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Cultura: nasce il Polo ‘Giubileo Incontri’, special guest Giancarlo Giannini

L’iniziativa della storica onoranza funebre ‘Giubileo’ verrà presentata a media e autorità del territorio martedì 2 luglio con un grande party inaugurale.

Verrà presentato in anteprima a Torino Martedì 2 luglio 2024a un parterre privato di ospiti di primo piano il nuovo Spazio Culturale ‘Giubileo Incontri’, nato dalla volontà della famiglia Scarafia, titolare delle storiche ‘Onoranze Funebri Giubileo’ di offrire alla cittadinanza un’alternativa moderna e avanzata di aggregazione, condivisione e conoscenza.

Special guest l’attore Giancarlo Giannini, fra i nomi di punta del cinema italiano nel mondo.

Celebrare la Vita nelle sue forme più belle è l’obiettivo. Arte, cultura, musica, poesia, teatro e letteratura. ‘Giubileo Incontri’ è il nostro grazie a tutti i torinesi che ogni giorno s’impegnano a fondo in discipline dedicate al bello e al buono fondamentali per la crescita della società, l’incoraggiamento alla socializzazione e l’educazione dei giovani”, spiega Serena Scarafia, Presidente del Cda di ‘Giubileo Srl’.

Sede di questa realtà è uno stabile di 750 mq recentemente riqualificato, sito in Corso Bramante 58/7, dotato di una Sala Polivalente tecnologicamente all’avanguardia, di due Aree Mostre musealizzate, di ampi spazi per la convivialità, reception, aree ristoro ed un grande parcheggio riservato.

​La funzione primaria di “Giubileo Incontri” è accogliere eventi culturali e associazioni che ambiscono a trovare un luogo idoneo disponibile o atto a diventarlo.

Per farlo, è possibile inviare una e-mail all’indirizzo giubileoincontri@giubileo.com per sottoporre un progetto o richiedere disponibilità in calendario anche per eventi di carattere privato in linea con la filosofia, la mission e la vision del luogo.

​A inaugurare la struttura sarà la mostra “Torino 2006: il ritorno”, con oltre 500 pezzi esposti, dedicata ai XX Giochi olimpici invernali. La scelta del tema e del periodo di inaugurazione sono voluti: per celebrare l’avvento di ‘Giubileo Incontri’ si è scelto di ricordare l’evento che ha portato Torino all’attenzione del mondo, facendola rinascere sotto molti aspetti e ascrivendola tra le grandi mete turistiche italiane, nel 25° anniversario dell’assegnazione dei Giochi alla Città di Torino durante il 109° Congresso del Comitato Internazionale Olimpico tenutosi a Seul.

​L’esposizione è resa possibile grazie al contributo di Gabriele Cresta, torinese e collezionista di cimeli legati alle Olimpiadi e Paralimpiadi di Torino 2006, che ha messo gratuitamente a disposizione gli oggetti presenti in mostra, curandone in prima persona l’allestimento.

​Durante il party inaugurale, il curatore condurrà il pubblico presente in una visita guidata alla mostra, disponibile per chi ne faccia richiesta in seguito in date concordate.

​Attraverso un percorso suddiviso in 14 vetrine tematiche, affiancato da 150 didascalie, sarà possibile ripercorrere quel periodo unico, vissuto dalla Città di Torino e dal Piemonte, che va dalla Candidatura come sede olimpica al 19 marzo 2006, data della Cerimonia di Chiusura dei IX Giochi paralimpici invernali.

All’interno della mostra sarà riservato un piccolo spazio anche agli altri importanti eventi sportivi che hanno interessato Torino a ridosso delle Olimpiadi: da Torino Ice nel 2005 alle Universiadi nel 2007, ricordando anche i Campionati del mondo di Scherma e quelli di Scacchi del 2006.

​La mostra sarà aperta gratuitamente al pubblico dal 4 luglio 2024 al 29 settembre 2024, con il seguente orario: giovedì e venerdì dalle 11.00 alle 18.00 e sabato dalle 9.00 alle 13.00.

​Tutte le informazioni sul sito www.giubileo.com.

Woodstock in Cittadella, tre giorni di grande festa

Woodstock in Cittadella è uno di quegli eventi a cui tutti possono partecipare perché al suo interno racchiude tante attività adatte ad un pubblico di ogni età. Saranno tre giorni di festa, a partire dalle 19 di venerdì 28 giugno, in cui si potrà ascoltare musica dal vivo, gustare dell’ottimo cibo, partecipare a tornei di calcio a 5, padel o tennis, assistere ad uno spettacolo di tango o diventare un giovane pompiere grazie a Grisulandia, progetto ludico organizzato dai volontari dei vigili del fuoco della sezione di Torino.

L’evento patrocinato dalla Città di Torino è nato nel 2019 grazie ad un’idea dei ragazzi della Nazionale Italiana dell’Amicizia Onlus per festeggiare i 50 anni del mitico concerto rock durato tre giorni nell’agosto del 1969.

“La Nazionale Italiana dell’Amicizia Onlus – ha sottolineato l’assessore al Tempo Libero Domenico Carretta – ha voluto organizzare un’iniziativa per omaggiare il Festival che è stato il manifesto della cultura hippie degli anni ’70, declinandolo in una forma inclusiva e fortemente radicata sul territorio di Falchera, dove Walter Galliano e tutti i volontari della NIDA lavorano da 12 anni per realizzare dei progetti solidali. Saranno tre giorni in cui saranno coinvolti i torinesi e i turisti. I proventi della manifestazione saranno devoluti per realizzare uno studio di registrazione senza barriere architettoniche per permettere ai ragazzi disabili di poter esprimere la propria creatività e passione per la musica”. Alla presentazione del programma erano presenti anche il presidente della Circoscrizione 6 Valerio Lomanto e il professore Roberto Laudati che ricoprirà il ruolo di consulente sanitario all’interno della Cittadella di via degli Ulivi 11.

La Nazionale Italiana dell’Amicizia Onlus riceverà, sempre venerdì 28 giugno, nella Sala Rossa di Palazzo Civico, la benemerenza della Città di Torino per il suo grandissimo impegno sul territorio per far star meglio chi in questo momento sta vivendo in condizioni difficili. Presto la Cittadella sarà dedicata a Beatrice e Stefania Naso rimaste nel cuore e nella memoria di tutti, soprattutto in quelle dei ragazzi della NIDA.

Marco Aceto

TORINO CLICK

Ispirazione e leadership femminile: “L’Impronta delle Donne” protagonista a “La Casa delle Donne”

La prossima puntata di ParlaConMe®️, il celebre talk show online condotto dalla digital strategist e Top Voice di LinkedIn, Simona Riccio, si preannuncia emozionante e ispirativa. In onda giovedì 27 giugno 2024 dalle ore 18:00 alle ore 19:00, questa entusiasmante trasmissione sarà interamente dedicata al mondo delle donne.

All’interno del progetto di ParlaConMe®️, l’attenzione al mondo femminile è sempre stata centrale, tanto che tre anni fa è nato un progetto innovativo ideato da Maurizio Fiengo e Simona Riccio: La Casa delle Donne. Questo progetto si impegna attivamente nell’abbattere le disuguaglianze di genere attraverso la creazione e la pubblicazione di caroselli che generano interazione e dibattito sul tema di genere, sensibilizzando il pubblico sulle disuguaglianze e sugli stereotipi tossici ancora presenti nella società contemporanea.

Durante questa puntata Simona e Maurizio accoglieranno in studio alcune tra le persone che hanno dato vita a due libri impegnati su questi temi: “L’Impronta delle Donne” e “Nel Nome delle Donne”. Questi volumi raccolgono ciascunosette racconti di donne che rappresentano l’Italia da nord a sud, attraverso regioni, contesti e culture diverse. Le storie spaziano tra vari settori: dall’eleganza delle penne alla tecnologia dei materassi e dei robot, dalle conserve alimentari alla pasta fresca, dalla ristorazione a tema fino al caffè espresso all’italiana. Il filo conduttore è l’impronta femminile, quell’operosità discreta e votata al fare per il semplice piacere di contribuire, senza la quale molte aziende oggi non sarebbero come le conosciamo.

Tra gli ospiti della puntata vi saranno Marianna Carlini, ideatrice del progetto e fondatrice di Master Communication, Silvia Lessona, biografa e co-autrice con Adriano Moraglio del libro “Nel Nome delle Donne”, Fausta Colosimo, responsabile dei mercati internazionali di Caffè Trucillo, e Chiara Salvetti, coach e imprenditrice.

Durante la puntata, i protagonisti racconteranno le loro esperienze, le sfide superate e i successi ottenuti nel mondo imprenditoriale italiano, offrendo spunti preziosi e ispirazione a tutte le donne che aspirano a fare la differenza nei rispettivi settori. Non solo testimonianze, ma anche riflessioni profonde: si esplorerà il significato del successo al femminile nel contesto attuale, stimolando una riflessione sul futuro delle donne nei ruoli di leadership e sull’importanza della diversità e inclusione nelle aziende.

Non perdete l’occasione di essere parte di questa conversazione stimolante e di scoprire il potere delle storie di successo femminile nel mondo degli affari. Un appuntamento imperdibile per tutti coloro che credono nel cambiamento e nell’empowerment delle donne.

La puntata sarà trasmessa in diretta sui seguenti canali:

LinkedIn di Simona Riccio: https://bit.ly/3UZX5Kp
Facebook di ParlaConMe®️: https://bit.ly/44IFzh3
YouTube di ParlaConMe®️: https://bit.ly/3UNIsJ3

Per ulteriori informazioni e per rivedere tutte le puntate precedenti, visitate il sito ufficiale: www.parlaconmeofficial.it.

Contro il logorio della vita moderna. Carosello e i sogni degli italiani

Era il 3 febbraio del 1957 quando la televisione mandò in onda la prima puntata di Carosello portando nelle case degli italiani che possedevano  quella scatola magica con tubo catodico la “réclame”.

 

Nei pochi esercizi pubblici dotati di televisore le trasmissioni rappresentavano un evento che richiamava l’attenzione di molti avventori. C’era persino chi si portava la sedia da casa per potersi godere in santa pace gli spettacoli come Lascia o raddoppia, condotta da un giovanissimo Mike Buongiorno. Ovviamente anche la prima puntata di Carosello incuriosì tutti. Partito con un ritardo di un mese sulla data annunciata il programma fu frutto un compromesso tra la dirigenza della televisione pubblica e i rappresentanti delle maggiori imprese del paese che avevano intravisto l’incredibile potenzialità comunicativa del mezzo televisivo per le loro attività commerciali. L’idea di produrre filmati con brevi scenette venne suggerita dalla Rai per evitare eventuali critiche da parte di chi, pagando il canone, non avrebbe gradito la pubblicità in tv. La produzione di questi cortometraggi fu demandata all’industria cinematografica nazionale garantendo, nel rispetto di regole precisa, un buon livello d’inventiva e qualità. Per quasi vent’anni, fino al 31 dicembre del 1976 – quando toccò a Raffaella Carrà, con un certo aplomb, fare l’annuncio di commiato – furono davvero in tanti a non perdersi una sola delle puntate che andavano quotidianamente in onda dalle 20,50 alle 21,00. Per i più piccoli era diventato un appuntamento ormai tradizionale, quasi proverbiale: immediatamente dopo Carosello, “tutti a nanna”. Edmondo Berselli, nell’introduzione a “Tutto il meglio di Carosello”, pubblicato da Einaudi nel 2008 con tanto di allegato dvd, raccontò così l’attesa di quell’evento: “Alle nove di sera, dopo il telegiornale, apertosi l’allegro sipario della sigla con maschere, trombe e mandolini, passano nel bianco e nero della Rai i carburanti della Shell e la potente benzina italiana Supercortemaggiore, la famosissima macchina per cucire Singer, ornamento e risorsa di tutte le operosità domestiche, il Cynar a base di carciofo efficace contro il logorio della vita moderna, i favolosi e galeotti cosmetici di l’Oréal di Parigi: così che a rivedere i prodotti presentati nella primissima messa in onda di Carosello si ottengono già diversi segnali sulla veloce modernizzazione a cui l’Italia si preparava”.

Un fenomeno di costume, con le sue furbizie e le ingenuità che nel tempo portarono la pubblicità a perdere la propria innocenza. Solo due volte, venerdì santo a parte, l’appuntamento giornaliero con quelli che nel tempo diventarono i “consigli per gli acquisti”  fu sospeso: quando a Dallas, il 22 novembre del 1963, fu assassinato il presidente Kennedy e il 12 dicembre del 1969 quando una bomba provocò la strage di Piazza Fontana a Milano. La sera dell’annuncio della chiusura di Carosello, lasciò attoniti molti telespettatori. Le parole della Carrà, nonostante fossero state pronunciate con grazia nella sera di San Silvestro del ‘76, fecero l’effetto di una sentenza capitale. Il Carosello non c’era più? E perché mai? Il mercato della pubblicità si stava trasformando in senso più moderno e dinamico? I produttori stavano diventando insofferenti verso i limiti di tempo imposti da questa modalità di reclamizzare i loro prodotti? Era difficile farsi una ragione, immaginare che il “logorio” della modernità travolgeva anche slogan come “Ullallà, è una cuccagna”, “Non è vero che tutto fa brodo”, “Omsa, che gambe”, “Ho un debole per l’uomo in Lebole”, “A scatola chiusa compro solo Arrigoni”. I filmati di Carosello portavano la firma di grandi registi come Sergio Leone, i fratelli Taviani, Ermanno Olmi e molti attori famosi prestavano la loro faccia degli sketch televisivi, da Totò a Gilberto Govi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Aldo Fabrizi, Tino Scotti, il grande Eduardo De Filippo.

I personaggi erano entrati a far parte dell’immaginario collettivo di una nazione, protagonisti di una indemoniata sarabanda. Calimero, piccolo e nero con l’olandesina della Mira Lanza stava insieme a Cimabue (“fai una cosa né sbagli due”) mentre la linea di Cavandoli senza pronunciare una parola  cercava la titina dentro una pentola a pressione della Lagostina. Unca Dunca, uscito dalla penna di Bruno Bozzetto, sognava la Riello mentre l’Omino coi baffi preparava un caffè con la moka Bialetti a Lancillotto e ai cavalieri della tavola rotonda. Il caffè, ovviamente, era offerto dalla torinese Lavazza e lo portavano Carmencita e il suo “caballero misterioso”. Da un angolo della strada balzava fuori, con i confetti Falqui, Tino Scotti che muovendo i baffi  suggeriva  come bastasse “la parola”. Nel gran bailamme di Carosello restavano impresse frasi celebri: “E che, ci ho scritto Jo Condor?”, “E la pancia non c’è più”. grazie all’Olio Sasso, “Gigante buono, pensaci tu”, “Miguel-son-sempre-mi” e il suo merendero, la famiglia degli Incontentabili alla ricerca di un elettrodomestico che li accontentasse. Ubaldo Lay, fasciato nel suo impermeabile da tenente Sheridan sorseggiava un’aperitivo Biancosarti mentre discuteva con Cesare Polacco nei panni del calvo ispettore Rock della Brillantina Linetti. Il sorriso smagliante di Carlo Dapporto (si lavava i denti con la Pasta del Capitano) era rivolto all’attore Franco Cerri, l’uomo in ammollo che vedeva lo sporco andar via dalla sua camicia a righe mentre la biondissima svedese Solvi Stubing invaghiva tutti sussurrandoci “chiamani Peroni, sarò la tua birra”.  C’era Virna Lisi che “con quella bocca può dire ciò che vuole”, mentre Ernesto Calindri stava perennemente seduto al  suo tavolino in mezzo al traffico caotico a bersi un estratto di carciofo (il Cynar) “contro il logorio della vita moderna”. Come si poteva rinunciare a quel motivetto della sigla (“Tatataratararatarara..”) che accompagnava l’apertura del sipario del teatrino in una festa di trombe e mandolini ?

Il paese per qualche tempo si avvitò in una disputa tra chi denunciava gli effetti dell’educazione di massa al consumo e chi, all’opposto, metteva in risalto l’arte della pubblicità e la “pubblicità come arte”. Nell’estate del 1976, dalle pagine del Corriere della Sera Enzo Biagi anticipò un “coccodrillo” per Carosello. Scrisse : “ Mostrava un mondo che non esiste, un italiano fantastico, straordinario: alcolizzato e sempre alla ricerca di aperitivi o di qualcosa che lo digestimolasse; puzzone, perennemente bisognoso di deodoranti e detersivi, sempre più bianchi; incapace di distinguere fra la lana vergine e quell’altra, carica di esperienze; divoratore di formaggini e scatolette, e chi sa quali dolori se non ci fossero stati certi confetti, che, proprio all’ora di cena, venivano a ricordare come, su questa terra, tutto passa in fretta”. Carosello era nato da un compromesso fra il mercato e le famiglie, fra la narrazione e lo slogan, proponendo un mondo immaginario, irreale ma al tempo stesso ironico, disincantato. E questo giustifica un ragionevole filo di nostalgia.

Marco Travaglini

 

Paniere artigianale con Fondazione Mirafiori

Dal 2021 Fondazione Mirafiori è promotrice di MA.MI food – MadeinMirafiori, il paniere di prodotti artigianali, stagionali, inclusivi ed etici che sostengano lo sviluppo e la crescita del territorio, affiancando produttori e artigiani nella promozione e ideazione.
Lunedì, con la facilitazione di Massimo Infunti di iMpronta, è stata una giornata aperta a produttori di MA.MI food e partner di Mirafood per interrogarsi su quale sarà il futuro dei 7 prodotti che raccontano Mirafiori attraverso ingredienti locali e nuove etiche sperimentali.
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MA.MI food – Made in Mirafiori nasce dall’impegno di Fondazione della Comunità di Mirafiori e #Mirafood, la comunità Slow Food per la valorizzazione del territorio di Mirafiori Sud, e si sviluppa grazie al supporto di FUSILLI – Fostering the Urban food System Transformation through Innovative Living Labs Implementation, progetto europeo Horizon2020, che mira a trasformare il sistema alimentare urbano attraverso living lab innovativi in 12 città europee.

A Torino FUSILLI è un progetto di Città di Torino/ Torino City Lab e Fondazione Mirafiori/Mirafood in collaborazione con Orti Generali, UNISG – Università degli Studi di Scienze Gastronomiche e Università Di Torino/Atlante del cibo di Torino Metropolitana. (Facebook Fondazione Mirafiori)

Stealthing

Se chiediamo alle persone cosa sia la violenza sessuale, riceveremo come risposta “il sesso praticato senza consenso”, “lo stupro” o “l’atto sessuale compiuto su minori o su disabili psichici”. Difficilmente parleranno dello stealthing.

Di cosa si tratta? Non è altro che l’atto di sfilarsi il preservativo senza avvisare il partner ricevente, eiaculando nel partner o su di esso, ma comunque in modo non concordato.

Perché questo atto è così grave? I motivi sono molteplici; innanzitutto comporta rischi non indifferenti per il ricevente: gravidanza indesiderata e rischio di trasmissione di malattie non vanno sottovalutati.

Poi, pur ammesso che il partner ricevente sia protetto da entrambi i rischi, è pur sempre un comportamento che non rispetta le richieste e, dunque, avviene senza il consenso.

Immaginate che un estraneo, seduto accanto a voi al bancone di un pub o al tavolo in una mensa, beva al vostro bicchiere senza chiedervi il permesso: come vi comportereste? A parte cambiare il bicchiere per non entrare in contatto con la saliva (ed i germi) altrui, vi sentireste violati, privati di un qualcosa solo vostro.

Potete dunque immaginare ricevere il liquido seminale di una partner, ancor più se è occasionale, convinti che il rapporto terminasse come era iniziato, come avevate concordato magari infilandogli voi la protezione.

Al di là dell’aspetto puramente sessuale, saltano all’occhio almeno due fattori: il primo è non curarsi del prossimo, perché potremmo essere portatori di una MTS a nostra insaputa; il secondo, pensiamo unicamente al nostro piacere senza considerare la volontà del partner.

Questo comportamento è in realtà lo specchio della nostra società dove la violenza, tanto psicologica quanto fisica, aumenta quotidianamente a tutti i livelli, dove l’egoismo è la parola d’ordine in ogni ambito e ciò che il nostro comportamento può determinare negli altri non ci interessa minimamente.

Per fortuna, lo stealthing, in Italia ed in molti altri Paesi, è considerato reato esattamente come spiare una donna sotto le gonne con una telecamera o mentre si cambia in un camerino o toccandole le natiche sull’autobus.

Finché ci saranno, però, padri (ammesso che siano loro i padri: mater sempre certa, pater numquam) che insegnano ai figli che le donne sono oggetti, individui da usare come giocattoli, ci saranno sempre adulti affetti da deficit cognitivo che tratteranno le donne come meri oggetti di piacere, colf, geishe, sarte, cuoche del tutto gratuite e così via.

Molti uomini, frequentatori di prostitute, pagano ben più della tariffa richiesta pur di praticare un rapporto senza precauzioni, sfruttando il bisogno economico della ragazza dettando le regole perché dalla parte del più forte: pago, quindi obbedisci.

E’ evidente che, rispetto a pochi decenni fa, la nostra società sia notevolmente decaduta, non soltanto per ciò che concerne il rispetto delle persone, ma anche (e, direi, soprattutto) il rispetto di sé stessi; è nella natura umana pensare che ogni disgrazia, ogni malattia capitino agli altri, che non riguardino noi: basta vedere come i giovani affrontano i rischi della guida dopo aver bevuto, i parkour, le prove di coraggio più insensate. Qualcuno rimpiange la naja come momento in cui i giovani passavano dalla fase di ragazzo a quella di uomo, dove si iniziava a vivere autonomamente senza la mamma che ti rimbocca le lenzuola ma con un superiore (come è nella vita di tutti i giorni) che ti punisce se sbagli.  Venendo meno questa fase importante dello sviluppo psicologico dell’individuo (che, allora, era riservata al sesso maschile) ecco che tutto ciò che ne consegue viene a galla nel peggiore dei modi.

L’aumento vertiginoso delle violenze di genere (da entrambe le parti), le liti condominiali e stradali scaturite da eventi risibili, l’insofferenza degli studenti nei confronti dell’istituzione scuola e la violenza dei genitori nei confronti del corpo docente e dei pazienti nei confronti del personale ospedaliero sono solo alcune, iconiche, forme di questa mancanza di rispetto che la società mostra e attua nei confronti degli altri individui.

Salvo poi assistere a repentini ripensamenti quando ci si rende conto di aver infastidito la persona sbagliata. Un proverbio messicano, citato nel film “Per un pugno di dollari”, recita “Quando l’uomo con il fucile incontra l’uomo con la pistola, l’uomo con la pistola è un uomo morto.”, ma lo stesso può dirsi quando un cretino incontra un campione di arti marziali o uno armato o, talmente ubriaco, cade durante il litigio e muore.

Purtroppo, i genitori sono spesso troppo impegnati per fare bere la loro parte, i media preferiscono investire in programmi che attirino audience anziché in quelli che insegnano a vivere e la maggior parte delle persone è assorta nel seguire le sirene degli influencer per salvaguardare i propri neuroni.

Sergio Motta

“Lettera a una professoressa”: una lezione sempre attuale

La scuola non va, lo cantavano i Lunapop nel 1999. E certe mattine viene voglia di cantarlo anche a me.


Alle prime ore del giorno c’è ancora la nebbia, percorro così, ovattata nellatmosfera fumosa, il tragitto che mi separa da scuola, parcheggio la macchina, mi dirigo verso il caffè delle 7:45 obbligatorio per sopravvivere alla mattinata lavorativa- ed eccoli già lì, vivacie frizzanti, come li descriviamo nei verbali, si avvicinano saltellando e mi ingurgitano di affermazioni e dubbi: Il cartoncino era per oggi?, Ho dimenticato la cartellina, Ha scritto i compiti su Argo?, Oggi c’è Arte o teoria?.
Meravigliosi e terribili, come si fa a non affezionarsi?
Ecco, forse non è chiaro a tutti, ma la scuola esiste per loro, per gli studenti.
La scuola è lì per tutti i Giammariadi Filippo Caccamo, per i Giovanninodi Rousseau e per i Giannie i Pierinodi Don Milani.
Credo fermamente nel mestiere del docente ed è per tale motivo che sento di discostarmi da tante situazioni e decisioni che ultimamente stanno tramutando il sistema scolastico in un ludico parcheggio privo di significato, i docenti in clown multimediali e gli studenti in amebe viziate.
In questa società liquida (Z. Bauman), fluida e spettacolarizzata (riprendendo la teoria di Guy Debord), in cui il politicaly correct ha il sopravvento sulle coscienze e in cui legoismo e legocentrismo vengono scambiati ad hoc- per libertà individuale e indipendenza, mi sento di andare controcorrente e prendere delle posizioni ferme, lo faccio per i miei alunni, perché non voglio che diventino come quegli adulti che mangiano fissando il cellulare anziché la persona che hanno di fronte, affinché non siano educati in un mondo che preferisce lindisponenza, al fine di renderli quella cosa belladi cui parlava Menandro (IV sec. a. C.).
Per far sì che ciò avvenga, come molti altri colleghi docenti, mi interrogo sulle direzioni da intraprendere per rattoppare questa scuola che al momento non va; riflessione dopo riflessione, lettura dopo lettura, mi è (ri)capitato tra le mani Lettera ad una professoressa di Don Milani.
Si tratta di uno dei testi che più mi ha colpito e su cui ho più ponderato, un libro a parer mio- obbligatorio per chi vuole intraprendere questa professione, al di là del giudizio personale.
Dopo unaccurata rilettura, che mi ha confermato lopinione più che positiva che già avevo a riguardo, mi domando: è davvero possibile considerare attuale un testo scritto negli anni Sessanta?
Lettera ad una professoressarimane una testimonianza tuttaltro che banale o di semplice definizione, pubblicato nel 1967 da una non proprio famosa casa editrice fiorentina, si presenta come un autentico livre de chevetdi una generazione, una sorta di vademecumper gli insegnanti democratici o una sorta di Libretto rossosessantottino.


Lo scritto è “un classicodella letteratura scolastica e, data la particolarità delle affermazioni asserite, ha fin da subito diviso i lettori in due parti, chi grossomodo concorda con le riflessioni apportate dai ragazzi di Barbiana e chi invece preferisce un approccio diverso e si discosta, in entrambi i casi il libro segna uno snodo centrale nelle grandi battaglie avvenute per riformare il sistema educativo. Tuttavia è bene puntualizzare che, se da una parte esso denuncia apertamente e per la prima volta le falle di quellapparato burocratico, dallaltra le parole degli studenti di Don Milani comportano anche linizio della fine dellautorità degli insegnanti, dello stare in disparte dei genitori e secondo alcuni- della voglia di studiare dei fanciulli.
Di certo unopera non politicaly correct.
Lho anticipato, mi riprometto di prendere posizione, pur non ritenendo concretizzabili tutti i punti esplicati nel testo e pur tenendo in chiara considerazione la differenza legata al periodo storico in cui il testo viene redatto, mi possono ritenere una donmilanianaconvinta.
Lavoro a scuola da qualche anno ormai, mi trovo a diretto contatto con gli studenti e talvolta con mamme e papà-, sto assistendo ai cambiamenti generazionali e ogni giorno mi rendo conto di quanto sia necessario un cambio di rotta.
In sostanza credo che potrebbe giovare maggiormente allattuale sistema scolastico una rilettura di gruppo di Lettera ad una professoressaanziché il solo focalizzarsi sulluso di ChatGPT.
Cosa ricercare allora in un libro scritto tempo addietro e in un contesto tanto differente dal nostro?
I princìpi, la risposta è questa.
Se me lo consentite, cari lettori, vorrei spiegarmi meglio, prendendo in esame alcuni punti che ritengo salienti e utili e tralasciando per forza di cose la totalità del testo che, pur non essendo particolarmente lungo, non può essere commentato in totoin questa sede.
Si parta con le ovvietà: la società, i bisogni e le necessità degli anni Sessanta non sono le medesime che sentiamo ora. Si pensi prima di tutto al problema dellobbligo distruzione, che si estende oggi fino ai sedici anni detà (Legge 296 del 2006), oppure si prendano in considerazione le accortezze e le norme che assicurano agli studenti con difficoltà (intellettive o socio-culturali) di frequentare uno specifico percorso scolastico al pari degli altri compagni, inoltre mi sento di poter abolire la dicitura scuola classista, poiché, per quanto permangano talune differenze tra periferia, centro o prima cintura, ogni struttura scolastica offre ad oggi un servizio eguale per tutti.
Non è vero dunque che non va mai bene niente, le istituzioni collaborano sempre più con il territorio, si assicura una formazione continua agli insegnanti e cresce costantemente lattenzione verso il fenomeno del bullismo o del cyber-bullismo. Lofferta formativa è più che migliorata nel tempo, lidea di istruzione ha preso le distanze dal tanto temuto nozionismoe le molteplici attività rendono un popiù appetibile il frequentare le lezioni anche da parte dei più svogliati.
Non è nemmeno vero che non ci sono più i ragazzi di una volta. I giovani sono sempre gli stessi, sono semplicemente figli del nostro tempo, e nonostante li consideriamo più fragili o ineducati di una volta, non è di certo colpa loro, ma di chi gli sta attorno.
Osserviamo ora da vicino le tematiche su cui ancora oggi possiamo e dovremmo- interrogarci.
Iniziamo dalla problematica dei programmi, queste benedette indicazioni nazionali a cui siamo obbligati a fare riferimento: dite la verità, cari colleghi, sono o non sono unangoscia?
I ragazzi di Barbiana sostengono che ciò che viene insegnato a scuola sia puro nozionismo enciclopedico e che le informazioni impartite dai docenti riguardino argomentazioni che non hanno riscontro alcuno nellattualità della vita al di fuori della classe, un sapere così elargito non porta dunque alla formazione di cittadini consapevoli.
I giovani di Don Milani e questo è un merito che nessuno gli può togliere- non si limitano a criticare ma avanzano delle risoluzioni alle lacune che vedono nel sistema scolastico.
Essi suggeriscono di rimpiazzare i programmi con una continua ricerca critica del sapere allinterno di un percorso multidisciplinare costruito strada facendo, in questo modo gli alunni acquisiscono gli strumenti necessari per partecipare attivamente alla vita collettiva.
Mai stata così daccordo: è necessario partire dallattualità per poi collegarci al passato, stupire con limmediatezza del contemporaneo e spiegarlo andando a ritroso, alla ricerca nella storia delle cause che hanno portato al nostro presente. Un sogno ad occhi aperti, pensate come sarebbe bello leggere in classe articoli di giornale, riviste specializzate, ascoltare interviste di personaggi pubblici, spiegare le notizie dei telegiornali o commentare insieme gli ultimi scoop” –inerenti ovviamente alla materia dinsegnamento.-
Certo c’è il sogno e poi la dura realtà: gli studenti di oggi conoscono poco o nulla del loro presente, quasi non leggono, non vedono i telegiornali e apprendono informazioni semplificate e parziali- tramite i social.
Sarebbe quindi opportuno convincerli che Tick-Tocknon basta per ritenersi informati sui fatti, che non sempre gli influencer conoscono largomento di cui desiderano trattare e infine che no, dieci minuti non sono sufficienti per apprendere alcuna argomentazione.
Non sono brava come i ragazzi di Barbiana, non ho una vera e propria soluzione a tale problema, mi limito ad avere unopinione. Forse il problema è il tempo, forse aveva ragione ancora una volta- Don Milani a dire che noi insegnanti dovremmo lavorare di più”, magari se i ragazzi rimanessero a scuola per più ore avremmo la possibilità costruire le nostre unità didattiche in altra maniera e potremmo permetterci una maggiore attenzione nei riguardi dellattualità. Inoltre i fanciulli starebbero più tempo insieme e meno vis-à-viscon il proprio smartphone.
Proseguiamo: i voti. Quante ne abbiamo sentite sui voti questanno? Voti sì, voti no, sostituirli con i giudizi, non scrivere niente se non frasi incoraggianti sui compiti, e poi tutti quei casi di giovani studenti caduti in disperazione per un 4, insomma un capitolo tuttaltro che chiuso.
A Barbiana il voto non è visto di buon occhio, per diverse motivazioni, prima fra tutte perché “è ingiusto fare parti uguali tra disuguali, in secondo luogo monopolizza lattenzione e linteresse degli studenti, facendoli studiare solo per la valutazione, ponendoli in una situazione di ansia e competizione, infine il voto dato non è uno strumento di lavoro e non aiuta gli studenti a migliorare.
Resta difficile immaginare una scuola senza voto, anche se ce ne sono. Personalmente concordo con le motivazioni apportate dai ragazzi di Don Milani, eppure sono una sostenitrice dellutilizzo dei voti, lappunto che mi sento di fare tuttavia riguarda una delucidazione necessaria per gli studenti e i genitori a casa- , il numero che scrivo sul compito è una valutazione circoscritta a quelcompito in quel determinato momento, è solo una valutazione della preparazione al momentodello svolgimento della verifica, esso non ha nulla a che fare con la personalità o la totalità del ragazzo, non è un giudizio sulla persona ma solo sul livello di conoscenza che lalunno aveva in quel determinato momento. Che sia chiaro: i voti cambiano, in meglio o in peggio, e servono per imparare ad essere autocritici verso noi stessi, sono strumenti utili per imparare a migliorare, non solo per quel che concerne i contenuti ma sopratutto per lavorare sullautostima.


E poi, li bocciamo o no, questi incolti e illetterati studenti dellultimo banco?
Ovviamente a Barbiana la bocciatura non è contemplata, al contrario si propone il tempo pieno, si assicurano in questo modo più tempo e più mezzi per dare a tutti gli studenti, anche quelli che partono sfavoriti, la possibilità di avere successo scolastico.
Come non essere daccordo?
Anche qui però ci si scontra con la realtà dei fatti: come convincere i ragazzi di oggi che a scuola si viene per questione di dignità personale, per poter essere sempre in grado di decidere con la propria testa cosa fare e cosa no, anche andando contro la norma comune (se necessario)?
La bocciatura diviene uno spauracchio obbligato di fronte alle classi attuali, ormai composte da individui che non hanno la percezione dellimportanza della cultura e della conoscenza. Concordo con Don Milani, è necessario educare alla dignità e diseducare alle mode, che sono lantitesi della capacità critica, e condivido che per fare ciò non dobbiamo mettere i giovani sotto una campana di vetro ma dobbiamo aiutarli a divenire liberi pensatori. Questa è la teoria, la pratica poi è tuttaltra cosa.
Ultimo punto: gli alunni. I ragazzi che ci troviamo a fronteggiare oggi non hanno nulla a che vedere con quelli che frequentavano Barbiana, questo purtroppo è vero. Gli studenti di Don Milani hanno ben chiara la propria battaglia, essi alzano la voce perché sanno come Lucio che possiede 36 mucche – che la scuola sarà sempre meglio della merda.I giovani fiorentini si battono per una scuola libera, democratica e popolare, conoscono le fatiche del lavoro e la rassegnazione, hanno ben presente cosa significa avere paura di non poter cambiare la propria posizione sociale o le proprie abitudini di vita, di conseguenza sono giovani coraggiosi, che non temono di esporsi per ottenere quegli stessi diritti scritti nella Costituzione.
I nostri ragazzi non sono così “fortunati, sono sempre più soli ed isolati, non fanno tardi al pomeriggio o alla sera, non temono le note dei professori, non affrontano individualmente i problemi che non sanno risolvere. Non conoscono i limiti né il brivido che si prova nel superarli, non distinguono il merito perché gli abbiamo insegnato che tutto gli è dovuto.
A furia di volerli aiutareli abbiamo resi interdipendenti dagli adulti di riferimento, eppure è il momento di renderci conto che non possiamo salvarli dal crescere.
Forse a scuola da Don Milani dovremmo tornarci un potutti, lui ci incoraggerebbe a prenderci qualche responsabilità in più, forse ci direbbe di fare dei passi indietro e di osservare i nostri piccolimentre si rialzano da soli con le ginocchia sbucciate. Ce lo insegnerebbe con qualche scappellotto sul collo, ma questi sono i rischi che corre chi si ostina a non voler imparare.

ALESSIA CAGNOTTO

 

Quando ci si divertiva con poco

I giochi, al tempo dell’infanzia nei primi anni sessanta del secolo scorso a Baveno, sul lago Maggiore ( fa persino effetto a immaginare lo scorrere del tempo..) erano molto semplici e ci si arrangiava con ciò che avevamo a disposizione. Non saranno stati un granché ma, accompagnati da una buona dose di fantasia – che, fortunatamente, non mancava –  erano pur sempre meglio di niente. In fondo, di alternative non ce n’erano e conveniva accontentarsi. Così, la vecchia cascina diventava un fortino delle giacche blu che presidiavano la selvaggia frontiera del West e l’impolverato calesse padronale del cavalier Castiglioni, ricoverato nello stabile adiacente, si trasformava in una diligenza pronta ad attraversare la prateria da un paese all’altro, tra l’Arizona e il Texas. I rocchetti del filo di tessitura – grigi coni di cartone pressato – infilati uno sull’altro, formavano delle lance che nemmeno i cavalieri medioevali potevano permettersi nei tornei dove mettevano in mostra il loro ardimento.

L’arrugginito marchingegno per l’intrecciatura della canapa, dal quale uscivano lunghe e robuste corde, immaginavamo fosse una straordinaria arma in dotazione a civiltà extraterrestri, abbandonata alla fine di antiche colonizzazioni del nostro pianeta. Le letture delle mirabolanti avventure contenute nei libri di Jules Verne, il fascino delle foreste del grande nord che scaturiva dalle pagine de L’ultimo dei Mohicani di Fenimore Cooper, la vita ribelle e trasgressiva, ricca di colpi di scena, dei pirati della Malesia capitanati da Sandokan e dal fido Yanez, contribuivano a far galoppare la fantasia sui prati e tra gli alberi della Tranquilla. Se a colmare le ore delle sere d’estate erano i racconti avidamente consumati, insieme alla vista, sfruttando la luce fioca delle lampadine alimentate con la corrente a 160 volt, o il giocare a nascondino con i ragazzi che venivano in villeggiatura dalla provincia di Varese  che, per noi, erano “i milanesi”, d’inverno ci si scapicollava sul prato innevato in ardite discese con la slitta.

Ovviamente le battaglie a palle di neve non mancavano così come la costruzione di sgraziati pupazzi di gelo, con tanto di pezzetti di corteccia per gli occhi e la bocca, una carota al posto del naso e una vecchia berretta colorata a fare da copricapo. Mai che ne venisse uno decente, però: erano goffi e flaccidi oppure rachitici e tremolanti. La neve si mangiava, a quel tempo. “Liscia” o con un po’ di limone che, almeno nelle intenzioni, non solo le dava quel poco di gusto ma contribuiva  a disinfettarla da tutti quei microbi ( tanti, troppi) che raccoglieva scendendo lenta e soffice fino a posarsi a terra.

Con i legni di nocciolo, robusti ed elastici, si confezionavano archi e frecce. Viceversa gli stretti tubi di celluloide che dovevano ospitare i cavi elettrici ( ce n’era una buona quantità nel magazzino abbandonato sopra alla fabbrica del signor Arrivabene) diventavano – una volta sezionati nella giusta misura – delle micidiali cerbottane. I proiettili abbondavano, grazie a quelle palline dell’infiorescenza delle palme che in gergo erano ribattezzate “ball da can”. Davanti alla fabbrica Shelling, dove si producevano scardassi – pettini d’acciaio per cardare la lana – c’era un grande palmizio ( tutt’ora è lì, seppur molto malandato) che regalava delle piccolissime noci di cocco, in tutto e per tutto uguali a quelle più grandi ma che non arrivavano nemmeno a eguagliare la misura di una pallina da ping-pong. Erano buonissime e le aprivano con il martello. Anche a mia madre piaceva la polpa delle noci di cocco e quand’era il tempo della festa patronale di Baveno, a giugno ( i santi Gervaso e Protaso ) ne acquistava dei pezzi dai venditori che li esibivano in quantità su quelle strane fontanelle a piramide. E, accanto al cocco, era difficile resistere alla tentazione dello zucchero filato, del croccante alle mandorle e alle nocciole, delle rotelle di liquirizia, con buona pace per dentisti e dietologi. Erano tempi in cui ci si accontentava di poco. E quel poco di cui si disponeva non era mai troppo.

Marco Travaglini

Pronto chi truffa?

Il telefono è una delle invenzioni più utili dell’uomo; consente immediate comunicazioni tra una persona e l’altra, anche a distanze enormi, per dare informazioni e notizie o anche solo per scambiare due chiacchiere e mantenere i contatti fra persone lontane.

Ma come tutti gli strumenti utili, anche il telefono si presta ad usi scorretti, abusi o addirittura truffe che danneggiano gli utenti.
Uno dei fenomeni negativi più recenti è quello che, con il solito anglicismo, è definito “Market abuse”, cioè l’abuso del telefono per dare raccomandazioni d’investimento, suggerire acquisti di titoli e, più recentemente, stimolare gli sprovveduti a comprare criptovalute.
Ogni giorno tutti noi riceviamo una, due o più telefonate nelle quali un ignoto interlocutore ci propone di cambiare l’utenza del gas o della luce, di comprare bitcoin, di acquistare titoli destinati a boom di quotazioni che ci daranno guadagni enormi. Azioni pressanti che finalmente le istituzioni preposte al controllo del mercato hanno deciso di controllare, regolamentare e, in molti casi, vietare.
Nel campo finanziario, l’Esma (la Consob europea) ha emanato una circolare in cui fissa regole stringenti per fare chiarezza sull’attività di “consulenza” svolta tramite telefono, social o web. Gli obblighi riguardano l’indicazione precisa dell’offerente il servizio, l’indicazione delle fonti usate per fornire i suggerimenti, la precisazione di eventuali conflitti d’interesse fra il proponente e l’oggetto dell’operazione proposta, in modo che l’interlocutore abbia almeno un quadro chiaro di chi lo sta contattando e perché.
Purtroppo chiunque, via telefono o via web, può contattare qualunque persona spacciandosi per esperto; e purtroppo molti risparmiatori sognano di diventare ricchi in poco tempo illudendosi di rischiare poco o nulla, e sono pronti ad “abboccare” alle esche gettate a piene mani nel mare sterminato del web.
Cosa fare per evitare rischi?
Un primo consiglio, drastico, è quello di chiudere immediatamente la conversazione o non rispondere al messaggio ricevuto via sms o mail (inserendo il mittente nell’elenco della posta indesiderata). Inoltre, per evitare di essere continuamente disturbati da telefonate commerciali, è consigliabile iscriversi all’Albo delle opposizioni (tenuto dal Garante della privacy), negando all’origine il consenso ad essere contattato.
Chi non volesse chiudere del tutto le possibilità di ricevere offerte che magari potrebbero essere interessanti deve almeno adottare i seguenti comportamenti difensivi:
⦁ chiedere il nome della persona che fa la proposta, con i riferimenti per i contatti: cellulare – ma meglio ancora telefono fisso, garanzia di maggior controllo – , indirizzo mail, profilo Linkedin, sito dell’azienda per la quale lavora
⦁ chiedere titolo di studio, curriculum professionale, dichiarazione di iscrizione all’Albo dei promotori finanziari o dei consulenti finanziari indipendenti. Un promotore o un consulente vero opera solo se iscritto (e controllato) ad un albo professionale, come un medico, un avvocato, un commercialista.
⦁ chiedere la fonte dei dati forniti per pubblicizzare il prodotto o per quantificare future performance. Se la fonte è attendibile (Bloomberg, Il Sole 24 Ore, Milano Finanza, Financial Times, ecc.) è un conto, se è un sito Internet gestito da quattro giovanotti con gli occhialini colorati è un altro conto…
⦁ chiedere qual è il compenso che percepisce per la sua attività, se è pagato da una società di consulenza oppure se il suo guadagno deriva da commissioni addebitate al risparmiatore. Nel mondo finanziario nessuno lavora gratis.
⦁ diffidare di coloro che usano i social (Facebook, Twitter, WatsApp) con messaggi roboanti su crescite rapide e consistenti di qualche prodotto suggerito basate semplicemente sui risultati passati. Amazon ha fatto registrare una crescita vertiginosa in pochi anni, ma non è detto che faccia altrettanto nel prossimo anno. Sperare che un titolo cresca nello stesso modo in cui è cresciuto in passato è pericoloso tanto quanto guidare un’auto guardando nello specchietto retrovisore anziché davanti a sé!
⦁ denunciare subito le persone che vi contattano abusivamente, prive di qualunque titolo per farlo; sono sicuramente dei truffatori che cercano di approfittare della buona fede o dell’ingenuità dei risparmiatori.
⦁ evitare assolutamente di bonificare importi a chi vi contatta, o di consegnargli assegni o, peggio ancora, contanti per procedere nell’operazione suggerita. Se tutto è regolare, ogni investimento deve essere realizzato con accredito tracciabile a favore di una società iscritta all’Albo tenuto dalla Consob.
Regole semplici che consentono a tutti, anche a chi non ha molte conoscenze nel settore finanziario, di cadere in trappole preparate da truffatori.
Ricordatevi, in conclusione, che i vostri risparmi, che sono il frutto di sacrifici e rinunce, non possono essere mesi a rischio svanendo nel nulla perché avete creduto di moltiplicarli piantandoli nel Campo dei miracoli su suggerimento del Gatto e della Volpe…

Chi volesse approfondire il tema delle criptovalute e delle truffe ad esse connesse può leggere PINOCCHIOCOIN, Bugie e verità sulle criptovalute. Reperibile su Amazon libri o chiedendo a demarketing2008@libero.it

Gianluigi De Marchi

Vota Antonio, vota Antonio

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Il cinema ci ha raccontato spesso il mondo della politica, sia in forma ironica (“Gli onorevoli”, con Totò) sia tragica (“Potere assoluto” con Clint Eastwood), sia romantica (“Il presidente, una storia d’amore” con Michael Douglas).

Nella realtà, almeno a casa nostra, la politica è stata vista dapprima con il rispetto dovuto a chi comanda, a chi decide le nostre sorti, poi con la partecipazione tipica degli anni ’60 e ’70, infine con il distacco di chi non ha fiducia, non capisce e disapprova.

Le recenti elezioni europee, regionali per il Piemonte, e comunali per circa 3700 Comuni in Italia hanno ampiamente dimostrato quanto sostengo: sono risultate le elezioni nella storia della Repubblica con la minor affluenza di elettori, meno di uno su due (49,69%). Vani sono stati i tentativi di richiamare affluenza utilizzando nomi di spicco o leader di partito.

Il dato, già di per sé basso, delle ultime politiche, 63,9%, era ancora elevato se paragonato al 54,5 delle scorse europee nel 2019 e, appunto, alle recenti elezioni.

In realtà il fenomeno dell’astensionismo in aumento non è nuovo e sembra destinato a proseguire. Solo nel 2004, ma sono appunto passati 20 anni, l’affluenza fu del 73% ma, particolarmente per le europee, la disaffezione dei cittadini nei confronti della politica sembra in crescita costante.

Particolarmente tra i giovani, la politica sembra non interessare più, così come l’attività e la tutela sindacali; l’emorragia di iscritti che alcune sigle sindacali stanno mostrando, alla pari con l’assenteismo alle urne, mostrano come i cittadini da un lato deleghino ai politici ogni decisione, non interferendo più nelle loro scelte e, dall’altro, siano profondamente delusi, sfiduciati dalla politica in genere.

Notizie sempre più numerose e contrastanti, politici sempre meno preparati, modifiche anche costituzionali che sfuggono alla maggior parte degli elettori hanno contribuito al crescente disinteresse per la res publica, la “cosa” di tutti, cui tutti dovrebbero partecipare, che tutti dovrebbero rispettare e che tutti, almeno teoricamente, dovrebbero alimentare con il gettito fiscale.

Nei Paesi anglosassoni, nel nord Europa ma anche in civiltà più lontane da noi, se sei sospettato di essere un evasore o se vieni condannato per aver evaso le tasse sei considerato peggio di un omicida; nel nostro Paese se riesci a farla franca per un periodo lungo sei considerato uno furbo, abile, quasi da imitare.

Chi entra in politica oggi difficilmente lo fa per porre la sua esperienza al servizio degli altri; troppo spesso lo fa per avere uno stipendio, anche se irrisorio nei Comuni minori, per entrare in quel mondo, a torto ritenuto magico, fatto di incontri, cene, frequentazioni importanti e favori elargiti quasi per obbligo.

Il compianto Enrico Berlinguer, rispettato anche dai suoi avversari e del quale ricorrono in questi giorni i 40 anni dalla scomparsa, soleva dire già allora “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela.”; sono convinto che tangentopoli non abbia eliminato la corruzione ma, anzi, abbia solo alzato il prezzo delle tangenti.

L’educazione civica che non viene più insegnata, trasmissioni dove i politici si insultano anziché spiegare, in modo preciso e corretto i propri programmi, ed un disinteresse naturale verso ciò che essendo di tutti è anche nostro, hanno reso la politica una cosa che non ci riguarda, le elezioni un evento che, comunque vada, non cambiano la realtà e i politici “tutti uguali”, “destra e sinistra fanno le stesse cose”.

E’ evidente che continuando a ragionare (anche se il termine corretto sarebbe il contrario) in questo modo non soltanto avremo scelte politiche dettate da pochi, spesso invise ai cittadini, ma soprattutto un dispendio enorme di denaro pubblico. Prendiamo, ad esempio, i referendum, unica consultazione elettorale vincolata dal raggiungimento di un quorum: il costo di ogni consultazione si aggira sui 200-300 milioni di euro, comprensiva di emolumenti per i componenti dei seggi, straordinari di tutti i dipendenti comunali e statali, stampa delle schede, ecc. ecc. Se non ci rechiamo alle urne, lo Stato avrà speso quelle cifre inutilmente, perché la consultazione referendaria sarà nulla; in tal caso non avremo alcun diritto di lamentarci.

Piuttosto perché, almeno una volta, non andiamo ad assistere alle sedute del consiglio comunale dove viviamo o del Parlamento in occasione di una gita a Roma? In TV o sui siti di Camera e Senato è possibile assistere alle sedute, ai question time, alle votazioni e capire come funzioni quel mondo apparentemente tanto lontano ma che lavora quotidianamente per noi: cosa ci costa provare una volta?

Sergio Motta