CONVEGNO A PALAZZO LASCARIS

Quale bioeconomia per il Piemonte?

“Il cambiamento climatico e lo squilibrio ecosistemico, l’instabilità dei mercati economici, l’acuirsi del divario fra ricchi e poveri a livello globale dichiarano la necessità di trovare nuove forme per produrre e consumare sfuggendo al paradosso che sia l’uomo a vivere perché il sistema economico possa produrre e non viceversa. In tal senso la bioeconomia può rappresentare un’occasione per il nostro paese di tornare a crescere e deve essere sostenuta dalla politica e dalla società civile tutta. Anche allo scopo di riconquistare competitività nel confronto mondiale dobbiamo reimpostare il nostro sistema produttivo, integrando la sostenibilità etica e ambientale a quella sociale che rimane il primo obiettivo”. Così Mauro Laus, presidente del Consiglio regionale, ha aperto i lavori del seminario Quale bioeconomia per il Piemonte? Analisi e prospettive che si è svolto oggi nell’Aula di Palazzo Lascaris, moderato dal giornalista ed esperto in storie d’impresa Adriano Moraglio.

“La bioeconomia si inserisce all’interno delle priorità indicate dall’Unione europea per l’uso dei fondi comunitari nella programmazione 2014-2020”, ha spiegato l’assessora regionale alle Attività produttive, energia, innovazione e ricerca Giuseppina De Santis. “Non significa solo riutilizzare lo scarto e i rifiuti ma, nell’ottica di una valorizzazione circolare delle risorse, impostare anche il design iniziale dei prodotti per renderli riutilizzabili al termine della loro vita produttiva. La Regione, oltre a stanziare fondi per la ricerca in tal senso, intende orientare la programmazione 2014-2020 per la realizzazione di 1 o 2 filiere locali, che creino concrete occasioni di sviluppo per il territorio”.

La bioeconomia definisce quel settore economico che utilizza le risorse biologiche, provenienti dalla terra e dal mare, e i rifiuti come materie prime per la produzione energetica, industriale, alimentare secondo un’ottica di sostenibilità ambientale e sociale.

“Nel 2012 l’Unione europea ha lanciato una strategia per la bioeconomia allo scopo di produrre cibo in migliori quantità e qualità, ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche fossili e sfruttare le ricchezze provenienti dal mare, attraverso percorsi efficienti e a basso impatto per l’ambiente”, ha dichiarato Fabio Fava, rappresentante italiano per la Bioeconomia in Horizon 2020 e public private partnership biobased industry. “In particolare oggi è indispensabile agire per interconnettere meglio i diversi settori coinvolti, per aumentare i prodotti e ridurre gli scarti”.

A livello europeo la bioeconomia genera un giro d’affari di oltre 2 bilioni, per il 75% nell’ambito dell’agrifood e rappresenta il 9% dell’occupazione.

“In Italia la bioeconomia vale 251 miliardi e occupa 1,65 milioni di persone, incidendo per il 20% sulla produzione nazionale”, ha commentato Serena Fumagalli, economista della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. “Il paese si caratterizza per una elevata diversificazione produttiva, incidente non solo quindi nell’ambito dell’industria alimentare ma per esempio anche in quella della carta e della trasformazione del legno, benché il valore totale della produzione sia inferiore rispetto a quello di Spagna e Francia”.

L’Italia nel settembre 2016 ha elaborato una strategia nazionale in materia grazie al lavoro congiunto dei Ministeri dell’Agricoltura, della Ricerca, dello Sviluppo economico e dell’Ambiente con l’obiettivo di migliorare la sostenibilità e la qualità dei prodotti nei settori di trasformazione, potenziando i collegamenti fra industria alimentare, del legno, bioraffinerie e settore del biogas e per incrementare i numeri del comparto del 20% entro il 2030.

Della ricerca su tecnologie che permettano di recuperare all’interno dei processi produttivi anche gli scarti di carbonio ha parlato Guido Saracco, direttore Centro per le tecnologie future e sostenibili – Istituto italiano di tecnologia, che ha messo in evidenza da un lato la necessità, sollecitata da recenti accordi internazionali, di ridurre ulteriormente le emissioni dei gas serra e dall’altro l’evidenza di una forte produzione di carbonio proveniente sia da scarti alimentari sia da combustione: “la sfida ora è utilizzare il carbonio per ottenere nuovi prodotti combustibili rinnovabili”.

Un nuovo approccio sistemico nella gestione delle risorse, in grado di attivare un sistema produttivo ed etico più adeguato all’uomo e all’ambiente è stato descritto da Luigi Bistagnino, fondatore e presidente della Systemic approach foundation.

Il seminario ha inoltre ospitato le testimonianze di realtà industriali e agricole particolarmente attive nell’ambito della bioeconomia.

Giulia Gregori, responsabile Novamont pianificazione strategica, ha raccontato l’esperienza di Novamont dalla cui ricerca è nata Mater Bi, bioplastica da fonte rinnovabile, mentre Sandro Cobror, responsabile Relazioni istituzionali del Gruppo Mossi e Ghisolfi, ha spiegato come la sua azienda abbia sviluppato e applicato l’utilizzo di risorse energetiche rinnovabili come il bioetanolo ricavato da biomasse non alimentari nell’attività chimica.

Michele Bechis, presidente Capac – Consorzio agricolo piemontese per agro-forniture e cereali, ha invece illustrato i risultati positivi del progetto di raccolta dei tutoli (scarti) di mais finalizzato alla produzione di biogas.

“Con la bioeconomia si affaccia non solo un cambiamento significativo del fare, ma innanzitutto del modo di pensare, attraverso una visione sistemica che mette al centro le emergenze e le necessarie interconnessioni. Si tratta di un tentativo importante di trovare strade nuove, più vitali per rispondere all’emergenza economica attuale. Noi come decisori politici abbiamo il dovere di far diventare questo approccio sistematico e diffuso e mi auguro che dai lavori del seminario il Consiglio possa trarre spunto per stimolare e indirizzare l’attività regionale”, ha commentato il consigliere Domenico Rossi, uno degli organizzatori dell’incontro.

In conclusione dei lavori l’assessore all’Agricoltura, Giorgio Ferrero, ha evidenziato il costo del non fare: “Benché anche il produrre bioenergia possa avere dei limiti sarebbe peggio non agire del tutto e i danni delle catastrofi naturali e del cambiamento climatico lo testimoniano”.

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Riflessioni sulle speranze, gli scenari e le prospettive per il futuro del Tibet

consiglio X 1Il 23 maggio 1951 la Cina usò il “Trattato di liberazione pacifica”, firmato dal giovane Dalai Lama, per attuare il piano di trasformazione del Tibet in una colonia cinese, senza tener conto della forte resistenza del popolo di Lhasa

Scenari e prospettive per il futuro del Tibet sono gli argomenti trattati al convegno organizzato a Torino dal Consiglio regionale del Piemonte, intitolato “Tibet oggi… per non dimenticare”. Nel suo intervento introduttivo Daniela Ruffino, vicepresidente dell’Assemblea, si è soffermata sull’ infinita tragedia  di  questo  popolo  che  si sta  perpetrando,  nell’indifferenza del  resto  del  mondo,  da  oltre  da sessantasei anni. Al tentativo  di  cancellare  l’identità culturale  e  religiosa  del Tibet ha guardato anche Giampiero Leo, vicepresidente del Comitato regionale per i Diritti umani.  Sia Ruffino che Leo hanno poi spiegato che ciò che è stato fatto subire al Tibet e al suo popolo è uno spaventoso sopruso che ripugna alle coscienze di tutte le persone libere e amanti della libertà, della pace e dei diritti umani.

 

Il programma ha previsto anche la preghiera del Lama Shartrul Rinpoche, poi ci sono stati gli interventi di acclarati esperti quali il giornalista scrittore Piero Verni, che ha parlato della religione e della politica nel Tibet sotto la Cina; Franco Ricca, già direttore del Museo di Arte orientale (Mao) di Torino, che ha voluto trattare l’approccio occidentale al Tibet; e Bruno Portigliatti, che ha trattato una pagina di storia ancora poco conosciuta. È stato poi dato spazio anche al Lama Paljin Tulku Rinpoche. I lavori ancora una volta hanno fatto emergere la necessità di ricercare la soluzione per un dialogo efficace con la Cina, per permettere al popolo del Paese himalayano di vivere libero nel suo territorio. Il 23 maggio 1951 la Cina usò il “Trattato di liberazione pacifica”, firmato dal giovane Dalai Lama, per attuare il piano di trasformazione del Tibet in una colonia cinese, senza tener conto della forte resistenza del popolo di Lhasa. Il 9 settembre 1951 segnò la fine dell’indipendenza tibetana. Dopo l’invasione cinese, oltre 1,2 milioni di tibetani sono stati uccisi, circa 6.000 monasteri e templi distrutti. Oggi le autorità cinesi applicano ogni metodo per discriminare il popolo tibetano e distruggere ogni traccia della sua cultura. Vivendo in un mondo globale e interdipendente – è stato infine ribadito nel corso del convegno –  gli interventi e le opinioni di altri Paesi possono aiutare il popolo tibetano a trovare la giusta via per fermare il genocidio da parte del regime di Pechino.

 
MB – www.cr.piemonte.it

Uno sportello per le imprenditrici invisibili

dora palloniL’incontro, organizzato da Confartigianato Piemonte, consiglio lascarisConfederazione nazionale Artigianato e piccola e media impresa (Cna) e Casartigiani, è stato occasione per far conoscere la campagna di sensibilizzazione che promuove uno sportello di ascolto 

 

Il ruolo di coadiuvanti, collaboratrici e socie di imprese tra opportunità e pericoli. Questo il tema del convegno, realizzato in collaborazione con la Consulta regionale femminile, tenutosi a Palazzo Lascaris giovedì 21 maggio. L’incontro, organizzato da Confartigianato Piemonte, Confederazione nazionale Artigianato e piccola e media impresa (Cna) e Casartigiani, è stato occasione per far conoscere la campagna di sensibilizzazione che promuove uno sportello di ascolto per conoscere concretamente opportunità e insidie che le “imprenditrici invisibili” incontrano quotidianamente. “In Italia – ha sottolineato Daniela Ruffino, vicepresidente del Consiglio e delegata alla Consulta – le donne imprenditrici superano il milione e mezzo e sono determinanti per lo sviluppo delle aziende. La nascita di uno sportello per dar voce anche a coloro che operano nel mondo del lavoro, senza la giusta visibilità, è di fondamentale importanza. Oggi è, inoltre, più che mai necessaria una equa distribuzione delle figure femminili sia nel Consigli di amministrazione privati sia in quelli pubblici”. “Le imprenditrici – ha evidenziato Monica Cerutti, assessora alle Pari opportunità – hanno colto la possibilità di lavorare in settori, come il turismo e l’agroalimentare, in cui il Piemonte sta cercando di essere sempre più all’avanguardia. Agire per eliminare le barriere sociali, potenziare i servizi di consulenza e promuovere la tutela delle donne nei processi di formazione e innovazione sono le basi su cui intendiamo lavorare per migliorare e rendere concreti questi obiettivi”. Il dibattito si è poi focalizzato, con gli interventi degli avvocati Patrizia Polliotto e Marinella Ferrari, rispettivamente presidenti di Unione consumatori e Casartigiani, sulle tutele giuridiche per le donne coadiuvanti e socie di imprese. All’iniziativa hanno inoltre partecipato Gianna Pentenero, assessore al Lavoro e  Daniela Biolatti, presidente di Confartigianato Donne Impresa.

 

(Daniela Roselli – www.cr.piemonte.it – Foto: il Torinese)

Giolitti e il liberalismo italiano

GiolittiLo statista morì nel 1928, con la consapevolezza di  essere  ricordato come il simbolo di “una lontana e diversa Italia, l’Italietta”, come usava dire, “tollerante, colta e civile”

 

Giovanni Giolitti è passato alla storia come il più grande statista italiano dopo Cavour. Nato nel 1841 a Mondovì (Cn) iniziò la sua brillante carriera politica nel 1882 come deputato di Cuneo. La sua politica interna fu contrassegnata dallo sforzo di far rientrare il conflitto con le classi operaie, la cui influenza sulla vita politica gli appariva oramai come un fatto ineluttabile, all’interno delle istituzioni. Nel 1912 venne sancito il suffragio universale maschile. 

 

Lo statista morì nel 1928, con la consapevolezza di  essere  ricordato come il simbolo di “una lontana e diversa Italia, l’Italietta”, come usava dire, “tollerante, colta e civile”. 

 

È proprio sulla figura di Giolitti che si svolgerà il convegno di studi “1914-1915: il Liberalismo italiano alla prova”, in programma venerdì 24 ottobre, alle ore 9,15, a Torino, Palazzo Lascaris (via Alfieri 15, Aula consiliare). 

 

L’evento è promosso dal “Centro europeo Giovanni Giolitti” in collaborazione con il Consiglio regionale del Piemonte e gode dell’alto patronato del Presidente della Repubblica. Sarà presieduto da Nerio Nesi nella sessione mattutina, e da Roberto Einaudi in quella pomeridiana. 

 

Numerosi i relatori iscritti a parlare: Guido Pescosolido (Cavour e i caratteri fondanti del liberalismo italiano), Aldo A. Mola (Il ruolo della Corona), Tito Lucrezio Rizzo (Governo e Parlamento),  Valerio Castronovo (La dinamica dell’economia), Antonino Zarcone (L’esercito dal Generale Pollio a Cadorna), Cosimo Beccuti (Giolittiani e antigiolittiani), Giovanni Scirocco (Socialisti tra riformismo e massimalismo), Romano Ugolini (Roma nell’età dei Blocchi popolari) e Mario Caligiuri (Mzogiorno ed emigrazione). Le conclusioni saranno di Valerio Zanone.

 

Mario Bocchiowww.cr.piemonte.it