ciò che emerge sempre più distintamente è la sfida geopolitica tra l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi in appoggio al generale Haftar

Libia, la pace è un miraggio

FOCUS NTERNAZIONALE di Filippo Re
Non c’è pace in Libia mentre aumentano le vittime e gli sfollati. L’assedio di Tripoli continua dal 4 aprile scorso ma il generale Khalifa Haftar non sembra in grado di prendere la capitale difesa dalle milizie di al Sarray, al comando dell’unico governo libico riconosciuto dall’Onu ma di fatto abbandonato da tutti, dai russi, dagli americani e dalle stesse Nazioni Unite

Lo stallo militare tra le forze che si confrontano da due mesi dimostra che nessuno dei contendenti è in grado per il momento di sconfiggere del tutto l’avversario. Il conflitto rischia così di trascinarsi all’infinito senza manovre diplomatiche mirate a far tacere le armi e a riprendere il negoziato politico mentre si aggrava, secondo i dati Oms (Organizzazione mondiale della Sanità), il bilancio del conflitto con 600 morti, 3000 feriti e quasi 100.000 sfollati dall’area di Tripoli dall’inizio degli scontri Si continua a combattere a 15 chilometri dal centro della capitale con blitz improvvisi come quello dell’aviazione di Haftar su un hotel dove si erano riuniti i deputati fedeli al premier libico Sarraj e con le controffensive militari della potente brigata islamista di Misurata che difende Tripoli ma i due protagonisti della crisi libica restano fermi sulle loro posizioni. Da una parte il generale Haftar ha ribadito che è intenzionato a occupare Tripoli prima possibile mentre al Serraj, al vertice dell’esecutivo libico, ha confermato che continuerà a combattere fino alla ritirata delle truppe di Haftar. Incontrando a Tunisi i capi di alcuni clan tribali della Cirenaica ai quali ha chiesto supporto militare, Sarraj ha affermato che Haftar in realtà non guida un vero esercito ma “un miscuglio eterogeneo di gruppi tribali, religiosi e di milizie criminali” e il suo obiettivo di entrare rapidamente a Tripoli da conquistatore è un sogno che non raggiungerà mai. Anche i russi, pur schierandosi con l’uomo forte della Cirenaica, non ritengono Haftar in grado di occupare la capitale, almeno per adesso. Per Lev Dengov, l’inviato speciale di Putin in Libia, non ci sarà pace a breve ed era prevedibile che Haftar si impantanasse a pochi chilometri da Tripoli. Analisti e osservatori sostengono però che la presa di Tripoli potrebbe essere questione di poco tempo ricordando che per conquistare, un anno fa, Derna e Bengasi in Cirenaica, le truppe di Haftar impiegarono sette mesi per sbaragliare, dopo durissimi scontri, le milizie fondamentaliste di al Qaeda, dell’Isis e di quelle legate ai Fratelli Musulmani che difendono il governo di al Sarraj. Anche quella libica è diventata una guerra combattuta per procura, come avviene in tante altre aree di conflitto, ma se prolungata nel tempo, potrebbe provocare anche una guerra economica tra i due schieramenti per il controllo delle ricchezze petrolifere del Paese. Intanto anche l’Isis rialza la testa.
.
Chi approfitta del vuoto di potere che indebolisce il Paese nordafricano sono i miliziani di al Baghdadi che sono tornati a colpire con attentati e attacchi armati nel sud ovest ed è possibile, secondo il portavoce dell’Esercito nazionale libico di Haftar, che il Califfo del defunto Stato islamico si nasconda in Libia. Dopo la sconfitta del Califfato in Siria e in Iraq la Libia offre un rifugio più sicuro per lui e per le cellule jihadiste che potrebbero nascondersi anche a Tripoli e in altre parti del Paese come sostiene Ghassan Salamé, inviato speciale dell’Onu. Il caos libico è una minaccia anche per l’Europa. Migliaia di persone potrebbero lasciare le aree siriane in cui si combatte ancora, come nella provincia di Idlib, e trasferirsi in Libia e nel resto del nord Africa per continuare il jihad a pochi passi dall’Italia. Washington e Mosca osservano gli sviluppi della situazione e tifano Haftar. Mentre Putin cerca di tutelare i propri interessi e mantenere le sue alleanze nella regione a fianco del generale di Tobruk, anche Trump sembra appoggiare l’uomo forte della Cirenaica sostenendo senza più riserve l’asse arabo (sauditi-emirati-egiziani) contro la coppia filo-iraniana Qatar-Turchia. Tra i Paesi del Golfo Persico le risse sono sempre più evidenti e si sono trasferite nello Stato magrebino. Al di là della competizione Usa-Russia sulla crisi libica, ciò che emerge sempre più distintamente è la sfida geopolitica tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi in appoggio al generale Haftar, sostenuto anche dall’Egitto, e il Qatar che insieme alla Turchia appoggia al Serraj, tutti Stati sunniti in lotta fra loro come avviene in Siria e nel Golfo. Non solo quindi uno scontro interno tra milizie e tribù locali fedeli a Tripoli e a Bengasi ma una contesa ben più ampia tra potenze regionali ed europee interessate a contendersi le risorse energetiche del Paese e a controllare il commercio e la navigazione nel Mediterraneo. Il conflitto si internazionalizza sempre di più. Salamè ha fatto presente che almeno otto-dieci Stati interferiscono ripetutamente nei problemi della Libia vendendo armi, nonostante l’embargo dell’Onu, e sostenendo dall’esterno le milizie loro alleate nel conflitto. L’arrivo di armi in grande quantità, pagate con i ricavi del petrolio, aggiunge l’inviato Onu, offre a tutte le parti l’illusione di poter vincere la guerra. È intanto caduto nel vuoto l’appello lanciato dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres di fermare il traffico internazionale di materiale bellico diretto alle milizie che si scontrano a Tripoli. Le operazioni militari risultano in crescita proprio a causa del trasferimento di armi sul suolo libico. Gli Emirati forniscono droni all’esercito di Haftar che riceve aiuti bellici anche da Egitto, Emirati e sauditi mentre Turchia e Qatar inviano decine di blindati al governo di Tripoli. Si aggravano anche le condizioni umanitarie dei profughi ammassati in centri appositi. Attualmente sono circa 5000 i rifugiati ammucchiati dentro ex capannoni industriali attorno a Tripoli e la situazione generale è molto precaria. L’ospedale della capitale ha un’autosufficienza stimata per altri tre mesi al massimo, poi le scorte di generi alimentari finiranno.

Dal settimanale “La Voce e il Tempo”