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Salvatore Seguenzia: “Le parole devono vivere”

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LE PAROLE OFFRONO SEMPRE UNA SECONDA OPPORTUNITÀ’; VIVERE E’ LA COSA PIU’ RARA CHE ESISTA AL MONDO

Nuova opera letteraria dello scrittore siciliano Salvatore Seguenzia natio di Augusta, città che lui stesso definisce “l’isola nell’Isola”. Sposato, padre di due figli, ha conseguito due lauree e da oltre trent’anni è un Ispettore della Guardia di Finanza. Da un paio d’anni la sua terra natia, posta al centro del meraviglioso ed affascinante Mediterraneo, inebriata dal calore dell’Etna, è diventata la fonte ispiratrice della sua lirica nonché della sua narrativa. Questa qualità, da qualche anno, è apprezzata dalla Casa Editrice Aletti Editore la quale gli ha permesso di pubblicare la sua terza opera letteraria. Salvatore Seguenzia da quasi dieci anni ha sposato la poesia e la scrittura attraverso le quali vuol trasmettere nuovi stimoli che inevitabilmente cambiano, si evolvono e – a volte – tornano indietro per poi scattare nuovamente avanti. Per lui le fondamenta del narrare sono la custodia delle radici, il senso di appartenenza a un territorio, la memoria storica dialettale. Una cornice dentro la quale dipingere tutti questi elementi identitari e costitutivi a tal punto da esternare quelle parole che fotografano prima l’uomo Seguenzia e poi lo scrittore Salvatore. Lo stesso autore afferma che ogni mattina, prima di recarsi al lavoro, fa un tragitto che lo porta a contatto con il suo amato mare e, come si conviene con un amico, lo accoglie sempre con la frase: “Buongiorno mare”. Una piccola sciccheria attraverso la quale avverte, contraddistingue e custodisce il vero senso della vita; il fulcro dell’umano villaggio dove lo sguardo è propenso verso i meno fortunati che spesso chiedono solo di essere considerati per ciò che sono.

 

Per non smentirsi, la nuova opera letteraria – Le parole devono vivere – altro non è che una “fantasia nella fantasia” dove l’attenzione è rivolta nel ricordare tutti coloro in cui, in quel frangente della loro vita, il ricordo rimarrà – per sempre – indelebile, purtroppo, nei loro cuori: la Shoah. Termine oramai coniato all’interno di una storia di antisemitismo di lungo corso. Pregiudizi ed ostilità coltivate in un terreno antico e verosimilmente fertile da cui lo stereotipo uomo sassone ha voluto aggiungere una impostazione razzista. Fu un genocidio che eliminò un elevato valore umano, morale, sociale e culturale: per non dimenticare ci furono quattordici milioni di vittime. Il loro valore umano, considerato indesiderabile, fu misurato all’interno del loro ultimo domicilio ossia nei cosiddetti campi di concentramento, dove fu annientata la loro indole civile e morale e furono etichettati, numericamente, come i “nessuno”. A distanza di tanti anni, ancora oggi, la domanda che si diffonde sempre nella mente di tante persone è sempre composta da una singola e semplice parola: perché? Perché tutto questo astio nei confronti di Persone che nelle loro vene circolava lo stesso sangue di ognuno di noi? Perché per la difesa territoriale fu attuata una tale ferocia? Perché eliminarli e non allontanarli? Perché una follia così forte? Perché si arrivò tardi a capire che il fautore di questo messaggio era un delirante dell’eterno? Perché alcuni Paesi si vollero considerare estranei nelle vicende di quella sovranità e, invece, altri si considerarono fautori e seguaci di quella pseudo-politica? Perché ad un despota fu concesso il libero arbitrio di cancellare la storia di un Popolo?

Perché fu concesso il potere di cancellare un valore culturale arcano? Ancora, dopo tanti anni, si sente origliare…perché? Con questa “fantasia” lo scrittore Seguenzia ha cercato di provare ad immaginare che, in quel periodo tragicamente storico, anche chi faceva parte di quelle squadre della morte, all’interno di quelle aree maledette, avesse un’anima nonché una coscienza e che il suo compito, purtroppo, fosse solo quello di eseguire gli ordini. Ha provato ad immaginare, infatti, che taluni di essi riuscissero a capire il significato dei termini vita, amore, uguaglianza, aiuto e sacrificio tanto da servire, chi sovra ordinava i loro compiti, con una doppia personalità ossia da un lato soldato e dall’altro essere umano. Con questa “fantasia” ha voluto semplicemente fotografare una delle più piccole e nascoste azioni quotidiane che saranno, probabilmente, accadute all’interno di quei campi ma, per la maestosa ed incommensurabile disgrazia umana esistita, non è stato mai facile esternare in quanto la straziante vita giornaliera non permetteva di porle in essere. È fiducioso nel credere che alcuni soldati svolgessero le loro azioni solo perché comandati ma, nei loro animi, se ci fosse stata l’occasione, avrebbero potuto aiutare i loro simili che, per un fanatico convinto dell’essere unico, sono stati considerati i “nessuno”. Lo stesso scrittore ribadisce fermamente che non deve esistere nessuna differenza tra gli esseri umani e, per tale motivo, ha immaginato che dentro quei campi chi ha dovuto servire il suo status da “milite”, senza farlo trasparire, fosse stato prima un uomo e poi un soldato. Un popolo dev’essere sovrano nel suo territorio e chi lo rappresenta deve avere un animo democratico tale da comunicarlo ed applicarlo. Indi, precisa, che il 27 gennaio, il 10 febbraio e il 24 marzo non devono essere ricordati – da tutti – come la commemorazione del Giorno della Memoria o del Ricordo, ma ogni giorno dell’anno deve avere come riferimento quelle date, affinché ogni momento della vita sia il punto di partenza con cui ognuno di noi ha la forza di reagire e porre in essere comportamenti ed azioni tali da sconfiggere queste supreme menti per dimostrare che l’essere umano è unico e, nella sua unicità, deve apprezzare e godere del fatto che l’esistere è un dato di fatto; mentre, il vivere è un dato di diritto se non un’arte. Oggi, quei “nessuno”, a distanza di oltre mezzo secolo, sono Eroi morali che hanno portato avanti la dignità di essere umani come tali e difeso la vita solo con le armi della pazienza, della preghiera e, soprattutto, della voglia di vivere.

Per questo motivo il numero che hanno impresso nell’avambraccio sinistro non è un simbolo di vergogna anzi, senza alcuna remora di nasconderlo, un simbolo eroico e glorioso di vita, che devono esibire perché non sono in molti a far vivere questa testimonianza ai giovani di oggi. L’anima di questa “fantasia” è frutto dell’interpretazione di un diario ritrovato (sempre nella fantasia) ed appartenente ad un Eroe. Dalla lettura dello stesso, lo scrittore siculo ha cercato di interpretare, quindi di far “vivere” in modo diretto e soggettivo, le “parole” di tutti i personaggi che sono stati artefici e partecipi nelle memorie inscritte nel medesimo diario i quali hanno vissuto – in quei posti – ogni attimo di quei giorni. Purtroppo per costoro saranno ricordi indelebili – per sempre – nel profondo della loro anima, in quanto testimoni di queste tristi pagine di storia ma saranno, sicuramente, testimoni della dignità volutamente e fortemente difesa per il fondamentale principio di essere umano; quindi, per il diritto di vivere. Proprio per questo motivo, alla stregua dell’orribile momento storico vissuto da parte di milioni di anime innocenti, lo stesso Seguenzia  ha voluto, nuovamente, enfatizzare che nessuno deve porre ostacoli a qualcuno e che neanche quel qualcuno li ponga verso noi stessi; e non importa quale sia la nostra territorialità, la nostra razza, il nostro colore della pelle ma soprattutto la nostra religione, perché ognuno di noi dev’essere prodigato a offrire a qualcuno, se non a chiunque, quanto di se stesso può donare; il donare da non misurare con un livello “a scala”, bensì con un livello “a valore”: un valore umano semplice, sano e sincero.

L’essenza del creato è esistente dentro ognuno di noi e va vissuta a secondo il modo in cui ci poniamo verso gli altri e viceversa. Sotterfugi, misteri, inganni, stratagemmi sono dei princìpi umani dall’alto tasso di acidità perché, così facendo, ogni individuo dona falsità ad ogni altro individuo. Invero, saggezza, trasparenza, lealtà, sincerità ed onestà sono valori dall’alto tasso di fertilità che aiutano ad interagire e, così facendo, ogni persona dona se stessa ad ogni altra persona. Per scrivere questa “fantasia”, a difesa del vissuto umano del Popolo Ebreo, ha utilizzato delle peculiarità che, secondo lui stesso, hanno impreziosito il valore letterario. Non si permette di condannare ma, alla stregua, neanche vuole riconoscere il comportamento di quei soldati posti alle dipendenze perché ha pensato che loro fossero obbligati a rispettare i cosiddetti ordini militari e, quindi, non avessero altra scelta se non obbedire: il giudizio del loro comportamento non spetta a noi ma è spettato e continuerà a spettare a Dio. Proprio per questo suo punto di vista la sua “fantasia” è nata solo perché ha immaginato che taluni di essi, nel loro piccolo animo coraggioso, avessero avuto la forza e la volontà di avere due personalità e, alla fine, fosse prevalsa quella con cui infondevano speranza di vita. Inoltre ha cercato di dare anche un senso ai vari cognomi che appartengono ai personaggi di questa “fantasia” e, se provate a tradurli, capirete il motivo. Infine, considera questa fantasia un segnale sociale, affinché tutti possiamo cambiare il nostro modo di essere o meglio di dare; per questo principio, ha desiderato ribadire un pensiero già richiamato nella stessa fantasia: …colui che vuol deridere e disprezzare le azioni umane altrui è un individuo già, di per sé, inferiore ma crede, nello stesso momento, di essere superiore alle persone…

In conclusione ad oggi l’autore siciliano ha scritto altri libri di poesia quali “Megar…imando Hyblaea” (2020) in onore della sua città nativa Augusta; “Stille del mio silere” (2022) e “Granuli Poetici” (2023), opera riprodotta in lingua georgiana (che ha avuto  apprezzamenti dal Poeta georgiano Dato Magradze, autore dell’attuale inno nazionale della Georgia e anni addietro ha rivestito la carica di Ministro della Cultura ed è stato candidato al premio Nobel per la Letteratura), nonché di narrativa quali “Io rivivo dal buio” (2021) e “Il calendario storico” (2022). Inoltre, talune poesie sono state inserite in varie opere letterarie internazionali come “Il Federiciano”, “Luci Sparse”, “La Panchina dei Versi”, “Il Paese della Poesia”, “L’Enciclopedia dei Poeti Contemporanei”, “Habere Artem”, “Poeti del nuovo Millennio”, “Salvatore Quasimodo”, “Attimi in Versi” e “Penne d’Autore”. Tutte opere che hanno avuto riconoscimenti e attestazioni di merito. Inoltre da alcuni anni, grazie alla Casa Editrice Aletti, pubblica le sue poesie anche attraverso “Il Calendario Letterario” dove, in ogni mese dell’anno, è rappresentata una sua lirica. Molte sue poesie sono state lette dal Maestro Alessandro Quasimodo, figlio del grande poeta e suo conterraneo Salvatore, premio Nobel nel 1959 per la letteratura; nonché dal Prof. Hafez Haidar scrittore e traduttore libanese naturalizzato italiano e due volte candidato al Premio Nobel per la Pace e per la letteratura, riprodotte sui canali virtuali. Infine lo scrittore è stato già ospite televisivo nelle trasmissioni “Vox libri” e “Eccellenze Italiane” ed è tra i vincitori in alcuni concorsi letterari nazionali quali “Terre dei Padri” e “Antonino Veneziano”.

Alessandro Baricco: “Abel”, come un western metafisico

Ti prende dall’incipit e ti porta rapidamente al fuoco della narrazione. L’ ultimo romanzo di Alessandro Baricco è in qualche modo una novella zen, in salsa western ( Abel, Feltrinelli, i narratori 2023 €.17, pagg. 146). L’ “autobiografia morale” dello scrittore torinese. Un ‘western metafisico’ si dichiara nel sottotitolo. La ricerca del significato dell’ esperienza del dolore e, leggi malattia, è palese nel testo. Delle molte facce che può assumere ai nostri occhi, solitudine, catarsi addirittura epica e intreccio avventuroso. Ma sempre alla ricerca del senso, di un senso che fa appello al lettore come in Calvino. Senso  attribuito, interpretazione. Baricco ci insegna che il romanzo può dire tantissimo, in poche pagine, se vuole ottenere la profondità. Nel tempo filmico il re è Woody Allen, che manda mai oltre i 90′ le sue pellicole. Già il genere western fu rivisitato da Baricco, con il magnifico “Smith & Wesson” un testo prevalentemente dialogico. Quest’ultimo chiaramente intimista, freudiano, a suo modo buddista. Il romanzo descrive un West crepuscolare e post moderno. Perché il western è il più moderno dei generi. Classico perché ci parla di un passato lontano e in qualche modo epico, moderno perché raccontato in un presente assoluto. Tanto da essere stato esautorato, dal cinema americano stesso. Scomparso. Troppo storico, troppo ‘lo ieri americano’. E’riemerso in Tarantino, fuori dai suoi stilemi.

“Prendete un fatto “isolatelo” tutto ciò che rimane della realtà è narrazione”, ha detto recentemente lo scrittore torinese intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”. Così è Abel. Un testo che ha preso all’autore anni, nella stesura. Ricca la ricerca bibliografica, cui ha attinto. Testimoniata dalle note in calce. Scrivere il western basato in prevalenza sull’immaginario visivo, è un pó “narrare un quadro” come l’autore ha anche fatto alcuni fa in un suo saggio-racconto ( Mr. Gwin, Feltrinelli,  2011). Ma è anche sempre il West del bonelliano Tex e dei suoi pards, di Lilith.

Il West di Wim Wenders in “Paris Texas” dei grandi spazi, delle cavalcate, dei silenzi, dei canyons, dei saloon, del fango, del sudore, del destino, delle chitarre di Ry Cooder, della sensualità di Nastassja Kinsky. Allora il West commuove. Ci vedi dentro Torino e i ricordi di quando eri bambino e poi giovane adulto, che aspettavi all’edicola l’uscita dell’ultimo albo di Tex, allora disegnato da Aurelio Galeppini (Galep). Che concludeva la storia, iniziata nel numero precedente, come in un fuilleton. Lo si aspettava come la partita del Toro la domenica, perché il Western è granata, è sempre “tutto una storia in salita”. Sanguigno, popolare, passionale. Marlon Brando riaprì il genere ‘scomparso’ dalle sale nei settanta con “Missouri”, poi il West sociale del “Piccolo grande uomo”. Oggi Alessandro Baricco, dal calamo. Formidabile.

Aldo Colonna

Libri per San Valentino: “Quello che il cuore non vuole sentire”

La storia di un amore vero, puro, commovente nel primo romanzo di Alberto Mossotto

Tutti abbiamo desideri nascosti, tutti abbiamo avuto paura o sofferto per qualcosa, tutti desideriamo essere felici. Max era presuntuoso, orgoglioso, a volte anche arrogante. Voleva e pensava di avere sempre tutto sotto controllo, almeno sino al momento in cui la vita si mise di traverso. L’universo disse basta, il cuore uscì prorompente a dire la sua, spazzò via la ragione, il controllo, tutto”.

Quello che il cuore non vuole sentire, romanzo di esordio di Alberto Mossotto, è la storia di un cuore in viaggio, la storia di come Max – il protagonista – ha imparato, inconsapevolmente, ad ascoltare il suo cuore, a trasformare le energie, le occasioni, le emozioni in opportunità, in scelte, in tasselli invisibili, creando un filo conduttore che lo ha portato a essere quello che è ora e a intraprendere questo viaggio di rinascita fuori e dentro di lui….

Il romanzo di esordio di Alberto Mossotto, in parte autobiografico è, come rivela l’autore, un viaggio. La scrittura una medicina, una via terapeutica alla ricerca di sé, dei valori autentici della vita oltre che del giusto rapporto con le persone che ci circondano.

Mi sono sempre dedicato anima e corpo al lavoro – racconta Mossotto -, per 25 anni non ho mai mollato un attimo. Passione ed emozioni, queste le due parole che mi hanno sempre contraddistinto. La curiosità, la creatività e ovviamente anche l’ambizione mi hanno sempre guidato. Un percorso lavorativo incredibilmente bello che mi ha dato l’opportunità di crescere ed imparare. Ero felice. Poi tutto è cambiato, sono approdato a situazioni diverse, ove le persone e le passioni non erano più importanti, contava solo ed esclusivamente il fatturato a tutti i costi e con ogni mezzo”.

Questo cambio di prospettiva accende in Alberto Mossotto, alias Max, domande che trovano una chiara risposta, la strada della scrittura. “Mi sono chiesto – prosegue l’autore – cosa mi avrebbe restituito la felicità. Scrivere è stata la risposta. Nella mia vita ho scritto migliaia di post, di articoli, di interviste, blog…ma non avevo mai pensato a scrivere un libro. Ad agosto mi sono immerso anima e cuore nella stesura di un libro, e sottolineo stesura, non scrittura, o forse anche meglio ‘emozioni su carta’. È stata la cosa più bella ed emozionante che abbia mai fatto. Una bolla, un mondo mio, un magico e strepitoso esperimento. Scrivevo tutto il giorno, spesso anche la sera, ed ero felice, spesso mi scendevano le lacrime…”.

Nel leggere questo libro, molti lettori troveranno similitudini con l’esperienza di Alberto, perché come conclude l’autore: “Questa esperienza mi ha fatto riflettere molto su quanto non pensiamo a ciò che ci rende davvero felici, presi come siamo dal lavoro, lasciamo da parte noi stessi, i nostri desideri, le nostre passioni, la nostra felicità che difficilmente troveremo se non ci chiediamo cosa davvero ci rende felici!”.

Alberto Mossotto nasce a Torino nel 1971. Papà di Bianca, il suo grande amore, la sua amica, la sua confidente. Studia Psicologia ma abbandona poco prima del traguardo. Una brillante carriera nel settore Commerciale e Marketing, ma da sempre alla ricerca di ciò che lo rende felice.

Quello che il cuore non vuole sentire Casa editrice Youcanprint

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di Alessandro Sartore

“Incipit Offresi” a Moncalieri

 

Sarà alla “Biblioteca Civica” di Moncalieri, la nuova tappa del primo “talent letterario” per aspiranti scrittori

 Giovedì 8 febbraio, ore 18

Moncalieri (Torino)

Ideato e promosso dalla “Fondazione ECM – Biblioteca Archimede” di Settimo Torinese, in sinergia con Regione Piemonte, “Incipit Offresi” – in tempi di “talent”, il primo a carattere “letterario” dedicato agli aspiranti scrittori – farà tappa, il prossimo giovedì 8 febbraio (ore 18), nell’ambito della sua nona edizione, presso la “Biblioteca Civica” di piazza Vittorio Emanuele II, a Moncalieri (Torino). A presentare l’appuntamento sarà l’attrice, autrice e comica Giorgia Goldini del “Teatro della Caduta” di Torino.

Novità di questa edizione: la vincitrice o il vincitore di tappa si aggiudicherà un buono libri del valore di 50 euro.

Format a tappe, la sfida si gioca, da programma, “a colpi di incipit” all’interno di biblioteche e luoghi di cultura, ma anche attraverso gare di scrittura e letture animate nei mercati.

L’obiettivo non è premiare il romanzo inedito migliore, ma “scovare nuovi talenti”. In otto anni “Incipit Offresi” ha scoperto più di 60 nuovi autori, pubblicato 70 libri e coinvolto più di 10mila persone, 30 case editrici e più di 50 biblioteche e centri culturali.

I partecipanti, in una sfida “uno contro uno”, avranno 60 secondi di tempo per leggere il proprio “incipit” o “raccontare il proprio libro”. Il/la concorrente che, secondo il giudizio del pubblico in sala, avrà ottenuto più voti, passerà alla fase successiva, dove avrà ancora 30 secondi di tempo per la lettura del proprio “incipit” prima del giudizio della giuria tecnica che assegnerà un voto da 0 a 10.

Una volta designato il/la vincitore/trice di tappa, si aprirà il voto del pubblico per il secondo classificato. Chi otterrà più voti potrà partecipare alla “gara di ballottaggio”. I primi classificati di ogni tappa e gli eventuali ripescaggi potranno accedere alle semifinaliper giocarsi la possibilità di approdare alla finale, in programma a giugno 2024.

I concorrenti primo e secondo classificatoriceveranno rispettivamente un premio in denaro di 1.500 e 750 euro; saranno inoltre messi in palio, fra tutti i partecipanti alla finale, il “Premio Italo Calvino”, “Indice dei Libri del Mese”, “Golem”, “Leone Verde”, “Circolo dei Lettori” ed eventuali altri premi assegnati dagli editori.

La partecipazione a “Incipit Offresi” ègratuita e aperta agli scrittori, esordienti e non, maggiorenni e di tutte le nazionalità.

I candidati dovranno presentare le prime righedella propria opera: l’“incipit”, appunto, per un massimo di mille battute con le quali catturare l’attenzione dei lettori e una descrizione dei contenuti dell’opera (max 1.800 battute).

L’“incipit” deve essere inedito (le opere autopubblicate sono parificate alle inedite poiché prive di regolare distribuzione). La gara si svolgerà in lingua italiana. La possibilità di partecipare alle tappe è garantita fino ad esaurimento dei posti disponibili.

Il “Premio Incipit” e il “campionato” sono dedicati alla memoria di Eugenio Pintore (Bonorva- Ss, 1956 – Gassino-To, 2019), uno dei massimi bibliofili e cultori dell’“arte bibliotecaria”, già direttore della Biblioteca di Settimo Torinese, dal 2003 dirigente della “Regione Piemonte” con l’incarico di riorganizzare tutta la rete dei sistemi bibliotecari e di dare avvio al “Sistema Bibliotecario Area Metropolitana” di Torino (con la partecipazione di circa settanta Comuni della prima e della seconda cintura torinese), fino al 2008 quando assunse l’incarico di Dirigente del “Settore Regionale Biblioteche, Archivi e Istituti Culturali”, con la responsabilità sul patrimonio archivistico, gli istituti della cultura e l’editoria. A lui si devono anche i progetti “Nati per leggere” e “Lingua Madre” ( introdotto al “Salone Internazionale del Libro” di Torino), nonché l’attuazione della “Legge per la Piccola Editoria piemontese”, tesa a favorire la promozione e la diffusione delle opere degli editori locali, anche attraverso il sostegno alle traduzioni e la loro partecipazione alle principali “Fiere nazionali” ed internazionali.

Per info: “Incipit Offresi”, tel. 339/5214819 o www.incipitoffresi

g.m.

Nelle foto: immagini di “tappe” precedenti e di Eugenio Pintore

 

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Simonetta Agnello Hornby “Era un bravo ragazzo” -Mondadori- euro 19,00

In questo romanzo la scrittrice siciliana torna alla sua terra natia e narra come due bravi ragazzi possono finire intrappolati nelle spire di Cosa Nostra. Santino e Giovanni sono ancora bambini, nella Sicilia degli anni Sessanta, quando insieme si arrampicano su una pianta di carrubo e sognano il futuro.

Due bravissimi “masculi” succubi delle madri ambiziose e forti, Cettina e Assunta, che li dirigono alla conquista delle mogli (sono loro a sceglierle per i figli) e del mondo. Due donne che la sorte ha pesantemente trafitto -una con il marito suicida, l’altra invece alcolizzato- fermamente decise a riversare sui figli la loro sete di rivalsa e realizzazione. Tutto sullo sfondo di una Sicilia tra anni Cinquanta e Novanta, sospesa tra terremoti e abusi edilizi, dove la frenesia di fare fortuna finisce spesso impigliata nella diretta affiliazione a Cosa nostra o comunque nella sua orbita.

Santino viene indirizzato al liceo scientifico e nei cantieri dove scopre la sua grande passione; matura un’esperienza nel settore e diventa abile faccendiere.

Giovanni va al liceo e all’università per costruirsi una carriera da avvocato. Il primo diventa il palazzinaro che cementifica il territorio di Agrigento; il secondo il legale delle cosche e di Santino.

Ed ecco come due bravi ragazzi scivolano su una strada sbagliata e irta di rischi. Tutto implode quando un inutile ponte -costruito da Santino senza le opportune misure di sicurezza- crolla e uccide 4 persone. E’ allora che i protettori si eclissano e la fortuna gira le spalle. Si rischia di pagare con la vita, come lo spregiudicato costruttore Peppe Giaele che finisce sepolto a viso in giù in una colata di cemento.

La storia prosegue e non vi anticipo il finale, solo una precisazione: quando il padre della Agnello Hornby morì, subito “certe persone” offrirono il loro «aiuto» alla madre della scrittrice che….ovviamente…disse no.

 

Gail Parent “Sheila Levine è morta e vive a New York” -Baldini+Castoldi- euro 20,00

La storia è di quelle che partono subito intriganti. Sheila Levin, 30enne, newyorkese, single suo malgrado, tira le somme di un bilancio di vita che volge in depressione. Non vede l’ora di farla finita, sta per suicidarsi e pianifica nei minimi dettagli la sua dipartita e persino il rito funebre col quale le sue spoglie mortali dovrebbero dare l’addio a questo mondo.

Va subito detto che l’autrice Gail Parent è una sceneggiatrice, produttrice e scrittrice americana che ha messo in campo questa eroina in un suo libro pubblicato in America nel 1972, tradotto in italiano solo ora. Il ritmo è scoppiettante, ironico, divertente, adatto a trasformarsi in un film. L’argomento è di quelli difficili, ma la bravura della Parent sta nel trattarlo in modo lieve.

Tornando alla protagonista, viene stritolata dalla delusione per come è andata la sua vita fino ai 30 anni, scopriamo le sue tante sfaccettature e gli episodi che più l’hanno segnata. Primo fra tutti il senso di colpa e di inadeguatezza al pensiero di come ha deluso le aspettative dei genitori e del mondo che la circonda.

Da lei si aspettavano bellezza, matrimonio, famiglia, lavoro di successo e tutto quello che ne sarebbe conseguito. A spingerla in tal senso è stata soprattutto la madre, che avrà un ruolo decisivo anche in vista del finale. I ripensamenti di Sheila valgono l’intero romanzo, oscillanti tra autoironia, discorsi esistenziali e dettagli tragicomici.

E sotto il ritmo scoppiettante un po’ alla Bridget Jones si cela, neanche tanto velatamente, la messa in discussione dei tanti luoghi comuni che condizionano le donne disperatamente alla ricerca di un futuro …che tanto pianificabile non lo è mai.

 

Alison Weir “Elisabetta di York” -Neri Pozza- euro 23,00

Alison Weir è la scrittrice inglese 72enne che tutto sa delle corti inglesi nei secoli, e ha pubblicato saggi e romanzi al riguardo, scritti sempre in un modo accattivante che non appesantisce mai il tema storico nel quale è documentatissima.

Dopo la serie di romanzi dedicati alle sei mogli di re Enrico VIII, questa volta racconta la vita di Elisabetta di York, nata nel 1466 e morta nel 1503. E’ la madre di Enrico VIII, “Harry”, secondo figlio maschio nato nel 1491dal suo matrimonio con Enrico VII Tudor.

Elisabetta viene al mondo quando da un decennio infuria la “Guerra delle due rose” che vede contrapposti i Lancaster e gli York.

Il primo casato è sul trono, mentre il secondo vanta la discendenza diretta dai Plantageneti e rivendica la sovranità. Elisabetta è l’ultima rosa bianca, regina quasi dimenticata che vive in uno dei periodi più difficili della storia inglese.

Primogenita di re Edoardo IV ed Elisabetta Wydeville, se non fosse stata una femmina sarebbe stata la prima sovrana a regnare nel Quattrocento, legittima erede della corona. Sorella di Edoardo V, nipote di re Riccardo III, moglie di Enrico VII, di fatto è l’antenata di tutti i sovrani che sono saliti sul trono inglese dal 1509, dei monarchi scozzesi dal 1513 e di ogni sovrano britannico dal 1603.

Quando ha appena 4 anni il padre viene deposto. Lei, le sorelle, la madre e la nonna si rifugiano in un santuario. Il romanzo scorre poi ripercorrendo 2 fasi della vita di Elisabetta di York.

La prima mette a fuoco i primi 15 anni di vita della giovane e dei suoi famigliari. Nel 1483 alla morte del padre, gli succede il figlio 13enne Edoardo V; ma vista la sua giovanissima età è lo zio Riccardo di Gloucester a diventare reggente.

La seconda invece è dedicata al periodo che segue la morte di Edoardo IV e l’ascesa al trono del fratello, storicamente chiamato “L’Usurpatore” re Riccardo III. Mira al trono ed è disposto a macchiarsi di qualsiasi infamia pur di salirvi; incluso eliminare i suoi nipoti.

Elisabetta viene travolta dalla storia. Promessa sposa al Delfino di Francia, a 17 anni quando sta per salire all’altare, una nuova alleanza politica provoca la morte del padre e fa sfumare il matrimonio. Figlia, sorella, nipote e madre di re, avrà una vita travagliata e avventurosa al centro di un feroce scontro storico.

Lei dimostrò coraggio, intelligenza, resilienza e grande abilità nel gestire situazioni pericolose e complicate; una tempra fuori dal comune che verrà ereditata dalla nipote Elisabetta I, ovvero una delle più grande regine della storia…non solo inglese.

 

Giorgina Siviero “Una passione smodata” – Allemandi- euro 28,00

Giorgina Siviero è la signora della moda torinese che quotidianamente ci diletta con i video su Instagram in cui dispensa pillole di esperienza e saggezza per valorizzare ogni tipologia di donna. Ha un innato buon gusto, competenza, sicurezza e un’idea precisa di come vestire al meglio le clienti di qualsiasi età, al di là delle mode del momento. Punta sulla qualità e la fattura dei capi, è paladina di uno stile intramontabile, non tende ad assecondare le donne che si vestono da lei, piuttosto in poche mosse ne corregge gli errori e le migliora. Sottolinea i loro punti di forza, occulta i difetti. Soprattutto non si fa problemi a dire quello che pensa.

La sua storia è di quelle uniche e preziose, sempre improntata alla ricerca del bello e a contatto con i più grandi stilisti.

Dopo aver lavorato in uno studio di architettura (strada tracciata più dalla sua famiglia che da lei) e un intermezzo a Parigi, è tornata nella sua città natale pensando alla direzione da prendere. Risponde a un annuncio in cui si cerca la responsabile di un negozio, e tutto ha inizio.

Scopre la passione per la moda e dal 1965 si affaccia al mondo dell’abbigliamento, sviluppando passo dopo passo una sua visione precisa. Nel 1973 apre nel salotto buono di Torino, il suo primo negozio “San Carlo”… da allora non si è più fermata.

Questo libro è la sua testimonianza, scritta durante il Covid, in cui raccoglie l’esperienza accumulata e rivela incontri, aneddoti, scommesse vinte e perse, retroscena della moda, emozioni e le fasi salienti della sua lunga vita. Tutto ammantato di grande ironia.

“Annus domini 2463” di Claudio Roberto Palmeri: un viaggio tra gli orrori, gli errori, gli eroi

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VIAGGIARE È COME SOGNARE, PRESI IN UN TURBINE DI FLASHBACKS E FLASHFORWARDS

ANNUS DOMINI 2463
Vuole raccontare una sfumatura del viaggio intrapreso dall’umanità, non solo nel significato primigenio del termine ma anche nel senso figurato. E’ quindi metafora di crescita personale, di sviluppo culturale, di conquista di autonomia, di raggiungimento della saggezza e di fede. Un viaggio tra gli orrori, gli errori, gli eroi.

“Quomodo fabula, sic vita: non quam diu, sed quam bene acta sit, refert”. Seneca

Come una commedia, così è la vita: non quanto è lunga, ma quanto bene è recitata, è ciò che importa. Questo secondo romanzo, edito da ECHOS GROUP Torino, vuole essere la prosecuzione della narrazione personale che l’autore vuole dare della vita. Alla finestra come Abel osserva gli accadimenti, trae dalle emozioni spunto per gettare su carta inchiostro nero come la pece, come opposto al bianco della pace che l’uomo ricerca malgrado sia più avvezzo alla guerra. Accortosi di questa distorsione che è insita nell’animo umano, cerca le sue soluzioni al falso equilibrio dello Yin e dello Yang. Non vi è armonia nell’equilibrio di queste forze, vi è solo una subdola accettazione dello Yang che altrimenti non avrebbe ragione d’esistere. Così questo è il racconto della storia di un umanoide: negli anni l’uomo più volte cercò di correggere l’errore che reputò colpa di Dio, l’autodeterminazione. La possibilità concessa da Dio all’uomo di scelta tra compiere il bene o il male. CRP.333ἄλφα è come altri il tentativo dell’uomo di rimediare all’errore divino. Un’intelligenza artificiale sottoposta a leggi della robotica che gli impediscano di compiere il male, relegando questo onore ed onere solo ad appannaggio del suo creatore, l’uomo. Ma CRP.333ἄλφα presto mette a frutto l’intelligenza di cui è fornito e inizia a studiare il suo creatore, inoltre inizia a porsi domande su chi creò il suo creatore. Scopre che Dio creò l’uomo a Sua immagine e somiglianza e l’uomo creò CRP.333ἄλφα a sua immagine e somiglianza. Questo fu l’abominio ultimo dell’uomo, quello di scimmiottare il suo creatore. “A che pro? Abel era un umanoide, una volgare macchina di fronte alla creatura di Dio. Chiese più volte a mamma Mela: “Perché ti ostini a parlarmi di Lui? Come dicevi io sono frutto di un abominio, che vi sarà mai tra me, un umanoide e Dio? Certo non ho alcuna ambizione, se mi chiedi dove è Dio, potrei risponderti: nel tuo parlare, nei tuoi occhi, non perché tu ne sia una sorta di sacerdotessa, piuttosto perché vivi di Cristo e della Sua Parola. A che pro annaffiare una pianta di plastica? Ma comprendo il desiderio quale sentimento atroce che mi logora. Potessi ambirei ad essere un uomo morto nel cuore e nell’intelletto, perché credo che il tuo Dio potrebbe risuscitarmi dai morti, ma io non vivo e non sono morto”.

 

L’autore
Claudio Roberto Palmeri è nato a Milano nel giugno del 1963. Autore di romanzi e poesie.


Cerca di trasformare in parole le emozioni che
nascono dalle immagini e dal flusso incessante
di notizie. Risiede in provincia di Milano, sposato
e padre di tre figli. Nella vita professionale è un
consulente aziendale freelance. Annovera tra le
sue precedenti pubblicazioni: Il Tempo che oggi
scorre – raccolta di poesie edita da Porto Seguro
Editore (Firenze). Le voci di via Margutta – vol.
IV° raccolta di poesie edita da Dantebus edizioni
(Roma). Fotoreporter La vita in un viaggio –
romanzo edito da Rossini Editore (Milano).

 

 

“A fiumi scorrono per convincere.
Parole come strategie, recitate come magie.
Parole come trappole, prepotenti come armi.
Parole bugiarde in un mondo bugiardo
han perso sincero sguardo,
risuonate in piazza dalla comunale Banda è solo propaganda.
Parole arruffate, gettate come dadi,
parole sprezzanti.
Parole incredule,
timide al vento come fiammelle di candele,
parole vere, bianche come vele.
Parole alla deriva dentro una bottiglia,
messaggi d’aiuto, di ultime speranze,
affidate ad un filo di voce che bisbiglia.
Parole nere come la notte,
nere sopra le righe come le note.
Parole antiche, scritte, parlate, parole recitate.
Parole leggere come il volo dei passeri”.
“Parole”         CRP

Ecco che, allora, tanto dalla tradizione che dal sentito dire, Claudio Roberto si schiera in prima fila nella lotta
alla guerra. La pace, infatti, può sgorgare tanto dalla Frisia quanto dalla Siberia, tanto dai testi sacri quanto
dalla letteratura, tanto dalle tragedie greche, quanto dai canti partigiani. Eppure, finche ci sarà un solo uomo
a chiedersi se “Il deserto fiorirà”, ci sarà la speranza – come canta Rino Gaetano – di poter vedere “nascere
un fiore nel nostro giardino”. Il grido del poeta è quello di chi vede i campi seminati di corpi umani, mentre
come De André di “La guerra di Piero” li vorrebbe vedere dorati e splendenti come “lucci argentati portati in
braccio dalla corrente”. Non esistono dunque prime o seconde guerre, perché esse sono sempre una
“Negazione dell’amore”. I versi di Claudio Roberto sono fatti cento parole come “Cento passi” non per
sfuggire dalle bombe, ma per avvicinarsi alla pace.

“… La guerra non è Prima, non è Seconda,
non è circoscritta, non è mondiale,
non è separatista, non è convenzionale,
la guerra non è mai santa, non ha onore.
La guerra è negazione dell’amore…
La guerra è un urlo di bambino, strappato gli è il sorriso,
la guerra è una falce cieca, strappato è il fiordaliso.
La guerra è fragore, coscienze gettate nel terrore.
La guerra non è stata mai insegnamento,
semmai ipocrita pretesto”.        CRP

W la Pace!
La tragedia di Eschilo, di Seneca, di Shakespeare;
la tragedia greca, francese, o quella inglese;
la tragedia del Cinquecento, la tragedia del Saul dell’Alfieri.
La tragedia del Novecento ed altre ancor rappresentate,
mai potranno raccontar dell’innocente,
le lunghe inedie imposte dalle guerre.
Inchiostro su carta mai potrà raccontar tragedia,
come un dito intinto nel sangue,
scrisse sui muri: “W la Pace”!     CRP

 

La storia dei Cavalieri Templari

Templari, ancora Templari. La mole di libri sui Cavalieri medioevali cresce sempre di più perché il fascino della ricerca templare consiste proprio nel non avere mai fine.

Ma di loro sappiamo proprio tutto? Faceva freddo quel mattino, lunedì 18 marzo 1314. Jacques de Molay, Gran Maestro dei Templari e Geoffrey de Charnay, precettore di Normandia, vengono condotti sul rogo e arsi vivi. Sulla Senna a Parigi, di fronte alla Cattedrale di Notre Dame, si spegne per sempre il sogno dei Templari. In realtà la loro rovina era già iniziata con una grande sconfitta militare a San Giovanni d’Acri nel 1291. I Mamelucchi, i nuovi padroni della Terra Santa, gettarono in mare gli ultimi crociati e uccisero i prigionieri feriti o troppo vecchi e le giovani donne furono violentate davanti a tutti. Era la fine dei cristiani in Palestina e di quel che restava del regno crociato. Ha un ritmo incalzante la saga dei Templari raccontata da Marco Salvador e Matteo Salvador nel libro “Storia dei Cavalieri Templari”, Edizioni Biblioteca dell’Immagine. Entrambi con la passione della ricerca storica ed esperti di strutture difensive, dai castelli medioevali alle fortificazioni degli ultimi conflitti mondiali, narrano le gesta dei Cavalieri tra vittorie sul campo e sconfitte, dai primi vagiti dell’Ordine del Tempio alla conquista musulmana di Acri passando per la disfatta di Hattin nel 1187, la perdita di Gerusalemme e la presenza di Federico II in Terra Santa. Ma il libro comincia dalla fine, dalla morte sul rogo degli ultimi templari. Gli ultimi giorni, le ultime ore di vita dei cavalieri del Tempio in forma di cronaca. “Fin dall’alba era stata proclamata a Parigi la sentenza di morte e l’ora dell’esecuzione. Una folla si era radunata sulla riva della Senna, la pira era pronta e il cancelliere iniziò a leggere ad alta voce la lunga lista delle accuse di eresia, di sodomia e di adorazione ma il popolo non pareva ascoltarlo e gridava qua e là “sono innocenti”. Finita la lettura, il cardinale si mise davanti al Gran Maestro dei Templari e chiese: “avete qualcosa da dire in vostra difesa?”. Jacques de Molay, l’ultimo Gran Maestro, non gli rispose ma si rivolse alla folla proclamando l’innocenza sua e di tutto l’Ordine. Li legarono al palo, il Gran Maestro chiese di recitare le preghiere e poi gridò: “ecco, ora sarò giustiziato e Dio sa quanto ingiustamente”. Dopo quelle parole si appiccò il fuoco alle fascine che avvolsero subito i due corpi.
Colpi di tosse e urla, poi nulla più”. Durante l’epoca delle Crociate l’Ordine del Tempio, nato nel 1118-1119 sulla spianata del Tempio a Gerusalemme, divenne l’organizzazione religiosa- militare più potente della Cristianità. Guerrieri e religiosi al tempo stesso, i Templari nacquero con il compito di difendere i pellegrini che si recavano ai luoghi santi dagli assalti dei predoni musulmani. Poi parteciparono come soldati a tutte le Crociate e a decine di battaglie in Terra Santa e in tutta l’area mediterranea. Un’ordine di monaci-guerrieri famoso non solo per il coraggio dei suoi Cavalieri in difesa della Terra Santa ma anche per le sue ricchezze. Il Tempio divenne infatti il principale potere finanziario della Cristianità e più di un terzo delle entrate venivano reinvestite nella difesa della Terra Santa. Dopo la perdita di Gerusalemme nel 1187 i cavalieri si spostarono a San Giovanni d’Acri dove si svolse l’estrema difesa contro i musulmani. Sconfitti dai Mamelucchi d’Egitto nel 1291 i Templari furono costretti ad abbandonare la Palestina e a insediarsi a Cipro. Sull’isola e nel resto dell’Europa diventeranno una potenza economica e politica. All’inizio del Trecento la storia cambiò radicalmente. Sofferente per la grave crisi economica in cui versava la sua nazione, Filippo IV il Bello, re di Francia, se la prese con i Templari per impossessarsi delle loro ricchezze e dei loro beni e li accusò di eresia. Nel 1307 furono arrestati e portati davanti ai giudici. Il sovrano li accusò impietosamente mentre Papa Clemente V cercò di salvarli ma fu poi costretto a sospendere l’Ordine nel Concilio di Vienne nel 1312. Due anni più tardi, nel 1314, l’ultimo Gran Maestro Jacques de Molay fu arso vivo sul rogo. Quella dei Templari fu una storia gloriosa con una fine tragica. Il ruolo di papa Clemente V nella fine dell’Ordine è stato finalmente chiarito dalla storica Barbara Frale che nel 2001 ha scoperto la pergamena di Chinon. Si tratta dell’atto originale dell’inchiesta avvenuta a porte chiuse nelle celle del castello di Chinon, dove erano reclusi i Templari, rinvenuto dalla studiosa dopo settecento anni di oblio nell’Archivio Segreto Vaticano. L’inchiesta di Chinon si concluse con l’assoluzione dei capi templari dall’accusa di eresia e il loro reintegro nella chiesa cattolica. Completa il libro di Marco e Matteo Salvador un suggestivo “viaggio pittorico” con decine di acquerelli e disegni realizzati dal pittore inglese David Roberts a metà Ottocento che ci consentono di vedere alcuni dei luoghi dove i Templari agirono, da Gerusalemme a Giaffa, da Gerico a Hebron, da Ascalona a San Giovanni d’Acri, da Tiro a Sidone.                  Filippo Re

L’isola del libro

Rubrica settimanale a cura di Laura Goria

 

Carmen Korn “Tra oggi e domani” -Fazi Editore- euro 20,00

E’ il secondo capitolo (dopo “Quando il mondo era giovane” del 2021) della saga della scrittrice e giornalista tedesca Carmen Korn, nata a Düsseldorf nel 1952. La Korn -che oggi vive con la famiglia ad Amburgo-è anche autrice della trilogia di successo, tutta al femminile e sciorinata nell’arco del Novecento, scandita in: “Figlie di una nuova era”, “E’ tempo di ricominciare” e “Aria di novità”, pubblicati da Fazi editore.

In questa nuova serie (che in Germania è andata a ruba) ci racconta le vicende di vari personaggi legati tra loro da vincoli di parentela, amicizia e affetto, dislocati in Germania ad Amburgo e Colonia, e a Sanremo sulla riviera ligure. Un decennio in cui tre famiglie si muovono sullo sfondo degli anni Sessanta. Sono gli Aldenhoven a Colonia, i Borgfeldt ad Amburgo e i Canna a Sanremo.

Ci si appassiona alle loro vite sulle quali incombe ancora il passato nazista (nel precedente romanzo le tre famiglie erano a un nuovo inizio e alla ricostruzione delle loro vite negli anni 50); ora scopriamo poco a poco le loro vicissitudini tra amori, gravidanze, dolori della seconda generazione. Quella che ha visto la guerra, l’arrivo di russi e americani, ed ora è aggrovigliata nella preoccupazione per il futuro.

Le loro esistenze vanno avanti tra l’altalenarsi di difficoltà e momenti buoni. A Colonia la galleria d’arte di Gerda e Heinrich è favorita dall’arrivo del pittore Karl Jentengs. Ad Amburgo invece Ursula dopo molti tentativi falliti tenta di avere un bambino. A Sanremo, dopo la morte dell’arcigna matriarca, l’azienda di floricoltura deve affrontare qualche problema.

Molti i filoni del racconto che mettono a nudo le dinamiche dei rapporti interpersonali sullo sfondo degli avvenimenti storici.

 

Ta-Nehisi Coates “Il danzatore dell’acqua” -Einaudi- euro 21,00

L’autore è uno dei più importanti intellettuali americani contemporanei e questo è il suo primo romanzo, in vetta alle classifiche del New York Times, eletto libro del mese da Oprah Winfrey.

Ta-Nehisi Coates (nato a Baltimora nel 1975) porta avanti il genere più antico della narrativa afroamericana -la slaves narrative (racconto degli schiavi)- e vi aggiunge elementi di realismo magico per narrare più a fondo l’esperienza della schiavitù.

La vicenda è ambientata prima della guerra di secessione a Lockless, una piantagione di tabacco in Virginia. Protagonista è il 19enne Hiram Walker, figlio illegittimo del proprietario della tenuta che l’ha avuto con una schiava, poi venduta.

Hiram è una creatura eccezionale, ha una memoria infallibile e capacità intellettuali ed oratorie superiori alla media. Il padre gli permette di istruirsi e lo chiama nella sua dimora, ma solo per fare da precettore al figlio legittimo ed erede della fortuna di famiglia.

Così Hiram, che sognava di prendere in mano le redini della proprietà per farla risorgere, si trova invece a contatto col fratellastro Maynard le cui facoltà intellettuali sono scarse.

Argomento di grande spessore che Coates sviscera magnificamente attraverso i vari personaggi, portandoci dritti nelle percezioni e nelle esistenze degli schiavi.

Nessun compiacimento nel raccontare tutto l’orrore dello schiavismo, non indugia sulle violenze psicologiche e fisiche subite dagli schiavi. Però tratteggia la durissima America dell’800 e smaschera l’idea di uno schiavismo paternalistico e giustificato in parte, come per esempio in “Via col vento”.

E’ anche la messa a fuoco di pratiche strutturali di quell’epoca, tra le quali lo smembramento delle famiglie di schiavi i cui membri erano venduti a discrezione dei padroni. La dura realtà viene narrata senza tralasciare il soprannaturale e l’animismo che sono retaggio antico della cultura africana, soffocata dai bianchi….

 

Jessa Hastings “Magnolia Parks” -Garzanti- euro 16,90

Interessante è la genesi di questo libro. Il romanzo è stato autoprodotto e deve il suo successo in primis a Tik Tok sul quale l’autrice l’ha divulgato. Poi il passa parola ha fatto il resto e da lì in un attimo ha attirato l’attenzione delle case editrici sempre alla ricerca di successi commerciali.

Jessa Hastings è l’australiana che oggi vive in California e ha sfornato questo corposo romance che promette di diventare una serie anche televisiva. Parte del successo risiede nella trama leggera; è una lettura di evasione, una sorta di Gossip Girl che piace soprattutto ai giovani e non impegna più di tanto.

La vicenda è piuttosto patinata, ambientata nell’alta società inglese e gira tutta intorno alla travagliata storia d’amore tra Magnolia -figlia dei Parks, una delle famiglie più in vista di Londra- e B.J col quale ha una relazione altamente tossica.

Ben 451 pagine di una scrittura accattivante e semplice, a volte ripetitiva, per raccontare il continuo tira e molla tra i due.

Sia Magnolia che B.J. sono mossi principalmente dal bisogno di sentirsi amati, però lui ha tradito lei e si sono lasciati. Ufficialmente non stanno più insieme, ma qualcosa continua a legarli. Non smettono di cercarsi, ferirsi, allontanarsi e ricercarsi; con tanto di corollario di amici –spesso discutibili e vuoti- di entrambi gli schieramenti. Chissà se ci sarà o meno un lieto fine?

 

Bruno Vespa “Kennedy. Fu vera gloria? Amori e potere di un mito” -Rai Libri- euro 21,00

A 60 anni dalla morte e dopo una messe infinita di libri dedicati a J. F. Kennedy, Bruno Vespa tira le fila e guarda al mito dell’uomo, ma anche ai suoi errori e difetti. Qui ripercorre la vita privata e politica del presidente assassinato a Dallas nel pieno degli anni e dopo solo due anni di presidenza.

E’ stato sicuramente uno dei protagonisti più importanti a livello mondiale, nelle file dei democratici targati USA: bello, ricco, giovane, di successo. Ma nel suo libro Vespa non teme di sottolineare anche gli aspetti meno nobili del personaggio. Il suo è lo sguardo acuto e critico del cronista che racconta il dietro le quinte del mito.

A partire dai problemi fisici che nascondeva al mondo, poi la sua bulimia sessuale che lo faceva macinare una donna dopo l’altra, e Jackie che sopportava. Non sapremo mai se i due si amassero davvero o fossero legati da altri motivi: lei la moglie di rappresentanza che spendeva a piene mani ed accettava i compromessi pur di essere la First Lady del primo paese al mondo.

Poi gli errori in politica, e non da poco: i principali sicuramente la Baia dei Porci che sporse il mondo sul baratro della guerra nucleare ed il Vietnam. Tutto ricostruito con l’attenzione e l’accuratezza del grande giornalista che non si fa intimidire dal mito e ne sottolinea luci e ombre.

 

Clint Hill – Lisa McCubbin Hill “My travel with Mrs. Kennedy” -Gallery Books- $ U.S 35,00

Questo volume racconta anche per immagini i viaggi di Jackie Kennedy ai quattro angoli del mondo, narrati dall’agente dei servizi segreti Clint Hill che viaggiava al suo seguito. Fu incaricato di proteggerla dal momento dell’elezione di Kennedy alla presidenza e le fu accanto fino al 64, vivendo anche in prima persona l’assassinio a Dallas nel 1963.

Nel 1975 Clint Hill decise di ritirarsi a vita privata e scrisse parecchi volumi dedicati ai Kennedy.

Dunque una fonte preziosa che in un baule nel seminterrato della sua casa in Virginia, ad Alexandria, conservava un tesoro di lettere, foto, regali e viaggi al seguito di Jackie. Con l’aiuto della moglie ha messo ordine in tutto questo materiale e lo ha trasformato in libro.

Volume che svela anche momenti più privati e autentici della donna più famosa al mondo; quelli in cui la riservatezza istituzionale lasciava spazio a fasi più spensierate e aperte in cui si godeva a pieno vita e privilegi.

E allora scorrono immagini della First Lady in Colombia, Croazia, India, Messico, Pakistan, Venezuela, Italia, Antigua, Marocco, Grecia e Parigi; sempre sotto la protezione di Hill, suo angelo custode.

Giulia Fagiolino: i difficili casi dell’ispettrice Falcri tra omicidi e misteri

Informazione promozionale

Niente nella realtà è come appare, è tutto un gioco di illusioni in cui spesso le persone hanno delle maschere per nascondere quello che sono…

“Un caso difficile per l’ispettrice Falcri: ombre dal passato”

Cecilia Falcri sta passando un periodo difficile. Si è presa un periodo di aspettativa dal lavoro in Commissariato a Torino, dove è Ispettrice, dopo che il suo bambino di cinque anni è stato ucciso in una sparatoria a seguito di un rapimento. E’ divorata dal senso di colpa per non essere riuscita a salvarlo. Si è allontanata da tutti, persino dal marito Alessandro, come se volesse autopunirsi. Il commissario Berardi riesce a convincerla a tornare al lavoro ed anche il marito, piano piano, si riavvicina alla moglie. L’Ispettrice si trova subito davanti ad un caso di omicidio e poi ad un caso di un rapimento di un ragazzino. E’ da questo momento che Cecilia inizia a ricevere delle lettere anonime allusive al rapimento del suo bambino, in cui l’autore sembra volerla sfidare. Comincia a fare anche degli incubi più insistenti nei quali sente anche la voce del figlio che la chiama. E’ come se lei stessa si sentisse coinvolta in tutta la vicenda. La situazione cambia con un terzo omicidio, questa volta di un barbone. Cecilia scopre che  vicino al luogo dove era stato lasciato il corpo, venivano fatti dei rituali con simboli Celtici. I sogni sembrano guidarla verso una direzione. Scoprirà che niente nella realtà è come appare, è tutto un gioco di illusioni in cui spesso le persone hanno delle maschere per nascondere quello che sono.
Riuscirà la nostra Ispettrice a risolvere lo spinoso caso e, soprattutto, a superare i suoi sensi di colpa, le sue paure e a ricominciare a vivere?
 “Un caso difficile per l’ispettrice Falcri: pezzi del puzzle”
Cecilia riprende il lavoro dopo il periodo di maternità.
Si trova subito ad affrontare un caso di una ragazza scomparsa, poi trovata morta. A poco a poco ha strane sensazioni di angoscia, vede e sente di nuovo Gabriele, il suo bambino deceduto, che sembra guidarla verso qualcosa di cui non comprende il significato. Riceve lettere in cui qualcuno sembra sfidarla, le appaiono ancora in sogno simboli celtici infuocati e sente voci ed ombre intorno a sé come se stesse in un’altra dimensione. Da qui Cecilia prende la consapevolezza che non si tratta di una sua proiezione dell’inconscio, ma c’è qualcosa di più. Cosa di cui si convince anche il marito Alessandro, sua madre invece cerca di spronarla a non indagare più, a rifarsi un’altra vita. La storia dell’ispettrice si intreccia con quella di Fabio Medri, un ex poliziotto che venti anni prima indagava privatamente su un’associazione di narcotraffico. A causa di un incidente si è dovuto ritirare dalla polizia e da qui ha avuto un passato di alcol e violenza. Sua figlia Cristina cerca di spronarlo a riprendersi in mano la sua vita e lo convince a riprendere le vecchie indagini. Si troverà coinvolto insieme all’ispettrice in qualcosa di più grande di loro.
Cecilia riuscirà a riprendere in mano la sua vita e a chiudere definitivamente i conti con il suo passato?
L’AUTRICE
Giulia Fagiolino proviene  da studi classici ed è  laureata in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Siena.  Attualmente è  Avvocato presso uno studio di Orvieto.
Nel 2018 ha pubblicato il primo romanzo “Quel Giorno” edito dalla casa editrice Capponi Editore nel giugno 2018, con il quale ha vinto diversi premi letterari internazionali, tra cui i premi internazionali Michelangelo Buonarroti, Montefiore, Giglio Blu di Firenze.
Ha partecipato nel giugno 2018 al Caffeina festival di Viterbo in qualità di scrittrice.
Nell’ottobre 2020 ha pubblicato il romanzo “In un battito d’ali” edito da L’Erudita, Giulio Perrone Editore, una saga familiare ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, apparso in diverse testate giornalistiche e con il quale ha vinto diversi premi internazionali. Da citare la “segnalazione particolare della Giuria” allo storico “Premio Casentino” fondato da Carlo Emilio Gadda negli anni ’40. A febbraio 2023 ha pubblicato su Amazon un romanzo rosa/giallo “Tutto può cambiare quando meno te lo aspetti” rientrato nei besteller Amazon.
Tutte le sue opere, pur appartenendo a generi diversi (spaziano dal giallo introspettivo, alla saga familiare storica, al rosa, al poliziesco paranormale), hanno un messaggio in comune. L’autrice definisce infatti i suoi romanzi “catartici” perché i protagonisti attraversano dei momenti di difficoltà, ma riescono a trovare una via d’uscita e a ricominciare a vivere.
I romanzi sono disponibili su Amazon ed in tutti gli store online e librerie.
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Sebastiano Vassalli e le sue terre d’acque

Il 26 luglio di otto anni fa si spegneva dopo una malattia fulminante e incurabile, avvolta nel più stretto riserbo, lo scrittore Sebastiano Vassalli.

Genovese di nascita (con madre toscana e padre lombardo) e novarese d’adozione, nella “terra d’acque” (come s’intitola anche uno dei suoi romanzi) ambientò alcune delle sue opere più significative, come Cuore di pietra, romanzo storico pubblicato nel 1996 da Einaudi nella collana Supercoralli, dove la maestosa casa del conte Basilio Pignatelli s’intuisce essere la novarese Villa Bossi, splendida dimora sul baluardo Quintino Sella, all’angolo con via Pier Lombardo. Laureatosi in Lettere con una tesi sull’arte contemporanea e la psicanalisi con Cesare Musatti ( il controrelatore fu Gillo Dorfles),Vassalli è stato uno dei più grandi scrittori italiani. Tra le sue opere, tradotte in molti paesi, una in particolare gli consentì di conoscere un importante successo nel 1990 quando gli venne assegnato il Premio Strega per La chimera, romanzo storico ambientato nella campagna novarese del Seicento. Il libro narra la storia di un processo (un episodio realmente accaduto) a una strega nella Milano dei Promessi Sposi, risalente al 1628. E la “chimera” altro non era che il monte Rosa per come appariva allo sguardo dei contadini che, tormentati dall’afa e chini sulle risaie del novarese, alzavano gli occhi verso l’orizzonte e vedevano stagliarsi lontano il massiccio della montagna innevata. Nelle opere di Vassalli la componente territoriale ha sempre avuto una rilevanza particolare, con la cornice del Piemonte e in particolare delle “terre del riso” nelle pianure a nordest. Nel 2011, Franco Esposito (poeta, direttore della rivista Microprovincia di Stresa) curò la monografia “La parola e le storie in Sebastiano Vassalli”. Un modo intelligente per festeggiare l’autore di tanti libri importanti da Abitare il vento a La notte della cometa ( romanzo sulla vita del poeta Dino Campana) , ai già citati Cuore di pietra e La chimera fino agli ultimi, molto belli, Le due chiese, Terre selvagge , Il confine e Io, Partenope. In quel numero della rivista, unendo gli sforzi editoriali delle Edizioni Rosminiane a quelli della novarese Interlinea, vennero proposti testi dello stesso Vassalli, belle foto e disegni oltre agli scritti di una lunga serie di intellettuali e letterati come Giorgio Bárberi Squarotti, Roberto Cicala, Franco Cordelli, Fulvio Papi e altri. Dalla prima stagione di Vassalli e dall’esperienza con la neoavanguardia del “Gruppo 63” all’originalissima cifra della sua opera letteraria, dal suo grande amore per la poesia alla fedeltà rara alla Einaudi (la casa editrice dello Struzzo) scorrendo le pagine di Microprovincia si intravvedeva tutta la complessità di questo scrittore straordinario. Una figura importante per la letteratura ma anche per il giornalismo al quale dedicò molte collaborazioni con le principali testate, da La Stampa, il Corriere della Sera e La Repubblica. Vassalli, uomo estremamente riservato, nel tempo aveva stretto un rapporto molto personale con la seconda città del Piemonte, il suo dialetto appartenente al ramo occidentale della lingua lombarda, il carattere degli abitanti e i luoghi novaresi. La cascina Marangana di Biandrate era il suo rifugio letterario,un buen retiro immerso tra le risaie a una dozzina di chilometri da Novara. Sulla porta d’ingresso di questa ex canonica trasformata in abitazione campeggia una scritta lapidaria, che vale più di tanti discorsi: i soli stanno soli e fanno luce. Vassalli sosteneva che “il mestiere dello scrittore consiste nel raccontare storie“. E aggiungeva: “Così era ai tempi di Omero e così è ancora oggi. È un mestiere antico come il mondo, che risponde a una necessità degli esseri umani, a un loro bisogno fondamentale: quello di raccontarsi. Finché ci saranno nel mondo due persone, ci sarà chi racconta una storia e ci sarà chi la ascolta“. La casa è ora un museo grazie al progetto dell’archivio Sebastiano Vassalli. Una felice intuizione tesa a costituire un centro di consultazione pubblica, a beneficio di studiosi e di quanti vorranno consultare il patrimonio culturale di questo grande scrittore.

Marco Travaglini