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L’amore, il coraggio e il bisogno di mettersi in gioco. La scrittrice Nadia Lanzi racconta i suoi romanzi

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Nadia Lanzi è una scrittrice milanese che ha fatto dell’amore e delle emozioni autentiche il cuore pulsante dei suoi romanzi. La sua penna ha conquistato sia i lettori adolescenti che il pubblico adulto, grazie a storie capaci di intrecciare sentimenti, crescita personale e il coraggio di affrontare le sfide della vita.


«Scrivo per emozionare e per incoraggiare – racconta Nadia –. Ogni storia nasce da un’intuizione, da un’immagine che mi rimane impressa e che sento il bisogno di trasformare in parole. Mi piace raccontare l’amore in tutte le sue sfumature: romantico, tormentato, talvolta difficile, ma sempre capace di cambiare le persone.»

Il primo romanzo, “Io, Me e l’Altra”, è un viaggio introspettivo che parla di riscoperta di sé, resilienza e rinascita. Una protagonista sensibile, empatica e un po’ introversa, ma determinata, che impara a mettersi al centro della propria vita e a scegliere la propria felicità. Un libro che ha saputo toccare corde profonde in chi lo ha letto, diventando per molti un piccolo “manuale di sopravvivenza”.

Il secondo titolo, “Come Fuoco sul Ghiaccio”, è invece una storia d’amore intensa e appassionata, ambientata nel mondo del pattinaggio artistico e della danza. Elisa, una giovane ballerina con il sogno di emergere, e Christian, un campione dal carattere ribelle e tormentato, si incontrano e si scontrano in un turbine di emozioni, competizioni e scelte difficili. Il romanzo ha conquistato i lettori per la sua capacità di raccontare una relazione che nasce inaspettatamente tra due anime opposte, ma destinata a sopravvivere alle tempeste della vita.

«È una storia che parla di fiducia, di seconde possibilità e del coraggio di lasciarsi andare, anche quando tutto sembra remare contro.»

E per i fan c’è una grande notizia: sta per arrivare il seguito, il secondo capitolo di quella che sarà una vera e propria trilogia. Una nuova avventura che promette emozioni ancora più forti, colpi di scena e momenti da batticuore.

Nadia è molto attiva sui social, dove ama dialogare con i suoi lettori, condividere retroscena della scrittura e aggiornamenti sui suoi progetti.
📍 Facebook: https://www.facebook.com/share/14MUKRX8iiZ/
📍 Instagram: https://www.instagram.com/nadia_lanzi?igsh=aGV6M2pxNjZid21w

 

«I miei lettori sono una parte fondamentale del mio lavoro – conclude –. Ogni loro messaggio, ogni emozione che condividono con me è il motore che mi spinge a scrivere ancora.»

Con uno stile che emoziona e personaggi che restano nel cuore, Nadia Lanzi si conferma una delle voci più interessanti del panorama della narrativa romantica contemporanea.

Cristiana Ferrini “Mio Padre, Il Capitano dei Capitani”. Giorgio Ferrini, una storia granata / 2

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SECONDA PARTE dell’intervista  di Laura Goria a CRISTIANA FERRINI sul suo libro “MIO PADRE, IL CAPITANO DEI CAPITANI” dedicato al mitico Giorgio

1) Scrivi che Giorgio è stato più che un leader, senza neanche accorgersene, cosa intendi?

Me l’hanno detto tutti, anche il cappellano della squadra, Don Francesco, che per lui aveva un debole.

Perché era quello che si dava di più e sosteneva i compagni; se qualcuno stava per cedere, gli andava vicino e sussurrava “sono stanco-morto anche io, ma dai… andiamo!” Così lo spingeva a tirare fuori l’ultima piccola risorsa, a superare se stesso in nome della squadra. Questo è l’esempio trainante di un leader e capitano.

2) I suoi rapporti con i compagni di squadra?

Erano ottimi con tutti. Con alcuni il legame era più forte, basato sul piacere di stare sempre insieme… la continuità.

Queste solide amicizie le coinvolgeva in tutto. Se pensava di acquistare una casa, estendeva l’idea e il progetto anche a loro; chi poteva e voleva aderiva, idem per vacanze, gite, e altro.

3) E con il denaro e il lusso?

Aveva i piedi saldi per terra e non si concedeva lussi; prima venivano il mattone, sistemare i genitori, mettere da parte e investire per garantire la sicurezza futura della nostra famiglia, tutte cose normali. Mamma dice che spesso non dormiva la notte temendo che il preventivo della villa che costruiva a Pino andasse troppo oltre e si chiedeva se non fosse qualcosa più grande di lui. Si preoccupava che nulla fosse lasciato al caso.

4) Racconti un Giorgio “puro allo stato puro” che scartò proposte allettanti per restare e fare crescere il suo Toro.

Intorno ai 30 anni ricevette proposte da squadre decisamente importanti che lo avrebbero pagato 3 volte di più e lui rifiutò. Mamma non approvò molto.

5) Dici che amava il Toro come un figlio; in famiglia come la vivevate?

Credo ci sia stata qualche discussione con mamma per quanto lui dava e si dava; e non certo con il fine di ricevere.

Questa -squadra, società, maglia granata- chiamala come vuoi, secondo me lo aveva stregato. Non era solo la passione e il suo lavoro, c’era di più!

Non ci sentivamo sminuiti o inferiori rispetto a questo; noi eravamo noi, e lui ce lo dimostrava sempre, ci adorava. Però per il Toro non capiva più niente, neanche percepiva il sacrificio, e credo che gli abbia dato proprio tutta la sua vita.

6) Come affrontava fatica e pressione?

Mamma mi ha raccontato che papà non era il leader indiscusso della squadra solo perché era il capitano. Anzi, era quello messo sempre più in dubbio e sotto stress; che poi lui lo vivesse con naturalezza, la sostanza non cambiava.

Inoltre, non aveva mai contratti lunghi perché non sapeva vendersi.

Poi, in base all’allenatore, poteva piacergli o meno, ed ogni volta che entrava al Filadelfia doveva dimostrare il suo valore. Nulla era mai scontato; perché anche se era il capitano, poteva sbagliare una partita e non giocare più.

7) Come visse il fine carriera?

Non fu tragico. Più che altro un passaggio naturale, visto che è andato oltre la media di quegli anni. Per esempio, Trapattoni e Radice allenavano da tempo mentre lui era ancora in campo. Ha capito da solo quando era giunto il momento.

Accadeva che dalla tribuna sentissi ogni tanto commenti spiacevoli del tipo “Ferrini esci..”. La verità è che magari non aveva più la forza di qualche anno prima; ma ti assicuro che il carisma e la forza trainante per gli altri c’erano tutti. Era sempre quello che in campo faceva la differenza!

8) Per Giorgio Il Toro veniva prima anche di se stesso?

Certo. Verso la fine, l’allenatore diceva: “Voi avete una certa età, bisogna inserire e far giocare i giovani, altrimenti quando finirete loro non sapranno farlo”. Papà era d’accordo: per il Toro, per stare alti in classifica; per puntare allo scudetto. Tieni presente che allora non c’era il turnover di oggi.

9) Ci racconti il momento di felicità assoluta della sua vita… quel 16 maggio 1976 con il suo Toro Campione d’Italia.

Momento pazzesco. La mia gioia da tifosa; soprattutto quella negli occhi di papà che quasi tremava. Rideva e piangeva perché quel giorno aveva ottenuto quello per cui aveva vissuto, faticato e lottato tanto.

Dal balcone della sede del Toro lanciavamo fiori; io non c’entravo nulla, ma papà mi diede la mano e disse “lanciali anche tu”. Un momento mio e suo. Anche se intorno c’era il mondo in festa. La sua gioia incontenibile e i continui abbracci. Penso sia stato il giorno più felice della sua vita. Adrenalina pura. Non lo dimenticherò mai.

10) Perché scrivi che la morte precoce di tuo papà è diventata il parametro temporale per distinguere tra un prima e un dopo?

Molti suoi amici mi dicono che, morendo, ha stravolto le loro vite.

Da allora parlano di un “prima con lui” riferito solo a ricordi belli di cose fatte insieme: gite, vacanze, risate, pranzi, cene e altro..

E c’è un “dopo Giorgio”; che è stato un reinventarsi. Io pensavo fosse una cosa esclusivamente di noi familiari, invece no. Addirittura certi gruppi si sono sciolti, le persone non si sono più viste, molte non sono più riuscite a frequentarsi.

E’ diverso per me e Jerry Sattolo, che purtroppo è morto 2 anni fa. Aveva una bellissima foto di papà in cucina e mi disse che parlava sempre con lui, come se ci fosse ancora, proprio come faccio io.

11) Per tua mamma tra il prima e dopo Giorgio il solco è un precipizio profondo. Vedova giovanissima dell’amore della sua vita; come ha attraversato quel baratro… è un salto che dura ancora e non finirà mai?

Una parte di lei è morta con lui e questo le ha lasciato un pessimismo e una melanconia di fondo che hanno cancellato la Mariuccia gioiosa che ricordavo con papà. Non l’ho mai più vista ballare né ridere, in parte si è ripresa solo con i miei figli.

12) Che mamma e nonna è stata?

Una mamma eccezionale, sempre presente; ci ha lasciati liberi di scegliere, sbagliare, provare, viaggiare. Molto generosa, ci ha dato tanto, tutto. Con i miei figli è severa nel modo giusto: li giudica, li sprona, però c’è ed è molto moderna come mentalità.

13) Il libro lo dedichi a lei «donna lodevole dell’uomo che ha amato»; e perché credi che non lo leggerà?

E’ stata la moglie ideale che, rimanendo nell’ombra con amore e intelligenza, ha saputo sollevare papà di tutte le preoccupazioni e responsabilità che avrebbero potuto pesare su di lui e la carriera. Ha perfettamente incarnato “La grande donna dietro al grande uomo”, colonna portante della famiglia sulla quale papà poteva sempre contare.

Mamma il libro non l’ha ancora neanche toccato, ha paura che le faccia troppo male. Credo abbia messo il dolore in un baule e tema che io possa riaprirlo. Le ho spiegato che l’ho scritto da figlia e i miei non sono i suoi occhi da fidanzata e moglie. Ho la sensazione che non le faccia neanche piacere che io l’abbia scritto. Mi ha anche chiesto se papà approverebbe

14) Secondo un’antica massima poetica “Muore giovane chi è caro agli dei” …Come definiresti la parabola di vita di tuo papà, e che senso dai alla sua morte così precoce?

Io credo ci siano dei predestinati ed è come se lassù avessero avuto bisogno di lui. O almeno questo è quello che mi sono sempre raccontata perché mi aiutava.

15) Giorgio era molto legato al cappellano del Toro, la fede gli offriva risposte?

Papà era credente e praticante, amava entrare nelle chiese e scoprirle. Ero piccola e non so che spiegazione si diede per la morte di Gigi Meroni. Ma ricordo che fu la prima volta che lo vidi piangere disperato e mi colpì molto.

16) Tu sottolinei legami imperscrutabili nei numeri e che, nella lotteria della vita, la sorte ha assegnato a Giorgio il numero 8 per l’eternità.

Il numero 8 è stata una costante nella sua vita. A partire dalle date di quando è venuto al mondo a quando l’ha lasciato: è nato il 18 agosto, l’ottavo mese, ed è morto l’8 novembre. Da piccolo ha voluto l’8 sulla prima maglietta, lo stesso con cui ha sempre giocato nel Toro. Il Comune di Pino gli ha assegnato il civico 8 per la casa. Ed è il numero collegato a: perfezione, equilibrio, uguaglianza, amore eterno, armonia, forza interiore, saggezza, potere.

In matematica, poi, l’infinito è un 8 sdraiato; proprio come papà ora riposa per sempre, guardando verso la Basilica di Superga dove si sono schiantati i suoi eroi ed è iniziato il Giorgio calciatore che ne ha raccolto il testimone. E’ come se quel numero l’avesse avuto impresso nel cuore e ne avesse scolpito tutto il percorso.

17) Hai notato anche il tragico destino che accomuna i campioni granata morti tutti giovani: il grande Torino a Superga, Gigi Meroni e tuo papà? Solo inquietanti coincidenze?

Non ci avevo mai pensato. Credo nel destino e papà ha avuto una vita molto particolare legata al Toro. Società con una storia tutta sua, effettivamente caratterizzata da morti precoci. Forse coincidenze legate a questa Società un po’ stregata, dalla quale non ti puoi staccare.

18) E non è curioso che tuo papà e altri calciatori granata abbiano abitato proprio a Pino; la collina sorvolata dall’aereo poco prima di precipitare a Superga, in cima al colle successivo?

E partito tutto da papà, grazie all’amicizia con l’estroverso Gianni Mori e la sua bellissima famiglia, che a Pino vivevano da tempo. Una nota curiosa è che Gianni, grazie a questa nuova relazione, da tifosissimo juventino, diventò subito sfegatato granata.

La prima cena a casa Mori, papà, che da tempo guardava affascinato verso Superga, scoprì che Pino era la collina prima di quella dello schianto. E quando Gianni gli disse che il terreno di fianco era in vendita, lui decise di comprarlo e costruirci la nostra casa. Poi portò altri compagni di squadra: Sattolo, Rosato, Fossati e altri.

19) Tu oggi vivi proprio tra quelle mura e lì sei cresciuta con lui… che emozioni vivi?

Belle, appaganti, consolanti, ricche di quell’affetto che voglio prendermi da lui; perché so con quanta passione, sacrificio entusiasmo e gioia ha costruito la casa. Lì ci sono le mie radici. C’è lui e di lui mi parla tantissimo, anche nei difetti sottolineati da mamma.

Poi ci sono i suoi angoli del cuore: il divano dove si sedeva, il balcone dove fumava tutte le sere guardando verso Superga, o il punto in giardino. Del passato ho dei flash; come la sua ombra che veniva ogni sera in camera, a qualsiasi ora rientrasse, e ci aggiustava sempre le coperte, poi ci dava un bacio prima di andare a dormire.

20) E se oggi fosse seduto con te, di fronte alla grande finestra che hai spalancato sull’orizzonte, come vorresti il vostro tempo insieme?

Anche se non c’era fisicamente, me lo sono portato dentro tutta la vita, ci siamo sempre parlati e il nostro dialogo non è mai finito. Scrivendo il libro non lo vedo più ai suoi 37 anni, ma brizzolato, un po’ appesantito, più nonno… e la cosa mi piace. Sarei contenta si confrontasse con i miei figli, facesse delle cose con loro; sarebbe meno severo che con noi, ma con le stesse basi. E a loro è mancato.

21) Quanto e come hai trasfuso il tuo amore di figlia per Giorgio ai tuoi ragazzi?

Entrambi fanatici del pallone, ho avuto remore a parlargli di mio papà più di tanto. Ho raccontato solo del nonno Giorgio che aveva costruito questa casa… un nonno normale. Poi giocando a calcio hanno scoperto da soli che era stato un grande; ed è allora che ho cominciato a parlargli di lui.

22) Solo dopo la sua morte scopriste quanto bene aveva fatto in silenzio…cosa emerse?

Molte cose neanche mamma le sapeva. Per lo più fu Don Francesco a rivelarmi quanto papà avesse aiutato gli altri. Ma non con le solite raccomandazioni; lui forniva le carte per poi andare avanti da soli.

Per esempio, ricevevamo sempre oggetti africani e non capivamo, finché è arrivata la lettera di un medico africano che svelava di essersi laureato grazie agli studi che gli aveva pagato papà.

23) Come e dove pensi sia Giorgio oggi?

Può sembrare una visione infantile, ma mi ha sempre aiutata: mi piace immaginarlo in un prato verde, ad un tavolone con sempre più amici che arrivano e si siedono. Lui lì sta bene, fa la scuola calcio dei bambini e continuiamo il nostro dialogo. Lo ritroverò.

 

PS. Il libro offre anche la possibilità di rivedere immagini della vita di Giorgio Ferrini, molte inedite, e ricordi vari della carriera del capitano. Erano conservati in un baule che ora Cristiana mette a disposizione di tutti.

Basta inquadrare con la fotocamera del vostro cellulare il QR code che trovate sul risvolto di copertina. Vi collega alla pagina Instagram Giorgio Ferrini 8, dove Cristiana carica costantemente materiale prezioso.

CRISTIANA FERRINI “MIO PADRE, IL CAPITANO DEI CAPITANI” Cairo Editore

Emozionante confronto tra ieri e oggi: “Non è un selfie” di Enrico Vergoni

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I quarantenni di oggi, adolescenti negli anni ‘90

In tanti lo conoscono come poeta, per i suoi libri e per i versi che pubblica sui social, dove è popolarissimo. Ma ora Enrico Vergoni di Marotta è entrato nel mondo della narrativa con il suo “Non è un selfie. I quarantenni di oggi, adolescenti negli anni ‘90” (Robin edizioni Torino): un successo immediato, visto che è già entrato nella classifica della nuova narrativa italiana di Amazon Italia.

Difficile non identificarsi in quello che il protagonista racconta.

Chi è stato giovane nell’ultimo decennio del ‘900 non faticherà a divertirsi e a commuoversi, ricordando un’epoca che sembra vicina ma che i cambiamenti avvenuti nella società hanno reso ‘antica” se non superata.

Da qui nasce quel confronto tra ieri e oggi che dà modo a Vergoni di esprimere pensieri ed emozioni; lo sguardo all’indietro dell’autore non è solo nostalgia per un tempo più felice, è la voglia di non dimenticare quel ragazzo che grazie all’amore, agli amici, alla musica scopriva la vita.

Quel ragazzo non morirà mai, suggerisce Vergoni.

Presentato in varie parti d’Italia durante l’ultima stagione, il libro sarà, come i precedenti dell’autore, tradotto anche in lingua spagnola.

Si tratta del quarto libro di Vergoni, che ha iniziato la sua carriera con “Tango e Cenere” nel 2011 (ancora oggi uno dei libri di poesia contemporanea italiana più tradotti) fino a “Lettera ad una Figlia” che ha vinto numerosi premi internazionali ed è stato presentato in molte scuole lungo la penisola ed è stato inserito nella biblioteca del Quirinale tra i libri più importanti dell’ultimo decennio.

Questo inverno continuerà l’attività promozionale ed il progetto dei laboratori di scrittura in vari istituti dopo il successo dell’iniziativa presso numerose scuole italiane insieme ai poeti Claudio Pacifici e Stefano Sorcinelli.

 

Apri il link:

Parole, incontri e visioni: il Circolo dei lettori inaugura il 2025/2026

A Torino il 9 settembre ale ore 11 si alzerà ufficialmente il sipario sulla nuova stagione 2025/2026 della Fondazione Circolo dei lettori, cuore pulsante della vita culturale cittadina.
Con l’annuncio del calendario, prenderà il via un anno denso di appuntamenti pensati per trasformare la letteratura in esperienza viva: incontri ravvicinati con autori, dialoghi con protagonisti del panorama intellettuale nazionale e internazionale, momenti di riflessione e scambio che hanno reso il Circolo un punto di riferimento imprescindibile per Torino.

Anche se il viaggio ufficiale sarà appunto il martedì, già oggi 8 settembre alle 18.30 la Fondazione sarà pronta ad accogliere un grande scrittore di respiro internazionale: Nathan Hill. Considerato tra le migliori voci della letteratura americana, l’autore presenterà al pubblico il suo ultimo successo “Wellness“. Il libro è un intenso canto del sull’ amore coniugale contemporaneo o il resoconto di due anime che, affiancate, attraversano la vita, attraversano l’esistenza in modo ironico e tenero ma anche spietato.
La triade di incontri entra nel vivo il 9 settembre alle 18.30 con una voce che non ha bisogno di presentazioni: Elizabeth Strout. L’autrice americana, raffinata e magnetica, arriva a Torino per raccontare il suo nuovo libro “Raccontami tutto“, attesissimo dai lettori di tutto il mondo.
Strout, capace come poche di trasformare le fragilità umane in materia letteraria pulsante, ha conquistato pubblico e critica fin dal suo romanzo d’esordio, diventando un vero fenomeno editoriale. Finalista al PEN/Faulkner Prize e all’Orange Prize, vincitrice del Los Angeles Times Art Seidenbaum Award e del Chicago Tribune Heartland Prize con l’indimenticabile Olive Kitteridge (2009), la scrittrice torna a sedurre le pagine e le platee con la sua prosa intensa e rivelatrice, pronta a incantare anche il pubblico torinese.
Con la nuova stagione, il Circolo dei lettori conferma la sua vocazione: essere non solo un luogo dove i libri si presentano, ma uno spazio vivo in cui le storie si intrecciano con le vite di chi le ascolta. Un anno di appuntamenti che promette di accendere curiosità, stimolare pensieri e, soprattutto, avvicinare ancora di più la città alla voce degli autori. Torino, ancora una volta, si prepara a riconoscersi nelle parole.
Valeria Rombolá

Festa dell’Unita’: “Il seggio del peccato”, ultimo libro di Travaglini

 

Giovedì 11 settembre, alle 18.00, lo Spazio Libreria della Festa de l’Unità in piazza d’Armi a Torino ospiterà la presentazione de Il seggio del peccato, l’ultimo libro di Marco Travaglini. Introdotto dal Consigliere comunale Alberto Saluzzo e moderato dalla giornalista Barbara Castellaro, l’autore – nato sulla sponda piemontese del lago Maggiore e torinese d’adozione – parlerà dei suoi racconti intesi a dare voce soprattutto alla gente comune, a quel mondo piccolo, ma non minore con il quale ha sempre amato convivere, assimilandone i problemi, le speranze, le gioie e i dolori. Una scrittura, quella di Travaglini, che nasce dal cuore e arriva al cuore, cogliendo con passione e slancio poetico la vita delle strade, dei piccoli paesi tra i laghi e le montagne così come delle vie di Torino o della campagna canavesana, con attenzione al passato, a tempi meno facili, ma più ricchi di semplicità, di saggezza antica, di rapporto umano. Erano gli anni delle case di ringhiera e dei circoli operai, dei grandi prati non ancora invasi dal cemento; delle quattro stagioni; degli inverni dalle abbondanti nevicate e delle primavere verdi punteggiate di rondini e maggiolini. Ne’ “Il seggio del peccato”, attraverso ventisette racconti, il lettore è guidato in un itinerario emozionante che abbraccia città, campagne, laghi e montagne. Le ambientazioni e i personaggi, siano essi frutto di fantasia o realistici, ci introducono nella peculiarità delle città o delle piccole comunità piemontesi. Come scrive nell’introduzione Sergio Chiamparino, già sindaco di Torino, “sono racconti ricchi di riferimenti storici, di notizie su luoghi, edifici storici, di curiosità, ricostruzioni di antiche tradizioni e motti popolari, molte cose che si ignorano o almeno io ignoravo”. Così, mescolando realismo con un tocco di immaginazione, Travaglini disegna un mosaico di storie di vita quotidiana, dove vizi e virtù della gente comune si intrecciano con le astuzie e le ingenuità tipiche delle persone semplici. La scrittura è piacevole e attraversata da una vena ironica che permea tutte le storie, rendendo la lettura al contempo leggera e profonda. Spiccano episodi come quello di Elvio e Aida, definiti i “Fred e Ginger della periferia, o le vicende del signor Brusa e del suo sigaro tra le cave del marmo di Candoglia e il Duomo di Milano. Tra i personaggi si alternano tipi sorprendenti come Anacleto, “esperto nel fare affari”; Laura, “sveglia, simpatica e piena d’entusiasmo… con la passione per la meccanica”; o il sodalizio Alvaro e Giovannino che riescono “in ogni caso, a mettere insieme il pranzo con la cena e persino a ricavare qualche soldo da mettere in cascina”. Poi c’è Oreste, detto il Tempesta “che raccontava le sue avventure, partendo sempre da quella volta che aveva portato sull’Isolino una contessa”. E così via, molti altri personaggi animano questo vivace affresco di esistenze periferiche. È decritta la Luino di Piero Chiara e del signor Brovelli; si narrano le fatiche degli scalpellini del già citato granito rosa, le avventure truffaldine e briose di Toni Fuoribordo, gli spalloni con il loro “andar di frodo con la bricolla a spalla”. Sono, tuttavia, solo alcune delle diverse storie che compongono questo affresco di vita piemontese. La raccolta si conclude con un nostalgico Ritorno in Formazza e lo spassoso equivoco sulle misteriose origini del Re di Superga, che chiudono il cerchio di un viaggio emozionante attraverso la memoria e la tradizione. In definitiva, Il seggio del peccato è un omaggio affettuoso e suggestivo al Piemonte, alle sue genti e alle sue terre. Insomma, un libro che non deluderà.

“In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta…”

Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia

In mezzo alle montagne c’e’ il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a meta’, c’e’ l’isola di San Giulio”. Così comincia uno dei più bei racconti di Gianni Rodari, “C’era due volte il barone Lamberto”. Tra le più felici invenzioni del grande scrittore per l’infanzia, questa storia è ambientata nei luoghi cari alla memoria della sua infanzia: il lago d’Orta e l’isola di San Giulio.

Infatti, Gianni Rodari, nacque ad Omegna, all’estremità nord del lago, il 23 ottobre del 1920. Lì, suo padre – originario della Val Cuvia, che domina la sponda “magra” del lago Maggiore – aveva un negozio di commestibili e gestiva un forno da pane, svolgendo il mestiere del prestiné, del fornaio. La casa e la bottega erano vicine al lago che, come ricordava Rodari, «giungeva a pochi metri dal cortile in cui crescevo». Leggendone le pagine prende forma l’immagine del più occidentale fra i laghi prealpini, originato dal fronte meridionale del ghiacciaio del Sempione. Che s’accompagna alla sua singolarità. Infatti, contrariamente a quanto accade con molti laghi alpini, che hanno un emissario a sud, le acque del lago d’Orta escono dal lago a nord. Attraversano la città di Omegna, dando vita al torrente Nigoglia che confluisce nello Strona il quale, a sua volta, sfocia nel Toce e quindi nel lago Maggiore.

E al centro del lago dove, dalle opposte sponde si guardano, una in faccia all’altra, Orta e Pella, si trova l’isola di San Giulio. Nel medioevo il lago era noto come “lago di San Giulio” e solo dal XVII secolo in poi cominciò ad essere conosciuto con l’attuale nome di “lago d’Orta”, acquisito dalla località di maggior prestigio e risonanza. La storia, se non vogliamo risalire al neolitico o all’età del ferro, quando il lago era abitato dai celti, ci dice che – alla fine del IV secolo – i due fratelli greci Giulio e Giuliano, originari dell’isola d’Egina fecero la loro comparsa sul lago e si dedicano con un certo accanimento(con il beneplacito dell’imperatore Teodosio)alla distruzione dei luoghi di culto pagani e alla costruzione di chiese. E qui la leggenda vorrebbe che San Giulio, una volta incaricato il fratello di edificare a Gozzano, all’estremità sud del lago, la novantanovesima chiesa, si mise alla ricerca del luogo più adatto per erigere la centesima. La scelta cadde sulla piccola isola ma, non trovando nessuno disposto a traghettarlo, Giulio avrebbe steso il suo mantello sulle acque navigando su di esso. Sull’isola dovette misurarsi con focosi draghi e orribili serpenti. Sconfitte e cacciate per sempre le diaboliche creature (ma erano poi così diaboliche? Mah…) , gettò le fondamenta della chiesa nello stesso punto in cui oggi si trova la Basilica di San Giulio. La storia s’incaricò poi di far passare molta acqua sotto i moli dei porticcioli del lago d’Orta. Dai longobardi fino all’assedio dell’ isola di San Giulio – in cui si era asserragliato Berengario d’Ivrea – furono secoli di guerre. Nel 1219 dopo una contesa ventennale tra il Vescovo e il Comune di Novara, nacque il feudo vescovile della “Riviera di San Giulio”. E ,più di 500 anni dopo, nel 1786, il territorio cusiano passò sotto la casa Savoia ( che videro riconosciuto il loro potere solo 31 anni dopo, nel 1817), trasmigrando così dalla Lombardia al Piemonte. Ma, vicende storiche a parte, il lago d’Orta – “ il più romantico dei laghi italiani” – è davvero un gioiello che ha sempre fatto parlar bene di se. Gli abitati rivieraschi d’Orta, Pettenasco, Omegna, Nonio, Pella, San Maurizio d’Opaglio, Gozzano.

O l’immediato entroterra di Miasino, Ameno, Armeno, Bolzano Novarese, Madonna del Sasso, sono state località meta di viaggi ed oggetto di cronache e racconti. Non è un caso che nell’Ottocento fosse quasi d’obbligo considerarlo come una delle più suggestive tappe del “Grand Tour” di molti aristocratici d’Oltralpe. Honoré de Balzac, che c’era stato, lo descriveva così nella “Comédie humaine”: “Un delizioso piccolo lago ai piedi del Rosa, un’isola ben situata sull’acque calmissime, civettuola e semplice, (…). Il mondo che il viaggiatore ha conosciuto si ritrova in piccolo modesto e puro: il suo animo ristorato l’invita a rimanere là, perché un poetico e melodioso fascino l’attornia, con tutte le sue armonie e risveglia inconsuete idee….è quello, il lago, ad un tempo un chiostro e la vita….”. E’ il lago che, soprattutto in autunno, riflette i colori della stagione e diventa un po’ malinconico, suggerendo a poeti come Eugenio Montale di dedicargli delle composizioni o ad Ernesto Ragazzoni di scrivere questi versi: «Ad Orta, in una camera quieta / che s’apre sopra un verde pergolato, / e dove, a tratti, il vento come un fiato / porta un fruscio sottil, come di seta, / c’e’ un pianoforte, cara, che ti aspetta, / un pianoforte dove mi suonerai / la musica che ami, e che vorrai: / qualche pagina nostra benedetta». Territorio ricco di fascino e di riferimenti letterari, meta ideale di artisti e scrittori, le località attorno al lago appaiono sovente nelle opere di altri importanti autori. Per Mario Soldati, grande regista e scrittore, Orta è uno dei luoghi di riferimento, visto che sul lago – nella frazione di Corconio –  iniziò a scrivere i suoi primi libri importanti come “America primo amore” e “L’amico gesuita”, oltre ad ambientarvi alcune pagine de “I racconti del maresciallo”.

Per non parlare poi d’Achille Giovanni Cagna ( con il romanzo “scapigliato” dedicato agli “Alpinisti Ciabattoni”), Mario Bonfantini( La tentazione ), Carlo Emilio Gadda (Viaggi di Gulliver), Laura Mancinelli con il suo dolcissimo “La musica dell’isola”, Carlo Porta, Friederich Nietzsche. Un altro “scrittore di lago”, ma di un lago “diverso” come il Maggiore – il luinese Piero Chiara – scrisse: “Orta, acquarello di Dio, sembra dipinta sopra un fondale di seta, col suo Sacro Monte alle spalle, la sua nobile rambla fiancheggiata da chiusi palazzi, la piazza silenziosa con le facciate compunte dietro le chiome degli ippocastani, e davanti l’isola di San Giulio, simile all’aero purgatorio dantesco, esitante fra acqua e cielo“.  Il lago d’Orta è un piccolo gioiello azzurro in mezzo ai monti, chiuso ad est dal Mottarone e riparato ad ovest dalle cime che dividono il Cusio dalla Valsesia. Certe mattine, appena s’accenna l’alba, la nebbiolina sospesa sull’acqua lo rende misterioso, affascinante. Tanto quanto se non addirittura più di quelle giornate d’autunno, nitide e terse, quando riflette i mille colori dei boschi nello specchio delle sue acque tranquille.

Marco Travaglini

Collodi e l’invenzione di Pinocchio

Collodi, all’anagrafe Carlo Lorenzini, nacque a Firenze il 24 novembre del 1826 e divenne celebre come autore del romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Il padre Domenico era un cuoco e la madre, Angiolina Orzali, una domestica, entrambi a servizio dei marchesi Ginori. Angiolina era originaria di Collodi , frazione di Pescia, nel  pistoiese.

Fu proprio il nome del paese natale della madre ad ispirare a Carlo lo pseudonimo che lo rese famoso in tutto il mondo come autore di Pinocchio. A diciotto anni il giovane Lorenzini  entrò in contatto con il  mondo dei libri come commesso nella libreria Piatti a Firenze e un anno dopo, nel 1845, ottenne una dispensa ecclesiastica che gli permise di leggere l’Indice dei libri proibiti . La passione per la lettura lo indusse a cimentarsi con la scrittura e iniziò a redigere recensioni e articoli per La Rivista di Firenze.

Allo scoppio della Prima guerra d’indipendenza, nel 1848, Lorenzini si arruolò volontario combattendo contro gli austriaci al fianco di altri studenti toscani a Curtatone e Montanara. Tornato a Firenze fondò una rivista satirica Il Lampione che subì ben presto la censura, cessando le pubblicazioni. La passione non venne meno, impegnandolo in un’intensa attività culturale nel campo dell’editoria e del giornalismo, dove si occupò di letteratura, musica e arte. Trentenne, nel 1856, durante la sua collaborazione con la rivista umoristica La Lente, iniziò a firmarsi con lo  pseudonimo di Collodi e a pubblicare i primi libri. Allo scoppio della Seconda guerra d’indipendenza non si tirò indietro, partecipandovi come soldato regolare piemontese nel Reggimento Cavalleggeri di Novara. Terminata la campagna militare fece ritorno a Firenze, occupandosi di critica teatrale. Invitato dal Ministero della Pubblica Istruzione a far parte della redazione di un dizionario di lingua parlata, il “Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze”, si impegnò con slancio e  passione in questa nuova impresa culturale. Il suo approccio al mondo delle favole iniziò all’alba dei cinquant’anni quando ricevette dall’editore Paggi il compito di tradurre le fiabe francesi più famose. Collodi non si limitò ad una pura e semplice opera di traduzione, effettuando anche l’adattamento dei testi integrandovi una morale. Un lavoro di grande interesse che venne poi pubblicato sotto il titolo I racconti delle fate. Nel 1877 apparve Giannettino, il primo di una lunga serie di testi per l’educazione dei più giovani che spaziavano dalla geografia alla grammatica e all’aritmetica .

Questa serie di libri faceva parte della Biblioteca Scolastica dell’editore Felice Paggi: un libro era venduto a due lire e, se era legato in tela con placca a oro, il prezzo saliva a tre. Sia questa serie che il successivo Minuzzolo anticiparono di fatto la nascita di Pinocchio. Il 7 luglio 1881, sul primo numero del periodico per l’infanzia Giornale per i bambini (praticamente l’archetipo dei periodici italiani per ragazzi) uscì la prima puntata de Le avventure di Pinocchio con il titolo Storia di un burattino. Due anni dopo, raccolte in volume e arricchite dalle illustrazioni di Enrico Mozzanti, le vicende del burattino che voleva diventare un bambino in carne e ossa vennero pubblicate quasi in contemporanea con la sua nomina a direttore del periodico che ne aveva anticipato il testo. Carlo Lorenzini, ormai per tutti Collodi, morì a Firenze nel 1890 dove riposa nel cimitero delle Porte Sante. Pinocchio, nonostante abbia compiuto il suo 140° compleanno, è ben vivo e vegeto: pubblicato in 187 edizioni, tradotto in 260 lingue o dialetti, protagonista di film, cartoni animati e sceneggiati, riprodotto in mille maniere. In molti hanno provato a catalogarne significati e morali per spiegarne l’incredibile longevità e freschezza. Per Italo Calvino Pinocchio è stato l’unico vero protagonista picaresco della letteratura italiana, proposto in forma fantastica; le sue avventure rocambolesche, a volte scanzonate, a tratti drammatiche, rimandano alla letteratura di genere che ebbe origine in Spagna con  Lazarillo de Tormes e il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, l’opera che segnò la nascita del moderno romanzo europeo.

A noi che lo incontrammo da piccoli e che imparammo ad amarlo piace pensarlo all’Osteria del Gambero Rosso, seduto in compagnia del Gatto e della Volpe, mentre fugge con Lucignolo nel paese dei Balocchi e finisce per trasformarsi, dopo cinque mesi di cuccagna, in un asinello. Mastro Ciliegia, Geppetto, il Grillo Parlante, Mangiafuoco e la Fata Turchina lo accompagnano fin quando smette di essere un burattino e diventa un ragazzo in carne ed ossa. Pinocchio è ben più che un libro per bambini perché ci aiuta a non perdere il contatto con la fantasia, nutrendo la creatività. Come ricordava Gianni Rodari, non vi è nulla di più sbagliato che etichettare la fantasia come “roba da bambini”; al contrario, dovremmo accoglierla, svilupparla ed utilizzarla per conoscerci e vivere meglio.

Marco Travaglini

La rassegna dei libri del mese

Il Libro del Mese – La Scelta dei Lettori

 

Il più discusso tra i titoli presenti sul nostro gruppo FB visto quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza non poteva che essere Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina, di Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per il territorio palestinese, ora sanzionata dal governo americano ma anche proposta per il Premio Nobel per la Pace

 

Settembre, tempo di letture: che siate già tornati alla quotidianità della vita lavorativa o siate appena andati in vacanza, un buon libro non può mancarvi e, allora, ecco qualche consiglio per scegliere la prossima lettura.

E’ già uscito in Italia Il Tempo Degli Eroi (Nord, 2025) nuovo atteso thriller storico di Frank Schatzing che ci riporta nell’Inghilterra del secolo XIII.

 

Per chi ama il melodramma, Garzanti ha da poco pubblicato Il Loggionista Impenitente, guida  all’ascolto dell’opera lirica di Alberto Mattioli.

 

Torna in libreria Ann Tyler con Tre Giorni Di Giugno (Guanda, 2025) la storia di un nuovo inizio per chi ama i romanzi dall’umorismo velato di malinconia.

 

 

Consigli per gli acquisti

 Questa è la rubrica nella quale diamo spazio agli scrittori emergenti, agli editori indipendenti e ai prodotti editoriali che rimangono fuori dal circuito della grande distribuzione.

Asimmetrie Dei Giorni Pari (Bertoni, 2025) è il nuovo romanzo di Valentina di Ludovico (Comuni-CareLa Vertigine Del Tutto) un romanzo che fa sentire lo scricchiolio dell’esistenza e apre una riflessione sulla salute mentale e la sua influenza sui ruoli che siamo chiamati a interpretare nella vita di tutti i giorni.

 

Una storia di rinascita che nasce dalla lotta contro una malattia rara e l’isolamento è Un Amico Invisibile (Bertoni, 2025) il nuovo romanzo di Gina Scanzani: un libro che tocca il cuore e dimostra come, anche nei momenti più bui, sia possibile trovare la luce.

 

 

Incontri con gli autori

Sul nostro sito potete leggere le interviste agli scrittori del momento: questo mese abbiamo incontrato: Elisabetta Flumeri e Gabriella Giacometti e abbiamo discusso del loro recente romanzo, Nessun Perdono (Guanda, 2025) che inaugura una nuova serie di gialli.

 

Alice Bassoli ci parla, invece de Le Streghe Non Dormono (Corbaccio, 2025), il suo nuovo romanzo che appartiene al genere, tutto italiano, del  “gotico rurale”.

 

Infine, Gian Marco Griffi ha pubblicato un romanzo di tipo introspettivo, Digressione (Einaudi, 2025) e ce lo ha presentato in un’intensa chiacchierata.

 

 

 

Per rimanere aggiornati su novità e curiosità dal mondo dei libri, venite a trovarci sul sito www.ilpassaparoladeilibri.it

Le terre blu di Nico Orengo

Vengo da un paese di mare; un paese che si confonde e affonda in quel giardino”. Con queste parole lo scrittore Nico Orengo si presentava nel suo racconto Terre blu.

Quel giardino” dove si sentiva a casa erano i Giardini Botanici Hanbury che si distendono dal promontorio della  Mortola verso il mare di Ventimiglia, a pochi chilometri dal confine francese. Diciotto ettari sull’estrema punta del Ponente ligure al quale dedicò la sua opera letteraria, ambientando racconti e poesie. Un gioiello naturalistico prezioso, uno dei giardini di acclimatazione più belli e preziosi d’Europa e dell’intero bacino mediterraneo. Orengo raccontava che sono blu le terre della Liguria quando fioriscono i carciofi, quando il mare “rimbalza il suo colore sotto i pini, quando si alza il fumo degli sterpi sulle fasce, quando la campanula buca i rovi e quando la bungavillea e il glicine sui muri incontrano il tramonto”. In questo modo il blu si imprime indelebilmente nella memoria, trasformandosi nel colore del ricordo e della terra. Quella terra “aspra e dolce della Liguria di Ponente che da Imperia a Ponte San Luigi corre anguillesca sul mare e su, verso l’interno di paesi d’incanto, umidi e solari”. Con Terre blu Nico Orengo raccontava una geografia sospesa tra la realtà e l’immaginazione come può essere solo quella di “un viaggiatore che ritorna sui suoi passi per constatare che c’è un albero in più e una pietra in meno, che il pollaio è una villetta, o che quel tal orto si è fatto casa”. Alla terra di confine dove ambientò quasi tutti i suoi romanzi Nico Orengo rimase sempre legatissimo. La sua Liguria non era solo uno spazio naturale pieno di odori e colori, suggestioni straordinarie sospese tra il blu del mare e i colori forti dell’entroterra  ma anche un luogo della memoria, degli anni della giovinezza e dell’adolescenza. Un mondo intero dove si intrecciavano indimenticabili ricordi che rievocò nei suoi romanzi (Dogana d’amore, Il salto dell’acciugaLe rose d’EvitaLa guerra del basilicoRibesLa curva del latte) con la sua scrittura lieve e ironica. Nel suo penultimo romanzo, Hotel Angleterre, accompagnò i lettori in un viaggio della memoria rimescolando ricordi, rievocando la figura della nonna paterna, la contessa Valentina Tallevitch, che, nelle fredde sere invernali, mentre gettava bucce di mandarino nel fuoco acceso nel camino, narrava ai nipoti vecchie storie della nobiltà russa in Costa Azzurra e nella Riviera di Ponente, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Nell’ultimo, Islabonita, ambientato a metà degli anni Venti, usa l’espediente narrativo del bestiario e di una figura antropomorfica di anguilla voyeur, per raccontare un epoca che stava per lasciare una traccia dolorosa e indelebile sulla pelle della nazione. Spesso nei suoi libri riecheggia l’amarezza per il  tramonto della società contadina e il declino dei suoi umanissimi valori a scapito  del rapido imporsi del modello industriale e urbano che il boom economico avrebbe poi codificato nell’avvento della società dei consumi. E la natura e l’ambiente, entrambi da difendere e tutelare, rappresentano desideri che emergono in molti racconti come Gli spiccioli di Montale dove, in un tratto di mare al confine con la Francia, un uliveto che rischia di scomparire, provocando uno strappo violento nella memoria, quasi come se un ricordo venisse rubato. Ci restano in eredità i suoi versi, le filastrocche ( A-ulì-ulè ) , i racconti, le battaglie contro la speculazione edilizia e per la salvaguardia dell’ambiente e delle tradizioni culturali, il bellissimo ritratto delle langhe fissato nelle pagine del romanzo Di viole e liquirizia. Nico Orengo morì a Torino, nella mattinata di sabato 30 maggio 2009, all’ospedale delle Molinette dove era stato ricoverato dopo una crisi cardiaca. Aveva 65 anni. Al capoluogo piemontese ( vi era nato il 24 febbraio del 1944)  era legato per l’intensa collaborazione con Einaudi e la lunga direzione di Tuttolibri, il settimanale letterario de  La Stampa, quotidiano per cui scriveva. Non casualmente scelse come ultima e definitiva dimora il piccolo cimitero dei Ciotti tra La Mortola e Grimaldi, aggrappato alla roccia e affacciato sul mare blu cobalto. Come scrisse lui stesso nell’agosto  del 2000, lo scenario non poteva che essere quello di “ una Liguria favolosa di sapori, fico polveroso e gelsomino stordente, di buganvillea e cappero, di garofano, calendula e rose, mirto e rosmarino”Un buon modo di ricordarlo è quello di leggere le sue opere magari accompagnandone il piacere con un buon bicchiere di vino, preferibilmente rossese o vermentino, secondo le antiche ricette della cucina ligure.

Marco Travaglini

La ragazza dei lupi

La mia vita selvaggia fra i lupi italiani

Molto interessante il saggio di Mia Canestrini, giovane ‘lupologa’ italiana, sia per professione, che per indole personale.

In un non lunghissimo testo, con il tratto veloce e conciso di chi sa comunicare, c’è tutto sulla sua vita, il contatto con la natura e un’infanzia passata in un paradiso ambientale come l’appennino tosco-emiliano.

E’ un’esistenza già segnata dalla sua infanzia, anni verdi con le orecchie già accarezzate da storie di lupi, avvistamenti, pericoli, leggende, paura e fascinazione. Si tratta di tratti ancora infantili e in seguito adolescenziali, che tracceranno però solchi profondi sulla sua vita di adulta.

Nel volume c’è infatti molto sulla vita di una ragazza intelligente, avventurosa, colta e capace, quanto della realtà di un animale immaginifico come il lupo, da sempre lontano e vicino di vita con noi umani, con le sue realtà e le fantasie sulla sua supposta ferocia.

Iscritta alla facoltà di Scienze Naturali e poi specializzata in Conservazione della biodiversità animale, Mia passa oltre dieci anni principalmente nel Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-emiliano con il ruolo di Tecnico per i progetti LIFE dell’Unione Europea, la salvaguardia dei lupi e loro coesistenza con le persone che vivono su alpi e appennini.

Con il coinvolgimento emotivo di un romanzo, viene tracciata la sua vita operativa in mezzo a boschi e montagne, seguendo gli spostamenti dei branchi, ricercando resti escrementizi dei lupi da gestire in laboratori attrezzati per mapparne alimentazione, età e malattie; e poi cuccioli da salvare, adulti da curare, verifiche sui danni da predazione.

Con minuziosità, il libro della Canestrini pubblica foto sulle tante fototrappole posizionate sui passaggi di esemplari solitari e branchi, commentando gli appostamenti di volontari e del personale addetto, gli incontri con pastori (spesso vittime economiche delle predazioni) e le operazioni congiunte con i Carabinieri Verdi, verifiche sui resti di razzie su animali domestici, in un ritmo di scrittura affascinante e per niente cattedratico.

Questo libro interessa poi un pubblico non solo residente nei luoghi citati dal libro. Infatti i branchi, inizialmente partiti da est, oltre che scendere sull’appennino, si sono moltiplicati e spostati – lentamente ma progressivamente – verso occidente, arrivando in Val di Susa, Chisone, e la vicina Francia alpina.

Il lupo assurge sempre di più, perciò, a presenza nuovamente globale.

Dietro questi dati statistici, soggiace inoltre la parte più filosofica e archetipica della figura di questo meraviglioso animale (per l’autrice, di un sacro valore esistenziale), da noi temuto, spesso amato, sempre rispettato.

Sono, queste, pagine fitte di incontri e collaborazioni entusiasmanti con le tante persone che hanno interagito con l’autrice per lunghi anni, fino a che .. come in una moderna fiaba, i lupi le hanno fatto trovare l’amore.

FERRUCCIO CAPRA QUARELLI

Mia Canestrini, LA RAGAZZA DEI LUPI, La mia vita selvaggia tra i lupi italiani, Piemme editore, 220 pagine