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“Ottobre nero”, il dilemma israeliano

Lunedì 16 settembre ore 18,30 al Circolo dei Lettori di Torino

Il volume è una testimonianza viva e documentata della tragedia che ha investito Israele prima e la Palestina dopo, a opera dei terroristi di Hamas. Per ragionare sul futuro di questo sfortunato lembo di terra in Medio Oriente, martoriato dalla furia delle ideologie e dell’odio settario.

“Sussurri d’emozioni”, Marzia Estini esplora le sfumature delle emozioni umane

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Marzia Estini è nata a Torino e, dopo una carriera accademica e professionale nell’ambito dell’Odontoiatria, ha coltivato il suo amore per la scrittura, un sogno che l’ha accompagnata sin da bambina. Oltre a essere una mamma devota, appassionata di cinema e musica, ha pubblicato tre romanzi: “Come Un’Eclissi”, “Come Una Magia” e “Come Una Nuova Alba” e due raccolte di racconti “Amori e disamori” e “Frammenti”. Il suo percorso da scrittrice è stato guidato da un desiderio profondo di raccontare storie che toccano il cuore dei lettori, sempre con una vena ironica e dissacrante, ma anche con un’intrinseca sensibilità romantica.

La collana

“La mia collana Sussurri d’emozioni è nata dal desiderio di esplorare le sfumature delle emozioni umane attraverso storie avvincenti e profonde. Nei miei libri, mi piace immergere i lettori in mondi dove l’amore, i sentimenti e le scelte di vita sono al centro della narrazione, intrecciando momenti di introspezione e leggerezza. Oltre ai romanzi “Come Un’Eclissi”, “Come Una Magia” e “Come Una Nuova Alba”, ho pubblicato anche due raccolte di racconti, “Amori e disamori” e “Frammenti”, che offrono uno sguardo su relazioni complesse e riflessioni sull’esistenza. Inoltre, ho realizzato un libro illustrato per bambini, Nino l’Elfo Birichino, in collaborazione con l’illustratrice Valentina Cavallo, per avvicinare i più piccoli alla magia della lettura.”

Focus sui libri

Come Un’eclissi: Viola, quasi trentenne e bloccata in una relazione che sembra non evolversi, si ritrova coinvolta in un’appassionata relazione clandestina con il suo collega Dario, sposato e padre. Mentre la loro storia cresce in intensità, entrambi si sentono come il sole e la luna: destinati a vivere separati, ma capaci di incontrarsi solo nell’attimo travolgente di un’eclissi. Tra passione, dubbi e incertezze, i protagonisti sono costretti a confrontarsi con i loro desideri e con le complicazioni della loro vita.

Come Una Magia: Dopo l’intensa relazione con Dario, Viola si trova a fare i conti con la sua vita, ormai segnata da un amore che sembra più una magia che una realtà. Dario appare e scompare come il sole in inverno, riscaldando la vita di Viola con momenti di pura gioia e poi lasciandola nel buio della solitudine. Tra fughe avventurose e la quotidianità di Dario, bloccato in una routine infelice, la loro storia diventa un ciclo di rincorse e attese. Viola lotta per mantenere viva la loro connessione, mentre Dario si confronta con le sue paure e le sue limitazioni. Questo amore, intriso di incanto e illusione, è una sfida continua tra desiderio e realtà, tra la forza di un cuore innamorato e le barriere di un’anima intrappolata.

Come Una Nuova Alba: Nel terzo capitolo della saga di Viola, il cuore della protagonista si trova tra le nuvole dell’incertezza e il bagliore di un amore rinnovato. La storia segue il delicato equilibrio della convivenza con Dario, la cui relazione con Viola è messa alla prova dalla gelida ostilità dei suoi figli. Dopo sette anni, Viola affronta una nuova sfida: una gravidanza inattesa, avvolta nel mistero e nella tragedia. Tra lacrime e sorrisi, Viola trova rifugio nell’amore che, come una stella luminosa, guida il suo cammino. L’alba della maternità porta una nuova luce nella sua vita, rivelando una forza d’amore incondizionato e una speranza rinnovata. Come Una Nuova Alba è un viaggio emozionante che esplora le profondità dell’anima e la bellezza del rinnovamento, intrecciando dolcezza e potenza in una sinfonia di sentimenti.

Il sito web e social media

“Per scoprire di più sui miei libri e restare aggiornati su tutte le novità, potete visitare il mio profilo su Linktree. Qui troverete i collegamenti al mio sito web, alle pagine social e alle piattaforme dove è possibile acquistare i miei libri.”

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Conclusione

“Invito tutti i lettori a immergersi nei mondi evocativi dei miei romanzi, dove ogni storia è un viaggio emozionante tra amore, speranza e introspezione. Scoprite la magia e l’intensità di Come Un’eclissi, Come Una Magia, e Come Una Nuova Alba e lasciatevi trasportare dalle pagine di questi racconti che esplorano le profondità dell’animo umano. Per ulteriori dettagli e per acquistare i libri, visitate il mio profilo Linktree, il mio profilo Instagram marzia.estini_autrice, le pagine dei libri su Facebook o la pagina autore di Amazon. Grazie per il vostro interesse e buona lettura!”

Antonio Baratta. Un giornalista battagliero nella Torino ottocentesca

Fu giornalista battagliero e poeta nella Torino dell’Ottocento, scrisse sulla “Gazzetta di Torino”, sul “Messaggiere Torinese” e pubblicò un suo quotidiano “Il Torinese”. Nato a Genova ma torinese di adozione Antonio Baratta è un bel personaggio che andrebbe rivalutato. Peccato che Torino l’abbia dimenticato

Per trovare notizie su di lui bisogna sfogliare i libri sull’Impero Ottomano o su Bisanzio o avere la fortuna di trovare qualche rara biografia. Nato nel capoluogo ligure nel 1802 Antonio Baratta fu giornalista, diplomatico, poeta, scrittore di epigrammi e vivace contestatore.

Compagno di scuola di Giuseppe Mazzini si laureò velocemente in legge e a vent’anni si trasferì a Torino dove fu nominato direttore delle Regie Dogane. Incassava un buon stipendio ma il suo sogno era quello di entrare in diplomazia e servire la patria in Oriente. E così fu, divenne allievo console e partì per Costantinopoli nel 1825. La sua vita fu un continuo susseguirsi di avventure cavalleresche e spericolate. Fin dall’inizio, quando durante il viaggio verso Istanbul prese parte all’attacco di una nave pirata nel porto libico di Tripoli. Il coraggio dimostrato gli valse la nomina a Cavaliere dell’Ordine Mauriziano. Aveva un carattere esuberante ed era un po’ troppo rissoso. Un improvviso duello con un funzionario dell’ambasciata francese costrinse il console generale piemontese a cacciarlo dalla città. Lasciò a malincuore Costantinopoli nel 1831 ma rimase in Oriente recandosi nei Paesi arabi dove lavorò in diversi consolati. Amò la “seconda Roma” e la sua ammirazione per la cultura turca lo spinse a scrivere alcuni libri sulla capitale imperiale ottomana e sulle bellezze del Bosforo. I suoi volumi ci forniscono la descrizione di luoghi e costumi con dettagliate informazioni sulla vita politica e amministrativa dell’Impero dei sultani. Baratta è uno dei tanti osservatori stranieri che hanno soggiornato e lavorato nel Paese della Mezzaluna nella prima metà dell’Ottocento, durante il periodo del “Tanzimat”, la fase delle prime riforme mirate a modernizzare la Turchia e ad aprirla alla civiltà europea e occidentale, avviato dal sultano Mahmud II. A Torino fa il giornalista, un giornalismo di battaglia, e sui giornali attacca autorità e potenti con veemenza e coraggio ironizzando sulla vita politica del Regno. Si farà notare per il pessimo modo di vestire, quasi sempre senza camicia, e soprattutto per gli epigrammi pungenti che Baratta scrisse a Torino in varie occasioni e che dopo la sua morte divennero oggetti da collezionismo. Nelle città in cui visse non tenne sempre una condotta seria e impeccabile e gli scandali non mancarono. Contrasse debiti e una volta sparò addirittura a un funzionario dell’ambasciata francese a Istanbul per un litigio riguardante un orologio d’oro e ad Alessandria d’Egitto faceva la corte alle mogli dei connazionali rischiando la carriera. Antonio Baratta lo troviamo citato nel prezioso “Romanzo di Costantinopoli, guida letteraria alla Roma d’Oriente” di Silvia Ronchey e Tommaso Braccini. “Per i suoi epigrammi, scrivono gli autori del libro, fu paragonato anche a Dante e a Rabelais, a Voltaire e a Lafontaine. Qualcuno vide in lui, l’immagine rediviva dei grandi genii che apparvero sulla terra nelle epoche di sociali rivolgimenti”. Carlo Alberto Piccablotto, profondo conoscitore della storia torinese, scomparso alcuni anni fa, gli ha dedicato la biografia “ Antonio Baratta. Gli immortali epigrammi del Cavaliere senza camicia”. Nella nostra città Baratta trascorse anche gli ultimi anni della sua vita che avrebbe potuto essere ben più lunga. Passeggiando al Valentino gli cadde in testa una quercia. Morì schiacciato a 62 anni. Strano che Torino non gli abbia dedicato neanche una via o una piccola statua… magari al Valentino…

Filippo Re

Emanuele Martinuzzi presenta “Intarsi” e “Notturna gloria”

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L’autore ha ottenuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui Finalista al Premio Camaiore, il Sigillo di Dante come Ambasciatore Letterario per la Società Dante Alighieri e la Medaglia di Bronzo al Premio Firenze.

 

INTARSI 

Intarsi è una raccolta di componimenti poetici di Emanuele Martinuzzi, scritti in terzine, illustrata con le bellissime e surreali opere pittoriche di Andrea Bassani e liberamente ispirata ai Sonetti de’ mesi, scritti in volgare toscano nei primi due decenni del Trecento, da Folgóre da San Gimignano. Mentre le poesie di questa illustre opera, che rappresenta le origini della nostra letteratura italiana, rientrano nel genere del plazer, ossia un elenco mese per mese delle cose piacevoli, in ambito laico e mondano, che possono allietare una vita vissuta in un’epoca, prima della modernità, a contatto con la natura e con le gioie più dirette dell’esistenza, timidamente e con la leggerezza di una pioggerellina primaverile o autunnale, nella raccolta intarsi di Emanuele Martinuzzi si contrappongono invece tutte le contraddizioni, i dissidi e i sentimenti taciuti dell’uomo contemporaneo, di una vita in cui mondi naturali e artificiali si scambiano e confondono, in cui la dimensione del sogno e della realtà sfuma l’una nell’altra, in cui le gioie terrene e i sacrifici spirituali sono protesi alla ricerca di un assoluto o dispersi in tanti interrogativi e emozioni che abitano al di là delle parole. Lo stile della poesia comico-realistica dell’opera di Folgóre da San Gimignano fa da contraltare sublime rispetto al lirismo irreale dei componimenti di questi intarsi, composti da frammenti irregolari, visioni discordanti, che si accomunano e assemblano per comunicare una suggestione interiore, un’illuminazione imperfetta e rarefatta, che però sa costruire un anno in poesia, stagione dopo stagione, mese dopo mese.

Link su Intarsi di Emanuele Martinuzzi:

https://www.robinedizioni.it/nuovo/intarsi/

https://www.teatrionline.com/2024/06/216002/

https://giusycapone.home.blog/2024/05/29/intarsi/

 

NOTTURNA GLORIA

Notturna gloria è un canzoniere illustrato con disegni artistici sul tema della città. Si tratta di una raccolta composta da ventuno poesie scritte da Emanuele Martinuzzi con relativi disegni fatti a mano dal Maestro Gianni Calamassi. La combinazione di ogni poesia e disegno vuole tradurre, interpretare, evocare una città, che è anche e soprattutto un luogo interiore. Questo viaggio poetico e visivo attraverso queste città si articola in tre momenti e tipologie delle stesse. La prima parte, composta da otto poesie e disegni, è quella relativa alle città in stato di abbandono o spopolate. Sono state prese come esempio e riferimento otto città tuttora esistenti e abbandonate sparse da nord a sud, molte delle quali visitate personalmente dall’autore in un suo viaggio intrapreso alla scoperta delle rovine e dei luoghi abbandonati del nostro territorio. La seconda parte riguarda invece le città scomparse o distrutte, composta da altrettante otto città. Sono state prese a riferimento le città citate nelle opere di Dante Alighieri, Tito Livio e Plinio il Vecchio oppure in documenti storici comunali. La terza e ultima parte si riferisce alle città immaginarie, composta di cinque città. Sono state prese a riferimento le città citate da fonti letterarie e da autori come Pirandello (Montelusa), Calvino (Maurilia e Fedora) e Kubin (Perla) oppure da fonti orali, città immaginarie raccontate allo stesso autore da familiari (Sterlingo). L’idea che sta alla base di questa raccolta poetica e artistica è discendere negli inferi di ciò che non esiste più o non è mai esistito né mai esisterà, nelle ombre di ciò che è abbandonato o dimenticato, nel notturno che abita non solo il territorio fisico, ma ancor più metaforicamente l’anima dell’essere umano, per scovare in queste rovine, in questo nulla che sia stato distrutto o mai esistito o solo sognato, un valore, una dignità, una notturna gloria appunto e in questo modo attraverso la bellezza e la creatività tentare un’ascesa dagli inferi dell’indicibile e dell’oblio verso la memoria e una via differente all’idea comune di gloria. Questo contenuto si sposa con l’excursus artistico dei disegni associati alle poesie, che vanno dal realismo paesaggistico per le città abbandonate, passando dall’astrazione e il minimalismo per quelle distrutte o scomparse fino a corrispondenze simboliste e surreali per le città immaginarie. In questo senso l’associazione non casuale con i disegni del Maestro Gianni Calamassi approfondisce e arricchisce il significato di questa notturna gloria verso altre articolazioni e prospettive. Un modo differente per riflettere sul senso della città nel tempo contemporaneo, alla luce del passato che non c’è più o del futuro ideale che può essere ricostruito o anche solo sognato attraverso l’arte, la bellezza e la poesia.

Link su Notturna gloria di Emanuele Martinuzzi:

https://www.robinedizioni.it/nuovo/notturna-gloria/

https://www.teatrionline.com/2021/04/notturna-gloria-emanuele-martinuzzi/

https://oubliettemagazine.com/2021/06/23/intervista-di-alessia-mocci-ad-emanuele-martinuzzi-vi-presentiamo-notturna-gloria/

L’AUTORE

Emanuele Martinuzzi, classe 1981, Pratese. Si laurea a Firenze in Filosofia. Da qualche anno scrive recensioni teatrali per Teatrionline – il Portale del Teatro Italiano. Numerose pubblicazioni poetiche: “L’oltre quotidiano – liriche d’amore” (Carmignani editrice, 2015) “Di grazia cronica – elegie sul tempo (Carmignani editrice, 2016) “Spiragli” (Ensemble, 2018) “Storie incompiute” (Porto Seguro editore, 2019) “Notturna gloria” (Robin edizioni, 2021) “L’idioma del sale” (Nulla Die, 2022) “Intarsi” (Robin edizioni, 2024). Ha ottenuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui Finalista al Premio Camaiore, il Sigillo di Dante come Ambasciatore Letterario per la Società Dante Alighieri e la Medaglia di Bronzo al Premio Firenze. Ha partecipato al progetto “Parole di pietra” che vede scolpita su pietra serena una sua poesia e affissa in mostra permanente nel territorio della Sambuca Pistoiese assieme a quelle di numerosi artisti e personaggi di cultura. Cura il blog “Emanuele Martinuzzi e la poesia” http://andthepoetry.blogspot.it/.

I libri più letti e commentati del mese

Eccoci al consueto appuntamento con i libri più letti e commentati dalla community  Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri nel mese di agosto   Come L’Arancio Amaro (Bompiani) di Milena Palminteri si conferma il libro dell’estate, letto e commentato con grande partecipazione, seguito da Domani, Domani (Nord) il nuovo romanzo di Francesca Giannone, che ribadisce la sua presa sui lettori italiani.

Infine: La correttricedi Emanuela Fontana (Mondadori) tratto da una storia vera, l’autrice si è basata su scambi di corrispondenza tra Emilia e Manzoni.

Incontri con gli autori

 

In agosto facciamo due chiacchiere con Cristina Guarducci, da poco tornata in libreria con Paul E Nina (Edizioni Creativa, 2024), una complessa storia d’amore dai risvolti tormentati, ambientata a Parigi, città dove la scrittrice ha vissuto molti anni.

Giulio Natali, scrittore marchigiano che, dopo essersi cimentato nel racconto, esordisce nella narrativa con il romanzo Sotto Il Diluvio (Castelvecchi, 2024), che descrive una lotta di potere nella quale tutto è ammesso.

 

 

 

Per questo mese è tutto. Vi invitiamo a seguire Il Passaparola dei libri sui nostri canali sociali e a venirci a trovare sul nostro sito ufficiale per rimanere sempre aggiornati sul mondo dei libri e della lettura! unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

La triste e sfortunata vita di Emilio Salgari

L’incontro con Emilio Salgari, il papà di Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e del Corsaro Nero avvenne tanto tempo fa. E fu un amore improvviso, intenso. I primo due libri furono “I misteri della Jungla Nera” e “Le Tigri di Mompracem”, nelle edizioni che la torinese Viglongo pubblicò negli anni ’60.

 

Vennero letteralmente divorati. Toccò poi all’intero ciclo dei pirati della Malesia e a quelli dei pirati delle Antille, dei Corsari delle Bermude e delle avventure nel Far West. Mi recavo in corriera da Baveno a Intra, da una sponda all’altra del golfo Borromeo del lago Maggiore, dove – alla fornitissima libreria “Alberti” – era possibile acquistare i romanzi usciti dalla sua inesauribile e fantasiosa penna. Salgari, nato a Verona nell’agosto del 1862, esordì come scrittore di racconti d’appendice che uscivano su giornali  a episodi di poche pagine, pubblicati in genere la domenica ma, nonostante un certo successo,visse un’inquieta e tribolata esistenza. A sedici anni si iscrisse all’Istituto nautico di Venezia, senza però terminare gli studi.

 

Tornato a  Verona intraprese l’attività di giornalista, dimostrando una notevole capacità d’immaginazione. Infatti, più che viaggiare per mari e terre lontane, fece viaggiare al sua sconfinata fantasia, documentandosi puntigliosamente su paesi, usi e costumi. Scrisse moltissimo, più di 80 romanzi e circa 150 racconti, spesso pubblicati prima a puntate su riviste e poi in volume. I suoi personaggi sono diventati leggendari: Sandokan, Lady Marianna Guillon ovvero la Perla di Labuan, Yanez de Gomera, Tremal-Naik, il Corsaro Nero e sua figlia Jolanda, Testa di Pietra e molti altri. Nel 1900, dopo aver soggiornato alcuni anni nel Canavese ( tra Ivrea, Cuorgnè e Alpette) e poi a Genova, si trasferì definitivamente a Torino dove cambiò spesso alloggio, abitando nelle vie Morosini e  Superga, in piazza San Martino ( l’attuale piazza XVIII Dicembre, davanti a Porta Susa, nello stesso palazzo all’angolo nord dove De Amicis scrisse il libro “Cuore“), in via Guastalla e infine in Corso Casale dove, al civico 205 una targa commemorativa ricorda quella che è stata l’ultima dimora del più grande scrittore italiano di romanzi d’avventura. Schiacciato dai debiti contratti per pagare le cure della moglie, affetta da una terribile malattia mentale, con quattro figli a carico, si tolse la vita con un rasoio nei boschi della collina torinese.

 

Era il 25 aprile 1911. Ai suoi editori dell’epoca, che stentavano a pagargli i diritti, lasciò questo biglietto: “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna“. Ai quattro figli scrisse: “Sono ormai un vinto. La malattia di vostra madre mi ha spezzato il cuore e tutte le energie. Io spero che i milioni di miei ammiratori che per tanti anni ho divertito e istruito provvederanno a voi. Non vi lascio che 150 lire, più un credito di lire 600… Mantenetevi buoni e onesti e pensate, appena potrete, ad aiutare vostra madre. Vi bacia tutti col cuore sanguinante il vostro disgraziato padre“. I suoi funerali passarono quasi inosservati perché in quei giorni Torino era impegnata con l’imminente festa del 50° Anniversario dell’Unità d’Italia. La sua salma fu successivamente traslata nel famedio del cimitero monumentale di Verona. Un tragico e amaro epilogo per l’uomo che, grazie alle sue avventure, fece sognare tante generazioni di ragazzi.

Marco Travaglini

L’ultimo romanzo di Cesare Pavese

Il 27 agosto del 1950, Cesare Pavese si toglieva la vita nella stanza 346 dell’hotel Roma in piazza Carlo Felice, di fronte alla stazione di Porta Nuova a Torino. Il suo ultimo romanzo La luna e i falò, uno dei capolavori della letteratura del ‘900 e libro di formazione per intere generazioni, rappresentò per più versi il viaggio dello scrittore alla ricerca di se stesso e delle proprie origini. Fu il suo testamento letterario, composto in meno di due mesi, tra il 18 settembre e il 9 novembre del 1949, e dato alle stampe nell’aprile del 1950. Pavese scrisse in proposito: “È il libro che mi portavo dentro da più tempo e che ho più goduto a scrivere. Tanto che credo che per un pezzo – forse sempre – non farò più altro. Non conviene tentare troppo gli dèì”. E non solo gli dei, se Pavese scelse di terminare la propria esistenza “nella stanza d’un albergo nei pressi della stazione; volendo morire nella città che gli apparteneva come un forestiero”, come scrisse Natalia Ginzburg. Sul comodino della stanza era posata una copia dei Dialoghi con Leucò su cui lo scrittore aveva lasciato una raccomandazione: “Non fate troppi pettegolezzi”.
Un epitaffio che invitava il mondo a rispettare la sua scelta di andarsene prematuramente e di farlo in silenzio, in punta dei piedi, con quel riserbo tutto piemontese che ha sempre contraddistinto la sua vita. Settantaquattro anni dopo la sua scomparsa i messaggi e i valori che le pagine dei romanzi e dei racconti di Pavese ci trasmettono continuano a essere attuali nella loro straordinaria semplicità e immediatezza, a partire da quello del profondo legame con la terra dove si nasce, quel legame che non si spezza mai e che ciascuno di noi porta dentro di sé perché “avere un paese vuol dire non essere soli sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Perché avere un paese, avere delle radici, un luogo al quale aggrappare i propri pensieri, nel quale rifugiarsi anche nei momenti più difficili come quello che abbiamo vissuto, come quello che stiamo vivendo, significa sapere di appartenere a una comunità con la quale potremo continuare a lottare. Cesare Pavese ha amato molto il Piemonte, le Langhe, le grosse colline nelle quali ambientò i suoi romanzi più belli, trasportando il lettore tra borghi e vigneti, falò e sentieri, tra la sua gente. La lapide posta sulla tomba che custodisce i resti mortali del poeta, trasferiti dal cimitero monumentale di Torino al camposanto di Santo Stefano Belbo nel settembre del 2002, riporta queste parole “Ho dato poesia agli uomini”, una frase struggente che testimonia la forza e l’immortalità dell’arte.

Marco Travaglini

Le storie del calcio e l’America del Sud di Eduardo Galeano

 

Eduardo Galeano, scrittore uruguaiano, è stato uno degli autori più letti e amati della letteratura sudamericana moderna. Con Le vene aperte dell’America Latina (1971) disegnò un ritratto incredibilmente efficace della realtà del subcontinente americano. Nato nel 1940 in una famiglia alto borghese e cattolica di Montevideo, Galeano debuttò nel giornalismo a 14 anni come disegnatore satirico ma siccome “c’era un abisso fra quello che immaginavo e quello che tracciavo” si orientò successivamente verso la scrittura. Poco più che ventenne diventò una delle firme principali e poi capo redattore di Marcha, settimanale politico e culturale legato alla sinistra che diventò un punto di riferimento ben al di là dei confini uruguaiani. Dopo una serie di libri dedicati a reportage e analisi della situazione in vari paesi, nel 1971 pubblicò il già citato Le vene aperte dell’America Latina, in cui ricostruiva la spoliazione delle ricchezze del subcontinente da parte delle potenze coloniali, e il suo proseguimento attraverso le strutture del post-colonialismo capitalista. Tradotto in più di venti lingue, best seller internazionale, quando apparve fu per molti una vera e pro­pria fol­go­ra­zione tanto che Hein­rich Böll, scrit­tore tede­sco Pre­mio Nobel per la Let­te­ra­tura nel 1972, disse: “Negli ultimi anni ho letto poche cose che mi abbiano com­mosso così tanto”. Un reportage che attraversa cinque secoli di storia del continente latinoamericano per raccontare il saccheggio delle sue preziose risorse: l’oro e l’argento, il cacao e il cotone, il petrolio e la gomma, il rame e il ferro. Tesori depredati sistematicamente: fin dai tempi della conquista spagnola, le potenze coloniali hanno prosciugato le ricchezze di questa terra rigogliosa, lasciandola in condizioni di estrema povertà. Un testo illuminante che intrecciando l’analisi storica ed economica con il racconto, suggestivo e incalzante, delle passioni di un popolo sfruttato e sofferente, è diventato un vero e proprio classico della letteratura latinoamericana. A dire il vero, in tempi più recenti, Galeano prese una certa distanza da quello che è stato  il suo libro più noto. E disse: “Non mi pento di averlo scritto, ma non lo rileggerei: volevo scrivere un saggio di economia politica e non avevo la formazione necessaria“, aggiungendo che considerava “superata” una “certa prosa di sinistra, che ora trovo pesantissima“. Quando i militari presero il potere con un colpo di stato in Uruguay nel 1973, Galeano fu messo in carcere e poi fuggì in Argentina. Quando il generale Jorge Rafael Videla salì al potere in Argentina, il suo nome fu aggiunto alla lista delle persone condannate dagli squadroni della morte e lui fuggì in Spagna (tornò a Montevideo all’inizio del 1985) dove proseguì la sua carriera letteraria creando un stile personale, a metà fra la documentazione storica e la riflessione poetica, che lo portarono al successo internazionale con Memoria del Fuoco, una trilogia pubblicata dal 1982 al 1986. Alla critica internazionale quest’opera piacque molto e il Times Literary Supplement la paragonò a quelle di Dos Passos e Garcia Marquez. Militante di sinistra e sostenitore, seppur critico, dei governi progressisti dell’America Latina, Galeano dopo aver denunciato la “decadenza di un modello di potere popolare” e la “rigidità burocratica” della Cuba castrista (era il 2003) , tornò nell’isola caraibica nel 2012, sottolineando che “un vero amico ti critica in faccia e ti elogia dietro le tue spalle“. Ma l’altra grande passione dello scrittore uruguaiano è stata il calcio. Eduardo Galeano, tifoso appassionato e calciatore mancato (“Come tutti gli uruguagi, avrei voluto essere un calciatore. Giocavo benissimo, ero un fenomeno, ma soltanto di notte mentre dormivo e sognavo; durante il giorno ero il peggior scarpone che sia comparso nei campetti del mio paese”), con il suo Splendori e miserie del gioco del calcio (El fútbol a sol y sombra, nella versione originale), ha scritto pagine memorabili sul mondo del football. Il calcio per sognare, inteso come arte, religione e bellezza. Il calcio come linguaggio comune, modo per riconoscersi e ritrovarsi. Il calcio, figlio del popolo, che non deve cedere alle lusinghe dei potenti, di chi vuole trasformarlo in strumento per produrre denaro, uccidendo la fantasia e l’innocenza. “Grazie per aver lottato a centrocampo come un mediano e per aver segnato contro i potenti come un attaccante con il numero 10. Grazie anche per avermi compreso. Grazie, Eduardo Galeano: in squadra ne servono tanti come te. Mi mancherai”. Non è un caso che così venne salutato da Diego Maradona quando morì a 74 anni, il 13 aprile del 2015. A comunicare la notizia della scomparsa di Galeano all’ex capitano del Napoli che si trovava a Bogotà era stato un reporter suo amico al quale un Maradona commosso confidò che “lui (Galeano, ndr) mi ha insegnato a leggere di calcio”, come riportò il giornale argentino La Nacion. Galeano aveva citato Maradona in alcune sue opere tra le quali il celebre Splendori e miserie del gioco del calcio, scrivendo che El Pibe de Oro “si era trasformato in una specie di Dio sporco, il più umano degli dei, e questo spiega la venerazione universale che ha conquistato, più di qualsiasi altro giocatore. Un Dio sporco, che ci assomiglia: donnaiolo, bevitore, spericolato, irresponsabile, bugiardo, fanfarone. Però gli dei per quanto siano umani non si ritirano mai”. Per questo e per molto altro Galeano rimane, con i suoi libri e le sue storie, un maestro di vita.

Marco Travaglini

Žute dunje, la gialla cotogna di Istanbul

Ma voi che ne sapete dell’amore? […] della passione che il mondo consuma?” Con questo incipit il lettore è invitato al racconto di un amore struggente e tumultuoso, nato dall’altra parte dell’Adriatico, in Bosnia, “la terra dei lunghi amori e dei lunghi rancori”; una storia di amore e di morte affidata alla potenza della narrazione orale sino a raggiungere Paolo Rumiz che decise di scriverla, scegliendo la forma dell’endecasillabo.

La cotogna di Istanbul. Ballata per tre uomini e una donna” è un libro importante e bello dove il racconto si snoda come un lungo, magico e dolente poema di paesaggi, donne, passioni, città e morte. Protagonisti di questo romanzo in versi sono Max, un ingegnere austriaco, e Maša Dizdarević, donna bosniaca  austera e bellissima, con un passato intriso dalla storia del suo paese. In una fredda notte d’inverno a Sarajevo con la neve che turbina nel vento, Maša “viso da tartara, femori lunghi e occhi come grani di uva nera” canta a Max  una sevdalinka, antica canzone d’amore di quelle terre:“Žute dunje”, la gialla cotogna di Istanbul. Sulle note di questa malinconica melodia che narra di due giovani amanti e di un destino a loro avverso, scaturisce un legame profondo e indissolubile. Scrive il giornalista-narratore triestino: “Cantò nella sua lingua la struggente / tristezza dei distacchi che i balcanici / adorano ogni tanto condividere / con chi accetta di bere assieme a loro. / C’era un lamento, spesso ripetuto, / nella canzone, ed era lo stesso / che lui aveva sentito anni prima / sotto le muraglie di Diyarbakir…”. Paolo Rumiz non solo incanta ma riesce a far innamorare il lettore di tutti quei luoghi che fanno da sfondo alla narrazione: i Balcani, terra devastata dagli orrori della guerra; l’austera e asburgica Vienna, il Danubio che scorre entro i confini di dieci paesi e infine Sarajevo , la città che contiene tutte le altre da Trieste a Istanbul. Il suo linguaggio ricercato ed elegante descrive non solo i luoghi ma anche tradizioni,riti, odori e profumi di quell’angolo d’Europa nato dall’incontro tra l’oriente e l’occidente. Nella bella Dizdarević si racchiude il mistero di quei luoghi (“Disse Maša: ‘Ancora qui si celebra / la vittoria del luogo sulle stirpi”); con lei arriva il racconto della forza di un amore inamovibile, ampio, tremendamente calato nella cruda realtà ma allo stesso tempo puro e ancestrale. Tra i luoghi emerge potente l’immagine di Sarajevo, serraglio per carovane, “femmina inerme in mezzo a maschi assetati di stupro”. Lì si trova l’orizzonte dove si incontrano Masa e Max alla fine del confitto. Basterà una cena, un timballo di carne e l’aroma del caffè per stregare il viennese in quell’ impasto balcanico “fatto di sangue e miele” che accendere la fantasia e le passioni. Il resto lo faranno una bottiglia di vodka gelata e  Maša che canta con cuore ardente per lui la canzone della cotogna d’Istanbul, dei due amanti in lotta col destino e contro la malattia della donna, la cui cura viene affidata proprio a quel miracoloso frutto giallo (“nasconde in sé anche il fiore”) che però arriverà tardi, troppo tardi. La scrittura di Rumiz ha una potenza evocativa incredibile, quasi sprigionasse un’energia e una profondità sconosciute: non è solo scrittura o lettera ma soprattutto voce, parola, narrazione e ascolto. Ed è una fortuna perché altrimenti saremmo costretti ad associarci al rimpianto di Max: “..che povero mondo è questo che ha perso il gusto delle storie da ascoltare”.

Marco Travaglini

 

“Mi ha cercato un fantasma”

Il coinvolgente e appassionato romanzo storico di Paola Prunas Tola Filippi di Baldissero

Una lettera rimasta tra le pagine di un libro cade leggera come una piuma, una magica coincidenza che suscita curiosità e voglia di approfondire la storia della propria famiglia; il desiderio di conoscere, assecondando una passione nata quando l’autrice era ancora una bambina,  la biografia e le vicende di Maria Filippi di BaldisseroPrima Dama di Maria Teresa di Toscana, principessa di Carignano.

Quasi a rispondere ad una richiesta di aiuto di Maria, per non far fuggire una donna già fuggita e sepolta dalle convenzioniPaola Prunas Tola dà vita a questo incantevole romanzo; racconta di un importante periodo storico del nostro paese, rievocando momenti rilevanti della nostra monarchia, e della vita di questa intraprendente donna appartenente ad un Piemonte d’altri tempi. Ugualmente evidenzia come alcune problematiche del tempo, il rammarico della difficile decisione tra famiglia e professione, tra moglie e dama per esempio, dubbio arduo e frequente di una vita tutta al femminile, siano decisamente attuali.

Il racconto comincia nel 1834 con il viaggio della protagonista da Vienna a  Mosca, un percorso durante il quale ricordi  e nuove avventure si alternano, che la porterà verso una nuova vita in Russia, dal suo Serge . Lungo l’itinerario, verso l’ignoto, la dama ripensa a ciò che è stato, mette in ordine i ricordi della sua infanzia e del suo matrimonio, ricostruisce la storia della sua famiglia e degli avi di suo marito, i Filippi, “una nobile famiglia molto più antica della mia”, parla delle sue case e della vita di corte, sfarzosa certo, ma fatta anche di ordinaria solitudine . Nel libro,  oltre ad eventi storici conosciuti arricchiti con particolari meno noti, si rivelano appassionanti dettagli che trasformano un convenzionale momento di lettura in un interessante viaggio in un mondo affascinante che da sempre seduce e incanta: i reali, loro vita, le loro abitudini, le gioie, la magnificenza, ma anche le loro fragilità – come le marachelle del principe Carlo Alberto -riportandoli decisamente più vicino al nostro mondo, fatto di terrena normalità, rendendoli dunque comuni esseri umani.

 

Originale e suggestivo è il dialogo immaginario tra l’autrice Paola e la protagonista Maria, che sospende piacevolmente il ritmo del racconto riportandoci al presente: “io non la pensavo così, come so, cara Paola, che non lo pensi neanche tu”, parlando delle sue scelte in controtendenza, oppure “…lo sai, cara bisnipote Paola, i miei carichi non erano tanto diversi dai tuoi di adesso”riferendosi al matrimonio. Di indiscusso interesse e rilevanza storica  le immagini delle residenze, gli stemmi e i ritratti di famiglia, i documenti, le poesie, i conferimenti militari e persino la famosa Convenzione di Armistizio tra l’esercito sardo e quello austriaco.

Un libro intenso dunque, dove storia e fantasia si intrecciano riportando in vita, attraverso indagini storiche e scambi epistolaririnvenuti nell’archivio di famiglia del Castello di Marchierù, le memorie di una donna, di un personaggio, come dice Paola PrunasTola, intrigante e quanto mai moderno.

Maria La Barbera