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L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Abdulrazak Gurnah “Sulla riva del mare” -La nave di Teseo- euro 20,0
Gurnah non è uno scrittore qualunque; nel 2021 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura, con la seguente motivazione: «per la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti».

La sua biografia è fondamentale per capire le tematiche che affronta. E’ nato sull’isola di Zanzibar, in Tanzania, nel 1948, che all’epoca era sotto il protettorato britannico. In seguito, subito dopo l’indipendenza, si scatenò una fase di violenza e vendette, e la cosiddetta Rivoluzione di Zanzibar.
Abdulrazak aveva 18 anni, era curioso, voleva studiare e realizzarsi, ma Zanzibar non era certo il posto ideale. Così per sfuggire al clima pericoloso e proseguire gli studi, decise di andarsene e si trasferì in Gran Bretagna, presso un cugino.

Naturalizzato britannico, ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università del Kent, dove ha insegnato letteratura inglese e postcoloniale dal 1985 fino al pensionamento. Scrive in inglese. È autore di una decina di romanzi, e vive nel Regno Unito, a Canterbury.
Come per altri scrittori cosiddetti postcoloniali, la sua narrativa consiste in un dialogo continuo tra l’Europa odierna –terra dell’esilio- e lo spazio geografico del paese di origine che coincide con l’infanzia.

Il romanzo narra una storia di sradicamento e lontananza e, anche se l’acqua compare poco nelle pagine, il mare è l’elemento che collega i due luoghi tra i quali si muove il protagonista. Da un lato l’oceano Indiano che lambisce l’Africa Orientale e dall’altro quello della cittadina costiera inglese dove approda.
Al centro della vicenda ci sono due uomini che hanno in comune un passato vissuto a Zanzibar, entrambi rifugiati in Inghilterra. Sono il 65enne mercante di mobili Saleh Omar e Latif Mahmud, interprete con un passato che lo lega a Saleh.
Il mercante richiede asilo nel Regno Unito e all’arrivo all’aeroporto di Gatwick presenta un passaporto falso, intestato a un certo Rajab Shaaban Mahmud; inoltre gli è stato suggerito di fare finta di non capire una parola d’inglese. Così quando viene richiesto l’aiuto di un esperto del dialetto kiswahili, ecco arrivare l’interprete Latif che è il figlio di Rajab, ovvero l’intestatario del passaporto.

La trama di fatto è costellata da più storie, e personaggi che vivono in modo differente la condizione di immigrati. Il mercante Saleh ripercorre il passato e i suoi affari a Zanzibar, tra merci pregiate, contrattazioni con i clienti, aneddoti relativi a specifici oggetti che aveva in vendita.
Saleh e Latif hanno una terra di origine in comune della quale sentono la nostalgia, alcuni segreti che li riguardano e un’antica violenta vertenza relativa a una casa.

Corollario delle loro esistenze un parterre di altri personaggi con le loro traversie e memorie. E, come negli altri libri di questo autore, al centro ci sono storie di esilio, migrazioni, sradicamento, memoria, appartenenza, identità. Lui -che si sente sia africano che europeo- ha fatto tesoro delle esperienze che ha vissuto e i suoi romanzi aiutano a elaborare il passato, a guardare con maggior lucidità ed empatia il presente, a costruire il futuro.

Mia Kankimäki “Le donne a cui penso di notte” -Neri Pozza- euro 19,00
E’ magnifico questo libro della scrittrice finlandese Mia Kankimäki che compie un’azione letteraria e un viaggio di ampio respiro: traccia un tour sulle tracce di alcune grandi donne, cercando di cogliere il segreto della loro fenomenale resilienza. A metà tra saggio e diario, questo è un libro originalissimo che ci porta a spasso nei secoli, a diverse latitudini, inseguendo donne che hanno lasciato una tracia indelebile nel mondo.
«Sono M. Ho 43 anni….di notte penso alle donne». Intende donne che sono state coraggiose, resistenti, tenaci; che hanno perseguito le loro passioni a dispetto di tutto e tutti, abbattuto molteplici barriere e fatto cose che non ci si aspettava da loro.
Sono artiste e scrittrici dal lavoro solitario e introspettivo. La maggior parte non ha avuto marito né figli, le loro storie d’amore mai state convenzionali. Hanno viaggiato, cambiato paese e cultura e spesso hanno impresso una virata portentosa alle loro vite anche in età avanzata.

Si inizia con la scrittrice Karen Blixen, nata Isak Dinesen in una residenza di campagna non lontano da Copenaghen, poi planata in una fattoria africana. Kankimäki decide di recarsi in Africa seguendo le orme dell’autrice de “La mia Africa” e utilizza ogni sorta di materiale per ripercorrerne la vita; dal pessimo matrimonio con il barone Bror al grande amore per Denis Finch Hatton che andava e veniva a suo piacimento tra le braccia di Karen.
Come andò a finire si sa… ed emblematica è la svolta che la Blixen diede alla sua vita dopo il fallimento della fattoria africana e la morte del suo amore. Nel 1931, a 46 anni e senza un soldo, tormentata dalla sifilide trasmessale dal marito, tornò in patria, nella casa della sua infanzia e incominciò a scrivere.
Kankimäki mette a fuoco i molteplici aspetti della Blixen, rivelandoci una donna colta e coraggiosa, ma anche impaurita e spesso depressa; piena di umorismo e risorse interiori, ma anche bugiarda e ambiziosa.

Poi l’avventura continua e a dare la nuova rotta alle notti insonni della scrittrice finlandese è la scoperta di un volume illustrato che parla di alcune viaggiatrici dell’Ottocento. Kankimäki si rimette in viaggio per correre dietro alle vicende di donne di grande tempra come Isabella Bird, Ida Pfeiffer e Mary Kingsley. Tutte amanti dell’avventura che decidono di lasciarsi alle spalle la tranquilla vita quotidiana e partono alla scoperta del mondo. Sono senza soldi e per niente allenate alle fatiche che le attendono, ma partono comunque da sole e inseguono le loro passioni.

Non mancano all’appello anche artiste come la pittrice del Rinascimento Sofonisba Anguissola presso la corte di Spagna e Lavinia Fontana che mantenne la famiglia con i suoi dipinti. E poi altre donne incredibili tutte da scoprire….

 

Melania Soriani “Bly” -Mondadori- euro 20,00

Elizabeth Jane Cochran, conosciuta come Nellie Bly, è stata la prima giornalista investigativa della storia. Una pioniera nata nel 1864 che ha saputo ribellarsi alla tradizione che la voleva sposa e madre, ed ha tracciato una traiettoria di vita personalissima, fuori dai rigidi schemi della sua epoca.
La scrittrice Melania Soriani ha messo a segno questo romanzo ispirato liberamente alla storia di un personaggio realmente esistito, ripercorrendone la straordinaria vita.
Elizabeth nasce nella famiglia di un giudice, in un piccolo e tranquillo borgo della Pennsylvania. Fin da piccola dimostra una tempra notevole, tendente alla ribellione rispetto all’educazione destinata alle femmine, e preferisce partecipare ai giochi e alle avventure dei fratelli maggiori. Non bambole leziose, ma scoperte maschili e poi il fascino della magnifica e nutrita biblioteca paterna.
Cresce, legge, si forma idee personalissime e precise sul mondo che la circonda; soprattutto sulla condizione femminile chiusa in un perimetro di pensiero, azione e occupazioni decisamente limitato ed asfittico. Quando conosce la fondatrice di un quotidiano locale ha l’illuminazione che guiderà i suoi futuri passi: decide di diventare giornalista.
Poi la vita le si metterà di traverso; la morte del padre che era il pilastro della famiglia mette fine alla serena infanzia di Elizabeth. La madre si risposa ed avviene il tracollo definitivo. La giovane deve abbandonare gli studi e trasferirsi; soprattutto, scopre di non voler mai dipendere da un uomo, da nessuno. Mira ad essere libera ed indipendente, a realizzarsi e, poco a poco, scopre anche come.
La sua vita ha dell’incredibile: nel 1887 bussa alla porta di John Cockerill, direttore del “New York World” di Joseph Pulitzer e chiede di essere assunta come reporter….una cosa mai sentita prima. Ha solo 23 anni, coraggio e talento da vendere, da 3 anni scrive per un quotidiano di Pittsburgh firmando i suoi pezzi Nellie Bly.
Propone un’idea nuovissima che convince Cockerill e Pulitzer; condurre un’inchiesta sotto copertura nel manicomio femminile di New York, a Blackwell Island.
Il suo reportage è pietra miliare nella storia del giornalismo, brillante avvio di una carriera che la condurrà in molteplici inchieste sotto infiniti travestimenti. Nellie racconterà le piaghe nascoste del paese agli americani, senza peli sulla lingua, senza lasciarsi mai scoraggiare o fermare dalle difficoltà che le si pareranno sulla strada
Diventa l’antesignana di una nuova professione nella quale le donne potranno realizzarsi, famosa e scomoda per qualcuno, l’incubo di politici e benpensanti. Viaggerà in lungo e in largo per il mondo facendo il lavoro che ama e nel quale eccelle, conoscerà amori e sconfitte. Soprattutto sarà un nuovo tipo di donna: indipendente e libera, giornalista intrepida, artefice della propria vita …e che vita!

Giulia Lamarca “Prometto che ti darò il mondo” -DeAgostini- euro 16,00

Questa è una storia vera, tragica, ma anche luminosa perché parla di rivincita sul destino maledetto. Giulia ha solo 19 anni quando un incidente con il motorino guidato dal suo ragazzo la sbalza lontano e le spezza la colonna vertebrale. La vita diventa dolore assoluto nelle sale chirurgiche e nelle stanze del Centro Traumatologico Ortopedico di Torino. Il verdetto della medicina è senza appello: lesione midollare. Una parte di Giulia è morta il giorno dello schianto e non c’è più.
Però è nata un’altra Giulia che ha scoperto come la libertà di movimento -che sembra essere un nostro diritto- non sia affatto scontata. Anziché rassegnarsi alla carrozzina, è proprio quando la vita ha cercato di immobilizzarla, che Giulia ha trovato la forza di superare quel limite.
Oggi è una bellissima giovane donna di 29 anni, psicologa, formatrice aziendale e content creator e soprattutto è una travel blogger. Si avete capito bene, viaggia in lungo e in largo per il mondo e racconta le sue esperienze sul blog “My travels: the hard truth” e sul suo profilo Instagram.
Dopo mesi lunghi e penosi di riabilitazione in ospedale si è ripresa la sua vita e l’ha lanciata più lontano ancora di prima. In ospedale ha conosciuto Andrea, giovane tirocinante fisioterapista, che anziché vedere il suo handicap è riuscito ad entrare nella sua anima, scoprendone la tenacia, la forza e la bellezza.
I due diventano inseparabili e lui la sorprende con una proposta che sembra avere dell’incredibile. Partire alla volta nientemeno che dell’Australia, all’altro capo del mondo. E Giulia dice di si.
Così inizia la sua nuova avventurosa seconda vita e con Andrea riesce a superare tutte le barriere architettoniche sul cammino. Insieme si avventurano sul Machu Pichu, percorrono la Grande Muraglia Cinese, volano in Giappone per ammirare l’esplosione della fioritura dei ciliegi…. E poi una tappa via l’altra, sempre in carrozzina, ma oltre ogni possibile barriera, alla scoperta degli angoli più incredibili del globo.
Il libro in cui Giulia si racconta diventa così non solo autobiografia, ma testimonianza concreta della forza che si può trovare anche di fronte a quella che sembrerebbe una durissima condanna a vita. E’ la storia di una gioia di vivere che bypassa ostacoli alti come muri. Come dire che non sono solo le gambe a farci avanzare nei marosi dell’esistenza. Un libro che insegna molto….

Le donne afghane e le loro conquiste perdute

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Germana Zuffanti ci parla della “Fuga da Kabul” dell’agosto del 2021 e dell’omonimo libro scritto con il Generale Giorgio Battisti.
 

Il ritiro “frettoloso” di quel che era rimasto della coalizione internazionale e la chiusura delle ambasciate occidentali in Afghanistan ha fatto riflettere tutti noi, ci ha lasciato amareggiati e con un senso di vuoto, in quei giorni d’estate a tutto pensavamo tranne che essere immersi in un’altra dimensione come quella di un paese di nuovo in mano ai temuti Talebani. Paese lontano eppure mediaticamente ed empaticamente così vicino.
Germana Zuffanti, funzionario presso il Rettorato dell’Università di Torino e giornalista pubblicista, da tempo impegnata nello studio dell’attualità geopolitica, ha scritto a quattro mani con il Generale Giorgio Battisti, primo comandante della Missione internazionale ISAF in Afghanistan, il libro “Fuga da Kabul”, edito da Paesi Edizioni. Il saggio racconta del ritorno dei Talebani in Afghanistan nell’estate del 2021, dell’ attualissima importanza del territorio asiatico all’interno degli equilibri internazionali e dell’oscuramento dei diritti umani anche per le giovani generazioni.
La missione Nato, impegnata a ristabilire la democrazia e la libertà -“la famosa attività di peace keeping”-  in un paese dilaniato dai conflitti, si è conclusa con un significativo senso di frustrazione e con un forte interrogativo: ” ne è valsa la pena,  considerati i morti, i sacrifici umani, il difficile e inefficace impegno diplomatico? Sono stati spesi trilioni di dollari, si è cercato di esportare la democrazia in un paese perennemente in guerra, ma alla fine sono tornati loro a governare l’Afghanistan, i Talebani; lo avevano già fatto dal 1998 e fino al 2006 imponendo rigide regole e gravissime limitazioni sui diritti umani, in particolar modo contro le donne in nome di quel credo religioso che li ha formati nelle madrase pakistane.
Dal libro:
“Forse però non tutto è stato vano, la missione ha ridato speranza ad una popolazione senza pace e ha indicato una via di sviluppo sociale ed economico che il nuovo Emirato non potrà cancellare facilmente.”

Dottoressa Zuffanti quale è l’attuale situazione in Afghanistan, soprattutto per le donne, dopo il ritiro delle truppe Nato e il ritorno del regime talebano? 
Qualche dato può dare una idea della situazione e spingerci a fare una riflessione. 

Le ragazze prima dell’agosto 2021 rappresentavano il 40% degli studenti, 300.000 frequentavano l’università e 100.000 erano donne, mentre nel 2001 solo poche migliaia si recavano a scuola.
Sono stati costruiti 4.500 edifici scolastici e formati più di 200.000 insegnanti dei quali oltre il 30% donne. L’80% della popolazione possedeva un cellulare, il 66% un televisore e il 18% usava internet, con maggiore sviluppo nella regione centrale di Kabul. Erano in vita 45 stazioni radio, 75 canali televisivi, agenzie di stampa e tante pubblicazioni, inclusi 7 quotidiani. Sono state edificati oltre 33.000 km di strade asfaltate e la più importante autostrada del Paese è stata completata al 90%.
La mortalità legata alla maternità è diminuita del 15% e quella infantile del 35%, oltre il 61% della popolazione aveva accesso all’acqua potabile.
Ma un grande risultato, soprattutto, era stato raggiunto: far conoscere agli Afghani, ai giovani in particolare (oltre il 50% della popolazione ha meno di trent’anni), le condizioni e i presupposti legittimi della propria libertà.Dopo il 15 agosto, al di là dell’immagine che i Talebani 2.0 hanno voluto regalare al mondo ed alla comunità internazionale, si è tornati violentemente indietro di vent’anni. Il loro governo ha sostituito il ministero degli Affari Femminili con il ministero per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio. Il nuovo organismo ha ricominciato a far rispettare molti rituali islamici con la forza attraverso la polizia morale come era anni addietro. Tra i ministri e viceministri non ci sono più donne ( prima della presa del potere dei guerriglieri, le politiche all’esecutivo erano il 6,5%, una percentuale bassa, ma migliore rispetto alla condizione attuale).
Una donna afghana oggi non può lavorare fuori casa (ad eccezione di qualche medico o infermiere) e fare qualsiasi altra attività se non accompagnata da un mahram (un parente stretto come il padre, il fratello o il marito). È proibito trattare con negozianti uomini, essere visitate da dottori di sesso maschile o studiare in scuole, università o altre istituzioni educative. Le limitazioni comprendono anche normali abitudini femminili come usare cosmetici, portare tacchi alti o vestiti colorati (è obbligatorio il burqa, pena violenze e frustate). Presenziare a trasmissioni radio e tv, praticare sport, andare in bicicletta o in moto, ridere ad alta voce non è neanche contemplato. Esistono bus per sole donne e non ci sono bagni pubblici femminili, per quelle che hanno relazioni fuori dal matrimonio è prevista la lapidazione pubblica, in sostanza un inferno.

Durante la missione della coalizione internazionale, durata 20 anni, la situazione femminile in fatto di diritti e di evoluzione socio-culturale era la stessa in ogni parte del paese?
No la situazione non era la stessa, non lo è mai stata. Se è vero che a Kabul negli ultimi anni si respirava aria di modernità e democrazia, nelle parti più lontane dalla capitale, quelle geograficamente più difficili perché aspre e montuose, vigeva e vige il cosidetto Pashtunwali, “la via del pashtun”, un codice di vita, un insieme di regole morali e di comportamento a cui gli afghani sono molto più devoti che alla legge dei tribunali. Il Pashtunwali promuove il rispetto di sé, l’indipendenza, la giustizia, l’ospitalità, l’onore, l’amore, il perdono, la tolleranza, ma anche la vendetta, soprattutto verso gli estranei. In questo modello di vita le donne hanno, nella famiglia e nel clan, un ruolo subordinato e vivono una condizione di assoluta segregazione e isolamento.

Come è nata l’idea di scrivere il libro “Fuga da Kabul”?
Lo scorso fine agosto il Generale Battisti ed io ci siamo ritrovati a partecipare ad un webinar sulla questione afghana. Nella mia attività di giornalista pubblicista mi sono occupata di Afghanistan, di Medioriente, di terrorismo internazionale, di questione femminile. Ci è stato chiesto di dar vita ad un libro sul ritiro delle truppe internazionali da Kabul che non fosse però un istant book, ma un breve saggio dedicato alla situazione afghana che approfondisse, altresì, la questione del declino dell’occidente e della sua decisa determinazione di imporre la democrazia attraverso quella che anche noi nel libro chiamiamo  ultima “ingerenza umanitaria”. Non avendo esperienza come giornalista di guerra, ho cercato di riportare, attraverso le testimonianze del Generale Battisti ,“boots on the ground”, e in maniera più obiettiva possibile l’immagine di un paese da sempre martoriato da guerre intestine e portate dal nemico, ma certamente popolato da gente fiera e guerriera che porta sulla pelle i segni della sua gloriosa storia.

Maria La Barbera

A Claudio Magris il “Premio Speciale Lattes Grinzane 2022”

Annunciati i nomi dei cinque finalisti, fra cui l’italiana Simona Vinci. Saranno 400 studenti di 25 Giurie Scolastiche a decretare il vincitore

Monforte d’Alba (Cuneo)

Auður Ava Ólafsdóttir (Islanda) con La vita degli animali” (Einaudi), Pajtim Statovci (Kosovo/Finlandia) con Gli invisibili” (Sellerio), Simona Vinci con L’altra casa” (Einaudi), Jesmyn Ward (Cina/Usa) con Sotto la falce” (NN Editore), C Pam Zhang (Usa) con Quanto oro c’è in queste colline” (66thand2nd): sono loro i cinque finalisti del “Premio Lattes Grinzane 2022”, riconoscimento internazionale organizzato dalla “Fondazione Bottari Lattes” di Monforte d’Alba e intitolato a Mario Lattes, editore, scrittore e pittore, fra gli intellettuali più prestigiosi del nostro Novecento. Giunto alla sua XII edizione, obiettivo del Premio – rivolto ai migliori libri di narrativa pubblicati nell’ultimo anno – è quello di far concorrere insieme autori italiani e stranieri e di coinvolgere attivamente nella lettura e nella scelta del romanzo vincitore il mondo della scuola italiana, con una piccola finestra dedicata ogni anno agli studenti residenti all’estero, rappresentati quest’anno dalla “Scuola Statale Italiana” di Atene. In attesa, dunque, del verdetto finale che andrà a scremare la cinquina finalista, da parte della “Giuria Tecnica” – presieduta da Gian Luigi Beccaria, linguista, critico letterario e saggista – è stato assegnato all’oggi 83enne scrittore triestino Claudio Magris (germanista e fra i più grandi critici letterari contemporanei) il “Premio Speciale Lattes Grinzane”, attribuito ogni anno a un’autrice o autore internazionale di fama riconosciuta a livello mondiale, che nel corso del tempo abbia raccolto un condiviso apprezzamento di critica e di pubblico. Qui i giochi finora compiuti. Ora toccherà proseguire con l’ardua scelta di assegnare il podio a uno dei cinque romanzi in pole position. A farlo (nel senso di darne lettura e giudizio) saranno i  400 studenti delle “Giurie Scolastiche”, avviate in 25 scuole superiori, da Aosta a Catania (passando per Torino – Liceo Classico “Massimo D’Azeglio” – Alba, La Spezia, Assisi, Campobasso, Foggia, Crotone e altre ancora), fino ad Atene. Con i loro voti, i giovani giurati decreteranno il libro vincitore tra i cinque in gara, che sarà proclamato sabato 15 ottobre 2022, nel corso della cerimonia di premiazione al “Teatro Sociale Busca” di Alba.

 In questa occasione il “Premio Speciale” Claudio Magris terrà una lectio magistralis su un tema a propria scelta e sarà insignito del riconoscimento. Inoltre, nel corso della mattinata i finalisti incontreranno gli studenti delle scuole coinvolte. Gli appuntamenti del “Premio” saranno anche trasmessi in diretta streaming sul sito e sui canali social della “Fondazione Bottari Lattes”, permettendo così di raggiungere pubblici diversi e lontani e mettendo a disposizione di tutti importanti contenuti della grande narrativa contemporanea.

“Come sempre – ha spiegato la ‘Giuria Tecnica’ – i soli criteri che abbiamo adottato nella scelta dei romanzi finalisti sono stati la qualità letteraria delle opere e la loro capacità di parlare ai giovani che dovranno giudicarle, raccontando storie, idee, realtà umane poco note o del tutto sconosciute: ma a posteriori è quasi sempre possibile rinvenire un filo. E quest’anno il filo sembra rappresentato dall’esperienza traumatica della perdita e dalla volontà, ostinata, di ritrovare e ritrovarsi”.

E sul perché del “Premio Speciale” a Claudio Magris, spiegano ancora il giurati (docenti, intellettuali, critici e scrittori): “Magris è oggi il narratore che più di altri ci sa trascinare verso alcuni stabili valori umani che se ne stanno al riparo dai mutamenti, valori che egli ha saputo mettere in rilievo soprattutto attraverso personaggi vissuti all’ombra dei grandi e che hanno fatto loro da spalla; personaggi travolti dalla vita, che non hanno fatto ma subìto la Storia, e non per questo deboli, ma di singolare forza nella loro malinconia o nella loro irriducibile vitalità”.

g.m.

Per info: “Fondazione Bottari Lattes”, via G. Marconi 16, Monforte d’Alba (Cuneo); tel. 0173/789282 o www.fondazionibottarilattes.it

Nelle foto:

–       Claudio Magris (Ph. Yuma-Martellanz)

–       Cover cinque romanzi finalisti

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

Isabelle Allende “Violeta” -Feltrinelli- euro
Affascina e coinvolge -quasi come “La casa degli spiriti” (che resta un capolavoro assoluto e ineguagliabile)-l’ultimo romanzo della scrittrice Cilena, “Violeta”.
Un libro epico, in cui la protagonista centenaria racconta al nipote Camilo la storia della sua vita lunga un secolo. Sono pagine che racchiudono un mondo intero, in cui le vicende private, passioni, amicizie, avventure intersecano la storia e i suoi sconvolgimenti. Una fitta trama che ci fa incontrare personaggi indimenticabili, nel bene e nel male, e avviluppa noi lettori in una narrazione che non vorremmo finisse mai, tanto è magnifica e travolgente.
C’è una simmetria che promette un racconto geniale, emozionante come l’Allende sa fare in modo sublime.
«Sono nata nel 1920, durante l’epidemia della spagnola, e morirò nel 2020, durante la pandemia da coronavirus».
Così Violeta scrive mentre si sta addentrando nel terreno della morte, lasciando al nipote testimonianza del suo passaggio sulla terra in oltre 70 diari e migliaia di lettere; dove scorrono momenti difficilissimi, passioni anche devastanti, nascite e morti, in sostanza, “una vita interessante”. Ed emerge il ritratto intimo di una donna che è stata bambina coraggiosa e ribelle, amante, moglie, madre e imprenditrice di successo che ha saputo veleggiare, sempre a testa alta, tra i marosi di un’esistenza complicata.
Violeta del Valle, prima femmina dopo un’orda di 5 maschi, nasce in una famiglia benestante, nella Casa delle Camelie, in Cile. Una sorta di universo chiuso dove la bambina cresce circondata pure dall’affetto delle zie, Pia e Pilar. In casa arriva poi l’istitutrice inglese Miss Josephine Taylor che avrà un ruolo importantissimo anche nella vita del fratello maggiore di Violeta, José Antonio, braccio destro del padre negli affari di famiglia.
Però il destino incombe e i del Valle subiscono il rovescio della fortuna. La crisi economica internazionale e la Grande Depressione mandano a fondo Arsenio del Valle che, di fronte alla rovina, sceglie una via d’uscita traumatica, e sarà proprio la figlia a scoprire per prima quale. La perdita di tutto e lo scandalo spingono la famiglia all’Esilio nel sud del paese, a Nahuel, zona quasi disabitata “dove finisce la civiltà e inizia il territorio degli indios”.
Anni di adattamento, rudimentali occupazioni della vita di campagna, letture e tanto altro modella l’adolescenza di Violeta, che ricorderà quel periodo come il più limpido della sua vita.

Crescendo si rivela abilissima negli affari e insieme al fratello mette su una fiorente impresa che fa fortuna con la costruzione di case prefabbricate. Poi un matrimonio insignificante; mentre a segnare buona parte della vita di Violeta sarà invece la passione travolgente per Julián Bravo.
Un avventuriero dagli affari poco limpidi, amante del rischio, abile pilota “che danzava con la morte”, intrallazzato con mafia, traffico d’armi, poteri forti e occulti.
E’ un uomo irresistibile ma spietato, pericoloso ed egoista; violento e manesco, la tradisce continuamente e la picchia spesso per un nonnulla.
Non la sposerà mai nonostante abbia messo al mondo i suoi due figli. Il dolce, sensibile e delicato Juan Martín; che il padre trova debole ed effemminato. I due non si capiranno mai e Juan starà bene solo lontano da Julián.
Ben diverso invece il rapporto con la bellissima figlia Nieves che il padre adora, vizia a dismisura, rendendola egoista e aprendole un futuro di autodistruzione. Lei taglierà i ponti con la famiglia, in fuga dal padre, strafatta di droghe, espedienti e perdizione. A nulla servirà la disperazione di Julian che le mette alle costole l’investigatore Roy Cooper. Personaggio che si rivelerà fondamentale nella vita di Violeta, di Nieves e di suo figlio Camilo. Poi mille altre svolte che non vi anticipo, ma che rendono indimenticabile questo romanzo.

 

Ian Williams “Riproduzione” -Keller- euro 20,00
Ian Williams è poeta e scrittore nato a Trinidad, cresciuto in Canada, professore di Letteratura Inglese alla University di Toronto e questo è il suo romanzo di esordio, con il quale ha vinto lo Scotiabank Giller Price.
689 pagine in cui l’autore parla di legami di sangue, riproduzione, concetto di famiglia e la sua evoluzione, ma anche dell’incontro tra culture diverse.

Siamo a Toronto negli anni Settanta e la 19enne Felicia, che arriva da una minuscola isola dei Caraibi, assiste la mamma malata in ospedale. Nella stessa stanza c’è Edgar, 40 anni, rampollo viziato di una ricca famiglia tedesca, che tiene compagnia alla madre ricoverata.
Inizia così la relazione tra un uomo bianco e una ragazza di colore, che innesca una serie di conseguenze attraverso 4 decadi di storia narrata da Williams.
Due personalità agli antipodi, anche se entrambi degli immigrati; lei è religiosa e matura per la sua età; lui impreparato emotivamente, superficiale e a tratti irresponsabile.
La madre di Felicia muore lasciandola sola al mondo, quella di Edgar invece viene dimessa e torna a casa.
La giovane dovrebbe studiare e trovare la sua strada nel mondo, ma Edgar le chiede di occuparsi della sua Mutter, e addio scuola frequentata con regolarità.

La relazione tra i due deraglia quando Edgar seduce goffamente Felicia e la mette incinta. Il loro rapporto si strappa perché lui a diventare genitore neanche ci pensa.
Frutto di questa breve unione sarà Armistizio, meglio conosciuto come Army, che cresce con la madre, ma segnato dall’abbandono del padre.
I due però condividono una bella fetta del patrimonio genetico e pur non avendo mai conosciuto Edgar, Army gli assomiglia parecchio, soprattutto in una serie di comportamenti e nell’attrazione per il denaro e le avventure galanti.

Gli anni scorrono, Army cresce mantenuto solo dalla madre, la quale a un certo punto si trasferisce nel seminterrato della casa di Oliver. Lui è di origini portoghesi, divorziato e padre di Heather ed Endrix.
Ed ecco che ritorna il concetto di riproduzione che contiene molteplici temi: il corpo femminile, la genitorialità (accettata, rifiutata, subita), la famiglia e le sue varie declinazioni.
40 anni dopo lo strappo che li ha allontanati, Felicia ed Edgar si incontrano di nuovo, le loro vite nel frattempo sono andate avanti e scopriremo in che direzione.

 

Daria Bignardi “Libri che mi hanno rovinato la vita ..e altri amori malinconici”
-Einaudi- euro 16,50
Questo libro della giornalista, scrittrice e conduttrice può essere visto anche come una sorta di testo matriowska, nel senso che include tanti altri libri che per l’occasione possiamo leggere per la prima volta oppure rileggere, ma con lo sguardo nuovo suggerito dalla Bignardi.
In poco meno di 150 pagine ha raccolto il risultato di uno scavo nella sua memoria con il quale è risalita alle radici di alcune sue emozioni e suggestioni letterarie. Più che rovinarle davvero la vita, le opere che cita hanno contribuito a dare una direzione, un senso alla sua esistenza e crescita.
E’ una sorta di memoir di formazione che in definitiva individua soprattutto 3 libri strategici. In pool position c’è il romanzo cupo di Djuna Barnes “La foresta della notte”, poi viene “Il demone meschino” di Fëdor Sologub, la cui vita fu segnata da gravi lutti che lo indussero a ritirarsi dal mondo e chiudersi in un silenzio assoluto. L’altro testo è “Così parlò Zarathustra” di Friederich Nietzsche del quale la Bignardi imparò brani a memoria, intrigata dal suo amore tormentato per Lou Salomé.

Ma di autori la Bignardi ne annovera tanti altri…tra i quali una grande scrittrice, Pearl S.Buck che scoprì grazie al libro usato “La buona terra” nella mitica collana Medusa Mondadori, scovato su una bancarella.
Oggi la Buck sembra accantonata, ed è un peccato perché fu una maestra nel raccontare saghe cinesi, vinse il Premio Pulitzer nel 1932, il Nobel per la letteratura nel 1938.
Ebbe una vita spettacolare, fuori dagli schemi e scrisse più di 80 libri.
“La buona terra” non rientra nel novero dei libri maledetti della Bignardi, ma la segnò con l’idea che l’amore potesse essere anche terribile. E nel romanzo che la Buck ambientò in America e non in Cina “Questo indomito cuore”, la Bignardi ha ritrovato una citazione che l’aveva colpita «Soffrirai perché niente dura, ecco tutto. E’ la dannazione finale alla quale cerchiamo di sfuggire per tutta la vita».

 

Perché non prendere spunto dal libro della Bignardi per leggere o rileggere
Djuna Barnes “La foresta della notte” pubblicato nel 1936, libro di cui si innamorò lo scrittore T. S. Eliot che scrisse la prefazione. Testo dalla trama esile, scandito da capitoli non lineari che conducono il lettore da una città all’altra –tra Parigi e New York- , in tempi e situazioni diverse, in una sorta di viaggio onirico.
All’epoca fece scandalo perché mise a fuoco travestiti, prostitute e soprattutto le relazioni tra donne.
L’amore lesbico era tabù e la Barnes sapeva di cosa stava parlando, perché a 29 anni si innamorò per la prima volta di Thelma Wood, giovane aspirante pittrice e scultrice di mediocre talento. Le due donne vissero insieme per 8 anni, segnati da viaggi, bevute, litigi e continui tradimenti.
Thelma –sensuale e magnetica- tradì la Barnes con uomini e donne; quando poi si legò alla ricca divorziata
Henriette McCrea-Metcalf, Djuna la lasciò definitivamente.
Fu allora che iniziò a scrivere “Nightwood” decisamente vendicativo. La bambola perversa Robin Vote del libro sarebbe ispirata da Thelma, mentre la ridicola Jenny sarebbe Henriette.

“La passione” raccoglie 9 racconti di storie poco appariscenti, ma dal significato profondo. Parlano di passioni, sentimenti, e narrano -tra l’altro- di una madre che fa visita alla figlia che non vedeva da anni; della morte di un proprietario terriero; di un sarto armeno a New York vittima di una giovane perfida. O ancora, dei pensieri deliranti di un’aristocratica anziana, e dei dottori Katrina e Otto giunti in America negli anni Venti

 

Antonio Manzini “Le ossa parlano” -Sellerio- euro 15,00
E’ il nuovo capitolo delle indagini di Rocco Schiavone, vicequestore romano spedito ad Aosta, che questa volta indaga sul ritrovamento delle povere ossa di un bambino sepolte in un bosco. Chissà chi era, perché aveva con se una spilletta con lo scudo Capitan America, nelle tasche dei jeans a brandelli. Il caso è inquietante e Schiavone ci si butta con il suo cinismo, la sua profonda disillusione e una personale idea della giustizia che spesso salta le regole stabilite. Affiora una realtà malata, deviata e crudele che ha a che fare con l’immondo sommerso della pedofilia.
In parallelo alle indagini, seguiamo anche le vicende private di Rocco che viene chiamato a testimoniare contro il corrotto dirigente di polizia Mastrodomenico; l’uomo che era a capo della banda armata sulla quale anni prima aveva indagato Schiavone e che gli era costata l’assassinio dell’adorata giovane moglie Marina. La raffica era destinata a Rocco ma aveva colpito la donna della sua vita e da quella perdita non si è mai più ripreso.
Forse un taglio più netto col passato potrebbe derivare dalla vendita dell’attico romano in cui era stato felice con la moglie….che non sembra essersene andata del tutto, visto che Schiavone continua a parlare con il suo “fantasma”.

Gabiano, LibrInValle 2022 entra nel vivo

LibrInValle 2022 è entrata nel vivo con la conferenza a Gabiano di Dante Paolo Ferraris sabato pomeriggio al centro polifunzionale.

L’autore, seguendo una tradizione ormai consolidata, ha presentato la sua ultima fatica, ‘Girovagando per il Piemonte – volume 3’ viaggio nei borghi minori della regione subalpina. Questa volta Ferraris, rispettando un impegno che aveva preso due anni fa, ha dedicato un capitolo proprio a Gabiano.

Gli altri sono dedicati ad Alice Castello, Argentera, Azeglio, Balzola, Bra, Candia Canavese; Cannero Riviera, Carentino, Caresanablot, Francavilla Bisio, Galliate, Larizzate, Neive, Nizza Monferrato, Passerato Marmorito, Sagliano Micca, Traregio Viggiona, Verrone, Viverone, Volpedo, Volpiano, Voltaggio. Un capitolo è dedicato alla farinata e il tutto è corredato da un’ampia ed esauriente sitografia e bibliografia.

Ad introdurre è stato il sindaco di Gabiano, Domenico Priora, che ha ricordato la sua lunga conoscenza ed amicizia con l’autore, poi Ferraris ha dialogato con Massimo Iaretti, consigliere delegato alla cultura dell’Unione dei Comuni della Valcerrina che ha ricordato che il prossimo appuntamento con LibrInValle è previsto sabato 23 aprile, alle ore 17 a Cerrina Monferrato nel salone parrocchiale, in collaborazione con il Circolo culturale I Marchesi del Monferrato e il Comune di Cerrina, dedicato alla figura di Beppe Fenoglio, con l’intervento di Sergio Favretto e letture di Fulvia Maldini.

L’evento è stato ripreso da una troupe di monferratowebtv.it e telemoranopo.it che lo manderà in onda sui propri canali.

Quando il Pd torinese insegue Fruttero & Lucentini…

DI AUGUSTO GRANDI

Prendi due politici del Pd e mettili a scrivere un “noir” ambientato tra Torino e Langa.

E, per completare il quadro, inserisci il tutto negli ultimi giorni di campagna elettorale che hanno portato alla guida di Torino il loro compagno Stefano Lo Russo (ora Stefano L’ucraino). Poteva uscirne un polpettone illeggibile, una squallida operazione di propaganda partitica ammantata di un raccontino giallo per nascondere i veri obiettivi. Invece Michele Paolino, con la collaborazione di Sergio Chiamparino, è riuscito a scrivere una storia gradevole, leggibile anche al di fuori delle sezioni del partito o delle bocciofile di riferimento.

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Quando il Pd torinese insegue Fruttero & Lucentini..

A Mango, nel cuore delle Langhe, l’inaugurazione dei primi “Percorsi Fenogliani“

“Beppe Fenoglio 22”

In occasione del Centenario della nascita del grande scrittore albese

Sabato 9 aprile, ore 15

Alba (Cuneo)

Continuano gli appuntamenti della “Primavera di Bellezza” inseriti nel Calendario “Beppe Fenoglio 22”, a cura del “Centro Studi”dedicato  al mitico scrittore e partigiano albese, in occasione del Centenario della nascita (Alba, 1 marzo 1922 – Torino, 18 febbraio 1963). Dopo l’incontro di domenica scorsa, con “Tra le righe di Fenoglio” che ha portato i partecipanti all’evento, attraverso una piacevole visita guidata, in 11  tappe del centro storico di Alba, luoghi vissuti, amati e descritti da Fenoglio, sabato prossimo 9 aprile (ore 15) nel paese di Mango e dintorni si inaugura uno dei primi “percorsi fenogliani”. L’organizzazione è dell’“Associazione Manganum ODV” che ha inteso programmare una serie di iniziative volte a rafforzare il legame fra lo scrittore, la sua terra di Langa e in particolare il paese di Mango (con i suoi luoghi più tipici, le cascine, il suo possente Castello e i suoi meravigliosi e larghi panorami), dove Fenoglio ha soggiornato e su cui molto ha scritto. Mango (media Langa, 1300 abitanti) è infatti uno dei paesi che Beppe cita più frequentemente nei suoi romanzi, ne “Il partigiano Johnny” e in “Una questione privata”, negli “Appunti partigiani 44-45” e nei “Racconti”. Mango lo ha accolto durante la guerra di Resistenza, che si consumava strenuamente su tutte le colline dall’Alta alla Bassa Langa e non solo, nel nome di una libertà da riconquistare ad ogni costo, anche al prezzo della propria vita. E di particolare importanza sarà proprio sabato 8 il ripristino del “Percorso del partigiano Johnny”, arricchito da opere d’arte che richiamano le trascrizioni letterarie riportate nelle postazioni vicine. Per info: www.manganum.it

Restando in tema, sono intanto un migliaio, finora, le parole scelte dal pubblico dell’esposizione “Una maniera di metter fuori le parole”, organizzata fino al 18 aprile a “Palazzo Banca d’Alba” (via Cavour, 4) per esplorare il linguaggio fenogliano. Nel percorso espositivo si trova un’installazione multimediale e interattiva realizzata da “Blulab” che permette di selezionare la propria “parola preferita” ricreando la magia visiva e sonora dello scrivere sul foglio bianco. La millesima parola digitata – tra quelle estrapolate dai dattiloscritti originali de “Il partigiano Johnny” e “Una questione privata” – è stata “segreto cardiopulso”, parola in vetta a tutte le altre, seguita da “incubosa solitudine” e “partigiano”.
Le scelte stilistiche di Fenoglio (i ricorsi, i neologismi) sono diventate “oggetto artistico”attraverso un processo di esaltazione che lega la scrittura alla fotografia.  L’allestimento della mostra è ideato da Danilo Manassero mentre la stampa fotografica utilizzando la cianotipia è realizzata da Francesca Marengo. L’esposizione è visitabile ad ingresso libero fino al 18 aprile nei seguenti giorni e orari: venerdì 14.30/18.30sabato e domenica 10.30/13.3014.30/18.30.
Infine, per tutta la durata del centenario fenogliano, in collaborazione con il Comune di Alba, è allestita l’installazione “Piazza Rossetti 1” una struttura – pensata e realizzata dall’architetto Danilo Manassero con le fotografie di Antonio Buccolo – che svela attraverso un gioco poligonale gli interni di quella che un secolo fa era “Casa Fenoglio”.Quest’ultima, abbattuta in gran parte negli anni Novanta del secolo scorso, è stata sostituita dall’attuale edificio comunale su cui è allestito l’intervento artistico-architettonico.Recentemente sono state ritrovate alcune fotografie raffiguranti gli spazi in cui visse lo scrittore: si tratta di immagini per lo più inedite, testimonianze degli ambienti e delle atmosfere domestiche in cui Fenoglio concepì le proprie opere. Attraverso l’installazione “Piazza Rossetti 1” le pareti che apparivano spoglie ed austere al momento degli scatti tornano così a mostrarsi vive e vibranti, “come avvolte da un’immaginaria texture visiva, costituita da un’intricata sovrapposizione di parole e dal suono scandito della macchina dascrivere”.

Le fotografie in bianco e nero diventano “finestre, varchi verso l’interno che permettono di vedere gli spazi di un tempo, producendo un inedito gioco prospettico che simula un’ipotetica sezione dell’edificio. Le immagini degli spazi architettonici vengono inoltre integrate da una fotografia di Beppe Fenoglio e da due testi che descrivono gli ambienti della casa, tratti dalla sua favola  incompiuta “Il bambino che rubò uno scudo”.L’operazione di ricostruzione ideale e virtuale comprende anche la riproposizione toponomastica dell’indirizzo “Piazza Rossetti 1” che ora non esiste più. L’attuale numerazione, infatti, parte dal numero civico 2, sede del “Centro Studi Beppe Fenoglio”.

Per info: “Centro Studi Beppe Fenoglio”, piazza Rossetti 2, Alba (Cuneo); tel. 0173/364623 o www.centrostudibeppefenoglio.it

Il calendario  degli appuntamenti, in continuo divenire, è aggiornato sul nuovo sito del “Centenario Fenogliano” www.beppefenoglio22.it

g. m.

Nelle foto:

–       Beppe Fenoglio

–       Mango – Il percorso del partigiano Johnny

–       Centro Studi Beppe Fenoglio

Adriana Zarri e la gatta Arcibalda

Adriana Zarri, poetessa, scrittrice e teologa, giornalista e donna libera che sapeva comunicare, eremita per scelta nella campagna canavesana, amava molto gli animali, soprattutto i gatti.

L’ autrice che con i suoi scritti ha accompagnato le letture e la formazione spirituale e civile di molti cattolici, pubblicando per mezzo secolo su diverse testate dall’Osservatore romano a Il Manifesto, visse tutta la vita in maniera contemplativa, amando la natura, cosa che per lei era del tutto normale. Nella sua ultima fatica letteraria, pubblicata postuma dopo al sua scomparsa avvenuta nel 2010, intitolata La gatta Arcibalda e altre storie sono raccolti gli articoli “animalisti” che la Zarri pubblicò sulla rivista Rocca dal 1984 fino al giorno prima di morire. Si tratta di riflessioni sugli animali e sulla natura che raccontano il punto di vista dell’autrice su questioni sempre molto attuali e all’epoca in cui vennero scritte addirittura innovative, per certi versi dirompenti. Nel titolo è citata Arcibalda , la cui identità veniva svelata dalla teologa:“l’ultimo dei miei tanti gatti perché gatti ne ho sempre avuti”. Una gattona nera con la “macchia della Madonna”, una chiazza di pelo di colore diverso – in questo caso un ciuffetto di peli bianchi posizionati sotto la gola – che durante il Medio Evo “distingueva i gatti parzialmente neri dai gatti totalmente neri e li salvava dalle persecuzioni che si riservavano invece di norma a questi ultimi, messaggeri dell’inferno”. Nel libro Tutto è grazia, parlando della preghiera, raccontava così il rapporto speciale con gli amati felini: “Al mattino quando faccio la liturgia di solito sono vicino all’altare e vedo la mia gatta, la sua contentezza; il suo affetto è il suo modo di pregare. E allora la tengo lì e preghiamo insieme”. Ne La gatta Arcibalda e altre storie la teologa condivide i sentimenti e anche le sofferenze degli animali, da quelle del leone obbligato nel circo a rinunciare alla sua maestà, fino al cappone o al toro delle corride, torturati per la nostra ingordigia o la nostra crudeltà. Al pari degli antichi Adriana Zarri considerava come veri e propri simboli della contemplazione la civetta e il gufo, animali della notte in grado di scorgere quello che gli altri non possono vedere. Il suo  rispetto e lo sconfinato amore per gli animali costituiscono un esempio originalissimo ed elevato di ecologia che muove i suoi passi dalle forme di vita, iniziando dagli animali,che sono accanto a noi. Adriana Zarri si interrogava sulla liceità dei maltrattamenti a cui sono sottoposti gli animali da circo per il solo, egoistico, divertimento dell’uomo; sulla possibilità di diventare vegetariana per smettere così di causare dolore e morte ai suoi tanto cari amici animali; sulla sua vita di eremita in compagnia dei sempre amatissimi gatti e di tante altre “bestie” di vario genere; sui ritmi imposti dalla società che sono così tanto diversi e così sempre più diversi dai ritmi fisiologici della natura e degli animali. La raccolta di articoli che compone il libro è aperta da una prefazione che scrisse Luigi Bettazzi (attualmente lucidissimo 98enne, vescovo emerito di Ivrea) e raccoglie, pagina dopo pagina, la testimonianza dell’amore profondo e vivo in una donna che visse tutta la propria vita in maniera contemplativa e da amante della natura.

Marco Travaglini

 

Il Pannunzio presenta a Torino il Muggenheim di Mughini

L’ULTIMO LIBRO DEL GIORNALISTA E SCRITTORE  CHE DIALOGHERÀ CON FRANCESCA ROTTA GENTILE

Si svolgerà giovedì 7 aprile alle 17.30 presso la Sala Consiglieri della Città Metropolitana di Torino a Palazzo Cisterna, via Maria Vittoria 12, l’incontro organizzato dal Centro PANNUNZIO di Torino con il giornalista e scrittore Giampiero Mughini che dialogherà su temi d’attualità con la prof.ssa Francesca Rotta Gentile, già vincitrice del Premio Flaiano nel 2017, Giurata al Premio Strega oltre che curatrice di diverse prestigiose rassegne liguri come Cervo Ti Strega, Cervo in blu d’ inchiostro, Sa(n) remo Lettori il giardino di Irene Brin.  Nell’occasione verrà presentato, in anteprima assoluta, l’ultimo libro del giornalista “Muggenheim- quel che resta di una vita” edito da Bompiani. Si tratterà di un incontro che darà luce alla profonda cultura e sensibilità di Mughini e ci permetterà di scoprirne aspetti davvero inediti come il fatto che possiede due setter inglesi di nome Bibi in onore di Brigitte Bardot e Clint in omaggio a Clint Eastwood oltre che essere un collezionista di libri e amante d’arte a tutto tondo. Un momento di alta cultura con la possibilità di rivivere, almeno idealmente, negli scritti di Mughini un’originale testimonianza di buona parte del’900 fra poesia visiva, fotografia, fumetto e progressive rock e design. L’evento, unico, sarà aperto anche ai non soci del Centro Pannunzio.