La presenza di stranieri, regolari, con documenti e permessi determina una sostanziale modifica nell’offerta di servizi e nelle dinamiche legate al mondo del lavoro nelle Terre Alte. Si tratta di un fenomeno recente. Nell’Appennino emiliano non si produrrebbe parmigiano reggiano senza la presenza di immigrati di origine indiana; in alcune aree del Piemonte, proprio i figli di immigrati nei Comuni montani hanno permesso di salvare scuole
L’assessore all’immigrazione della Regione Piemonte, Monica Cerutti, sul problema dell’arrivo dei migranti aveva fatto una proposta che si può sintetizzare in un “mandiamoli in montagna”. Il che non vuole dire emarginiamoli, anzi, ma si utilizzi un contesto che, specie in Piemonte, ha visto un progressivo spopolamento e che potrebbe, in questo modo avere una spinta per rivitalizzarlo.
I dati (Istat elaborati da Caire per Fondazione Montagne Italia) sono chiarissimi: in Italia la presenza degli stranieri media è l’8,25% con punte in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Umbria, Toscana e Lazio; in montagna, al 31 dicembre 2014, è inferiore, ferma al 6.23%: Trentino, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria, le Regioni dove la percentuale sale, con una forte presenza delle donne. “In Piemonte ci si ferma al 6,8% – spiega Enrico Borghi, presidente nazionale Uncem e alla guida dell’Intergruppo parlamentare per lo Sviluppo della Montagna – Le percentuali ci dicono che in montagna un quinto degli stranieri vive e lavora e chiede la presenza di servizi, riforma una domanda “naturale” e genera impresa e produce manutenzione e va opportunamente orientata. È un fenomeno sociale da capire e interpretare per chi ha responsabilità politiche e amministrative. Di certo chi oggi parla di invasione sbaglia, insegue ridicole propagande populiste e lo fa senza dati statistici. I numeri descrivono una situazione diversa, ed una evoluzione sociale già in corso che ha bisogno di accompagnamento da parte della politica”.
Ai numeri appunto, Borghi aggiunge una serie di considerazioni su accoglienza e inclusione. Diverse rispetto alle aree urbane e metropolitane, dove la comunità è più sfilacciata e liquida. “Penso a cosa sta succedendo da diversi mesi nelle Valli di Lanzo ad esempio, dove nei piccoli Comuni montani – riflette il presidente Uncem – si sono messe in moto gare di solidarietà esemplari che vedono protagonisti le Amministrazioni comunali, le Pro Loco, i comitati di cittadini”. Non solo. “La presenza di stranieri, regolari, con documenti e permessi –prosegue il deputato – determina una sostanziale modifica nell’offerta di servizi e nelle dinamiche legate al mondo del lavoro nelle Terre Alte. Si tratta di un fenomeno recente. Nell’Appennino emiliano non si produrrebbe parmigiano reggiano senza la presenza di immigrati di origine indiana; in alcune aree del Piemonte, proprio i figli di immigrati nei Comuni montani hanno permesso di salvare scuole e la loro integrazione ha portato a scambi culturali dove non è secondario l’impegno di parrocchie e di altri enti religiosi. In questa coesione della comunità, le aree montane del Piemonte, purtroppo con alcune eccezioni, possono essere un modello”.
“Un’ultima considerazione – osserva Borghi – La Storia ci dice che le terre alte si svilupparono nella fase delle ‘Alpi aperte’, nella quale l’incrocio tra attraversamenti e popolazioni stanziali produsse l’insediamento urbano montano giunto sin qui. E la storia stessa dei montanari è storia di migrazioni, di scambi, di integrazioni. Quando la montagna si apre e si relaziona, cresce. Quando si arrocca e si chiude, perde”. Anche per questo, Uncem incontrerà nei prossimi giorni l’assessore regionale all’Immigrazione Monica Cerutti, per capire come esportare e rafforzare positive esperienze di inclusione e accoglienza, che si traduce poi in opportunità e crescita. Molti migranti arrivati negli ultimi mesi in diversi Comuni montani, richiedenti asilo, stanno già prestando il loro impegno lavorativo volontario a vantaggio delle comunità, pulendo spazi pubblici, curando sentieri con il Cai, impegnandosi con le Amministrazioni garantendo servizi in tempi di finanze magre (si pensi alla manutenzione del verde). Non è poco.
Massimo Iaretti