Niente da fare. Ogni volta che ci si avvicina alla data del 25 Aprile si fanno un sacco di polemiche
Polemiche inutili e pretestuose. Ora la Meloni e La Russa se ne sono inventata una nuova.
Propongo che sia ….. manco loro sanno che cosa hanno proposto. Fanno i guastatori perché non
accettano la Storia, direi proprio l’evidenza dei fatti storici.
Ma con loro ogni sforzo è inutile e velleitario convincerli con le buone maniere,
controproducente tentare di convincerli con le maniere forti. Sia ben chiaro: maniere forti non
vuol dire violenza, bensì applicazione delle leggi e regole che ci siamo fatti con la Costituzione
italiana, appunto dopo esserci liberati del nazifascismo. Masticano amaro perché non
accettano ciò che è avvenuto ed in particolare le sue conseguenze, cioè la democrazia.
Considerano il nostro un sistema mediocre, e non pensano che possono ancora dire le loro
stupidaggini perché c’ è la democrazia. In fondo li compatisco. Hanno solo rabbia e rancore. E
con rabbia e rancore non vanno da nessuna parte. Viceversa io e tanti altri come me sentono
il sapore, il profumo di libertà che si respira in questi giorni. Libertà per te stesso e per gli
altri. Mentre scrivo un vortice di ricordi. Le mille fiaccolate a cui partecipavo. Le prime da
Pioniere. Giovanissimo non volevo il fazzoletto azzurro simbolo della pace. Ovviamente volevo
quello rosso, ma quello con la Stella. Fantastico e tanto fantasticavo. Mi immaginavo giovane
Partigiano sempre un fuga dai nazifascisti con la piccola piccozza che diventava un fucile
automatico. E l’ incontro con con la letteratura della Resistenza. Il disincantato Beppe Fenoglio
nel Partigiano Jonny. L ‘umantita’ di Elio Vittorini. In Uomini e No il gappista non ha il coraggio
di sparare al soldato tedesco. Ha la faccia da operaio. O i ricordi di Davide Lajolo in la Rossa
Primavera. Dopo essere stato fascista di ritorno dalla Russia decidendo di scegliere di diventare
comunista e Partigiano.
Scoprivo che cosa erano i commissari politici avendo un consulente in mio padre. Parlava poco
ed ancora meno di sé stesso. Mia madre mi raccontò che era finito in via Asti e l’oro dei nonni
lo salvò. E il 18 aprile uscito dalla Grandi Motori saltarono le rotaie dei tram e venne organizzato lo
sciopero generale.
Profumo di libertà. Sicuramente il principe dei ricordi è nel 1975. Fiaccolata per il 25
aprile e fiaccolata per Dante Di Nanni. Eroe prima ferito e poi ucciso in via San Bernardino.
Impressionante la testimonianza di Giovanni Pesce capo dei Gap prima a Torino e poi Milano.
Lo ero andato a trovare ed uscendo si accorse dei fascisti che circondavano la casa. Non
intervenne. Sarebbe morto anche lui.
Il corteo partiva da Piazza Adriano.
Una ragazza boliviana ci chiede se poteva sfilare con noi. Minuta, con un viso dolce da indios.
Spiccava una pancia , era incinta. Quando partorisci ?
Due mesi, purtroppo il papà era rimasto in Bolivia, clandestino perché per allora c’era la
dittatura militare. Entrambi erano del partito comunista boliviano clandestino. Dopo il parto?
La sua risposta mi sconvolse. Tempo d’allattamento e poi ritorno in Bolivia lasciando il bambino
ad una cugina a Torino. Non capivo o più probabilmente non volevo capire. Quando capii non
accettai. Lasciava il figlio per raggiungere il marito. Perché?
La risposta fu lapidaria: voglio far crescere mio figlio in una Bolivia libera.
Profumo di libertà. Sicuramente e personalmente non avrei avuto coraggio di fare simili scelte.
Coraggio che hanno avuto i nostri padri e le nostre madri.
Caro Sallusti te devi fare una ragione: anche quest anno, come tutti gli anni e decenni
successivi si festeggerà il 25 Aprile anniversario della liberazione. Magari, anzi sicuramente, un
anniversario diverso dagli altri. Ma non per questo meno importante degli altri. Caro Sallusti
e proprio perché sono passati 75 anni un profumo
sempre più intenso di libertà. Non ci saranno i partecipanti ai cortei di Milano o le
fiaccolate di Torino. Ma ci sarà sempre chi sarà davanti alla Lapide dei Sette fratelli Cervi come
al Martinetto di Torino dove furono trucidati i membri del CLN di Torino.
Ci saranno i Sindaci e rappresentanti delle istituzioni e dai balconi ci sarà sui balconi chi
vorrà manifestare. I più, nati nella libertà e che vogliono continuare a vivere nella libertà. vogliono
continuare nel sentire profumo di libertà. Ricordiamo e festeggiamo non solo per ieri ma
anche, se non soprattutto per il domani. Mi sento in debito verso mio padre. Mi pare che i miei
infantili sogni abbiano contributo a perpetuare questa libertà. Una libertà che consegno alle mie
figlie. Magari è retorico, ma va bene così, qualcuno è morto per quella libertà e qualcun altro è
morto per impedire questa libertà.
Umana pietà per le morti è altra cosa. Guai se non ci fosse. Ma l’uso politico di questo
sentimento è l’ennesima prova di una destra che non riesce a liberarsi del fascismo. Quello duro
e puro che con il patto di ferro con il nazismo si è posto fuori dalla Storia. Una destra italiana s’intende.
Europea è un altra cosa. Persino quella tedesca che ha reciso ogni legame con quel
tragico passato. Aneddoto raccontato dal Professore Alessandro Barbero.
Era a Francoforte per un simposio.
Nella vetrina di un negozio di filatelia erano esposti dei francobolli del periodo nazista. La svastica
era coperta e dunque nascosta. Una legge vieta la esposizioni in pubblico del simbolo del
nazismo. Australia e Francia hanno promulgato delle leggi che condannano penalmente i
negazionisti che negano l’esistenza dei campi di concentramento.
Perché non si fanno atti simili anche in Italia? Forse non è nella nostra indole questa
precisazione. Ma è nella nostra indole passione ed emozione di difendere le idee di libertà.
Bene, a volte eccediamo nell’ essere troppo enfatici.
Ripeto testardamente: questo 25 Aprile sarà maggiormente ricordato proprio per le difficoltà
prodotte dalle limitazioni.
Si ricorderà per il profumo di libertà di ieri di oggi e di domani. Per i nostri padri, un po’ anche per
noi e soprattutto per i nostri figli ed i nostri nipoti.
Tra corso Giulio Cesare 45 e le ex scuole di via Alessandria liberate dalla polizia, dagli abusivi anarcoidi ci sono a mala pena 500 metri. Alcuni anni fa, tra corso Emilia, corso Brescia e corso Giulio Cesare erano scesi i residenti regolari a manifestare (diciamo in modo robusto) di notte contro spaccio e degrado. Esasperati dal clima di violenza ed intimidazioni. Manco il coronavirus ha fermato questi delinquentelli di antagonisti.
Che poi tanto piccoli non sono visto che alcuni di loro sono stati arrestati e condannati per terrorismo. Tra spinelli e birre e magari altre droghe inneggiano alla rivoluzione per giustificare la loro pochezza. In Barriera di Milano o in Aurora sono di casa e l’ altro giorno, per proteggere due rapinatori hanno cercato di sobillare la popolazione perché si riprendesse la libertà contro il coronavirus. Anzi più precisamente contro lo Stato che impedisce libertà con la scusa del virus.
Il loro soggetto rivoluzionario il sottoproletariato, miseria sia economica che culturale. Pronta la condanna dell Appendino ed un assordante silenzio dei pentastellati loro amici (poi mitigato da un documento in Consiglio comunale). Direi di più, di pentastellati che scelgono sicuramente loro contro tutto e contro tutti. Parola d’ordine comune tanto peggio tanto meglio. Ideologia non ben definita e dunque volutamente ambigua. Ci avrebbero pensato i pentastellati nel risanare le periferie. Parole al vento. Ci sono oltre 30 anni di errori da recuperare. Cosa , almeno ad oggi semplicemente impossibile. Non è stato sempre così. 100 anni fa da quelle parti pur essendoci povertà c’era dignità che non trovi in questo presente. Mi si può obbiettare che con la dignità non si campa. Vero, per campare ci vuole soprattutto lavoro. Verissimo, ma il degrado senza lavoro porta alla più totale assenza di dignità. Cosi piccoli furti, lavoro nero e sopravvivenza fanno una tragica e sconsolante differenza. Da piccolo mia madre mi portava tutte le settimane a visitare parenti in via Cuneo e via Bra. Case di ringhiera con i gabinetti al fondo dei balconi.
Forte l’ immigrazione pugliese negli anni ’50. Poi la Fiat con le grandi assunzioni, siciliani calabresi. Ma alla mitica Pizzeria da Cristina in corso Palermo un pizzico di Napoli. Sempre, da quando mi ricordo io. A volte non ci si capiva, a volte tante tensioni. Una volta feci a botte perché volevano rubarmi la bicicletta. Ebbi la meglio, ammirato dagli amici. Ma lo sai con chi hai fatto a botte? No. Con Catrambone il bullo di quartiere. Nel ’75 venne ucciso dalla polizia durante una rapina a mano armata dalla. Ricordo questo sottolineando che anche agli inizi degli anni 70 , come negli anni 60, c’ erano molti problemi di ordine pubblico. Alle elementari mio padre mi portava a Porta Palazzo per comprare l’auroretta. Ci davano ancora il voto per bella calligrafia. Nel negozio sotto casa costava 500 lire. In via Borgo Dora 450 . Pignolo come era le provava tutte. Nel mentre mi guardavo intorno. Nel ricordo, il ricordo che qualcosa non tornasse c’era tutto. Mi affascinava un signore che con le catene sul dorso alzava enormi sassi. Quasi un gladiatore ante-litteram. Spettacolo per raccogliere elemosine. Un emarginato che assurse alle cronache cittadine per la sua estemporaneità. Arrestato per una rissa si schermì: mi hanno pagato quelli di corso Francia, dove c’era la sede del Movimento sociale italiano. Violenza ed emarginazione c’erano allora come ci sono oggi. Sbaglierò ma per allora c’era ancora, magari faticante, il senso del limite. Ora tutto è sbordante. Appunto non esiste più il senso della misura.
Barriera di Milano, zona Aurora e Porta Palazzo sono un unico corpaccione malato, profondamente malato. Alla malattia non ci sono ad oggi delle cure. Qualcosa bisogna fare. In passato tante polemiche su come intervenire. Agli antipodi due tesi. La prima, l’ integrazione culturale e sociale. La seconda, repressione totale e radicale. In mezzo mille sfumature di grigio. Conclusione: difficile vivere da quelle parti. Io ci sono scappato alla fine degli anni ’90 e francamente non ci tornerei più a vivere . Venivo anche un po’ sbeffeggiato da chi, rimanendo, mi accusava di esagerare. In 20 anni le cose sono cambiate sicuramente in peggio ed oggi, chi vorrebbe cambiare non ha le forze per andare. Da lì all’assuefazione è un attimo. Magari volere o credere di fare molto si riduce nel fare poco o niente. Ma qualcosa si deve fare. Cominciamo con la tolleranza zero. Repressione e denuncia dei delinquenti. Non vedo, a breve, nessuna altra soluzione se non partire da qualcosa per raggiungere qualcos’altro. Pena la scomparsa di un intero quartiere che conta 200mila residenti ed anche l’estensione di questo cancro a tutta la città.
Patrizio Tosetto
Cronache della peste. Nostalgia del bar
Nostalgia, nostalgia canaglia… Vecchia canzone. Sentimento più che mai attuale. E le nostalgie, in questi giorni, sono davvero molte. Complesse. Variegate…
“Ti confesso che ho una grande nostalgia del bar…” mi dice un amico al telefono. Lo capisco perfettamente. La provo anch’io. E si fa struggente se, nella mezz’ora d’aria concessami per fare la spesa – stanno meglio gli ergastolani – passo davanti al bar che ero uso frequentare. Prima della tirannide pseudo – salutista.. Prima dello Stato teocratico virologico…
Mi si dirà: vabbe’ ma il caffè, o la birra, o l’aperitivo te li puoi bere tranquillamente a casa. E risparmi pure. E parecchio…
Ma chi parla così rivela, a mio avviso, gravi lacune culturali. E problemi nelle relazioni sociali. Perché bar, caffetterie, pub non sono solo spacci di bevande. Sono luoghi di aggregazione. E di cultura…
… continua su Electomag:
Verso la riapertura navigando a vista
Intanto in Barriera di Milano l’Esercito dà una mano ai vigili per far rispettare i divieti. Stazionano tre camionette in piazza Foroni e in via Montanaro, dove c’ è l’asl.
Cercano, è la parola giusta. Ragazzotti di colore si schermiscono giustificandosi di non avere una casa. Anzi. precisano che dormono un po’ qua ed un po là, e quando hanno trenta euro dormono in fatiscenti case. Sarà vero? Magari non per tutti. Qualche fondamento c’ è. Dal carcere arrivano inquietanti notizie.
Carcerati che fanno di tutto per infettarsi con la speranza d’uscire. Totale silenzio del Ministro Bonafede. Tanto che ci sia o non ci sia, nulla cambia. E vieni a sapere con il passa parola che persone ” insospettabili ” hanno fatto richiesta del buono spesa al Comune. Storie di normale disperazione. Lui meccanico di moto che non può lavorare. Lei incinta con il sussidio di disoccupazione. Se non si riparte nei tempi previsti c’è il terrore di morire d’ asfissia. Non finisce qui. Sempre in Barriera note pizzerie che si chiedono: cosa debbo, e soprattutto cosa posso fare ? Pizzerie con oltre 10 persone che ci vivono sopra tra dipendenti e datori. Potranno solo fare e consegnare pizze d’asporto, non sanno se conviene scaldare il forno a legna per poche pizze da sfornare. Poi c’e’ il costo del trasporto, 20 %. Il vinaio che vende l’Arneis sotto costo. Le bottiglie dovevano essere vendute ai bar per l’aperitivo.
Bar chiusi che forse non riapriranno. La stima è che riapriranno uno su tre. Speriamo di sbagliare. Non solo il commercio al dettaglio. Piccolo imprenditore nel settore impiantistico: dieci dipendenti di cui tre sono stati in quarantena per il coronavirus. Anche qui si chiede: mi conviene riaprire? Prima lo Stato mi impone di chiudere. Assolutamente capibile. Poi ti comunica che il 5
maggio puoi riprendere l’attività. Con quali soldi? Con quelli della liquidità. Ma non arrivano in tempo utile. Non ti preoccupare,ci pensano le banche. Vero, ma il debito è mio essendo una accomandita semplice. Mi conviene rischiare? Unica soluzione è che il 50 % sia a fondo perduto. Le conclusioni sono abbastanza scontate.
Ripresa con più livelli di ripartenza e soprattutto con più livelli di tenuta della ripresa. Poche cose potrà fare la politica locale. Tra le le poche cose agevolate, al massimo gli spostamenti in città evitando il sovraffollamento dei mezzi pubblici, semplicemente abolendo la Ztl e il pagamento dei parcheggi. Speriamo che l’assessore Lapietra non voglia dire la sua. Viceversa saremmo rovinati, visto che non ne ha mai azzeccata una. Fa ben sperare che l’Appendino sia per la riapertura e veda nel vaccino la soluzione al contagio.
Lasciati i panni di pentastellata, si ricorda d essere figlia di imprenditori e dopo aver combattuto il cosiddetto sistema Torino, riconferma il Professore Profumo ai vertici della Fondazione San Paolo. Dopo la rivoluzione la conservazione. Tipico, del resto, degli incendiari. Ma tipico anche di chi fa frullare il cervello. Del resto solo gli stupidi non cambiano mai idea. Come il governatore Cirio che ridimensiona Mario Raviolo e pare non escluda di rimuoverlo da tutti gli incarichi. Qualcosa ha toppato e chi lo conosce sostiene che non è un fulmine di guerra.
Inoltre è smentito anche l’assessore alla sanità Icardi che fino a ieri sosteneva che tutto era sotto controllo e che le polemiche erano pretestuose. Purtroppo – e sottolineo purtroppo – le polemiche non erano, almeno in questo caso, pretestuose. Ma per ora pensiamo ad altro. Pensiamo al domani e possibilmente al dopodomani.
L’ apertura non sarà la panacea di tutti i mali e quasi sicuramente si navigherà a vista. Nel navigare a vista si dovrà monitorare, capire e corregge la rotta.
Patrizio Tosetto
In autunno / Fra i premiati anche il fotografo torinese Fabio Bucciarelli e il cuneese Nicolò Filippo Rosso
Lo scatto cristallizza, con intensa forza emotiva, l’immagine di un ragazzo illuminato dalle luci dei telefoni cellulari che, durante una manifestazione in Sudan, incredibilmente recita ad alta voce una poesia di fronte a una folla entusiasta e plaudente. Titolata “Straight Voice” e realizzata dal fotografo giapponese Yasuyoshi Chiba dell’Agence France-Press è questa la foto vincitrice di “World Press Photo of the Year 2020”, il più grande concorso di fotogiornalismo al mondo, nato ad Amsterdam nel 1955 “per tutelare la libertà di informazione, inchiesta e espressione come diritti inalienabili e promuovere il foto-giornalismo di qualità”.
In anteprima la foto di Chiba potremo ammirarla de visu nella mostra dedicata al prestigioso concorso e che vedrà la sua prima esposizione in Italia proprio a Torino negli spazi dell’Ex Borsa Valori (via San Francesco da Paola, 28) concessi dalla torinese Camera di Commercio all’“Associazione Cime – Culture e Identità Mediterranee” che organizza la tappa sabauda. Periodo previsto, fatti sempre i debiti conti con l’attuale emergenza sanitaria, il prossimo autunno. A partire dal 18 settembre. Complessivamente sono stati 2020 i lavori esaminati dalla giuria internazionale a firma di 4282 fotoreporter, provenienti da 125 Paesi per un totale di 73.996 immagini. E proprio nei giorni scorsi sono stati annunciati i 44 fotografi finalisti provenienti da 24 Paesi, fra cui sei italiani: Alessio Mamo, Daniele Volpe, Lorenzo Tugnoli, Luca Locatelli, Fabio Bucciarelli e Nicolò Filippo Rosso. Da segnalare in modo particolare, accanto alla sopra citata foto del giapponese Chiba, quella del francese Romain Laurendeau, aggiudicatosi il “World Press Photo Story of the Year” con un lavoro sul disagio della gioventù algerina. Tra i sei italiani sul podio anche Fabio Bucciarelli, torinese classe 1980, secondo premio nella sezione “Categoria general news, storie” con un servizio realizzato per “L’Espresso” sulle proteste in Cile, iniziate a ottobre 2019 dopo l’approvazione di una legge sull’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana della capitale e proseguite per denunciare soprattutto le forti disuguaglianze economiche e sociali del paese. Il cuneese Nicolò Filippo Rosso è giunto, invece, terzo nella sezione “Categoria contemporary issues, storie” con un lavoro sugli effetti della crisi politica e socio-economica in Venezuela e sulla migrazione dei venezuelani in Colombia.
A proposito della mostra che, incrociando le dita, si organizzerà a settembre nel capoluogo piemontese, così spiega il presidente di “Cime”, Vito Cramarossa: “Quest’anno, più che mai, il nostro lavoro è messo a dura prova dalla situazione legata alla pandemia, da un punto di vista sia organizzativo sia economico, come d’altronde quello di tutte le aziende creative che lavorano nell’ambito della cultura e degli eventi. A tal proposito, ci impegneremo per tutelare i visitatori della mostra». Per questa ragione, “ritengo che mai, come in questo momento, la cultura necessiti del sostegno da parte delle istituzioni e dei partner privati. In Piemonte la Camera di Commercio di Torino ci è stata sempre vicino comprendendo il valore della mostra e ospitandoci nella Ex Borsa Valori, così come il Comune di Torino che ci ha concesso negli anni alcuni spazi per comunicare la mostra e il primo anno ospitandoci al Mastio della Cittadella. Oggi, ancor più di ieri, politiche culturali lungimiranti e una forte sinergia pubblico-privato potranno permetterci di sostenere, programmare e garantire la presenza di una mostra internazionale la cui presenza non è del tutto scontata, ma soprattutto di rilanciare tutto il comparto culturale piemontese”.
g. m.
Foto di:
Il Po mai così limpido
Chiare fresche dolci acque Tra i pochi effetti positivi del coronavirus è da registrare come le acque del Po non siano mai state così limpide
Complici le industrie ferme per il lockdown, il Grande fiume si presenta cristallino e di un bel colore azzurro. Gli scarichi delle aziende, infatti, sono ad oggi pressoché inesistenti.
??Dopo quelle di #Venezia, anche le acque del Po sono tornate ‘limpide’. A oltre un mese dal blocco forzato delle attività dovuto all’emergenza #Covid19, il fiume, nel tratto cittadino di #Torino, ha assunto un aspetto molto diverso. pic.twitter.com/CghonYAc0A
— Rai Radio1 (@Radio1Rai) April 14, 2020
Attenzione, però: ciò non significa che l’inquinamento sia del tutto sparito e che si possa bere l’acqua, magari ai Murazzi, come se si trattasse di una fonte di montagna. Comunque lo spettacolo è davvero inusuale. Godiamocelo finché sarà possibile.
(foto Mihai Bursuc)
Crediamo che sia arrivata l’ora di dedicare una parentesi ad una situazione che stanno vivendo tutte le famiglie italiane ed alla necessità di avere delle delucidazioni e delle risposte sul futuro prossimo dell’educazione e della gestione dei nostri bambini e ragazzi.
Sono difatti settimane che i genitori, silenziosamente, si stanno occupando della cura e della didattica dei propri figli, sono allo strenuo delle forze, ma chi ha bambini nelle classi materne ed elementari (soprattutto le prime classi) è vicino alla beatificazione, vista la poca indipendenza dei più piccoli e la contemporanea necessità di apprendere e avanzare con il programma per non rimanere indietro proprio all’inizio della carriera scolastica.
Durante questa quarantena, noi genitori, siamo passati attraverso lezioni online che durano ore per dire un “ciao”, microfoni sempre accesi di tutti, messaggi video con didattica, mail continue di compiti, fotocopie, stampanti senza cartucce e consumo internet da gestire, interrogazioni generali su classi interattive, durante le quali abbiamo riscoperto la tensione che provavamo noi alla loro età, siamo addirittura riusciti a spiegare, senza perder troppo la pazienza, argomenti totalmente dimenticati, come le lettere del corsivo maiuscolo, l’utilizzo dell’abaco e dei regoli, fino ad arrivare ai disastrosi lavoretti creativi manuali.
Siamo passati sopra al nostro smart working, siamo riusciti a procurare ad ogni figlio un dispositivo elettronico, quasi totalmente dedicato (a nostre spese e lo hanno dovuto fare anche i più contrari tra noi all’uso, o abuso, della tecnologia tra i più piccoli), siamo riusciti a coordinare le lezioni online di più figli, (dove l’assistenza da parte del genitore è richiesta continuamente), in pratica stiamo lavorando, forse più di quando ci recavamo nelle nostre aziende a svolgere il nostro lavoro per niente smart, ma che ora ricordiamo quasi come l’odore dello zucchero filato al luna park.
E non bisogna dimenticarsi come possano vivere questo momento quelle famiglie già caratterizzate da situazioni critiche, i cui bambini, perdendo la scuola, perdono l’unico esempio di relazionalità adeguato a cui potevano affidarsi prima dell’epidemia.
In pratica Ognuno di noi ha fatto davvero il possibile e senza modestia CI SIAMO RIUSCITI, tutti, ognuno a proprio modo.
Tutto questo è indubbiamente servito a dare un valore più grande all’insegnamento, sono certa che quando tutto finirà gli insegnanti avranno nei nostri cuori un posto più rilevante.
Adesso però abbiamo bisogno di RISPOSTE o quantomeno di una visione concreta del futuro che prenda in considerazione le problematiche inerenti a genitori e bambini.
Si parla di fase 2 e ripartenza. Tutti noi stiamo entrando nell’ottica che presto torneremo a lavorare effettivamente, chi prima chi dopo, ma comunque delle scuole nessuna notizia, nessuna prospettiva, nessuna visione, con le scuole chiuse fino a data da destinarsi, i centri estivi probabilmente chiusi tutta all’estate (altrimenti che senso avrebbe tenere chiuse le scuole che non costano a differenza di questi ultimi).
La prima domanda sorge spontanea… dove li lasciamo i bambini per 5 mesi?
Ammesso e non concesso che da settembre tutto torni alla normalità!
Non potremo lasciarli ai nonni poiché si rischia di vanificare gli sforzi per il loro isolamento, soprattutto considerando il rischio maggiore se il genitore si reca a lavoro, isolamento che sopra ad una certa soglia d’età, probabilmente, verrà protratto a lungo.
Non possiamo contare sul congedo parentale che è di soli 15 giorni (non contando che nelle piccole aziende, dopo mesi di mancata produzione, non si guarderà di buon occhio l’utilizzo di questo sistema). In ogni caso la copertura sarebbe di 1/10 del periodo necessario!
Non potremo lasciarli ad una baby-sitter poiché, considerando 10 euro /ora, come previsto dal decreto legge, per 8 ore al giorno, calcoliamo una spesa media di 1800 euro al mese. Senza considerare che in realtà un lavoratore tendenzialmente resta fuori casa per 9 o anche 10 ore al giorno. Cifra improponibile per la maggior parte delle famiglie, anche considerando il bonus di 600 euro indicato nel decreto cura Italia, infatti più del doppio del costo rimarrebbe a carico delle nostre famiglie!!!
Ci chiediamo come faremo a gestire il nostro lavoro e la loro educazione e come potremo organizzarci in tempo, senza avere alcun tipo di informazione utile dalle istituzioni, che anzi sembrano essersi completamente dimenticate dei più piccoli e delle famiglie.
Le soluzioni peseranno su qualcuno in particolare e sul sistema famiglia più in generale. Chi guadagna di meno nella famiglia, di solito le donne (sembra impossibile nel 2020 in Italia, ma questa è la situazione reale), sarà costretto a rinunciare al proprio lavoro? Dovremo indebitarci per delegare la cura e la cultura dei nostri figli?
Non tener conto della problematica, allarga ulteriormente il divario sociale e non gratifica la scelta, già molto ardua, e sempre meno di moda, di avere dei figli in Italia.
Siamo molto contrariati dal fatto che non vengano date linee guida chiare che prendano in considerazione una questione destinata a scoppiare nel brevissimo periodo. Non è possibile continuare a dare mezze risposte, o non darle affatto, alle nostre fatiche, ed essere in balia di una task force tutta al maschile. Ci chiediamo se avremmo potuto avere migliori risposte se ci fossero state anche figure femminili di spicco deputate a gestire questa emergenza. Tali questioni riguardano 10 milioni di studenti a cui dovrebbe essere garantito il diritto all’istruzione e anche il diritto a vivere le relazioni tipiche della loro età.
Ci sembra assurda la totale assenza di informazioni e di attenzione da parte di tutti gli organi governativi e di tutti i gruppi di lavoro incaricati di gestire al meglio questa situazione. Perché i piccoli studenti di oggi dovranno gestire il domani del nostro paese e dimenticarseli vuol dire non avere alcuna visione di futuro.
Noi famiglie italiane troveremo per forza, e nostro malgrado, delle soluzioni, come abbiamo fatto finora, ma purtroppo i bambini non possiamo portarli tutti in Parlamento a Conte, cosa che servirebbe quantomeno per una seria presa di coscienza da parte delle istituzioni.
Gettando il cuore oltre l’ostacolo, mi auguro vivamente che non solo arrivino risposte e rassicurazioni per questa imminente problematica, bensì questa tragedia possa porre le basi per un discorso più ampio, che tenga conto del disagio e delle esigenze delle famiglie, delle donne lavoratrici e del sistema che orbita intorno ai figli che, evidentemente, ha ancora molta strada da fare per porre l’Italia nella condizione di aumentare serenamente il proprio numero demografico.
Questione che è di vitale importanza per tutti.
Lucrezia Eleonora Bono
La spesa arriva comodamente a casa
Emergenza Coronavirus: i servizi di spesa a domicilio visibili anche in app in collaborazione con Ascom Confcommercio Torino e Provincia e Coldiretti
Per facilitare la vita ai cittadini e sostenere gli esercizi commerciali e le aziende durante l’emergenza, Junker, su invito del Comune di Torino, ha inserito in app l’accesso alle mappe aggiornate delle consegne a domicilio, create dalle associazioni di categoria.
Tramite un link permanente – posto nella pagina del Comune di Torino in Junker – ogni utente potrà accedere direttamente dal suo smartphone alle mappe originali e visualizzare gli esercizi aderenti, zona per zona, e relative schede, complete di recapiti per il contatto diretto.
Junker sostiene queste iniziative mettendo a disposizione il suo canale di informazione diretto verso oltre 45mila utenze dotate della app in città e rilanciandole periodicamente con messaggi diretti.
Informazioni su Junker: http://www.junkerapp.it