FOCUS INTERNAZIONALE di Filippo Re
Bandiere a stelle e strisce date alle fiamme nelle piazze delle città iraniane e nel Parlamento di Teheran. Urla e slogan anti-Usa, sermoni bellicosi e incendiari, venti di guerra. Scene già viste quaranta anni fa, all’inizio della rivoluzione incendiaria di Khomeini che nel 1979 travolse la monarchia dello scià e instaurò una teocrazia islamica. Saranno 40 anni il prossimo anno ma pare che la Storia si ripeta oggi. Dall’Iran ai Territori palestinesi che bruciano di rabbia, l’America è tornata ad essere il “Grande Satana” dei tempi di Bush, che oggi si chiama Trump, e il suo alleato Israele, il “piccolo Satana”, che festeggia i settant’anni di vita del suo Stato. Sulla sponda opposta, i palestinesi commemorano la “Nakba” (la catastrofe), l’esodo coatto di 700.000 arabi palestinesi durante la prima guerra con Israele tra il 1948 e il ’49 e si scagliano con violenza contro la nuova ambasciata americana aperta
a Gerusalemme. Per completare il quadro di quel periodo alla fine degli anni Settanta manca solo l’occupazione dell’ambasciata americana a Teheran come accadde nel novembre 1979 con la famosa crisi degli ostaggi quando centinaia di fanatici iraniani assaltarono la sede diplomatica prendendo in ostaggio 52 funzionari della legazione per liberarli solo un anno dopo. Non ci sarebbe da stupirsi se oggi accadesse la stessa cosa nella capitale iraniana con i toni sempre più aspri che volano tra Washington, Teheran e Tel Aviv. Al ministro della difesa israeliano Avigdor Liberman che afferma ” se da noi cade la poggia, su di loro deve rovesciarsi l’alluvione”, il leader religioso Ahmad Khatami risponde che il suo Paese è pronto a “distruggere totalmente Tel Aviv e Haifa se gli israeliani agiranno in modo folle”. Al coro di voci infuocate contro lo Stato ebraico si è aggiunto anche un messaggio audio del capo di al-Qaeda al-Zawahiri il quale ricorda che non solo Gerusalemme ma “anche Tel Aviv è terra dei musulmani”, quindi da riconquistare. Mentre si infiamma la retorica anti-americana e anti- israeliana, il livello dello scontro diplomatico e militare tra Israele e l’Iran continua a salire. Le due potenze regionali si combattono già in Siria diventata un terreno di confronto bellico. Il fronte del Golan è diventato rovente e, a duellare su quelle alture, non ci sono israeliani e siriani ma Tashal e i militari della Forza Quds comandata dal generale iraniano Qassem Soleimani. Anche su questo aspetto dello scontro non mancano i richiami alla storia recente. I raid israeliani della settimana scorsa contro basi iraniane in Siria (almeno settanta missili lanciati da 30 jet), in risposta ai lanci di missili da parte dei pasdaran verso postazioni militari sul Golan, sono stati i più potenti dalla guerra del Kippur nel 1973. Il 6 ottobre di quell’anno, siriani, egiziani e giordani attaccarono di sorpresa Israele, approfittando della festività religiosa. Colto di sorpresa, lo Stato ebraico fu sul punto di vacillare. In quei drammatici giorni cadde il mito dell’invincibilità dell’esercito israeliano ma dopo una serie di sconfitte iniziali nel Sinai e nel Golan il recupero fu prodigioso e la controffensiva devastante. La bocciatura dell’accordo sul nucleare iraniano da parte di Trump apre nuovi scenari sul futuro delle relazioni tra gli ayatollah e la comunità internazionale. Dopo lo strappo degli americani l’Unione Europea è al lavoro per salvare l’intesa faticosamente raggiunta nel 2015 e definita dai vertici di Bruxelles “uno dei più grandi successi della diplomazia negli ultimi tempi”. L’Ue è il terzo partner commerciale dell’Iran con un business economico di oltre 20 miliardi di euro. Dalle auto agli aerei, dall’energia alle banche e agli investimenti, numerose grandi aziende europee avevano scommesso proprio sull’Iran dopo la firma dell’accordo. Ora tutto rischia di andare in fumo. La fine delle sanzioni tre anni fa aveva rialzato l’economia iraniana (+13% nel 2017) ma già quest’anno la Banca mondiale prevede una netta frenata con la riattivazione del blocco economico e a penalizzare l’Iran sarà soprattutto il taglio delle esportazioni di petrolio. Preoccupazione anche per l’Italia, primo partner europeo di Teheran, le cui imprese erano rientrate a tutti gli effetti nel mercato iraniano. Dall’Eni alle Ferrovie, Ansaldo, Danieli, Fata e altre, è lungo l’elenco delle aziende italiane che dopo il 2015 hanno ripreso i loro affari con la nazione persiana facendo risalire l’interscambio nel 2017 a 5 miliardi di dollari. Per l’Europa si apre ora un altro grosso problema che investe non solo l’economia ma mette in discussione gli stessi rapporti diplomatici tra l’America e il Vecchio Continente. Trump intende porre sanzioni a tutti i Paesi, compresa l’Italia, che continueranno a commerciare con Teheran dopo la cancellazione dell’accordo sul nucleare. Il presidente iraniano Rouhani chiede invece agli europei di preservare l’accordo e di garantire la salvaguardia degli interessi iraniani sulla vendita di petrolio e gas, sui rapporti bancari e sugli investimenti. Ma chiede anche alle cancellerie europee di decidere in fretta perchè il tempo stringe. Se non avrà il sostegno necssario da parte dell’Europa l’Iran è pronto a riprendere i piani per l’arricchimento dell’uranio e arrivare prima o poi a possedere la bomba atomica. Una scelta pericolosa che potrebbe innescare una nuova corsa alla proliferazione nucleare nella regione. I sauditi hanno già detto di essere pronti a sviluppare l’atomica se Teheran farà ripartire il suo programma nucleare. Ma le minacce non riguardano solo l’atomica ma il rischio che la decisione di Trump di cancellare il patto del 2015 possa spingere l’Iran ad attività ancora più destabilizzanti di quelle attuali in tutto il Medio Oriente. Nucleare a parte, è proprio la presenza militare iraniana, sempre più massiccia e invadente in Siria e in altri Paesi, a dar fastidio a Trump e agli israeliani. Dalla Siria allo Yemen i fronti degli ayatollah in guerra cominciano a essere troppi. I tentacoli della piovra persiana si allungano da Teheran all’Atlantico. Ai russi è arrivata perfino la richiesta di poter ormeggiare le navi della Marina iraniana nel porto di Tartous, base navale russa in Siria, mentre il lontanissimo Marocco ha rotto le relazioni diplomatiche con l’Iran accusandolo di armare il Polisario, il movimento armato che si batte da sempre per l’indipendenza del popolo Saharawi. In Iraq le prime elezioni dopo la sconfitta dell’Isis (solo il 44% alle urne) sono state vinte dal leader radicale sciita Moqtada al -Sadr che ha ridimensionato il premier uscente al Abadi e frenato l’uomo di Teheran, il capo delle milizie sciite al Amiri che continuerà comunque a tutelare gli interessi iraniani in Iraq. Ecco dunque il piano di Trump per far cadere il regime degli ayatollah e troncare di netto il sostegno alle forze sciite nei Paesi islamici in guerra, a quarant’anni dalla presidenza dello sfortunato Jimmy Carter. Strappare l’accordo sul nucleare per far collassare l’economia iraniana con durissime sanzioni al fine di far insorgere la popolazione contro i suoi leader e porre fine alla rivoluzione khomeinista. Con Trump alla Casa Bianca e il super falco John Bolton, già cowboy di Bush, e oggi capo della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, tutto è possibile.
(dal settimanale “La Voce e il Tempo”)