“In un mondo in cui persone tracciano la strada con fatica e altre stanno a guardare e a giudicare, Alfredo Frassati e la sua scelta di assumersi compiti e responsabilità di classe dirigente appartiene di diritto al primo gruppo
Fu senza dubbio un modernizzatore e il suo modello per La Stampa, di cui fu fondatore, direttore ed editore, era quello dei quotidiani tedeschi. Giolittiano neutralista durante la I guerra mondiale e antifascista, quando l’8 luglio 1924 entrò in vigore il decreto che aboliva in Italia la libertà di stampa scrisse: ‘Proprio in un momento in cui tutti toccano con mano i tristissimi effetti di un regime compressore di libertà, proprio oggi il Governo si decide a colpire una libertà così essenziale come quella della stampa con un colpo mortale'”. Lo ha ricordato il presidente del Consiglio regionale Nino Boeti nel corso del convegno “Alfredo Frassati. Un grande piemontese a 150 anni dalla nascita”, che il Consiglio regionale del Piemonte, in collaborazione con il Centro Pannunzio, ha organizzato oggi a Palazzo Lascaris. In apertura il presidente Boeti ha anche letto il telegramma inviatogli per l’occasione dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha definito l’iniziativa “di grande interesse e attualità, perché non ha mai termine l’esercizio della libera critica in una società democratica” e la lezione umana e morale di Frassati “a distanza di oltre un secolo, un’eredità impegnativa per quanti siano pensosi del progresso dell’Italia”. Dopo il saluto del presidente della Giunta Sergio Chiamparino, che ha sottolineato “gli ideali liberali e democratici” di Frassati, sono intervenuti il giornalista Jas Gawronski, l’editorialista de La Stampa Marcello Sorgi, e lo storico Pier Franco Quaglieni, direttore del Centro Pannunzio. Gawronski ne ha ricordato il carattere schivo e riservato, il rapporto irrisolto con il figlio Pier Giorgio, designato – dopo la morte prematura – con l’espressione “quello che non c’è più”, il coinvolgimento nella vita dei contadini delle sue cascine, gli unici coi i quali pareva trovarsi davvero a proprio agio, e il suo unico vanto: aver piantato oltre 100mila alberi nel Biellese. Sorgi ne ha ripercorso la cerriera giornalistica, il desiderio di realizzare un giornale che si differenziasse da tutti gli altri: “non un’antologia di notizie già pubblicate dai principali organi di stampa ma un’occasione per dar voce al territorio piemontese e far comprendere che grazie alla rivoluzione industriale sarebbe stato possibile per l’Italia intera crescere e cambiare”. E ha elencato le caratteristiche peculiari del suo impegno: professionalità, affidabilità, serietà e rigore morale. Quaglieni ne ha evidenziato la statura politica, il rapporto con Giovanni Giolitti, “che fu intenso ma non esente da conflitti a proposito, per esempio, della spedizione italiana in Libia nel 1911”, il suo comprendere per tempo che la I guerra mondiale non sarebbe stato affare di pochi mesi e che il Trattato di Versailles avrebbe posto le basi per una nuova guerra mondiale. Un uomo schivo e coraggioso, ha concluso Quaglieni, che – componente della Consulta nazionale, al termine della II guerra mondiale – non esita a denunciare pubblicamente le violenze dell’immediato dopoguerra criticando il governo Parri per l’eccessiva debolezza nell’arginarle.
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