|
Costruire ponti, oltre le frontiere
In questo tempo orribile scandito dalla guerra che torna in Europa con l’invasione russa dell’Ucraina, trent’anni dopo l’inizio dell’assedio di Sarajevo che segnò la fine del ‘900 e le sanguinose memorie del “secolo breve”, il ricordo di Alexander Langer (1946-1995) è più attuale che mai.
Per certi aspetti, nel dibattito sociale e politico, Langer è oggi più conosciuto, e riconosciuto, di quando lo fosse in vita, nel tempo segnato dalle tante amarezze. Marco Boato – sociologo, giornalista, ricercatore universitario, più volte parlamentare, esponente di spicco di Lotta Continua, del Partito Radicale e dei Verdi – che condivise tante iniziative di Langer, scrisse un libro molto bello e prezioso che si intitolava Alexander Langer. Costruttore di ponti. In quelle pagine ritraeva il profilo di un autentico e coerente testimone del nostro tempo: le radici sudtirolesi, il rapporto con la Chiesa, la formazione, il Sessantotto, l’impegno politico e la conversione ecologica, la nonviolenza, l’impegno per il dialogo interetnico nella ex Jugoslavia e un po’ ovunque. Come ricordava il cardinale Loris Capovilla (storico
segretario di Giovanni XXIII, papa Roncalli, morto centenario nel 2016) nella sua presentazione, “anche Alex ha perseguito ostinatamente la
pace, e, insieme, la custodia del creato. Ha inseguito con tenacia questi ideali. Ne ha fatto la sua passione e la sua vita”. Il tenace costruttore di ponti, intellettuale altoatesino pioniere della
conversione ecologica auspicata dalla Laudato si’ di papa Francesco (essendo Pontefice è anch’esso, nell’etimologia della parola e nella sostanza del fare, un costruttore di ponti) spese gran parte dei suoi quasi cinquant’anni anni di vita al servizio degli altri nel segno del dialogo, della pace, della tutela dell’ambiente. Giornalista, traduttore, insegnante, Alex Langer nel 1989 fu eletto deputato al
Parlamento Europeo e divenne il primo presidente del neo-costituito Gruppo Verde. Uomo politico nel senso più nobile del termine, Langer si
impegnò fino allo stremo delle sue forze nella diplomazia della pace, a favore di relazioni più giuste tra i popoli, per la conversione
ecologica della società, dell’economia e degli stili di vita. Occorre avere oggi, in questa primavera del 2022, la consapevolezza che mai
come ora il suo pensiero è attuale e può dire molto alle nuove generazioni. Un testimone del nostro tempo, protagonista dell’ecologismo politico in
Italia e nella dimensione europea e internazionale. Il suo dinamismo senza soste, diventato ancor frenetico dopo la caduta del muro di Berlino quando non risparmiò alcuna forza per contrastare i
contrapposti nazionalismi, sostenendo le forze di conciliazione interetnica nei territori dei quella che fu la Jugoslavia, la terra degli slavi del sud, rappresenta l’esempio e l’eredità che ha
lasciato. Alexander non tollerava le divisioni etniche. In Alto Adige nel 1981 e poi nel 1991 si era rifiutato di aderire al censimento nominativo per la dichiarazione del gruppo linguistico, perché riteneva che ciò rafforzasse una politica di lacerazione invece che di coesione. Spese tutto se stesso per un’idea e un progetto che si può riassumere nel bellissimo e sintetico concetto di don Primo Mazzolari: “pace, nostra ostinazione”. Fu coerente con questa impostazione fino
all’estremo, fino alla fine. Quando ci si rende disponibili all’apertura nei confronti dell’altro senza remore, come Alexander Langer cercò di
fare lungo l’intero arco della sua vita, la vulnerabilità diventa assoluta. Fu così che il pomeriggio del 3 luglio 1995, a 49 anni, si
tolse volontariamente la vita impiccandosi a un albicocco al Pian dei Giullari, alle porte di Firenze. I pesi gli erano diventati insostenibili eppure, anche in quel momento in cui si sentiva “più
disperato che mai”, avvertì il bisogno di rassicurare gli amici, scrivendo nell’ultimo dei suoi tanti bigliettini: “Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”. L’ultimo sprazzo di luce nel buio,
un invito che non si può rifiutare, continuando così “in ciò che è giusto”. Nell’impegno per la pace, con la passione come spirito e il dialogo come missione.
Marco Travaglini
“La riconoscenza è la virtù del giorno prima”.
La Lega piemontese ha reagito così alla decisione di Paolo Damilano, candidato sindaco di Torino per il centrodestra proprio in quota Lega, di abbandonare il fronte dell’opposizione in Comune. Sarà anche vero che è mancata la riconoscenza, ma è sicuramente mancata l’autocritica dei leghisti che hanno imposto un candidato facendo finta di non sapere e di non capire che, Damilano, nulla aveva a che fare con l’intero centrodestra.
Continua a leggere:
https://electomagazine.it/neppure-di-fronte-alladdio-di-damilano-il-centrodestra-si-degna-di-fare-autocritica/
Con Paolo Damilano per una destra liberale
La scelta di rottura operata nelle scorse ore da Paolo Damilano, rispetto ad una coalizione di centrodestra in balìa di se stessa, in crisi di identità ed alla perenne ricerca di una leadership credibile, non può che essere accolta con grande favore dalla Buona Destra che, da sempre, sottolinea l’esigenza di una politica “altra ed alta” ed un ritorno ai valori liberali e democratici di un’area politica ad ambizione maggioritaria.
Secondo Claudio Desirò, Segretario Regionale della Buona Destra del Piemonte, “Paolo, da vero leader, ha rotto gli indugi prendendo una decisione chiara che era nell’aria da tempo e che tutti noi auspicavamo potesse arrivare nel breve periodo. Di fronte a partiti, in particolar modo uno, alle prese con ì giravolta del proprio leader in perenne difficoltà ed alla ricerca di consenso effimero, non si vedevano alternative. Non si può essere al contempo Destra di governo e Destra di opposizione. Non si possono mettere in dubbio i valori europeisti, atlantisti e democratici, per solleticare la pancia degli scontenti e raschiare qualche voto in più”.
“La scelta operata da Damilano e da Torino Bellissima, di cui siamo parte da oltre un anno”, continua Desirò, “è in linea con quanto proponiamo come Buona Destra, anche a livello nazionale, fin dalla nostra nascita. Negli ultimi anni il centrodestra è derivato in posizioni che non gli appartengono, accodandosi agli umori dei presunti leader che lo hanno trascinato verso sovranismo ed antieuropeismo. Finalmente, diversi leader credibili, da Damilano a Giorgetti, passando per Fedriga, hanno deciso di prendere una posizione netta e che potrà ridare fiato all’area liberale e moderata, riconsegnando al Paese un modo di fare politica in modo concreto e costruttivo. Non ci possono essere dubbi o tentennamenti, non si può continuare a tollerare questa crisi di identità, di leadership e di valori che contraddistinguono partiti in preda alla confusione dei propri leader”.
“In un momento di svolta storica, tra lo spettro della crisi economica e gli ingenti investimenti derivanti dal PNRR, non possono esserci dubbi”, conclude Desirò, “per questo, come Buona Destra continueremo a supportare e contribuire alla crescita dell’area liberale e moderata, di cui Paolo Damilano è esponente di punta, dialogando e collaborando con tutti coloro che vogliono partecipare alla ricostruzione di Torino, del Piemonte e dell’intero Paese”.
Buona Destra Piemonte
Merlo e Zambon: bene Damilano se rafforza il Centro
“La presa di distanza di Paolo Damilano e del suo movimento ‘Torino Bellissima’ dalla destra
sovranista e populista ha un grande significato politico se è finalizzato a rafforzare una posizione
di Centro e un progetto di Centro. A livello piemontese come a livello nazionale. Del resto, di
fronte a due schieramenti – la destra e la sinistra – che si manifestano sempre più inadeguati e
precari, nonchè fragili, è necessario far emergere in modo visibile il ruolo e la funzione politica di
un Centro che sia in grado di superare coalizioni che ormai si sono ridotti a due pallottolieri di
partiti e di movimenti, incapaci di declinare una vera strategia politica e di governo.
‘Noi Di Centro’ è impegnato a livello nazionale e a livello locale a consolidare una presenza
politica di Centro, con tutti i partiti, i movimenti, e le forze civiche che non si riconoscono più nei
due cartelli elettorali. E il movimento di Damilano, sotto questo profilo, può avere un ruolo politico
importante e di qualità se, oltre a denunciare giustamente la deriva populista e sovranista della
Lega salviniana, riesce anche a consolidare un Centro sempre più necessario ed indispensabile
per il futuro della politica locale e nazionale. Solo i fatti e le scelte politiche concrete lo diranno”.
Giorgio Merlo, Presidente nazionale “Noi Di Centro-Mastella”.
Renato Zambon, Segretario regionale “Noi Di Centro-Mastella”
“Sull’intelligenza artificiale il Governo non può rimangiarsi la parola nei confronti di Torino. Non accettiamo di essere trattati come una succursale, non vogliamo apprendere di queste decisioni che tradiscono gli impegni verso la città in questo modo. Lunedì in Parlamento porteremo la questione perché là misura e’ colma. Sposiamo ogni singola parola del mondo dell’imprenditoria. Torino deve avere l’intelligenza artificiale. Basta chiacchiere e bugie, basta governi quaquaraqua” così il deputato di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli.
“Alla luce delle recenti dichiarazioni del Ministro Messa, chiediamo che si chiarisca in tempi rapidi il destino del previsto centro per l’intelligenza artificiale (I3A) proprio a Torino. Lo prevede un decreto legge del 2021, per il quale sono stati stanziati anche i primi 21 milioni di euro. Le parole dl Ministro dell’ Università e della Ricerca hanno provocato confusione e dubbi, dubbi che Torino e l’Italia non possono permettersi.” Lo ha dichiarato in una nota la deputata di Azione Daniela Ruffino
“Il Governo ha assunto un impegno, deve dare dunque seguito ad una legge del Parlamento. Se Torino perdesse davvero il centro per l’intelligenza artificiale sarebbe un colpo ferale. Fare rete tra territori, Università e imprese diventa fondamentale in un momento di ripresa come quello che viviamo. Il Governo dia una risposta definitiva e proceda col progetto.” Ha concluso la Ruffino.
M5S contro gli inceneritori
M5S
Le alleanze e il rischio autoritario
Diceva Mino Martinazzoli a metà degli anni duemila – e quindi già in piena seconda repubblica – che in Italia “la politica è sempre stata politica delle alleanze”.
Apparentemente una banalità ma, come ovvio, non era così. Anzi. Perchè storicamente, e anche recentemente, la cosiddetta “cultura delle alleanze” è stata avversata, duramente avversata. Da forze politiche che si collocano su fronti diversi se non addirittura alternativi.
Voglio fare, al riguardo, tre soli esempi a conferma di questa riflessione politica.
Innanzitutto la cosiddetta “vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria. Certo, il leader del Pd dell’epoca l’aveva disegnata senza doppi fini e senza alcuna malizia politica. Ma è indubbio che quella impostazione era allergica alla costruzione delle alleanze tradizionali perchè individuava nella centralità del partito l’elemento cardine per creare e consolidare la democrazia dell’ alternanza nel nostro paese. Ovvero, il partito come alternativa all’alleanza tra partiti e soggetti politici diversi. Ma se questa era la motivazione nobile che giustificava la discesa in campo della “vocazione maggioritaria”, è altrettanto vero che si trattava di un progetto politico che affondava le sue radici ideali nella cultura gramsciana che, nella fattispecie, faceva proprio del partito il “nuovo principe” della società. Una concezione che alla base difettava su un punto decisivo: ovvero, la sottovalutazione del pluralismo e di ciò che rappresenta nello scenario politico e culturale del nostro paese.
Come secondo esempio non posso non ricordare che il leader della destra italiana, seppur di questa anomala destra nostrana, Silvio Berlusconi, ha sempre sostenuto che il suo programma di governo lo “si può realizzare solo il giorno in cui avrò la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento”. Una tesi alquanto ardita, al di là della propaganda che accompagna purtroppo in modo sistematico la politica contemporanea. Ma, al fondo, la concezione è sempre quella. E cioè, la coalizione o l’alleanza è vista ed interpretata come un inciampo e un fastidio più che non come una ricchezza e un valore aggiunto per il governo e la stessa democrazia italiana.
Un terzo ed ultimo esempio è rappresentato dal populismo dei 5 stelle. Cioè dal partito populista per eccellenza nel sistema politico italiano. Una strategia che non prevedeva alcuna alleanza perchè gli altri partiti erano sostanzialmente dei soggetti da non considerare in quanto incompatibili con il verbo e i dogmi del populismo anti politico e demagogico. Una prassi che è stata urlata e decantata per anni da tutto il partito dei 5 stelle in tutte le piazze italiane salvo poi rinunciarvi improvvisamente e collettivamente per motivazioni di puro potere. Ovvero, per dirla in termini più semplici, per continuare a conservare il seggio parlamentare e gli incarichi ministeriali con relativi benefit e privilegi. Da qui la gestione trasformistica ed opportunistica della politica e della stessa prassi politica. Ossia, il peggio che la politica possa offrire. Ma anche in questo caso persiste una radicale e scientifica ostilità e diffidenza nei confronti delle alleanze e delle coalizioni.
Ecco perchè, in ultima analisi, se vogliamo recuperare anche in vista delle ormai prossime elezioni politiche il senso, la mission e il ruolo delle alleanze, dobbiamo rifarsi organicamente alla cultura democratico cristiana e cattolico popolare. Una tradizione che ha sempre individuato nelle alleanze il valore aggiunto e la cifra distintiva della nostra democrazia e del nostro sistema politico. Una cultura che riconosce e valorizza il pluralismo politico e culturale – di norma rinnegato da chi individua nel proprio partito il salvatore della patria o il “nuovo principe” – e, di conseguenza, la centralità delle coalizioni e il valore delle alleanze politiche. A cominciare dall’esperienza politicamente più rilevante, quella dell’esecutivo a cui Alcide De Gasperi diede vita dopo le elezioni del 1948 dove preferì governare con una coalizione e non con la sola Dc, anche se ottenne la maggioranza assoluta dei seggi.
Insomma, anche su questo versante è la storia che legge le singole vicende politiche e che le spiega meglio di qualsiasi altra interpretazione. Di parte o meno che siano. Ed è per questo che non si possono accettare lezioni, su questo versante, nè dai populisti dei 5 stelle, nè dalla tradizione post comunista della sinistra italiana e tantomeno dalle varianti della destra italiana. Semplicemente si deve solo recuperare, ed inverare sempre di più nella politica italiana, la lezione di quel filone democratico cristiano e cattolico popolare attraverso il magistero dei suoi statisti e leader. Ancora una volta, quindi, dal passato si traggono gli spunti decisivi per governare il presente e guidare il futuro.
Giorgio Merlo