politica- Pagina 28

Perché Torino va male nella classifica della Qualità della vita

Fortissima delusione per gli innamorati  di Torino nel leggere la graduatoria sul Benessere di bimbi, giovani e anziani nelle Provincie  presentata al Festival della Economia di Trento. Solo 47a per gli Anziani, addirittura 90a per i Giovani, 51a per i Servizi alla infanzia. Come fanno i cattolici impegnati nel sociale a continuare ad appoggiare chi da questi risultati deludenti?
Non so dove vivano i commentatori paludati che scrivono sulla prima pagina dei quotidiani e che in TV attaccano il Governo. Dopo 32 anni di Sindaci che da oltre dieci anni sono Presidenti di provincia cosiddetti progressisti che parlano tanto di diritti i risultati sono pessimi. E qualcuno prepara una lista cosiddetta civica per aiutare l’attuale Sindaco a rivincere alle prossime elezioni. Sarà una lista formata e molto pubblicizzata per far rivincere il Sistema Torino anche se i suoi fondatori nel frattempo sono un po’ invecchiati.
Questo capita a chi guarda solo al Centro della Città e non si accorge che nella metà della Città che sta male si sta davvero male e così oggi per vedere la posizione di Torino nelle varie classifiche nazionali bisogna partire dalla metà in giù. Se il Medico non accerta la malattia è difficile che parta la cura. Se Torino non mette sul piatto le analisi vere sul suo stato di salute qualcuno continuerà a parlare delle magnifiche sorti progressive e magari i pochi votanti del centro gli consentiranno di vincere alle elezioni. La Città reale sta peggio di prima e così la festa per la sistemazione di via Po… stride al confronto con il Sindaco Peyron che negli anni 60  inaugurava Italia 61, il Palazzo Nervi e Torino Esposizioni , così nel 65 si inaugurava il traforo del  Bianco mentre oggi abbiamo il sottopasso di corso Giambone chiuso a metà da tre anni.  Mentre in Barriera, a Aurora o in Vanchiglia la sicurezza e il lavoro sono un optional.
Mino GIACHINO

Il PD nelle sabbie mobili dell’alleanza coi 5 Stelle, il caso Torino 2027

 

In vista delle elezioni comunali del 2027, a Torino il Partito Democratico si ritrova di nuovo a navigare in acque torbide, stretto tra l’esigenza di costruire un’alleanza larga e la crescente difficoltà nel gestire il rapporto con il Movimento 5 Stelle. L’esperienza dell’ultimo mandato, segnata da una convivenza spesso tesa in Consiglio comunale e da compromessi poco comprensibili agli occhi dei cittadini, sembra aver lasciato più ombre che luci.

Il problema non è solo politico, ma identitario. A Torino, storica roccaforte del centrosinistra, il PD ha progressivamente perso centralità, incapace di proporre una visione riconoscibile della città. Invece di rilanciare il proprio profilo, ha inseguito logiche di alleanza spesso percepite come meri accordi di vertice, poco radicati nel territorio e ancor meno nel tessuto civico torinese. Il risultato? Un elettorato disorientato, una base militante demotivata e un crescente spazio per liste civiche alternative.

Il Movimento 5 Stelle, da parte sua, continua a muoversi in modo ambivalente: partecipa al gioco delle alleanze ma mantiene un atteggiamento da opposizione interna, criticando le scelte dell’amministrazione quando non ne è protagonista, alimentando confusione tra gli elettori.

Nel frattempo, sul territorio iniziano a emergere nuove realtà civiche, spesso guidate da figure radicate nel tessuto sociale, che parlano con maggiore chiarezza di temi concreti: mobilità sostenibile, casa, inclusione, tutela degli animali, politiche giovanili. Realtà che intercettano il malcontento di una cittadinanza stanca delle solite logiche di partito e desiderosa di partecipazione autentica.

La vera sfida per il PD torinese, dunque, non è solo quella di vincere le elezioni, ma di decidere chi vuole essere: un partito che si appiattisce su alleanze tattiche, o un soggetto politico capace di ricostruire una visione di città e aggregare forze civiche vere, non solo cartelli elettorali. Continuare a restare nelle sabbie mobili dell’ambiguità rischia di costare caro, non solo in termini elettorali, ma di credibilità.

ENZO GRASSANO

Giachino: “Una petizione per rilanciare Barriera di Milano”

Per rilanciare Torino occorre rilanciare le periferie dimenticate e impoverite come Barriera di Milano , Aurora, Mirafiori etc.etc. Mino GIACHINO che nel 2018 lanciò una petizione su change.org SITAV che secondo gli organi di polizia servì a portare in piazza Castello il  10 novembre 2018 decine di migliaia di persone , vuole ripetere in piccolo la stessa operazione per riportare la attenzione del Sindaco e delle Autorità politiche ed economiche su Barriera di Milano un quartiere che negli ultimi trent’anni è stato abbandonato dalle amministrazioni comunali e dove non passa giorno che vi siano liti, scontri, furti, rapine. Avvenimenti che non hanno risparmiato neanche le Parrocchie, ricordiamo quando a dicembre 2021 venne aggredito il Parroco della Madonna della Pace. GIACHINO però ed è il primo a farlo sostiene che Barriera non ha solo bisogno di più sicurezza ma ha bisogno che il Comune vi porti qualche iniziativa economica, come il nuovo Centro  per la Intelligenza Artificiale che il Governo Meloni ha attribuito a Torino con una dote economica. Il Centro per la IA darebbe immediatamente un’altra immagine a Barriera. Una immagine di futuro , di lavoro per giovani universitari , uno sbocco di lavoro importante, senza dimenticare le ricadute economiche nei bar, ristoranti e negozi della zona.
“La Petizione cui si può aderire facilmente sta già arrivando a cento firme me credo che se tutt’a Barriera la farà propria porterà il Comune a non fare solo promesse ma cose concrete”, commenta Giachino.

PETIZIONE su change.org

https://www.change.org/p/restituiamo-futuro-e-dignit%C3%A0-a-barriera-di-milano?recruiter=882862789&recruited_by_id=cb5e1b30-7198-11e8-85ff-79df81741f82&utm_source=share_petition&utm_campaign=starter_onboarding_share_personal&utm_medium=copylink&fbclid=IwQ0xDSwKhC1RleHRuA2FlbQIxMQABHqQjBmftY7Jg_9VdSZEW0eDhue9rC2fGMYw4LMzdzzcxeXg4gpacDTNM2YYx_aem_k9WHkZTqlyGJlQoqe1hMxw

Inviato da iPad di Bartolomeo

Torna il vecchio Pci?

LO SCENARIO POLITICO di Giorgio Merlo

La storia non torna mai uguale a se stessa. Quasi mai, però. A volte, inaspettatamente, ne
ritornano le sembianze culturali. E anche il profilo politico. È il caso, nello specifico, del ritorno del
vecchio e glorioso Pci. Certo, non esistono più la falce e il martello, il rapporto organico e
scientifico con l’Unione Sovietica com’è stato per l’intera prima repubblica, non c’è più Berlinguer
e il centralismo democratico. Eppure, al di là dello scorrere inevitabile del tempo e la
trasformazione profonda degli strumenti politici ed organizzativi, si ripropone – in modo quasi
scientifico e dogmatico – lo stesso blocco sociale con le stesse percentuali elettorali. Pare un
paradosso, eppure è così. E l’alleanza secca tra le tre sinistre italiane – quella radicale e
massimalista della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 stelle di Conte e quella estremista
ed ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis – coordinati dall’ormai partito della Cgil di Landini
ripropongono, mutatis mutandis, il peso, il ruolo, la mission e il consenso del vecchio Pci. Un
blocco sociale, politico, culturale e forse anche etico molto unito e compatto. Appunto, un blocco
sufficientemente granitico che, ieri come oggi, è largamente minoritario nel paese ma competitivo
sul terreno politico perchè unito da una cultura comune e da una precisa visione della politica e
della società. È del tutto evidente, ma lo ricordo solo per ragioni di cronaca, che tutto ciò che è
riconducibile al Centro, alla cultura centrista, alla ‘politica di centro’ e ad una cultura di governo
centrista sono del tutti esterni ed estranei a quel blocco. E la conferma quotidiana arriva, per fare
un solo esempio, dal comportamento di Renzi che è costretto ad insultare un giorno sì e l’altro
pure il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni per cercare di accreditarsi presso il vertice
dell’alleanza di sinistra e progressista. Ma, al di là di questa banale considerazione, è del tutto
ovvio e scontato che da quelle parti la cultura politica di centro non condiziona affatto la
costruzione del progetto complessivo di quella coalizione. Oltre alla vicenda referendaria che
stiamo vivendo in queste settimane, ne è prova, in modo persin plateale, il ruolo dei cosiddetti
riformisti prevalentemente di matrice cattolica all’interno del Pd della Schlein. Un ruolo simile, anzi
uguale, a quello esercitato dagli “indipendenti cattolici eletti nelle liste del Pci” negli anni ‘70 e ‘80.
Dove il peso politico è praticamente nullo se non per confermare che il partito, o la coalizione – il
che non cambia la natura e nè il profilo – è plurale e quindi deve contenere anche i centristi. Intesi
come una sorta di “quote panda”. Ieri nel Pci e oggi nel Pd.
Ma, al di là ancora del ruolo dei centristi, il dato politico di fondo che non si può non rilevare è che
è rinato, in una stagione del tutto post ideologica e a tratti anche post politico, un vecchio blocco.
Un blocco che si trasforma in alleanza e poi in coalizione. Auspicabilmente di governo. Un dato,
comunque sia, è certo. Da un lato abbiamo il neo Pci – cioè il blocco della nuova sinistra unita – e,
dall’altro, una coalizione che probabilmente è destinata ancora a cambiare in corso d’opera ma
che è semplicemente, e politicamente, alternativa alla sinistra ideologica, classista, populista,
estremista e tardo sindacale.
Ecco perchè, per tornare all’inizio di questa riflessione, a volte la storia si ripete. In forme diverse e
molto più articolate, come ovvio, ma sempre con il medesimo obiettivo politico e culturale. E forse
è anche un bene che, grazie a chi guida queste sinistre, finalmente abbiamo un quadro politico
molto più chiaro e trasparente. Anche in vista delle prossime elezioni politiche nazionali.

Sanità, O. Napoli: “Il DG Schael dove troverà le risorse?”

In questi giorni emergono dubbi e perplessità in merito alla gestione della spesa sanitaria in Piemonte, alla luce di decisioni contrastanti tra le direttive di Azienda Zero e le scelte gestionali di Città della Salute. Da un lato, il Direttore Generale di Azienda Zero, Dott. Sottile, ha richiesto a tutte le AziendeSanitarie Locali e Ospedaliere piemontesi di rivedere i bilanci previsionali, ribadendo il vincoloinderogabile del pareggio di bilancio e l’obbligo di contenere la spesa entro limiti stringenti.
Dall’altro, il Direttore Generale della Città della Salute, Dott. Schael, ha disposto il blocco delle
visite in “intramoenia allargata”, imponendo che tali attività siano svolte esclusivamente all’interno delle strutture della Città della Salute.
Una scelta che desta forti preoccupazioni: la decisione comporterà un inevitabile incremento dei costi di gestione, tra potenziamento di servizi amministrativi e sanitari, adeguamento logistico e spese operative (attrezzature, materiali sanitari, smaltimento rifiuti speciali, utenze e manutenzione).
Il tutto senza un corrispondente aumento delle entrate, poiché l’attuale regime “allargato” consente alla struttura pubblica di ricevere una percentuale sulle prestazioni erogate dai medici, senza sostenerne direttamente i costi. La domanda sorge spontanea: come intende il DG Schael coprire i maggiori oneri derivanti da
questa scelta? Senza adeguati investimenti, a farne le spese sarà l’utenza, già gravata da lunghe liste di attesa, che rischia di essere costretta a rivolgersi alla sanità privata.
Non si può escludere che dietro questa manovra si nasconda una strategia per spingere i medici verso il regime di extramoenia – svolgendo cioè attività libero-professionale al di fuori delle strutture pubbliche – con l’obiettivo implicito di ridurre la spesa sanitaria pubblica, ma con gravi ricadute sul servizio e sul personale sanitario.
Una scelta, questa, che solleva interrogativi sulla reale sostenibilità economica e funzionale del
sistema sanitario piemontese, oltre che sul rispetto del ruolo dei professionisti e del diritto dei
cittadini a un’assistenza efficiente e accessibile.
Così Osvaldo Napoli, della segreteria nazionale di Azione e vice presidente Anci

Tel Aviv, Gaza, Gerusalemme

Come siamo arrivati a questo livello di orrore nella Striscia di Gaza? E’ mai possibile che questa crisi non possa trovare degna soluzione?

Secondo differenti fonti questi potrebbero essere i principali motivi.

Lo spaventoso attacco dell’ottobre 2023 da parte di Hamas è probabilmente avvenuto per più di un motivo, tra i quali le azioni provocatorie israeliane nella moschea Al-Aqsa, ma certamente anche come reazione ai continui, nuovi insediamenti in territori occupati dai Palestinesi (attualmente Israele sta vivendo una sorta di far west americano, versione medio orientale del XXI secolo).

Per dar risposta all’arrivo di massicci immigrati ebraici (soprattutto dall’Est Europa), la risposta dello Stato continua ad essere quella di spingerli nelle zone ancora ‘libere’ per farne nuovi coloni/agricoltori; detti territori sono però già abitati da popolazioni autoctone (spesso chiamate Filistei, biblici nemici di Israele) di impaccio ai nuovi arrivati, dei quali molti sono armati e spesso responsabili di violenze anti palestinesi, spesso sotto gli occhi di un indifferente esercito della Stella di Davide.

Si potrebbe forse considerare che Tel Aviv – nonostante una giustificatissima, iniziale, indignazione – abbia approfittato del feroce attacco di Hamas come motivo per una prima ritorsione, per poi attivare in un secondo tempo, una sorta di Soluzione Finale del problema palestinese.

Non è lecito fare paragoni con la Shoah perpetrata dai nazisti novanta anni fa, ma la letalità in essere verso inermi civili arabi sembra non aver limiti.

Con la scusa che i residenti civili siano scudi umani o collaboratori di Hamas, la politica del biblico ‘Occhio per occhio, dente per dente’ si scatena nei modi più brutali e gratuiti e è da tutti computabile che le quasi 1300 vittime israeliane non siano numericamente paragonabili alle 50.000 palestinesi (di cui più di 11.000 bambini).

Questa responsabilità coinvolge principalmente le fasce più estremiste della politica e della Forza Armata israeliana. La strage del 7 ottobre ha, però, attivato uno Stato di Guerra fino al 2024. Attualmente il governo è tornato civile ma con deroghe e prerogative esecutive di emergenza riguardante la tematica bellica. Ciò garantisce poteri straordinari al Knesset (il Parlamento).

Inoltre resta irrisolta la liberazione degli ostaggi, liberati con il contagocce da Hamas, ma che scandalizza la popolazione israeliana per il cinismo del suo governo.

Nonostante un isolamento internazionale e per molti versi interno, Benjamin Netanyahu – navigato politico con gravi carichi penali sulla testa (esecutivamente sospesi a causa della crisi) – esercita ancora legalmente i pieni poteri del suo mandato e per ora sembra inamovibile dalla sua carica.

L’accusa alla comunità internazionale di essere solo profondamente antisemita si sta trasformando in un suo ulteriore boomerang politico.

Una persona di fede ebraica (residente in ogni parte del mondo, oltre che in Palestina) non può essere responsabile delle azioni politiche prese da uno Stato laico e DEMOCRATICO (l’unico in Medio Oriente) come lo Stato di Israele.

Il singolo deve godere di tutte le libertà concesse dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma lo Stato, ogni Stato può essere soggetto di legittima critica per le sue forme di governo.

Purtroppo il profondo odio fra Hamas, propugnatore del folle progetto ‘dal Giordano al mare’ … cioè di uno Stato Palestinese che arrivi al Mediterraneo, dopo aver distrutto lo Stato ebraico, autorizza implicitamente una reazione opposta e contraria del suo nemico.

Di mezzo ci sono, però, inermi civili che, governati da un governo terrorista – al potere per difenderli dagli oppressori israeliani – ne sono diventati ostaggi.

Per finire, esiste forse (pur se non ancora provata) un’ulteriore motivazione dell’attacco del 2023: gli Accordi di Abramo.

Questi accordi, firmati nel 2020 fra Stati Uniti, Israele e Emirati Arabi prevedevano il riconoscimento della nazione israeliana anche in Medio Oriente, con l’apertura di ufficiali sedi diplomatiche. Il progetto avrebbe inoltre incluso una fattiva collaborazione di sviluppo economico e tecnologico fra le nazioni dell’area e Israele, piccola realtà ma ricca di capacità innovative e mezzi finanziari, già in essere dall’anno della sua fondazione.

Gli Accordi di Abramo, controversi sotto molti aspetti (anche attivati in chiave anti iraniana dai tre firmatari), con il tempo avrebbero forse indirettamente facilitato il progetto detto ‘Due Popoli, due Nazioni’, però inviso sia alla destra israeliana sia alla politica terrorista di Hamas.

Con l’assalto del 7 ottobre gli Accordi si sono congelati. Forse non è azzardato il sospetto di un vergognoso accordo sotto banco fra Enti ufficialmente nemici ad oltranza, ma uniti dal progetto di sopraffarsi a vicenda, fatto irrealizzabile in caso di due paritarie e statuali autonomie.

Ferruccio Capra Quarelli

+Europa Torino: “È inaccettabile la partecipazione di Francesca Albanese alle OGR”

Riceviamo e pubblichiamo il commento di Andrea Turi, coordinatore di +Europa Torino
“È inaccettabile la partecipazione di Francesca Albanese a un evento pubblico alle OGR di Torino, martedì 27 maggio, alla luce delle gravi vicende mediatiche che la riguardano.

Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, secondo l’ultimo report dell’organizzazione per i diritti umani UN Watch, avrebbe ricevuto finanziamenti da organizzazioni pro-Hamas – fondi inizialmente non dichiarati e successivamente rivendicati – per viaggi e attività pubbliche all’estero.
Il fatto che tali risorse avrebbero sostenuto la sua partecipazione a conferenze e campagne apertamente contro Israele, e che la stessa Albanese sia autrice di pubblicazioni schierate in maniera univoca nel conflitto israelo-palestinese, mina gravemente la credibilità e l’imparzialità del suo ruolo.
La funzione che ricopre richiede integrità, trasparenza e neutralità. Elementi che, alla luce dei fatti emersi, risultano gravemente compromessi.
La sua presenza in un contesto pubblico come questo rappresenterebbe una grave mancanza di rispetto verso il principio di imparzialità e verso un’intera comunità – anche quella che spesso dissente dalle scelte del governo di Israele – ma che rifiuta ogni ambiguità rispetto a chi riceve sostegno da organizzazioni terroristiche.
Per questo chiediamo con fermezza che gli organizzatori dell’evento previsto alle OGR di Torino rivedano la loro scelta e rimuovano Francesca Albanese dalla scaletta degli interventi.”

Andrea Turi

Incontro tra USMIA e il Presidente della Commissione Bilancio Ravello

Si è svolto ieri a Torino un incontro istituzionale tra una delegazione dell’USMIA (Unione Sindacale Militare Interforze Associati) e il Consigliere Regionale Roberto Ravello. A guidare la delegazione sindacale è stato il Segretario Generale Regionale per il Piemonte, Dott. Gaetano Cocuzza, accompagnato dal Segretario Territoriale e Vice di Torino per l’Esercito, Giuseppe Scalinci e Daniele D’Andrea.

L’incontro è stato promosso in relazione alla proposta di legge n. 64, presentata dal Consigliere Ravello in Consiglio Regionale, volta a prevedere la costituzione di parte civile della Regione Piemonte nei procedimenti per aggressioni ai danni degli operatori socio-sanitari, del personale del Servizio Sanitario Nazionale, del trasporto pubblico locale, del personale scolastico, delle forze di polizia, delle Forze Armate, del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e dei volontari della Protezione Civile.

USMIA ha espresso profonda gratitudine alla Regione Piemonte per l’iniziativa, riconoscendo l’importanza del provvedimento quale segnale concreto di tutela e vicinanza verso coloro che operano quotidianamente al servizio della collettività. Nel corso del colloquio, l’Associazione ha rimarcato le proprie osservazioni, presentate al Consiglio Regionale, tese a valorizzare la specificità del personale militare, anche attraverso la proposta di legge n. 64.

La delegazione ha inoltre illustrato la missione e le finalità dell’USMIA, associazione riconosciuta a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 120/2018 e della Legge 46/2022, che ha sancito il diritto del personale militare a costituire associazioni a carattere sindacale. Con migliaia di soci, USMIA è oggi l’unica sigla sindacale interforze che rappresenta Esercito, Marina e Carabinieri.

Tra i temi affrontati durante l’incontro, particolare attenzione è stata riservata a:

– Iniziative legislative regionali a sostegno della legalità e della sicurezza;

– Progetti educativi e sociali per la promozione dei valori costituzionali e dell’inclusione sociale;

– Collaborazioni con le istituzioni locali per agevolazioni e servizi a favore delle famiglie del personale militare.

USMIA (Unione Sindacale Militare Interforze Associati)

Italia – Lib Pop, Desirò: “8 accoltellati in 8 giorni e il sindaco pensa alla narrazione”

“L’altro ieri mentre Lo Russo partecipava al dibattito sulla sicurezza in Barriera di Milano, il quartiere più difficile di Torino, si consumava, proprio in quella zona, l’ottavo accoltellamento per le vie della Città negli ultimi 8 giorni. Un degrado ed una violenza che si sta allargando a macchia d’olio, contaminando diverse altre zone, invisibile agli occhi del nostro Sindaco la cui preoccupazione, sottolineata in conclusione dello stesso dibattito, è quella di ‘iniziare a cambiare narrazione‘, confermando di voler ancora volgere lo sguardo altrove, rispetto ai problemi che i Torinesi vivono quotidianamente sulla propria pelle”, così Claudio DesiròSegretario di Italia Liberale e Popolare, commenta il numero crescente di episodi di violenza urbana, invisibili agli occhi dell’Amministrazione cittadina.
“Il problema della Giunta Lo Russo, dunque, non è affrontare il degrado sociale, la delinquenza e la violenza che quotidianamente si registra a Torino, ma il cercare la collaborazione, in primis dei media, per raccontare una sorta di ‘Lorusso-Landia‘, la città che non c’è”, continua Desirò.
“Al netto della narrazione che si vuole trasmettere e si cerca di manipolare, i cittadini di Torino toccano ogni giorno con mano lo stato reale di una Città in cui, degrado, spaccio, delinquenza, spaccate nei negozi ed episodi di violenza urbana non sono più confinati nella sola Barriera, ma hanno ormai pervaso quasi tutti i quartieri. Forse, la politica del volgere lo sguardo altrove, fingendo non esista una città con i suoi problemi reali, messa in atto dall’Amministrazione di centrosinistra, sta dando i suoi frutti nel mondo fantastico di ‘Lorusso-Landia’, non certo a Torino”, aggiunge Desirò.
“Ancora una volta si evidenzia l’approccio demagogico all’Amministrazione della Città. Mentre i cittadini iniziano ad avere paura ad uscire di casa, Lo Russo ed i suoi fedelissimi sono impegnati in progetti ideologici fallimentari, come lo sportello contro la presunta islamofobia, che in due mesi di attività ha raccolto zero segnalazioni, o l’istituzionalizzazione di Askatasuna, ora oggetto di ricorso al TAR. Sarebbe tempo che Lo Russo e la sua Giunta iniziassero a farsi carico dell’onere di amministrare la città nell’interesse dei torinesi, evitando di continuare ad inseguire gli interessi di pochi. Presumibilmente amici del circoletto“, conclude Desirò.

Italia Liberale e Popolare