opera d’arte), il culto della perfetta rifinitura senza sbavatura alcuna.


Per la terza volta, nella sua carriera di poliedrico attore, affronta l’Ivan Karamazov dostoevskijano, lontano ormai quello di una televisione in bianco e nero nello sceneggiato di Sandro Bolchi (era il 1969), di circa dieci anni fa al centro della “Leggenda del grande inquisitore”, quasi un alter ego lungo il percorso di una vita completa, un confronto incessante. In “Le memorie di Ivan Karamazov”, nella drammaturgia di Orsini e Luca Micheletti, per la regia di quest’ultimo (all’Astra, nella stagione del TPE, sino a domenica prossima), si affronta la maturità, si processa ancora una volta un personaggio che, al di là di un processo e di una spinta al parricidio, lui istigatore consapevole, l’autore privò di un finale. Ivan, personaggio non-finito, deve spiegare, deve caparbiamente chiarire, sembra accompagnarsi a quei personaggi pirandelliani che attendono dagli attori, su un autentico palcoscenico, quella compiutezza e quella vita che non hanno prima mai incontrato. “La vera vita degli uomini e delle cose comincia soltanto dopo la loro scomparsa”, suona una frase di Nathalie Serraute che Orsini autore ha inserito nello spettacolo.

Va ben oltre Luca Micheletti, omaggiando il suo collega: “Il nostro Ivan è anche un personaggio-ossessione, che accompagna cinquant’anni di carriera di un mirabile “capitano Achab” della nostra scena, un attore che insegue la sua balena enorme e veloce, la arpiona e si lascia trascinare…” Una lunga strada che si ricollega al nostro oggi, un continuum che ci lascia riascoltare, uscendo da un mostruoso aggeggio uscito da qualche vecchio film di fantascienza, la voce di un Orsini trentacinquenne, dalle immagini dello sceneggiato, quando “l’ho costruito giorno dopo giorno quell’Ivan, gli ho dato un aspetto severo, l’ho fatto diventare biondissimo, quasi albino, gli ho messo un paio di occhialini tondi e dei colletti inamidati di fresco, l’ho difeso da una sceneggiatura che lo banalizzava, battendomi per dare lo spazio adeguato all’importanza del suo “Grande Inquisitore”, inizialmente dato per troppo cerebrale e dunque probabilmente indigesto al grande pubblico.” All’interno di un polveroso tribunale, nei nostri giorni, all’ombra di un alto scranno che potrebbe anche essere il pulpito di una nuova religione, Ivan rivendica i propri pensieri e la propria natura – “sono un uomo cattivo come cattivi sono tutti gli uomini” -, teorizza l’amoralità del mondo, il nulla che circonda gli umani, il libero arbitrio e la costruzione di un Dio per comoda necessità, la sofferenza degli innocenti che meriterebbe la morte, la schiavitù del tempo, rivendica in ogni sua parola la logicità del proprio ragionare, lo strapotere intellettuale, i confini con il superuomo. Gli vengono incontro persone e accadimenti, la bontà di Alëša e la personalità confusa dell’illegittimo Smerdjakov, la lotta tra il padre dissoluto e Dmitrij per la Grušenka e i tre mila rubli, l’uccisione, il processo.

Al termine dei 70’, Umberto Orsini, nel suo vecchio pastrano scuro, a tratti coperto da quella neve che è caduta dall’alto su questo suo Ivan, come i ricordi, una mano sul cuore, assapora gli applausi, un velo di commozione come è quello che riempie gli occhi di parecchi spettatori, uniti in piedi ad applaudire, dalle poltrone della sala che trabocca, a testimoniargli ancora una volta il rispetto e la passione verso una lunga straordinaria carriera.

Elio Rabbione

È aperto sino all’8 febbraio il concorso del 27^ Valsusa Filmfest

Avrà come titolo “EPPURE IL VENTO SOFFIA ANCORA”

www.valsusafilmfest.it | Deadline: 8 febbraio 2023

Concorso cinematografico del Valsusa Filmfest, festival cinematografico e culturale di comunità sui temi della memoria storica, della montagna e dell’ambiente, che da 27 anni anima la Valle di Susa.

Il concorso si articola in 4 sezioni: Cortometraggi, Produzioni Libere, Fare Memoria e Le Alpi.

L’iscrizione e l’invio delle opere deve essere effettuato entro l’8 febbraio 2023.

La XXVII edizione del festival si svolgerà nei mesi di marzo e aprile, avrà come tema e sottotitolo “Eppure il vento soffia ancora”, ispirato alla canzone “Eppure soffia” di Pierangelo Bertoli, con eventi di cinema, letteratura, arte, musica e teatro in diversi comuni della Valle di Susa.

È online il concorso cinematografico del XXVII Valsusa Filmfest, festival cinematografico e culturale di comunità sui temi della memoria storica, della montagna e dell’ambiente che da 27 anni anima la Valle di Susa, territorio aperto all’incontro e al confronto culturale, attraverso concorsi cinematografici e numerosi eventi a cavallo tra cinema, letteratura, musica, teatro, arte e impegno civile.

Le iscrizioni devono pervenire entro le ore 24:00 dell’8 febbraio 2023.

Le regole di partecipazione, i premi e tutte le informazioni sono contenute nel bando pubblicato sul sito www.valsusafilmfest.it

Il concorso si articola in quattro sezioni: Cortometraggi, Produzioni Libere, Fare Memoria e Le Alpi.

La sezione “Cortometraggi” è a tema libero e riservata a film e video di finzione della durata massima di 10 minuti, senza preclusione di stili, generi e tecniche di realizzazione. Oltre a due premi in denaro è previsto anche l’attestato “Premio Ugo Berga Partigiano” all’opera che meglio rappresenta, con ironia e disincanto, una tematica rilevante e di riflessione sul quotidiano nella nostra società.

La sezione “Produzioni libere” è rivolta a cortometraggi amatoriali e/o sperimentali della durata massimo di 10 minuti prodotti con piccoli budget, ma con volontà di affrontare un tema particolare. La sezione è aperta anche agli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

La sezione “Fare Memoria”, proposta in collaborazione con l’ANPI Valle Susa, è riservata a opere che intendono fare memoria di una testimonianza del passato ispirata al tema o ai valori della Resistenza, o a un avvenimento di attualità che quei valori interpreta.

La sezione “Le Alpi” è riservata a filmati sul tema della montagna: esplorazione, alpinismo e altri sport verticali, tutela dell’ambiente e delle specie animali, cultura e tradizioni, vita e abitudini di piccole e grandi comunità.

Per partecipare, gli autori devono inviare le opere registrandosi e creando un proprio account nel form raggiungibile cliccando sul tasto “Iscriviti” presente nella home page del sito www.valsusafilmfest.it

Il XXVI Valsusa Filmfest si svolgerà nei mesi di marzo e aprile 2022 in diversi paesi della Valle di Susa.

Il programma è in via di definizione e avrà come tema e sottotitolo “Eppure il vento soffia ancora”, ispirato a “Eppure soffia” di Pierangelo Bertoli, canzone del 1976 con un testo ancora più che mai attuale. Un vento che nel testo di Bertoli è nello stesso tempo quello dell’ambientalismo, quello che “fischiava” durante la lotta partigiana e quello del pacifismo, di ieri e di oggi: insomma tutti i temi e valori portanti affrontati dal Valsusa Filmfest sin dalla sua prima edizione.

Da dieci anni è attiva una collaborazione con il Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà di Torino che ospita la proiezione del filmato vincitore del concorso “Fare Memoria” tra gli eventi organizzati per celebrare l’anniversario della Liberazione.

IL VALSUSA FILMFEST – 27 anni di storia dedicati al confronto culturale e alle nuove generazioni

Il Valsusa Filmfest è un festival che dal 1997 anima la Valle di Susa su tre temi principali: il cinema, la memoria storica e l’ambiente. Un festival itinerante che in numerosi comuni della Valle ha proposto in ogni edizione concorsi cinematografici, proiezioni fuori concorso e numerosi eventi a cavallo tra cinema, letteratura, musica, teatro, arte e impegno civile, coinvolgendo scuole, associazioni e tante singole persone grazie al suo profondo radicamento nel territorio.

L’obiettivo principale del festival è sempre stato quello di promuovere cultura dando ampio spazio alle nuove generazioni e a eventi in grado di far riflettere e cogliere i cambiamenti sociali, culturali e politici della contemporaneità.

Il Maestro Daniele Gatti completa il ciclo delle Sinfonie di Mendelssohn

Con l’Orchestra Nazionale della RAI presso l’Auditorium RAI di Torino

 

Ultimo appuntamento con l’integrale delle sinfonie composte daFelix Mendelssohn-Bartholdy che Daniele Gatti ha affrontato con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai nel corso delle ultime due settimane, all’Auditorium Arturo Toscanini di Torino.

Giovedi 19 gennaio alle 20:30 all’Auditorium RAI di Torino, con collegamento in diretta su Radio 3, il musicista milanese interpreterà la Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 detta “Italiana” e la Sinfonia n. 5 in re maggiore op. 107 detta “La Riforma”. Il concerto sarà replicato venerdì 20 gennaio prossimo, alle 20:00,con trasmissione in live streaming su raicultura.it e poi proposto in televisione, su RAI 5, nell’ambito dell’intero ciclo di Sinfonie di Mendelssohn diretto da Daniele Gatti.

La serata si aprirà con la Sinfonia n. 4 in la maggiore detta “Italiana”, op.90, una delle sue più conosciute, organiche e personali. La sinfonia fu eseguita nel maggio del 1833 dalla Filarmonica di Londra diretta dallo stesso autore, e fu accolta in modo molto lusinghiero, suscitando sin da allora, tuttavia, e per molto tempo ancora, alcune discussioni in sede critica circa la sua classificazione nel genere romantico o classico. Come ogni artista tedesco, anche Mendelssohn subì il fascino dell’Italia, e vi compì un viaggio negli anno 1830-31 fermandosi a Roma, dove strinse amicizia con Berlioz, e a Napoli. A questo periodo risalgono i primi abbozzi della Sinfonia in la maggiore che Mendelssohn non si risolse mai di pubblicare, nonostante le numerose revisioni a cui la sottopose, e che pertanto venne pubblicata postuma come quarta sinfonia.

Ascoltando questa musica sinfonica non è luogo comune affermare che essa, soprattutto nei due movimenti estremi, ci appare permeata di luce mediterranea e animata da una gioia di vivere esuberante, tanto che il musicista ebbe a dire che si trattava “della musica più gaia che io abbia mai composto”. Questa gioia esplode nella “partenza” molto festosa dell’ Allegro vivace, che dominerà tutto il movimento, il cui secondo tema ne sarà il riflesso.

La Sinfonia n. 5 in Re minore op. 107 detta “La Riforma” fu scritta nel 1830 in occasione del trecentesimo anniversario della Confessione Protestante di Augusta, che cadeva nel giugno di quell’anno, prima esposizione ufficiale dei principi del Protestantesimo. Una melodia intima e raccolta dei violini si svolge lenta con il solo accompagnamento degli archi, mentre flauto e fagotto intervengono in due sole occasioni in modo sommesso. Solo nelle ultime battute si aggiungono clarinetti, corni, trombe e timpani, prima del suggello finale affidato ai soli archi.

Sul podio Daniele Gatti che, a partire dal gennaio 2020, ha diretto l’Orchestra Nazionale della RAI in sedici serate, con dodici programmi musicali, tra cui l’integrale delle Sinfonie di Brahms, proposto nell’aprile del 2021, e quello delle sinfonie di Schumann, affrontato nel dicembre dello stesso anno.

Direttore del “Maggio Musicale Fiorentino”, Gatti è anche direttore musicale dell’Orchestra Mozart, oltre che consulente artistico della Mahler Chamber Orchestra.

I biglietti per il concerto sono in vendita online sul sito dell’OSN RAI e presso la biglietteria dell’Auditorium RAI di Torino.

Informazioni: 0118104653

MARA MARTELLOTTA

biglietteria.osn@rai.it

Giobbe Covatta in 6° (sei gradi) Comicità per affrontare il tema della sostenibilità

Venerdì 20 gennaio, ore 21

Teatro Concordia, Venaria Reale (TO)

 

Giobbe Covatta con “6° (Sei gradi)”, un numero dal forte significato simbolico che rappresenta l’aumento in gradi centigradi della temperatura del nostro pianeta, si diverte ad immaginare le drammatiche e stravaganti invenzioni scientifiche, sociali e politiche che l’uomo metterà a punto per far fronte all’emergenza ambientale e sociale.

Come sarà il mondo la cui temperatura media sarà più alta di un grado rispetto ad oggi? E quando i gradi saranno due? E riuscire ad evitare aumenti superiori che porterebbero inevitabilmente alla nostra estinzione? Tutto ciò che si vedrà nel corso dello spettacolo al Teatro Concordia è collocato nel futuro in diversi periodi storici nei quali la temperatura media della terra sarà aumentata di uno, due, tre, quattro, cinque e sei gradi. I personaggi che vivranno in queste epoche saranno i nostri discendenti (figli, nipoti o pronipoti) che avranno ereditato da noi il nostro patrimonio economico, sociale e culturale, ma anche il mondo nello stato in cui glielo avremo lasciato.

Comicità, ironia e satira si accompagnano alla divulgazione scientifica su quelli che sono senza dubbio i grandi temi del nostro secolo: sostenibilità del pianeta e delle sue popolazioni.

 

Venerdì 20 gennaio, ore 21

6° (Sei gradi)

Uno spettacolo di Giobbe Covatta e Paola Catella.

Biglietti: intero 13 euro + d.p. – ridotto 11 euro + d.p. – in abbonamento

 

Info

Teatro della Concordia, corso Puccini, Venaria Reale (TO)

www.teatrodellaconcordia.it

011 4241124 – info@teatrodellaconcordia.it

Ferrini inciampa in Otello, forse il vero protagonista è Iago

Al Gobetti, repliche sino al 5 febbraio

Un lungo mese di repliche – sino al 5 febbraio, sul palcoscenico del Gobetti – per questo “Otello” shakespeariano, nella traduzione di Emilio Cecchi e Giovanna Cecchi, produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Progetto Urt, un unico blocco di 140’ senza intervallo, a cui Jurij Ferrini sembra aver dato anima e corpo. Una tragedia di incondizionato amore e di terribile, cieco odio, ogni cosa nel cuore di un eroe, di un ufficiale di colore, ma anche una tragedia di sospetti, di quelle parole portate a poco a poco alle labbra nella prospettiva di una vendetta e nella distruzione di un altro, nell’occasione di una donna, di una quasi bambina innamorata del proprio sposo, della figlia di un notabile di una qualche potenza occidentale, sperduta nelle acque del Mediterraneo tra i rumori e le ansie della guerra, spinta giorno dopo giorno sempre più a fondo da un meccanismo perverso e subdolo che un diavolo le ha costruito intorno. L’occasione di un avvicinamento a quella “nostra coscienza occidentale” che senza mezzi termini, di gran fretta, è definita “falsa”. “Quando leggo un testo, soprattutto un grande classico – tiene a motivare Ferrini nelle note di regia – non posso fare a meno di chiedermi che cosa possa significare per il pubblico di oggi.” Ieri e oggi, le radici e i rimandi, gli sguardi paralleli, un incrociarsi di ponti gettati sulle intenzioni e sui sentimenti, sulla malvagità e sulla menzogna del nostro quotidiano.

Nessuno lo vieta ad un regista che si fa quasi coautore, appunto per il suo sguardo nuovo, una esperienza apprezzabile quando anche sia l’occasione “per un lucido e appassionante esame del viaggio a ritroso da un infinito oceano d’Amore fino alle fonti dell’Odio più puro”, il Bene e il Male a fronteggiarsi da sempre. Tuttavia, su quelle pedane inventate (abbastanza poveramente) da Jacopo Valsania (a lui si devono anche le luci, con Gian Andrea Francescutti), contro un fondale di soli e di lune, dentro un orizzonte di alberi e scure montagne, poca colpa se lo spettacolo tarda a prendere corpo: quel che non convince è quell’oggi, tanto sbandierato, che sino al termine della serata continua a parere del tutto posticcio. Non spaventano più gli abiti moderni, non siamo più alla metà degli anni Sessanta quando con innegabile shock del pubblico Luigi Squarzina per “Troilo e Cressida” rivestiva gli attori dello Stabile genovese delle divise del ventesimo secolo, seguito poi da Lavia e da Ronconi e certo da altri: qui sono un posticcio perché nulla aggiungono all’azione, al racconto naturalissimo che Ferrini rivendica di aver visto “nella mia immaginazione”. Poi c’è il pericolo del medioriente, c’è la sopraffazione maschile, c’è l’ombra del razzismo che circola tra le truppe e va oltre, c’è la lettura del gran personaggio di Iago, la fiducia riposta in lui e il tradimento, il marcio della coscienza e la distruzione di sé e degli altri portata sino in fondo.

Scrive poi qui uno che continua a dubitare fortemente dell’uso dei microfoni in scena, per dire, per scandire, per ritagliare che?, microfoni di cui si fa un gran uso e microfoni che per altri versi li diresti benedetti dal momento che l’attore, nel momento in cui deve pronunciare la propria battuta dal fondo del palcoscenico, non è più nettamente udibile: quello stesso Ferrini che, accennando appena nel trucco la propria “negritudine” con dei tatuaggi tribali che lo rendono più un Maori che un “moro”, da sempre erroneamente definito “negro”, sembra essere incerto sulla strada da percorrere sino in fondo senza ripensamenti. L’“Otello” di Ferrini, il triangolo Moro/Desdemona/Iago, tutto rimane un fatto privato, a dispetto di certe intenzioni di voler ampliare il campo alla “tragedia della violenza umana” e di volerlo immergere nell’”ultimo straordinario movimento culturale e rivoluzionario del mondo moderno”, il ’68, fatto di opposizione alla guerra in Vietnam, di battaglie per i diritti civili, di libertà sessuale, di rifiuto di ogni autorità.

Di Ferrini interprete non arriva in platea la costruzione di un personaggio, al di là di un gran muoversi e di un imperioso quanto furioso vociare. Troppo resta nelle intenzioni e non trova sbocco autentico e tangibile. La parte maschile dei suoi compagni, per differenti gradi, non possiede – o il regista non ha saputo tirar fuori dai giovani attori quel tanto di sentimenti e di consapevolezza dell’accaduto che è nei personaggi più o meno minori – una già affermata robustezza. Sul versante femminile, oltre la Bianca di Sonia Guarino, lascia un segno nel finale la ribellione della Emilia di Maria Rita Lo Destro e mostra con una eccellente sfaccettatura di toni una Desdemona fatta di giovinezza, fragilità e acre stupore Agnese Mercati; mentre un lungo discorso a parte meriterebbe la prova eccellente di Rebecca Rossetti, uno Iago che non avevamo mai visto (questa sì felicissima intuizione di Ferini), una sorta di Linda Hamilton di “Terminator”, anfibi, calzonacci militari, attillata nera canottiera con spalline, capelli corti impomatati all’indietro. Le si poteva aggiungere un lanciafiamme, non avrebbe stonato, già la pistola con cui fa fuori la povera concorrente che sta per spifferare ogni cosa fa legittimamente al caso suo. Uno Iago che rischia di essere il vero protagonista della tragedia. Si può allora dire che Rossetti sappia quel che vuol dire la costruzione di un personaggio, una sorta di simbolo del Male a tutto tondo, del male gratuito gestito per scommessa, nella voce e nella postura mai in eccesso, nel rivelarsi e nel nascondersi, nella strada che semina di sospetti e di indizi detti a fior di labbra e no, anche usando in maniera assai propria tutta l’ironia verso la mal riposta scalata al successo. Pubblico pressoché osannante alla prima, mentre a me rimanevano tutti i dubbi della realizzazione.

Elio Rabbione

Le foto di scena sono di Luigi De Palma