Quando ho conosciuto Toni “Fuoribordo”? Sapete che non saprei cosa rispondervi? Praticamente lo conosco da sempre, fin dai tempi di quando eravamo ragazzini ma poi ci siamo persi di vista. Ricordo quando si andava alle elementari, a Strambino. Era il più alto di tutti. Magro, allampanato, sempre con i pantaloni corti, d’estate come in inverno. Il suo vero nome era Antonio. E di cognome faceva Brodino. Che ridere! Quante battute si sprecavano. Lui, a dire il vero, non se la prendeva più di tanto. Un’alzata di spalle, qualche smorfia e solo con quelli più insistenti muoveva la mano destra come per scacciar via quegli importuni che l’infastidivano, così come si fa con le mosche. Poi siamo cresciuti e le nostre vite presero strade diverse. Io a Ivrea e poi a Torino. Toni un po’ qua e un po’ là, tra canavese, biellese e i paesi del riso attorno a Vercelli. Ho saputo, un po’ di tempo fa, che si era messo con Marinetta e che non sono finiti bene. Sì, proprio la Marinetta, quella fuori di testa che stava nella cascina in contrada dei Pioppi. Un caratteraccio, quella! Già da ragazzina sembrava più un maschiaccio. Tirava la coda ai gatti, infilava le rane nella canonica di Don Germano, metteva le puntine da disegno sulle sedie della biblioteca comunale. Era tremenda. Crescendo, non era certo migliorata. Anzi, per quanto possibile, peggiorò. Per di più, quasi le mancasse un difetto per completare il quadro, aveva rubato i soldi raccolti per la fagiolata di carnevale dal pentolone della signora Paolini, la presidente del comitato dei festeggiamenti.
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Con il malloppo – oltre trecento mila lire – era andata in Liguria, spendendoli tutti in pranzi, bevute e sale da ballo. Offriva a destra e sinistra, mostrandosi generosa con quel denaro che non era suo. Anche Toni, grazie anche ad un’adolescenza piuttosto turbolenta, mostrò tutta la sua originalità. Vestiva in modo eccentrico, prediligendo colori sgargianti e fogge a dir poco improbabili. Cappelli alla borsalino, scarpe con le ghette e una incontrollabile passione per le barche a motore. Incontrollabile perché, se da piccolo la manifestava a parole, crescendo era passato a dimostrazioni ben più concrete e “materiali”: era finito più volte in gattabuia per furto di motoscafi sui laghi di Viverone e di Candia. Si sospettava che fosse anche coinvolto nella misteriosa sparizione di una barca a motore dalle rive del Sirio ma non c’erano prove sufficienti per dimostrare un suo coinvolgimento. Così Antonio Brodino diventò, grazie ai “meriti” acquisiti sul campo, Toni “Fuoribondo”, compiacendosi di quel suo soprannome. Lui e Marinetta si conobbero in una serata di tanghi e mazurke all’Imperial, un dancing all’aperto della riviera di Viverone. Tra musica e zanzare, birre e coregoni alla griglia, scattò la scintilla tra i due e sbocciò l’amore. Come travolti da un temporale d’estate, unirono le vite e le abitudini, trasformandosi in breve tempo in una sorta di Bonnie & Clide a cavallo tra la Serra, le risaie e i monti. Lei si specializzò in piccole truffe, lui aggiunse alle imbarcazioni anche delle motoseghe e qualche calesse. Di questi ultimi ne rubò un paio tra Torre Balfredo e San Bernardo, abbandonandoli in aperta campagna dopo aver realizzato di non poterli rivendere e nemmeno ottenere dai legittimi proprietari un seppur minimo riscatto. Fu il maresciallo Caramboli a porre fine alle imprese truffaldine dei due. Le indagini furono piuttosto lunghe e meticolose ma, grazie a una soffiata, i due furono pizzicati nei campi tra Maglione e Moncrivello dove avevano alleggerito di una mezza dozzina di oche un contadino della zona. In realtà Toni e Marinetta una possibilità di fuggire l’avevano avuta ma non si fidarono a percorrerla per colpa di uno spaventapasseri.
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Era notte inoltrata e una luna tonda e grossa illuminava la campagna, allungando le ombre degli alberi. I carabinieri – il maresciallo e gli appuntati Mastini e Castrovillari – li avevano quasi accerchiati e ai due malviventi era rimasta un’unica possibilità di farla franca, dileguandosi nel buio del sentiero dietro la cascina dove avevano “prelevato” i pennuti. Ma c’era quell’uomo grande e grosso, ritto come un palo e con le braccia larghe, che stava là davanti a loro, impedendone la fuga. Il passaggio era stretto e non potevano tornare indietro. Il riverbero della luna impediva loro di vederlo in volto ma intuivano che sotto quel cappellaccio calcato in testa quello li stava squadrando con un fare tutt’altro che benevolo. Toni gli gridò: “Facci passare, brutto demonio. Siamo armati e non sai cosa ti potrà accadere. Fatti da parte!”. Ma quello niente. Muto e ostinato se ne stava lì, con le braccia larghe, pronto a ghermirli. Marinetta era ammutolita dalla paura e Toni tentò un ultima volta di far spostare l’uomo, minacciandolo: “Ti sparo! Adesso ti scarico la pistola addosso!”. Ovviamente i due non avevano nessuna arma e mai ne avevano avute, essendo sì ladri e truffatori ma del tutto incapaci di far del male al prossimo. Di fronte all’immobilità caparbia e risoluta di quel tipo che non parlava, non si muoveva e stava lì davanti a loro, fuggirono in direzione opposta finendo così tra le braccia dei carabinieri. Processati e condannati per direttissima ad una pena nemmeno troppo severa, uscirono di galera un paio d’anni dopo. Marinetta mise la testa a posto, sposò Ubaldo Sgarroni, sacrestano di San Grato, e aiutò come perpetua il vecchio Don Germano, facendosi perdonare per gli scherzi delle rane di quand’era ragazzina. Toni trovò anch’esso un lavoro. Meccanico motorista all’imbarcadero di Viverone. Così poteva occuparsi dei fuoribordo senza per questo macchiarsi la fedina penale com’era accaduto nella sua vita precedente. In cuor suo rimase fedele a Marinetta e non ebbe altre storie. Anzi, a dire il vero, conobbe una signora, rimasta vedova. Abitava in una cascina di Borgomasino. Non se ne fece niente, però. Tra i campi lì attorno c’erano diversi spaventapasseri. Troppi per Toni che preferì abbandonare i possibili affetti, evitando nuovi e spiacevoli incontri.