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Primo Maggio, #ripartiamodallavoro nella piazza virtuale

Nella piazza virtuale sono invitate a partecipare tutte le le persone che sarebbero andate al tradizionale corteo della Festa dei lavoratori

I sindacati hanno lanciato a Torino lo slogan #ripartiamodallavoro postato sui profili social. E sul sito dell’Ismel (Istituto per la memoria e la cultura del lavoro) sono pubblicate le video interviste a lavoratori e lavoratrici. Venerdì alle 11 diretta Facebook con interviste ai segretari generali dei sindacati e ai rappresentanti delle istituzioni.

 

La sindaca Chiara Appendino parla di un Primo Maggio “diverso dal solito, ma non nello spirito, perché il tema del lavoro è centrale ancor di più oggi. Ringrazio il sindacato che in questa situazione difficile è stato estremamente responsabile», aggiunge Appendino. La prima cittadina invita a pensare “a chi continua a lavorare, come i medici, il personale sanitario, chi assiste gli ammalati. E anche a chi ha perso il lavoro, chi attende la cassa integrazione. Diritto al lavoro significa dignità: un diritto che deve essere garantito».

 

E scende in campo anche l’arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia che inaugura  in occasione della festa del lavoro  un Fondo di Solidarietà, chiamato ”Sorriso – La Solidarietà che riavvicina e sostiene”, da alimentare con  risorse economiche volte a contrastare la carenza di liquidità di molte famiglie, liberi professionisti, esercizi commerciali e piccolissimi imprenditori stanno drammaticamente vivendo”.  Nosiglia dice che le Diocesi di Torino e della Val Susa “con l’aiuto della Fondazione don Mario Operti, hanno già raccolto risorse che permettono di aprire un fondo di garanzia per fornire Prestiti Sociali a chi ha difficoltà ad accedere al credito bancario, nella logica del microcredito”.

Voci dal carcere

Enza Colavito proprio non ci sta e manda una lettera al suo avvocato, dall’eloquente titolo: voci dal carcere. La manda al suo legale Alessandro Paolini. Una lettera carica di rabbia e delusione per essere state lasciate sole, alle Vallette,  lei e le altre detenute

Dalle firme delle detenute si evince che molte non sono solo italiane. Provenienti dai paesi slavi e Nord Africa ed anche una francese. Nessun tampone è stato fatto e le distanze non possono essere rispettate. Gli arresti domiciliari sarebbero l’ unica soluzione. Respinte tutte le istanze presentate dall’avvocato Paolini con l’udienza del 15 aprile saltata per il coronavirus.

Per lei l’alternativa del 22 giugno, quando scadono i tempi per la carcerazione preventiva. Una lettera sicuramente dai toni duri che, mi sembra, stia nei limiti del civismo di una protesta comunque contenuta. Eppure la loro situazione appare preoccupante. Una delle firmatarie  ha la febbre,  è preoccupatissima e ha chiamato la guardia medica. Notizia preoccupante come  lo è, ancora  la lentezza nella nostra Regione nel fare i tamponi. Il Garante dei diritti dei detenuti del Piemonte ammonisce. Stanno aumentando i contagi in tutte le carceri piemontesi. Fuori controllo Alessandria, Saluzzo e soprattutto Torino. Concretamente: o intervenite subito, cioè oggi, o sarà troppo tardi domani. E francamente non si capisce perchè la macchina della giustizia perché non intervenga .Sempre Enza Colavito cerca di trasformare la sua disperazione in speranza appellandosi alla Costituzione: la presunzione d’ innocenza è, per l’appunto un diritto fondamentale. Essere arrestati perché si è indagati non è indice di colpevolezza. Purtroppo siamo un paese di forcaioli che vedono, anzi il più delle volte vogliono vedere la colpevolezza nell’arresto. Va bene tutto fin tanto che non ci riguarda da vicino. Se riguarda gli altri peggio per loro. Ma i diritti sono di tutti e per tutti. La Colavito  – incarcerata per le presunte connivenze con la criminalità organizzata che hanno portato alle Vallette anche l’ex assessore regionale Rosso – potrebbe inquinare le prove o fuggire? La vedo dura, viste le condizioni generali e la meticolosità delle indagini. Poi l’ ultima richiesta (respinta) degli arresti domiciliari era esclusivamente motivata per problemi di salute aggravati dal pericolo del coronavirus. Un atto umanitario che nulla ha che vedere con la colpevolezza. Verissimo che i reati contestati sono gravissimi. Ma è altrettanto vero che i diritti si applicano a chiunque. L’ umanità fa (o dovrebbe fare) parte della giustizia. Altra cosa è la cosiddetta clemenza della corte. Battuta sentita in più film degli anni cinquanta, fatta da difensori d’ufficio svogliati e distratti. Altra cosa è il diritto alla difesa. Ho avuto modo di sentire il Presidente dell’ Ordine degli avvocati quando mia figlia è diventata avvocato. Significando questo diritto ha raccontato un fatto storico a me totalmente sconosciuto. Un importante e famoso avvocato francese ha accettato la difesa di Luigi XVI nel processo che lo condannava alla ghigliottina. Ha accettato pur sapendo che sarebbe stato a sua volta ghigliottinato. Paradossi? Forse, probabile, ma serve a spiegare che nessuno, appunto, deve soprassedere ai fondamentali diritti degli individui.

Patrizio Tosetto

Riflessioni sulla vita in epoca di Coronavirus

È scoppiata un’emergenza epocale, che sarà ricordata nei libri di storia, e ho capito cosa stava succedendo tardi, forse troppo tardi.

È stato come ricevere una botta in testa, sono rimasto stordito ed ho avuto bisogno di un po’ di tempo per riprendermi, riflettendo e meditando su che cosa stesse succedendo.

In sintesi:

  • Il Coronavirus ha dimostrato in modo evidente a tutti la fragilità dell’uomo. Siamo sulla Terra da ben poco tempo in rapporto alla vita del nostro pianeta e, ancor più, dell’Universo. La natura esisteva ben prima di noi ed esisterà molto dopo di noi. Siamo molto arroganti a pensare di essere in grado di governare la natura; è vero, ahimè, l’esatto contrario. Il Coronavirus potrebbe essere letto come un avvertimento, un segnale che la natura ci manda, e che sta a noi cogliere o meno. Passata l’emergenza e ripresa una sorta di “normalità”, dovremo adottare comportamenti adeguati, in modo da accompagnare la natura, non sfruttarla, ed essere consapevoli della nostra piccolezza. Se non faremo così, prima o poi subiremo conseguenze peggiori di una pandemia.
  • Si è molto discusso su come e dove sia nato il virus. Secondo me i complottisti a tutti i costi fanno un pessimo servizio all’umanità. La risposta più logica e semplice è che il virus sia nato da uno “spillover” dagli animali. Ce lo dice la scienza e ce lo ha detto, già tanti anni fa, la teoria dell’evoluzione di Darwin. Voler incolpare i cinesi, gli americani, le multinazionali, la Spectre o l’ONU, è pericoloso perché svia dall’individuare il problema per cercare di risolverlo. Negli ultimi venti anni si sono già verificati molti casi simili, questa volta la combinazione contagiosità / letalità del virus ha innalzato la pericolosità dell’epidemia. Vivere in promiscuità con gli animali, in certe aree del mondo, porta a facilitare i salti di specie dei virus, e di questo aspetto dovremo tener conto se non vogliamo che, un giorno, possa arrivare anche un virus peggiore di questo.
  • Nella gestione iniziale dell’epidemia nel mondo ci sono stati tanti errori, capiremo col tempo se alcuni fossero voluti oppure no. La Cina ha sicuramente sottaciuto molte cose, ad esempio la mortalità, ma anche la pericolosità del virus. Quando è arrivato in Europa i nostri medici virologi sono stati colti di sorpresa dalla contagiosità e dalla mortalità del virus. In questo i cinesi hanno una grave colpa, perché loro l’avevano vissuto in prima persona e avevano l’obbligo morale di avvertire il resto dell’umanità. La comunità scientifica cinese ha messo a disposizione le informazioni scientifiche, è vero, ma ciò che è mancato nello specifico è stata l’informazione sul modo migliore di gestire la malattia.
  • Il resto del mondo extra Cina è stato colto di sorpresa, nonostante alcuni segnali ben evidenti fossero forti e chiari. Alcuni scienziati da gennaio gridavano che il pericolo era grande, ma non sono stati ascoltati per nulla, un po’ come il pastorello che grida “Al lupo al lupo”, dato che le ultime pandemie si erano risolte senza grossi danni. Era necessario chiudere la Cina subito, bloccare i voli per tutto il resto del mondo ed adottare isolamento e quarantena, anche quando non c’erano ancora casi. Un po’ come ha fatto, a Prato, la comunità dei cinesi, che ha messo in quarantena chi arrivava dalla Cina e non ha importato neanche un virus. Oggi dovremmo ringraziare ed ascoltare chi allora ci avvertiva (faccio due nomi, Burioni e Galli tra tutti), invece di prenderli in giro. Purtroppo, anche tra i medici scienziati, c’erano quelli che minimizzavano (la famosa frase “è poco più di un’influenza”, che all’epoca confesso di aver detto anch’io, si è rivelata il peggiore killer, permettendo al virus di propagarsi indisturbato) e ci sono quelli che, ancor oggi, dicono sciocchezze (o che il virus sparirà, speranza di tutti, ma ben lontana dalla realtà, o che i vaccini non serviranno a niente, nelle pericolosissime tesi novax). In una pandemia come questa sono gli scienziati a dover guidare, con buona pace di coloro che gridano allo scandalo della dittatura degli scienziati, perché sono gli unici che possono indicare le soluzioni, almeno dal punto di vista sanitario.
  • L’Italia è stata sfortunata, perché è stato il primo Paese extra asiatico ad essere colpito ed è stato colpito duramente. Noi italiani abbiamo preso un cazzotto da KO. L’ipotesi più accreditata, che personalmente mi convince, è che nel mese di gennaio vi siano stati numerosi ingressi del virus nel nord Italia, e che questo abbia permesso al virus stesso di girare indisturbato per settimane, forse per più di un mese, creando così una sorta di bomba epidemiologica. Tra l’altro l’area più colpita (area produttiva della Lombardia sud orientale), oltre ad avere un clima che probabilmente si adatta perfettamente alla contagiosità del virus, è anche una di quelle più interconnesse con le aree circostanti per l’elevata propensione agli scambi commerciali e sociali. Quindi il posto perfetto per una rapida diffusione dell’epidemia. Potevamo accorgercene prima? Con le informazioni in possesso dei medici lombardi probabilmente no, ci sarebbe voluto un allarme mondiale di alto livello, ma solo i cinesi (e l’OMS) potevano lanciarlo.
  • La reazione italiana è stata tardiva? Secondo me no, in due giorni le aree di focolaio (le famose zone rosse) erano state chiuse e blindate. Il problema è che il virus aveva già circolato molto anche in altre zone e, nel giro di una settimana, il numero di casi è comunque esploso. Siamo stati presi alla sprovvista e qualunque misura epidemiologica in quel momento non avrebbe potuto fermare l’epidemia. Come dire, la frittata era fatta.
  • Il problema, secondo me, è stato dopo. Se vi ricordate, a fine febbraio, i casi erano tutto sommato limitati e molti politici volevano riaprire tutto, chi invitava alla prudenza erano i soliti scienziati poco ascoltati e molto presi in giro (Burioni, Galli e pochi altri). Lì il governo centrale e le Regioni più colpite hanno perso 10-15 giorni che si sono rivelati fatali per la diffusione del virus. Il lockdown nazionale, che è arrivato l’11 marzo, avrebbe dovuto essere varato a fine febbraio o al massimo ai primi di marzo. Avremmo avuto molti meno morti. Certo, col senno di poi, è molto facile emettere sentenze, in quel momento capisco che sarebbe stato molto difficile ed impopolare una chiusura nazionale, ma avrebbe potuto limitare molto la diffusione del contagio.
  • Il resto del mondo ha reagito in ritardo come l’Italia, con l’aggravante che aveva il nostro esempio sotto gli occhi. Per non parlare delle sciocchezze dette da due dei capi di Stato più importanti al mondo, Boris Johnson (che ha pagato personalmente i suoi ritardi, finendo in ospedale con un casco ad ossigeno in testa) e Donald Trump. E hanno pagato anche loro uno scotto di vite umane molto alto. Tutti tranne la Germania. E non è un caso: i tedeschi hanno saputo tracciare i casi, limitare i contagi, averli tutti sotto controllo, e limitare il numero di morti. Perché il numero di morti in Germania è così basso rispetto al resto del mondo? Semplicemente perché, con la mentalità organizzativa propria del popolo tedesco, hanno capito subito qual era il modo migliore per contrastare l’epidemia e l’hanno applicato molto in fretta. Sostanzialmente hanno applicato i manuali epidemiologici senza titubanze, anche se erano più di cento anni (101 per la precisione) che non si vedeva una pandemia di questa portata. Opinione personale, e lo dico da anni, i miei amici ne sono testimoni, la Germania oggi è il miglior posto in cui vivere, almeno dal punto di vista socio-economico.
  • Le immagini dei reparti di Terapia intensiva in subbuglio con persone che non respiravano e che i medici non potevano intubare, quelle dei camion militari che portavano via le bare da Bergamo perché non c’era più posto nei cimiteri, le immagini delle fosse comuni a New York, in cui sono stati buttati i cadaveri delle persone povere o senza tetto, che non hanno fatto in tempo a curare negli ospedali, beh tutte queste immagini mi hanno commosso fino alle lacrime. Non pensavo, in vita mia, di arrivare a vedere immagini così terribili riprese dietro casa nostra. Pensavo che nell’Occidente “civilizzato” certe cose non succedessero. Invece sono successe. Ho in mente anche un filmato che ha scosso la mia coscienza; il presidente della Regione Emilia Romagna, una di quelle più colpite, rispondeva ad un cittadino che gli diceva che non ce la faceva più a stare in casa; gli proponeva di uscire di casa, di togliersi dalle mura domestiche, ma solo per fare un giro all’ospedale di Piacenza nel reparto di Terapia intensiva, dove la gente moriva da sola, senza neanche il conforto della vicinanza di una persona cara. Ecco quel filmato è stato per me come un pugno diretto in faccia; insieme alle altre immagini di cui parlavo, non lo dimenticherò più.
  • Il governo bene ha fatto a istituire il lockdown. In effetti con questa misura, così estrema e mai utilizzata nella storia dell’umanità, ha salvato tante vite umane. Quante non lo sapremo mai probabilmente, anche se sono convinto che siano molte. Forse i messaggi avrebbero dovuto essere un po’ più chiari, si può fare footing sì o no, ginnastica sì o no, portare il cane a fare i bisogni ma solo in prossimità dell’abitazione, ma prossimità quanto? Altri Paesi, in particolare la Germania, sono stati più chiari nelle norme, anche perché la differenziazione per regione non ha aiutato. Secondo me, l’accanimento relativo al footing o alla ginnastica (particolarmente spinto in alcune regioni) è stato esagerato, era sufficiente vietare gli assembramenti permettendo lo sport individuale. Ma a parte questo aspetto, il sacrificio richiesto ai cittadini è stato accettabile, soprattutto in rapporto allo scopo, che era quello come detto di salvare vite umane. La tecnologia ci ha molto aiutato e, anche stando a casa, siamo potuti restare in contatto con amici e parenti.
  • Ovviamente il sacrificio molto più pesante chiesto agli italiani è stato quello economico. Purtroppo, in questa occasione, è emersa ancora una volta la conflittualità salute / lavoro: per la salute pubblica e per sconfiggere il virus dovremmo stare isolati in casa ancora dei mesi, ma è ovviamente impossibile prolungare così tanto il lockdown. Allo stesso modo, per permettere alle famiglie di mantenere il tenore di vita in corso, non si sarebbero dovute interrompere le attività produttive, ma anche questo era impossibile. La soluzione non può che essere quella di trovare un difficile equilibrio tra due esigenze primarie, entrambe prioritarie. Lo Stato deve aiutare chi si trova in difficoltà, a costo di ingrandire il già enorme debito pubblico. Ma, in questo caso, il debito che lasceremo alle generazioni future è strumento indispensabile. E l’Europa deve fare la sua parte; oggi non stiamo parlando di sovvenzionare debito a chi ha truccato i bilanci (come per la Grecia qualche anno fa), ma di venire incontro a chi ha dovuto chiudere attività economiche per bloccare il propagarsi dell’epidemia. Secondo me si tratta di solidarietà minimale.
  • Un’ultima considerazione sull’Europa: ma vi immaginate cosa sarebbe potuto succedere se non fossimo parte dell’euro e dell’Unione Europea? La nostra liretta sarebbe stata spazzata via, i nostri titoli di Stato non li avrebbe voluti più nessuno, l’inflazione avrebbe galoppato (perchè immagino avremmo dovuto stampare moneta) e il Paese sarebbe piombato vicino al baratro di un default. Invece di inveire contro l’Europa, ringraziamo a mani giunte chi ci ha fatto entrare in Europa e nell’euro.
  • Permettetemi solo una parola a favore della cultura. Nessuno ne parla, ma l’industria della cultura è totalmente a terra e si risolleverà con molte difficoltà. Lo Stato deve pensare anche alle migliaia di lavoratori in questo campo, che sono stati colpiti più duramente di altri (un esempio: quando potranno ripartire i concerti musicali? Difficile dire, forse solo nel 2021). Invece questo governo, per non parlare delle Regioni, non si occupa mai di questo settore, lo considera l’ultimo dei problemi. Un presidente di Regione a proposito della querelle sulla riapertura delle librerie, ha detto che non ha capito perché il governo abbia voluto riaprire proprio le librerie. Ecco un presidente così non avrà mai la sensibilità per favorire lo sviluppo della cultura.
  • Solo una riflessione sui governi regionali. Premetto che in tutte le mie considerazioni non ho mai tirato in ballo le beghe politiche interne italiane, e anche quello che sto per dire è del tutto neutro rispetto al colore politico delle regioni. In primo luogo chi ha lavorato bene: il Veneto ha bloccato l’epidemia prima degli altri, complimenti al presidente Zaia e ai suoi consiglieri che hanno fatto le scelte giuste, a volte anche andando coraggiosamente contro le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità. Poi l’Emilia Romagna ha contenuto in modo egregio l’epidemia, anche se alcune province sono state colpite ancora più duramente di alcune province lombarde. Poi la Lombardia. Certo sono stati fatti molti errori, però la situazione è stata talmente grave che ben difficilmente si sarebbero potuti limitare i contagi in modo più significativo con interventi locali. Forse si sarebbero dovute chiudere le province di Bergamo e di Brescia prima, ma l’intervento doveva essere del governo e rientra nei ritardi nazionali di cui parlavo più sopra. Grave invece la gestione delle RSA, dove si sono accese micce in una polveriera, creando qualche scoppio, ossia la diffusione del virus in tutta la struttura. Ma, ahimè, ancora più grave è stata la gestione nella mia regione, il Piemonte. E‘ stato sbagliato tutto, l’approccio nel fare i tamponi (troppo pochi per troppo tempo), la gestione dei laboratori che facevano i tamponi (non si è capito che dovevano essere potenziati immediatamente, era una priorità assoluta), la gestione domiciliare dei contagiati e di chi era in quarantena, totalmente abbandonati, la gestione dei medici e degli operatori sanitari in prima linea, totalmente abbandonati anche loro in termini di aiuti e protezioni, e la gestione delle RSA, che sono diventate importanti focolai oggi non ancora spenti. Secondo me l’assessore e il responsabile dell’emergenza hanno sulla coscienza un po’ di morti in Piemonte; forse è un’affermazione un po’ forte, ma se si fosse gestita meglio l’emergenza, i contagi sarebbero stati molti di meno e di conseguenza anche i morti. Secondo me l’assessore, se avesse un po’ di dignità, dovrebbe dare le dimissioni immediatamente.
  • Il futuro è incerto. Partiremo con una fase 2 (a proposito, in Piemonte vista la pessima gestione non è troppo presto? Non ce ne dovremo pentire con una repentina chiusura?) i cui contorni non sono ancora chiari. Certo, a leggere quanto affermano gli scienziati, dovremo convivere con le tre T: tracciamento, trattamento e test. Il tracciamento dovrà servire ad avvisare chi è venuto in contatto con un contagiato, strumento indispensabile per limitare l’espandersi del contagio. Per questo servirà l’App, che dovremo scaricare sui nostri telefonini. A tal proposito esprimo la mia opinione personale: l’App dovrebbe essere obbligatoria, perché la salute pubblica deve venire prima di qualunque considerazione sulla privacy. E’ più importante la segretezza dei miei dati o la vita umana di centinaia di persone? Io non ho dubbi a rispondere. Trattamento vuol dire che i contagiati dovranno essere seguiti a casa in modo adeguato e che gli ammalati gravi dovranno essere curati al meglio in ospedali attrezzati (separando ospedali solo COVID da ospedali no COVID). Test saranno gli esami sierologici massivi nella popolazione per individuare i contagiati. Aggiungendo le mascherine da portare, soprattutto nei luoghi chiusi, e il distanziamento sociale nei luoghi pubblici (si dice almeno un metro e mezzo), tutto ciò fa sì che non sarà certo un periodo facile. Però starà ai comportamenti di tutti noi impedire che il contagio riparta. In attesa di cure o vaccini che probabilmente potranno arrivare nel prossimo inverno o prossima primavera, sarà la maturità della popolazione a fare la differenza.
  • Un’ultima riflessione, relativa alla vita privata. In questo lungo periodo di lockdown credo che abbiamo avuto tutti più tempo del solito per riflettere su noi stessi e la vita che conduciamo. Anch’io l’ho fatto e sono giunto a due conclusioni molto importanti: la prima è che non vale la pena avere una vita frenetica in cui si passa da un’attività all’altra senza fermarsi mai. Credo che sia necessario per tutti avere ritmi più tranquilli, dedicare un po’di tempo a se stessi, godersi di più l’intimità familiare o comunque le mura domestiche. Socializzare è importante, mi verrebbe da dire indispensabile, ma non a tutti i costi. Imparare a gestire se stessi, interrogarsi e imparare a conoscersi credo che sia un modo per crescere interiormente e in consapevolezza, per essere più sicuri di se stessi. E poi, nelle meditazioni personali di questi giorni, ho scoperto (o forse per meglio dire ri-scoperto) che tutti noi abbiamo bisogno di spiritualità. Intendo dire che dobbiamo ascoltare i nostri bisogni interiori e dobbiamo darci delle risposte, che non possono essere solo materiali, solo razionali. Per me è stato importante riscoprire valori forse in parte perduti, o forse solo assopiti, che aiutano a orientare la propria vita e ad agire sentendosi responsabili delle proprie scelte.

Pietro Romano

Voucher scuola, il bando è aperto

Apre oggi alle 12 e resterà aperto fino alle 23.59 del 10 giugno 2020 il bando per il nuovo voucher scuola, il ticket virtuale per gli acquisti legati al diritto allo studio, che si presenta quest’anno con alcune importanti novità. 

Il voucher può contare su una dotazione finanziaria di oltre 18 milioni di euro, grazie all’integrazione tra risorse regionali e contributo statale per i libri di testo. 

 

Come presentare domanda

Le famiglie degli studenti (o gli studenti stessi se maggiorenni, purché non abbiano compiuto 22 anni e non abbiano già un titolo di studio di scuola superiore), con indicatore Isee 2020 non superiore a 26 mila euro e iscritti nell’anno 2020-2021 alle scuole primarie, secondarie di primo e secondo grado, statale e paritarie, o ai corsi di formazione professionale in obbligo di istruzione possono quindi presentare un’unica domanda per  il voucher 2020-21, per le rette scolastiche di iscrizione e frequenza o, in alternativa, per  l’acquisto di libri di testo, materiale didattico, dotazioni tecnologiche funzionali all’istruzione, attività integrative previste dai piani dell’offerta formativa e trasporti, che comprende anche il contributo statale per i libri di testo.

Come di consueto, le domande possono essere presentate esclusivamente online, attraverso l’applicazione disponibile alla pagina www.sistemapiemonte.it/assegnidistudio, con le credenziali Spid (sistema per l’identità digitale della Pubblica Amministrazione) o, per chi le avesse ancora attive, con le credenziali di Sistema Piemonte usate per i precedenti bandi.

Attenzione: dopo l’accesso al sistema informatico per la presentazione della domanda con le apposite credenziali, è obbligatorio indicare:

a) una casella di posta elettronica valida per:

– ricevere informazioni in merito all’esito dell’istruttoria per l’assegnazione del voucher;

– ricevere il PIN da parte del gestore del servizio,

– recuperare il PIN tramite il sito https://beneficiari.edenred.it/web/ticketservice/recuperapin

Le informazioni di cui sopra saranno fornite esclusivamente alla casella di posta indicata nella domanda, non saranno quindi presi in considerazione indirizzi di posta elettronica differenti.

b) un numero di telefono cellulare valido.

 

Il valore del voucher 

L’importo si differenzia in base alle fasce di reddito e agli ordini di scuola. Si va da un minimo di 75 a un massimo di 500 euro per il voucher libri di testo, attività integrative, trasporti, materiale didattico e dotazioni tecnologiche e da un minimo di 950 euro a un massimo di 2150 euro, per il voucher iscrizione e frequenza. Restano le maggiorazioni per gli studenti con disabilità certificate (importi aumentati del 50 per cento) e con disturbi specifici di apprendimento o esigenze educative speciali (importi aumentati del 30 per cento) e ancora residenti nei comuni marginali del Piemonte (importi aumentati del 30 per cento). Per il “Voucher iscrizione e frequenza” è possibile dichiarare la volontà di utilizzare parte del contributo di iscrizione per l’acquisto dei libri di testo (importo di 150 euro per la scuola secondaria di primo grado e di 250 euro per la scuola secondaria di secondo grado) per le famiglie con un ISEE fino a euro 15.748,78.

 

Tempistiche

Scaduti i termini di presentazione delle domande (ore 23.59 del 10 giugno 2020), gli uffici dell’assessorato regionale all’Istruzione procederanno all’istruttoria e alla definizione della graduatoria, con l’obiettivo di rendere disponibile sulla tessera sanitaria l’importo del voucher a partire da fine luglio 2020. Fino al 30 giugno 2021, le famiglie beneficiarie potranno spendere la cifra presso la rete degli esercizi commerciali, i comuni, le istituzioni scolastiche, le agenzie formative convenzionate, le aziende di trasporto.

 

«Con l’erogazione dei voucher scolastici – spiega l’assessore regionale all’Istruzione, Elena Chiorino – vogliamo offrire un sostegno concreto alle famiglie con figli in età scolare. Un aiuto che quest’anno è ancora più significativo in quanto l’emergenza coronavirus e la conseguente necessità di adottare la didattica a distanza ha comportato numerosi disagi a chi non ha a disposizione la strumentazione tecnica per poter seguire adeguatamente i corsi». «Proprio per questo – prosegue Chiorino – con i voucher sarà possibile acquistare anche tablet e strumenti tecnologici per fare in modo che i ragazzi possano avere tutti gli strumenti necessari per gestire qualsiasi emergenza o necessità, oltre che per poter usufruire di tutti gli strumenti digitali utili anche per lo svolgimento della normale didattica. Per agevolare le famiglie abbiamo anche potenziato il nostro numero verde, che oggi può contare su personale qualificato e formato e in grado, nella stragrande maggioranza dei casi, di rispondere nel merito a tutti i dubbi di genitori e famiglie. «Il nostro obiettivo ultimo – conclude Chiorino – è sempre quello di garantire il diritto allo studio con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, in modo che nessuno venga lasciato indietro o solo».

 

«Siamo lieti  – spiega la presidente del CSI, Letizia Maria Ferraris – della fruttuosa collaborazione tra le istituzioni regionali e il Consorzio, finalizzata ad applicare innovazione e tecnologia al servizio dei consorziati. Obiettivo del CSI è quello di realizzare, grazie alle sue piattaforme, strumenti informatici a favore degli utenti e, in questo caso, delle famiglie con figli in età scolare, in una realtà complessa, in cui si sono trovate con non poche difficoltà».

 

«Come per gli altri servizi di Sistema Piemonte, anche in questo caso il CSI ha avuto un ruolo importante nella realizzazione del sistema informatico che sta dietro al bando dei voucher scuola – spiega Pietro Pacini – Direttore Generale del CSI Piemonte – Ed è qualcosa che ci fa piacere, perché al di là dell’aspetto puramente tecnico e delle soluzioni che abbiamo utilizzato, averlo fatto ha significato affiancare i nostri enti nella realizzazione concreta di uno dei diritti più importanti di una società: quello allo studio».

 

Informazioni utili

Per informazioni e assistenza è attivo, da mercoledì 29 aprile, il Numero Verde gratuito 800-333-444 (dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 18), oppure ci si può rivolgere agli Uffici relazioni con il pubblico o ancora può consultare il sito internet della Regione, alla pagina dedicata:

https://www.regione.piemonte.it/web/temi/istruzione-formazione-lavoro/istruzione/voucher-scuola/voucher-scuola-2020-2021

Bennet, carrello sospeso fino al 3 maggio

Terminerà il 3 maggio l’iniziativa Carrello Sospeso in molti ipermercati Bennet del Piemonte: Carmagnola, Caselle Torinese, Chivasso, Ciriè, Santa Vittoria d’Alba, Settimo Torinese, Torino – via G. Bruno, Vercelli.

Grazie alla collaborazione con Banco Alimentare, Bennet aderisce all’operazione di raccolta di generi alimentari di prima necessità per sostenere le fasce più sensibili della popolazione.

I clienti Bennet possono acquistare i prodotti e donarli depositandoli nell’apposito carrello posizionato all’ingresso del punto vendita. Il Banco Alimentare e molte altre Associazioni di volontariato saranno incaricati di effettuare il ritiro delle donazioni e a consegnarle alle famiglie bisognose sul territorio.

Pasta, tonno in scatola, olio, caffè, biscotti, passata, legumi, biscotti per bambini, omogeneizzati, zucchero, fette biscottate e latte e molto altro, sono i prodotti fondamentali per il Carrello Sospeso, utili a tutte quelle famiglie bisognose, aumentate nelle ultime settimane, che in questo periodo hanno maggiori necessità.
Bennet è al fianco della popolazione italiana in questo periodo di crisi e Carrello Sospeso conferma l’impegno costante della catena in questa direzione, tendendo una mano per un aiuto concreto.

Cerimonie religiose vietate. Ma nei momenti bui la fede è conforto e coesione

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IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / La decisione del governo di continuare a vietare le cerimonie religiose cattoliche e, penso, tutte le cerimonie religiose in generale, ha sollevato la protesta della Conferenza episcopale italiana, sconfessata dallo stesso Papa  Francesco  che ha sostenuto che si deve obbedire alla restrizioni del governo per la pandemia

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Si tratta di scelte che meritano una riflessione. La prima riguarda più in generale il modo in cui  oggi il fatto religioso è stato relegato ad elemento marginale, a cosa considerata a priori come opzionale, dimenticando  totalmente le ragioni dei credenti. La scelta del governo sancisce questa percezione del fatto religioso  in  cui la Chiesa è messa  sullo stesso piano di un museo o di un teatro. Le chiese nella storia dei popoli e dell’italiano in modo particolare, non sono solo dei locali magari artisticamente belli e storicamente importanti. Le chiese sono luoghi  di culto di cui la Messa e l’Eucarestia sono il momento più alto e come tali vanno considerati. Quando si vedono d’estate turisti che vogliono entrare a visitare una chiesa in abbigliamento non idoneo abbiamo un’idea di come non si abbia più rispetto del luogo religioso, visto esclusivamente come uno scrigno d’arte. E’  certo indispensabile usare la mascherina e i guanti e mantenere le distanze di sicurezza  anzi ,doveva essere fatto molto prima), ma privare i fedeli del conforto dei sacramenti viola lo stesso principio costituzionale della libertà di culto in modo ingiustificato.
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Significa manifestare  un implicito e rozzo materialismo che nega ogni valore al sacro. Posso liberamente accedere in tabaccheria a rifornirsi di sigarette, ma non in chiesa,appare qualcosa che stride anche di fronte alla logica. E ciò vale per tutte le confessioni religiose, ovviamente. Il virus ha fatto venire a galla una concezione  della vita che si limita a vedere la salvezza della propria pelle come unico vero valore, magari consentendo, sul versante opposto, l’eutanasia  proprio perché la vita biologica resta l’unico metro di giudizio. Anche Machiavelli e persino Gramsci vedevano nella religione un elemento “aggregativo” per un popolo. Sarebbe importante riprendere alcune loro riflessioni in merito. In particolare nei momenti bui, ogni religione è stata motivo di conforto e di coesione sociale. E’ la storia a dimostrarlo in modo inconfutabile. Un amico sacerdote di Alassio già molti anni fa mi metteva in evidenza come la tenuta sociale dell’ Italia sia in larga misura  dovuta al mondo cattolico  e ai suoi valori che si oppongono al nichilismo cinico pervadente.
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Mi sembra naturale che la CEI non potesse tacere ulteriormente, anche se il tono usato è apparso un po’ troppo forte e risentito. Va detto che una libera Chiesa in un libero Stato debba poter esercitare, pur con tutte le cautele necessarie, la sua attività pastorale. In questo caso va detto che sorge qualche dubbio sul fatto che viviamo in un libero Stato. I troppi e pasticciati decreti del presidente del Consiglio hanno leso principi costituzionali e hanno svuotato il ruolo del Parlamento.Illustri giuristi hanno lanciato l’allarme.  La smentita del documento della CEI da parte del Papa appare abbastanza singolare. Questo Papa, fin dall’inizio, ha dimostrato di non voler essere clericale e questo è un suo merito storico. Ha voluto vedere la religione come qualcosa di molto vicino ai problemi concreti dell’ uomo e anche in questa occasione ha voluto ribadirlo. Ma sorge legittimo il dubbio se anche il Papa non dia la dovuta rilevanza al fatto religioso. Appare un paradosso incredibile, ma qualche sospetto diventa legittimo. Certo la pandemia si sta rivelando un accadimento sconvolgente non solo per la morte e le sofferenze che semina, i drammi economici e sociali che provoca, ma anche i dubbi che determina.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

La Solidarity a Torino è interreligiosa

Solidarity è un programma di aiuto che si sviluppa a Torino nel contesto della pandemia in corso. Si propone di portare cibo e generi di prima necessità alle persone senza fissa dimora che si trovano nei dormitori e per strada, e inoltre presidi sanitari ai medici e agli infermieri delle strutture ospedaliere in difficoltà.

La sua caratteristica è di essere espressione di un contesto interreligioso.

Sorge nell’ambito del movimento Noi siamo con voi – di cui è coordinatore l’ex assessore regionale Giampiero Leo -, a sua volta formatosi a Torino cinque anni fa per testimoniare la solidarietà verso le vittime innocenti delle persecuzioni che si ammantano di giustificazioni pseudo religiose, e vuole rappresentare un passo ulteriore dell’esperienza interreligiosa, questa volta sul terreno della solidarietà sociale all’interno della crisi in atto. La lotta contro la pandemia richiama tutte le migliori energie della società civile, con in prima fila le organizzazioni religiose, e può senz’altro dare luogo a un impegno di tipo nuovo, basato sulla collaborazione fraterna tra le diverse tradizioni spirituali.

La responsabilità della conduzione del programma è dell’associazione Interdependence (www.interdependence.eu), fondata tra gli altri da Don Ermis Segatti e da Claudio Torrero (diventato monaco buddhista col nome di Bhante Dharmapala), espressione di un percorso interreligioso ormai quasi ventennale; ma fa appello alla collaborazione di tutte le comunità religiose di Torino e del Piemonte. La raccolta fondi e l’organizzazione dei volontari è a cura di Progetto Leonardo Onlus, che da anni, sotto la guida di Tina Iezza, opera a Torino portando aiuto alle persone che vivono per strada.

Il conto su cui si raccolgono le offerte, di Progetto Leonardo Onlus, è contrassegnato dal seguente codice IBAN: IT98R0200801152000100191725. Nella causale va scritto: “SOLIDARITY: emergenza coronavirus”. Quel che verrà dato sarà deducibile e interamente impiegato per l’emergenza. Di ciò sarà fornito puntuale riscontro.

Verrà anche rapidamente posto in atto, in analogia col sostegno psicologico già oggi offerto dalle associazioni del settore, un servizio di sostegno spirituale a distanza, curato da figure religiose di diversa tradizione.

Esperti? Fate altro!

L’università della strada viene rivalutata a fronte delle idiozie di chi prima sostiene che siamo alle prese con una normale influenza e poi ordina a tutti di chiudersi nei bunker e di restarci a vita.

Dunque, secondo gli esperti, spostarsi di 300 km nella stessa regione non crea problemi ma percorrere un terzo della distanza per andare nel proprio appartamento in una regione confinante provoca una strage. Uscire per lavorare 8 ore fianco a fianco con altri colleghi è salutare ma trascorrere mezz’ora al bar con gli amici è un rischio che non si può correre…

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Esperti? Fate altro! La fase 1 bis dimostra incapacità o malafede

Pandemia e diseguaglianze secondo “Repubblica”

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni /  Il cambio della guardia a “Repubblica” è avvenuto nel modo più drastico e brutale con la cacciata, dopo un anno di direzione, di Carlo Verdelli proprio nel momento in era minacciato da attacchi di neofascisti. Non si è concesso al vecchio direttore neppure l’articolo di commiato, un licenziamento in tronco come non si dovrebbe fare neppure con una colf, in barba ad ogni regola sindacale,un atto d’imperio padronale che in passato avrebbe creato un pandemonio in campo sindacale e non solo 

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A sostituirlo è stato chiamato un uomo come Maurizio Molinari che ha una grande storia giornalistica alle sue spalle fin dai tempi della “Voce repubblicana“ e del partito repubblicano di Giovanni Spadolini. Molinari non viene dalla sinistra settaria e conformista e in più occasioni ha saputo dimostrarlo. Anche il suo coraggioso impegno contro il terrorismo islamico, senza gli ovattamenti dei soliti commentatori, è un fatto importante.
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Non è mai stato assiduo frequentatore delle serate televisive in cui tutti parlano e molti vogliono imporsi per il tono della voce più che per il valore delle proprie idee. Il suo è stato un giornalismo lontano da “Repubblica“ e dal “Fatto”. Alla “ Stampa“ Molinari – che era ogni sera al giornale per chiudere le pagine personalmente con un zelo molto raro nei direttori -aveva portato dei cambiamenti importanti rispetto alla grigia gestione di Mario Calabresi ,anche lui cacciato di punto in bianco dalla direzione di “Repubblica“. Molinari ricostruì un giornale, malgrado la crisi di vendite sempre più preoccupante. Ebbe anche la capacità di aprirsi alla città in cui è pubblicato il giornale, lui che con Torino non aveva nulla da spartire. Nell’ultimo anno “La Stampa“ prese sempre di più una linea politica molto netta di opposizione al primo governo Conte e di  aperto sostegno al Conte bis  che non era , a mio modo di vedere, nella cultura politica di Molinari,  sempre attenta a distinguere in modo critico le cose. Certi titoli di apertura assomigliavano a quelli di “Repubblica“. Adesso Molinari è arrivato a dirigere il giornale fondato da Eugenio Scalfari.
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C’è chi ha notato che il 25 aprile di quest’anno con Molinari direttore, la festa della Liberazione  abbia avuto molto meno spazio di un anno fa sul giornale , rilevando questa differenza come una discontinuità. Leggendo invece l’editoriale di insediamento dal titolo “La sfida di un giornale per il riscatto di un paese ferito”, si ha chiara l’idea della continuità del nuovo direttore con i precedenti che collocarono a mantennero decisamente a sinistra quel giornale che per tanti anni fu un giornale – partito ,fortunatamente in via di estinzione. L’idea espressa da Molinari è quella di coniugare la lotta alla pandemia con la lotta alle diseguaglianze economiche e sociali. Anzi, di cogliere l’ oppportunità di questa calamità disastrosa per sbaragliare le diseguaglianze. Chi è liberale non vede  le diseguaglianze sempre e solo in termini negativi,ma vede invece  le eguaglianze forzate come una gabbia che impedisce lo sviluppo delle qualità e dei meriti individuali. La lotta alle diseguaglianze è stata un’idea dei comunisti e di certa cultura radical- chic in disarmo che è rimasta ferma al giacobinismo. La delusione storica della Rivoluzione russa ha messo su queste utopie spesso assassine,come una volta le definiva Barbara Spinelli, una pietra tombale . Al di là delle diverse valutazioni, resta però un fatto drammatico: in Italia non ci saranno più diseguaglianze perché la pandemia lascerà in braghe di tela quasi tutti gli imprenditori piccoli e grandi.Ci sarà l’agognata eguaglianza nella povertà. Questa è la prospettiva che abbiamo di fronte, a cui si potrebbe forse porre rimedio liberalizzando totalmente l’economia, cioè percorrendo la strada inversa di quella proposta da “Repubblica“. Ma le  inossidabili, eppur obsolete, certezze ideologiche non si fermano neppure di fronte al virus e alle sue  conseguenze  drammatiche sul piano economiche.
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Più generosità per non morire. E se lo dice il Financial Times…

La taccagneria alla Paperon de Paperoni non è più una qualità ma si trasforma in un vizio mortale.

Chissà quanto si starà preoccupando Urbano Cairo, un simbolo per tutti i “braccini” d’Italia…

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Imprese e politica, più generosità per non morire. E se lo dice il Financial Times..