ARTE- Pagina 35

Quella “grande arte” che, in Italia, sdoganò il “Contemporaneo”

Dalla “Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea” di Roma ai “Musei Reali” di Torino, oltre 70 opere della prima avanguardia

Fino al 2 marzo 2025

Anni ’50 – ’70. Signori miei, che anni quegli anni! Per il Paese (a maniche in su per la benefica ricostruzione post-bellica che avrebbe portato agli anni del boom economico ma anche alle inquietanti avvisaglie dei terribili “anni di piombo”), un ventennio di sovvertimenti burrascosi e totali. Nel bene e nel male. Che non mancarono di travolgere anche il mondo dell’arte, trasformatosi in un vero e proprio “movimento artistico tellurico”, portato avanti da un gruppone solido e coraggioso di “protagonisti germinali, oggi identificati come gli interpreti internazionali dell’allora contemporaneità”.

A sottolinearlo è Luca Massimo Barbero, curatore con Renata Cristina Mazzantini (direttrice della “GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea” di Roma) dell’inedita rassegna “1950-1970. La Grande Arte Italiana” ospitata, fino a domenica 2 marzo, nelle “Sale Chiablese” dei “Musei Reali” di Torino. 79 le opere esposte, provenienti dalla “GNAM” e riunite, per la prima volta, al di fuori del “Museo” di appartenenza, in una mostra prodotta dai torinesi “Musei Reali” e da “Arthemisia”, nonché fortemente voluta e resa possibile da Mario Turetta, “Capo Dipartimento per la Attività Culturali” del “Ministero della Cultura” e direttore delegato dei “Musei Reali” di Torino. 21, gli artisti rappresentati in un iter che coinvolge 12 Sale“La mostra vuole porre – afferma la direttrice della ‘GNAM’ Renata Cristina Mazzantini – l’attenzione sul ruolo da protagonista che la Galleria romana rivestì nella costituzione del patrimonio artistico italiano moderno e contemporaneo, grazie soprattutto al rapporto attivo che, nei suoi tre decenni al vertice della Galleria, la soprintendente Palma Bucarelli seppe intrecciare con gli artisti più significativi e innovativi di quella così alta stagione”. Stagione irripetibile. Annunciata in rassegna da due opere che subito ti avvertono delle dirompenti visionarie “bizzarrie” che ti aspettano nel lungo percorso espositivo: un astratto-materico “Rilievo con bulloni” del ’58-’59 del parmigiano Ettore Colla e “L’arco di Ulisse” del ’68 realizzato dal pugliese Pino Pascali (con lana d’acciaio su struttura in legno), cui si deve anche quel rosso fuoco “Primo piano labbra” del ’64, sarcastico rimando all’aggressività massmediale di certa pubblicità rivolta al pubblico femminile di allora.

In entrambe le opere, colpiscono l’invenzione e la capacità di trasformare il ludico esercizio manuale in opere di indubbia matrice artistica. Varcato l’ingresso, ecco i lavori di Giuseppe Capogrossi, fra cui la grande “Superficie 207” con quel caratteristico “segno” (“pettine” o “forchetta” per i critici) che il romano Capogrossi seppe elaborare e trasformare in tutte le maniere possibili. E, a seguire, un focus su quegli anni ’50, in cui l’arte amava palesarsi nell’utilizzo di materiali non convenzionali, da quelli di riciclo (sacchi di juta, plastiche, catrami o metalli) firma inconfondibile di  Alberto Burri, fino al gesto estremo della “lacerazione dei manifesti pubblicitari” del calabrese Mimmo Rotella, che in mostra firma anche una “realista” silhouette nera del presidente Kennedy, di spalle, al telefono. Sala monografica, a seguire, per il friulano Afro Basaldella e il suo, meno irruento e vagamente memore dell’immagine, “lirismo astratto”, cui s’oppongono le fluttuanti e vivide (verticali o orizzontali) fasce di colore di Piero Dorazio, così come i celebri “Concetti Spaziali” (concretizzazione del suo “Manifesto Blanco”) di Lucio Fontana. Fra le donne, meritano uno spazio speciale la romana Giosetta Fioroni fortemente ispirata (non meno di Sergio Lombardo e Tano Festa) alla “nuova mitologia” creata dai “nuovi media” (tv, cinema e rotocalchi) e la siciliana Carla Accardi, artista dal segno “auto generativo” e figura fra le più rappresentative dell’“Arte Povera”.

E che dire della maestosa imprevedibile “Superficie lunare” di Giulio Turcato o del “Poetry Reading Tour” in cui Gastone Novelli riesce a fondere pittura e scrittura e segni, in un’azione (molto diversa da quella simile in partenza di Toti Scialoja) di bizzarro collante fra realtà e immaginazione. Un altro inedito confronto si sviluppa, infine, fra un intenso monocromo nero di Franco Angeli ed alcuni importanti “Achrome” di Piero Manzoni, fra le più rivoluzionarie figure dell’arte italiana. A conclusione, le sale dedicate all’iconico quadro specchiante del ’68 di Michelangelo Pistoletto, insieme alle celebri “Cancellature” di Emilio Isgrò, all’“Incidente D662” di Mario Schifano e all’ironico (fin dal titolo) e dissacrante “Bachi da setola” del già citato Pino Pascali. Fra le Sale si cammina e si osserva incuriositi. Dentro la consapevolezza di non incontrare limiti all’ingegno dei “nuovi” (in allora) artisti.

Gianni Milani

“1950-1970. La Grande Arte Italiana”

Sale Chiablese-Musei Reali, piazzetta Reale, Torino; tel. 011/1848711 o www.museireali.beniculturali.it

Fino al 2 marzo

Orari: Da mart. a dom. 10/19. Lunedì chiuso

Nelle foto: Pino Pascali “Primo piano labbra”, tela smaltata tensionata su struttura lignea con camere d’aria, 1964; Giuseppe Capogrossi “Superficie 207”, olio su tela, 1957; Lucio Fontana “Concetto spaziale. Teatrino”, idropittura su tela con buchi e legno laccato, 1965; Mimmo Rotella: “Senza titolo”, Décollage, 1962

“New Color Lights”. Insieme l’“Accademia Albertina di Belle Arti” e la “Fondazione Chierese per il Tessile”

Un progetto – moda sostenibile, per “vestire il futuro”

Dal 19 dicembre al 19 gennaio 2025 e dal 1° al 15 febbraio 2025

Obiettivo “nobile” e non da poco: mettere in atto una sperimentazione di ricerca nell’universo moda che possa guardare ad una più equa e sostenibile visione del futuro. Il progetto didattico ed espositivo vede da tempo la collaborazione fra due realtà torinesi di assoluto prestigio nel campo del design e del “tessile”: l’“Accademia Albertina di Belle Arti” di Torino e la “Fondazione Chierese per il Tessile”. Ideata da Vincenzo Caruso, direttore del Corso di “Fashion Design” dell’“Ateneo” (presieduto da Paola Gribaudo e diretto da Salvo Bitonti), in collaborazione con i docenti Valentina Rotundo e Melanie Zefferino, l’iniziativa ha visto attivamente coinvolti oltre 40 studenti, allievi del Corso biennale di “Progettazione Artistica per l’Impresa” (con indirizzo, per l’appunto, di “Fashion Design”) che si sono attivamente dedicati allo studio e all’impiego del cosiddetto “tessuto bandera”– realizzato con fibre naturali , cotone o lino – di antica tradizione a Torino e dintorni, nei colori limitati ancora oggi ai bianchi ed écru, per  realizzare una “capsule collection” di “abiti a trapezio”, icona del guardaroba anni ’60 ideato dallo stilista Yves Saint Laurent, moderno e versatile diventato un eterno evergreen. Sul bianco ottico di questo tessuto in puro cotone, prodotto dalla “Pertile srl” con certificazione “GOTS – Global Organic Textile Standard” (il più importante stan-dard internazionale per la certificazione dei prodotti tessili realizzati con fibre naturali da agricoltura biologica), si innestano gli inserti della stessa stoffa tinta con coloranti naturali nei sette colori dell’arcobaleno, usando tecniche che gli studenti hanno sperimentato nel corso di un workshop condotto al “Museo del Tessile di Chieri”.

Gli abiti protagonisti, dalla caratteristica forma ad “A”, si trasfigurano “nell’affascinante materia del prisma – spiegano i docenti responsabili – mentre cenni di colore sapientemente studiati emergono dal bianco di ognuno dei capi, dando vita ad una totale immersione nel mondo vibrante e potente dei cromatismi. Il trapezio veste il corpo della donna, come dell’uomo, in un atto di rivelazione che, dalla sua purezza e versatilità, parla di luce e rinascita culturale. I colori dell’arcobaleno, simbolo di bellezza e diversità, ci ricordano l’importanza dell’inclusione all’interno della società”.

Gli allievi, inoltre, della scuola di “Cinema, Fotografia e Audiovisivo” diretti da Fabio Amerio, hanno documentato il work-in-progress del progetto e curato lo “shooting” fotografico, al quale hanno collaborato anche gli studenti del corso di “Trucco e maschera teatrale” di Arminda Falcione. L’iniziativa risponde concretamente alle istanze per il raggiungimento di “obiettivi chiave” (“SDG – Sustainable Development Goals”) dell’“Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” in termini di “sostenibilità dei processi, rispetto dell’ambiente, educazione di qualità, lavoro dignitoso e creativo”.

Gli esiti di questa progettazione artistica “multanime”, ovvero gli abiti e gli elaborati visivi, saranno protagonisti di un’esposizione che ha ricevuto il patrocinio della “Città Metropolitana di Torino” e della “Città di Chieri” e che si inaugurerà all’“Accademia Albertina di Belle Arti” di Torino (via Accademia Albertina 6), nell’ipogeo della “Rotonda del Talucchi”, giovedì 19 dicembre (ore 18), per protrarsi fino a mercoledì 19 febbraio 2025 (sab. dom. e festivi 10/18) e per approdare successivamente al “Museo del Tessile” di Chieri sabato 1° febbraio 2025 (via Santa Clara 6 – 10), dove resterà visibile fino a sabato 15 febbraio ( merc. e sab. 15/18, mart. 10/12).

Per info: siti web di riferimento www.albertina.academy e www.fmtessilchieri.org

G.m.

Nelle foto: “New Color Lights” immagini shooting fotografico

Natale: festa, arte e desideri

Prima di tutto si sceglie lalbero, ogni famiglia ha il proprio sempreverde che la rappresenta, chi acquista larbusto verde classico, chi invece lo preferisce colorato o con effetto neve, c’è poi chi preferisce una decorazione tradizionale e chi invece desidera personalizzarlo con addobbi simpaticied inaspettati, in ogni caso questo è il gesto che segna linizio dei festeggiamenti, come testimoniano anche diverse manifestazioni artistiche. 

Nellopera di David Jacob Jacobsen, Vendendo alberi di Natale, (1853), è evidente che questo primo passo è essenziale: ad ognuno il proprio albero. Su uno stuolo di neve solcata da segni di carrozze e impronte di scarpe di varia numerazione, mentre un sole fioco illumina pallidamente gli edifici sullo sfondo e sfiora i volti delle persone, in primo piano due ragazzini si tengono per mano e si allontanano delusi, senza aver portato a casa lalberello desiderato. Sullo sfondo e ai lati della composizione altre figure, raccolti in piccoli gruppi inscuriti dalla colorazione cupa degli abiti semplici e dallombra proiettata dai palazzi, simpongono sullo sfondo chiaro: un gruppo di donne vende cibaglie, altre invece mostrano dei possibili addobbi natalizi, eppure lattenzione di tutti cade sulle cime dei pini raffigurati al centro del quadro, desiderio dei personaggi dipinti e degli osservatori.
Anche Franz Krüger, immortala limportanza del momento nel suo Padre e figlio in cerca di un albero di Natale, risalente al XIX sec. La scena mostra unaustera figura barbuta armata di accetta, in netto contrasto con la dolcezza di un ragazzino ancorato alla sua slitta e lespressione felice di un cagnolino scodinzolante e curioso, luomo dal volto irto e serioso impugna un alberello sempreverde di medie dimensioni, ognuno degli astanti osserva larbusto già inghirlandato e impreziosito dalle decorazioni minute.

 

Marcel Rieder, in Decorando lalbero di Natale, (1898), mostra invece latto magico decisivo, tramite il quale una semplice pianta finta ovviamente, cari ambientalisti-  si tramuta nel cuore pulsante della casa, il finto pino diviene lorgano vivo dellabitazione, ogni battito riflette landamento delle lucine che lo attorcigliano, al piano delle radici artificiali spuntano man mano pacchetti e regalini, e più il numero dei doni misteriosi aumenta, più è evidente lavvicinarsi del grande giorno.
Rieder dipinge un ambiente intimo e accogliente, nella penombra una giovane donna appoggia con delicatezza le decorazioni sullarbusto, sotto di lei sintravvede qualche balocco, mentre in primo piano, sul tavolino giacciono piccoli giocattoli usati, forse i desideri dellanno precedente. Ad illuminare il momento labat-jour dal paralume in stoffa, che attutisce il diffondersi del chiarore e trasporta lo spettatore nellatmosfera che precede larrivo convulso dei familiari, la notte della vigilia, quando le coppie possono ancora approfittare dellintimità della solitudine e scambiarsi un affetto più raccolto e delicato.
È il momento che preferisco personalmente, la calma prima del festaiolo trambusto, lo scambio dei doni con la propria dolce metà, quel regalo veramente sentito barattato con i sorrisi sinceri e carezze sfiorate; è il momento che amo di più perché, mentre Babbo Natale sorvola i tetti del mondo, ognuno di noi ha lopportunità di  trascorrere del tempo con chi desidera sul serio, senza i convenevoli che ogni tradizione  trascina dietro di sé.
La notte finisce, il buon Santa Claus ha compiuto nuovamente la sua magia, ognuno ha la propria aspettativa sotto lalbero.
William Holbrook Beard, nel suo Babbo Natale, (1862), dipinge una scena tratta dallimmaginario classico condiviso a livello mondiale: una slitta trainata da renne si confonde tra le nuvole notturne, i comignoli sbuffano il fumo delle stufe e un signore paffuto fa lievemente cadere dolciumi e prelibatezze dai cocuzzoli dei tetti.
Vi sono alcune cose sacreed intoccabili a questo mondo, una di queste credo- sia proprio la figura di Sinterklaas, a cui si attribuiscono nomi differenti e che appunto per noi è “Babbo Natale, persino Picasso ed Andy Warhol si sdebitano con lui, regalandogli a loro volta un ritratto speciale, il primo eseguito con linee essenziali e precise, il secondo tutto incentrato sul volume della barba lanosa e sul brillore dei piccoli occhiali rotondi.
Ma è ormai il didi festa. Ce lo mostra Viggo Johansen,  in Felice Natale, del 1891, su uno sfondo scuro emergono caldamente illuminate le figure danzanti di una famiglia numerosa che esegue un girotondo intorno allalbero addobbato. I bambini ridono e osservano il luccichio delle candele incastonate sui rami, la madre, di spalle, partecipa alla felicità familiare con il contegno che saddice a chi è sempre vigile e pronta a sedare eventuali capricci infantili. Oppure Albert Chevallier Tayler, che, con il suo Lalbero di Natale, (1911), dipinge il vociare allegro della famiglia tutta disposta lungo la tavolata imbandita di prelibatezze, mentre sullo sfondo luccica lalbero di natale, i volti rubicondi degli astanti presentano gote arrossate e bocche piene, persino il nonno sulla sedia a dondolo, seduto vicino al camino e meno volenteroso dallegria, è costretto dal nipotino intrepido e rinunciare a quel momento di raccoglimento per partecipare alla grande gioia.

 

Symons, Mark Lancelot; The Day after Christmas; Bury Art Museum


Natale è festa per tutti, dai soldati di Wojciech Kossak, fino ai bordelli di Munch, nessuno può esimersi da questo giorno di pasti, risate e abbracci.
Quello che viene dopo lo sappiamo tutti, eppure ben lo rappresenta Mark Lancelot Symons, nellopera titolata Il giorno dopo Natale, (1931). Nella raffigurazione si nota unabitazione scompigliata, i festoni si appoggiano stanchi alla libreria in secondo piano, a terra le carte spacchettate dei balocchi nascondono il pavimento e su tutto vincono i volti esausti ma felici dei bambini, intenti e concentrati a giocare con le novità appena ricevute.
Lo aspettiamo tutto lanno questo momento di pausa, forse ogni anno che passa con maggiore necessità di fermarsi dalla frenesia della vita moderna. E come sempre il tempo ci vola via senza che possiamo fare niente per fermarlo o perlomeno rallentarlo un po.
Quello che credo è che, mentre corriamo irrequieti da un negozio allaltro, dovremmo forse trovare qualche istante per formulare dei desideri seri, come ritrovare un podi assennatezza e di senso del limite.
Questo Natale, cari lettori, regaliamoci un podi coraggio per affrontare le sfide delle responsabilità che ci richiede la vita e un podi umiltà per apprezzare che ogni frutto ha la sua stagione.
Questo Natale, proviamo a fare gli adulti, magari in tal modoregaleremo ai bambini la possibilità di vivere la propria infanzia gioiosamente e non attaccati al monitor di uno smartphone, così come potremmo donare agli adolescenti che tutti additiamo lopportunità di imparare qualcosa sul serio.
Un felice Natale a tutti, cari lettori, vi auguro di trovare sotto lalbero sincerità e affetto, ma soprattutto spero che voi troviate il tempo, che è il regalo più bello di cui disponiamo, ma che alla fine non scartiamo mai.

ALESSIA CAGNOTTO

Beyond Alien: H.R. Giger al Mastio della Cittadella

In occasione delle festività natalizie la mostra Beyond Alien: H.R. Giger, allestita al Mastio della

Cittadella di Torino fino al 16 febbraio 2025, sarà aperta al pubblico regolarmente da lunedì a venerdì dalle ore 09:30 alle ore 19:30 e sabato e domenica dalle ore 09:30 alle 20:30, tranne che per le seguenti variazioni:

-25 dicembre 2024 (Natale) CHIUSO

-26 dicembre 2024 (Santo Stefano) 9.30-20.30

-31 dicembre 2024 (San Silvestro) 9.30-17.30

-1° gennaio 2025 (Capodanno) 14.30-20.30

La mostra è realizzata da Navigare s.r.l, in coproduzione con Glocal Project e ONO arte, con il patrocinio della Regione Piemonte e del Comune di Torino, e in collaborazione con Museo Nazionale del Cinema.

INFORMAZIONI SULLA MOSTRA

Beyond Alien: H.R. Giger

Fino al 16 febbraio 2025

Mastio della Cittadella, Torino

Corso Galileo Ferraris, 0 – angolo Via Cernaia, Torino (TO)

www.mostragiger.com 

www.navigaresrl.com 

www.glocalproject.com

www.onoarte.com

ORARI

Dal lunedì al venerdì dalle ore 09:30 alle ore 19:30.

Sabato e domenica dalle ore 09:30 alle 20:30.

cs

La grande fotografia. Fra attivismo politico e onirica metafisica

A “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia” di Torino, le mostre autunnali portano le firme di Tina Modotti e Mimmo Jodice

Fino al 2 febbraio 2025

Una statuaria “Donna con bandiera”, scattata in Messico nel 1928. E’ lei a campeggiare sovrana fra le 300 immagini fotografiche, provenienti da ben 32 “Archivi” da tutto il mondo, scattate da Tina Modotti, fra le più grandi fotografe del XX secolo (ma anche attrice, rivoluzionaria e attivista comunista), portate in mostra, fino a venerdì 2 febbraio 2025, negli spazi della torinese “CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, sotto la curatela di Riccardo Costantini. Lontana quasi di un secolo, quella “Donna”, d’obbligo la “D” maiuscola, fiera e possente nella dignità del suo manifestare (appartenente, forse, al tanto amato “matriarcato zapoteco” dell’istmo di Tehuantepec) è figura oggi di estrema attualità, in cui paiono rispecchiarsi le tante donne che, ai giorni nostri, scendono in marcia, a varie latitudini del Pianeta, inneggiando alla Pace e ai Diritti Umani contro tutte le guerre e le politiche antidemocratiche dei “sempre vivi” dittatori. Nella sua “grandezza fotografica” lo scatto rappresenta appieno il valore e il significato del mestiere di fotografa per Tina (Tinissima, per la madre) Modotti, all’anagrafe Assunta Adelaide Luigia, nata a Udine nel 1896 e scomparsa a Città del Messico nel 1942.

Dal semplice titolo “Tina Modotti. L’opera”, questa di “CAMERA” è la più completa mostra mai proposta in Italia sull’opera della fotografa (friulana di nascita ma forse più “messicana” di spirito), arrivata a Torino, dopo il grande successo ottenuto precedentemente da quella di “Palazzo Roverella” a Rovigo. Un’esposizione che trova il suo apice nella Sala dedicata alla storica e sua unica personale, tenuta da Tina nel 1929 alla “Biblioteca Nacional de la Universidad Autonoma de Mexico” a Città del Messico, con ben 41 dei 57 scatti esposti in allora. Promossa dalla “Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo” (in collaborazione con “Cinemazero”) la mostra vuole essere un racconto per immagini della vita di quella donna – fotografa, “creatura nomade per antonomasia”. In un infinito peregrinare, Tina emigra infatti dall’ Austria all’America, a Hollywood, dove poco più che ventenne recita in alcuni film muti e inizia ad appassionarsi di fotografia. Successivamente eccola in Messico dove approda insieme al compagno, il grande fotografo americano Edwuard  Weston e dove diventa fotografa ed amica dei “Muralisti”, in primis di Diego Rivera e Frida Kahlo.

Accusata di aver partecipato a un attentato al presidente, Ortiz Rubio, ed espulsa dal Messico, la Modotti ottiene asilo politico a Berlino, per poi volare a Mosca e di qui (per la sua attività per il “Comintern”) a Parigi. Dal 1935 al 1939, con “Soccorso Rosso Internazionale” partecipa alla “Guerra Civile” in Spagna per poi definitivamente ritornare in Messico, dove scompare nel 1942. Guai a chiamarla “artista”! Le sue, diceva, sono “fotografie oneste”, immediate e libere da virtuosismi. Al centro, sempre più la figura dell’“essere umano”, accompagnata da forti rimandi politici e da un ben visibile “impegno civile” che la porterà, non a caso, ad aderire nel 1927 al “Partito Comunista Messicano”“È difficile – scrivono gli organizzatori – scindere l’arte della fotografa dalla sua vita a cavallo tra due guerre, in otto paesi, parlando cinque lingue differenti, e proprio per questo la mostra di Torino si concentra sull’intensità della sua produzione, cercando di lasciare da parte la biografia”. Mostra importante anche dal punto di vista “documentale”, perché raccoglie materiali inediti, video, riviste, ritagli di quotidiani e ritratti dell’artista, oltre ad includere un percorso di “opere visivo-tattili” accompagnate da “audio descrizioni” che approfondiscono lo stile e la storia della “grande Tinissima”.

In contemporanea a “Tina Modotti. L’opera”, la “Project Room” di “CAMERA” ospita, sempre fino al 2 febbraio“Mimmo Jodice. Oasi”, realizzata in collaborazione con la “Fondazione Zegna”. Curata da Walter Guadagnini con la collaborazione di Barbara Bergaglio, si tratta di una  mostra unica che presenta per la prima volta 40 immagini appartenenti alla più ampia serie realizzata dal fotografo napoletano (classe ’34) tra il 2007 e il 2008  per una “committenza” ricevuta da “Fondazione Zegna”. Fra i protagonisti assoluti della “fotografia d’avanguardia”, Jodice presenta a Torino uno straordinario corpus all’interno del quale è possibile ritrovare tutta la sua straordinaria capacità di trasformare il “reale” in spazi di singolare e lirica “visione metafisica”: dagli scatti riferiti alle architetture del “Lanificio” e della “Villa Zegna” fino alla grande “Oasi” innevata. Con quella neve! Soggetto intrigante per il fotografo di mare. Il percorso espositivo prosegue a Trivero (Biella), dove negli spazi del “Lanificio” e di “Casa Zegna” sarà esposta una selezione di “quattro stampe” di grandi dimensioni della stessa serie.

Gianni Milani

“Tina Modotti. L’opera” – “Mimmo Jodice. Oasi”

CAMERA-Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to

Fino al 2 febbraio

Orari:dal lun. al merc. e dal ven. alla dom. 11/19; giov. 11/21

Nelle foto: Tina Modotti “Donna con Bandiera”, Messico, 1928;Enrique Diaz (?) “Tina Modotti” durante la sua unica mostra a Città del Messico, 1929; Tina Modotti “Marcia di campesinos”, Messico, ca. 1929; Mimmo Jodice “Oasi”, 2008, Fondazione Ermenegildo Zegna

Tutti gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

VENERDI 20 DICEMBRE

 

Venerdì 20 dicembre ore 16.30
GLORIA CAMPANER ATTIVA L’INSTALLAZIONE NOCTURNE NO. 20 / COUNTERPOINT DI KYUCHUL AHN
MAO – Performance nell’ambito della mostra Rabbit Inhabits the Moon

Nell’ambito della mostra Rabbit Inhabits the Moon, le pianiste Gloria Campaner e Sun Hee You attivano l’installazione Nocturne No. 20 / Counterpoint (2013-2020) di Kyuchul Ahn.

L’installazione propone una rivisitazione della musica di Chopin ed è completata da una performance in cui gli 89 martelletti del pianoforte saranno gradualmente rimossi a ogni esecuzione dal pianista, portando alla graduale scomparsa del suono.

Ingresso incluso nel biglietto di mostra.

 

 

DOMENICA 6 GENNAIO

 

Domenica 6 gennaio ore 11

COME STA IL TUO FIUME?

Palazzo Madama – attività per famiglie con bambini 5-13 anni in occasione di F@Mu

Le famiglie saranno invitate a scoprire i tanti elementi e organismi che compongono il fiume e le forme di vita che ospita. Durante il laboratorio si creerà un fiume collettivo e si vestiranno i panni degli scienziati comprendendo come si valutano le condizioni ambientali di un corso d’acqua.

Costo 7€ a bambino. Biglietto di ingresso alla mostra per adulti accompagnatori.

Prenotazione obbligatoria: t. 011.4429629 (lun.-ven. 09.30 – 13; 14 – 16);

madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

MARTEDI 8 GENNAIO

 

Martedì 8 gennaio

CHANGE!

Palazzo Madama – ultima settimana di mostra

Ultima settimana di apertura del progetto espositivo Change! Ieri, oggi, domani. Il Po, mostra – organizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica – che affronta il tema della crisi climatica, offrendo una visione sinottica dei cambiamenti millenari lungo il percorso del fiume Po, paradigma di quanto sta avvenendo su scala mondiale.

Affrontando i temi essenziali del cambiamento climatico in un’esposizione che intesse un racconto visivo tutto sviluppato nell’interazione tra grande pittura e fotografia, illustrazione e infografica capaci di narrare il paesaggio italiano nella sua complessità e articolazione, dalle Alpi al mare, il progetto espositivo punta l’attenzione sul tema dell’acqua e in particolare sul nostro Grande Fiume, che da millenni determina il paesaggio e la vita della popolazione, è via di comunicazione ma anche supporto essenziale per le attività agricole e industriali, ed esplora le conseguenze e analizza le potenziali soluzioni messe in atto sul territorio dai diversi enti di ricerca e di tutela del Po.

652 chilometri di lunghezza, 141 affluenti, quasi 87.000 chilometri quadrati di bacino idrografico, 19.850.000 di abitanti, il 37% della produzione agricola italiana, il 55% dell’industria zootecnica nazionale: il Po e il bacino padano, dove si produce il 40% del PIL nazionale, costituiscono una delle aree con la più alta concentrazione di popolazione, industrie e attività commerciali a livello europeo.

Questo incredibile sviluppo è stato reso possibile grazie alla storica stabilità e abbondanza della portata delle acque del maggior fiume d’Italia, che provengono da innumerevoli fonti e processi naturali diversificati – sorgenti montane, fusione nivale, ghiacciai, grandi laghi e risorgive di pianura – ma che negli ultimi decenni hanno visto un significativo mutamento, portando a un fenomeno di crisi che si sta verificando ovunque a livello globale.

Proprio per le sue peculiarità e per il suo portato di memoria, di stratificazione storica e di paesaggi, il Po – romano e pagano, bizantino e longobardo, feudale e delle signorie, delle campagne e delle città, romantico, agricolo, industriale, turistico e cinematografico – è capace di restituire in maniera emblematica e chiaramente percepibile la crisi climatica e i suoi effetti: la fisionomia del pianeta sta cambiando più rapidamente di quanto abbia fatto negli ultimi millenni ed è ormai dimostrato il ruolo che gli esseri umani hanno esercitato in questo processo.

La mostra Change! ha l’obiettivo di descrivere questi cambiamenti, offrendo occasioni di riflessione sulla crisi e sui possibili scenari di adattamento ad essa, ma anche di esortare all’azione e alla presa di coscienza: è tempo di agire.


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

L’illustrazione di Margherita Caspani da Torino a New York

 

Alla ribalta della “Big Apple City”, fra le venti commissionate da “Palazzo Madama” per la mostra “Change!”

Il segno è nitido ed essenziale. Delicato e puro. Il racconto si muove fra la magia del “surreale” e la leggera visionarietà del “pop”. Illustrazione a tecnica mista, collage e digitale, si intitola “New Life – Recycling” (“Nuova vita – Riciclo”), a firma dell’artista milanese Margherita Caspani, ed é fra le venti illustrazioni commissionate da “Palazzo Madama” ad illustratrici e illustratori italiani riconosciuti a livello mondiale, nell’ambito dell’ampio progetto di sensibilizzazione, rivolto alla Città, sulla sfida globale della crisi climatica culminante nella mostra dal titolo esemplare di “Change! Ieri, oggi, domani. Il Po”, allestita in “Sala Senato” fino al 13 gennaio 2025. Ebbene, proprio l’opera della Caspani, nella sua elementare ma immediata chiarezza narrativa, ha messo le ali per volare oltreoceano ed essere premiata con tanto di “medaglia d’oro” (per la categoria “Illustrazione istituzionale”) dalla celebre “Society of Illustrators”, società professionale con sede nella 63rd Street di New York City, fondata nel 1901 per promuovere l’arte dell’“illustrazione” e oggi (dopo aver assorbito nel 2012 il “Museum of Comic and Cartoon Art – MoCCA”) promotrice dell’annuale “MoCCA Festival”, vetrina indipendente di “fumetti”.

“New Life – Recycling” (oggetti dismessi e di banale quotidianità trasportati “colà dove si puote” ma soprattutto si “deve”, da omini svelti e inaspettatamente forzuti che li trasportano a mano o alzandoli in alto a suon di vigorose braccia) è stata esposta nell’ambito della mostra diffusa nelle vie di Torino, tra aprile e maggio di quest’anno, in occasione della “Planet Week”, promossa dal “Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica”, in collaborazione con il programma “Connect4Climate” della “World Bank”, che ha proposto a Torino e in Piemonte una riflessione sui temi di azione climatica, economia circolare, energie rinnovabili, acqua e giovani.

La “Planet Week” ha anticipato il “G7 Clima, Energia e Ambiente”, che si è tenuto dal 28 al 30 aprile scorsi alla “Reggia di Venaria Reale” e ha posto sul tavolo la necessità di una riflessione multidisciplinare e di un filone espositivo su cui “Palazzo Madama” s’è impegnato per tutto l’anno ormai in chiusura.

La “medaglia d’oro” della “Society of Illustrators” rappresenta un illustre riconoscimento al lavoro dell’artista e anche al progetto “Change!”,e testimonia il valore dell’impegno su un tema più che mai attuale, e che “troppo spesso – sottolineano i responsabili – manca di essere al centro del dibattito pubblico e dell’attenzione di cittadinanza e istituzioni”.

La “cerimonia di premiazione” è prevista per febbraio 2025 a New York.

Si tratta di un Premio altamente prestigioso che va ad arricchire un palmarès già ricco e “di peso” per Margherita Caspani , diplomata in “Illustrazione e Animazione” presso lo “IED” di Milano e più volte premiata in concorsi internazionali promossi in Italia, piuttosto che negli States o in Cina.

I suoi progetti includono collaborazioni con clienti come “Il Sole 24 Ore”, “Acqua di Parma”, “L’Espresso”, “La Repubblica”, “La Feltrinelli”, “Internazionale”, “De Agostini”, il “FuoriSalone” e il “Piccolo Teatro”. A partire dal 2023, è “docente universitaria” presso lo “IED” di Milano.

Le è stato spesso detto che “il suo mondo interiore è oniricamente ironico” e che “il suo lavoro è nel raccontarlo”. La definizione ci convince, aggiungendo altresì che proprio nel “sogno” e nell’“ironia” (mai sguaiata) abitano spesso i segreti della “vera” arte. Di quella pagina disegnata capace di arrivare dagli occhi al cuore, per tradursi in pure emozioni, così come a stimoli garbati per concrete e chiare e impegnative riflessioni.

Gianni Milani

Nelle foto: Margherita Caspani “New Life – Recycling”, tecnica mista collage e digitale, 2024;  Margherita Caspani

“DEADHEAD”, il nuovo progetto dell’artista Yto Barrada

Fondazione Merz, in collaborazione con il MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino, presenterà nei suoi spazi espositivi “DEADHEAD”, il nuovo progetto dell’artista Yto Barrada, vincitrice del Mario Merz Prize

Da mercoledì 19 febbraio a domenica 18 maggio 2025, la Fondazione Merz presenterà, in collaborazione con il MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino, la mostra dell’artista Yto Barrada intitolata DEADHEAD, a cura di Davide Quadrio con Giulia Turconi.

Il titolo della mostra, “DEADHEAD”, rimanda alla pratica agricola di rimuovere foglie e fiori appassiti di una pianta per stimolarne la crescita. Riprendendo la metafora di un ritorno all’essenziale per liberare nuove energie, l’esposizione accoglie le opere più rappresentative della ricerca artistica di Yto Barrada, tra cui film, sculture, installazioni, tessuti e stampe, alcune delle quali appositamente realizzate per l’occasione.

Tra echi, rimandi e sperimentazioni visive presenti in mostra, Yto Barrada trae ispirazione dalla teoria del colore dell’artista, collezionista e filantropa Emily Noyes Vanderpoel (1842 – 1939), descritta nel libro “Color Problems: A Practical Manual for the Lay Student of Color” (New York, 1902). Il volume, pensato per un pubblico di donne, specialmente sarte, fioriste e decoratrici, mostrava le rivoluzionarie tavole di analisi del colore dell’autrice, dove le immagini degli oggetti sono trasformate e tradotte in griglie geometriche. Attraverso una disposizione sistematica del colore, definita “la musica della luce”, Vanderpoel ha creato dei campi relazionali in cui ogni tinta, sfumatura e ombra sono in perfetta relazione con tutte le altre.

Yto Barrada reinterpreta in maniera analoga la storia attraverso gesti contemporanei legati alla natura degli oggetti esposti. Nella serie “Color Analysis”, presentata in anteprima al MAO Museo d’Arte Orientale all’interno della mostra “Trad u/i zioni d’Eurasia” (2023-24), l’artista propone griglie di velluto tinte a mano in cui applica la tecnica di Vanderpoel per trasformare immagini che trae dalla collezione personale di antichità di Vanderpoel, dalle opere selezionate dalla collezione d’arte islamica del MAO e da un disegno di Marisa Merz. I pigmenti naturali impiegati nell’opera sono realizzati in “The Mothership”, un progetto artistico ideato da Barrada come un “eco-campus femminista” per la coltivazione, la produzione e l’apprendimento delle tinture naturali e delle tradizioni indigene radicali perdute, nel suo giardino a Tangeri in Marocco.

La mostra sarà arricchita dalla pubblicazione di un catalogo da parte della casa editrice Hopefulmonster per Fondazione Merz. La mostra “DEADHEAD” consolida il dialogo tra la Fondazione Merz e il MAO Museo d’Arte Orientale, dove il lavoro di Yto Barrada è stato presentato nell’ambito della mostra collettiva “Trad u/i zioni d’Eurasia” (2023-24).
Yto Barrada è la quarta artista a ricevere il Mario Merz Prize, premio internazionale biennale ideato con l’obiettivo di celebrare Mario Merz e individuare talenti nell’ambito artistico e musicale attraverso la commissione di un progetto espositivo e un progetto musicale inedito all’artista selezionato per ciascuna delle due categorie di concorso. La stessa edizione ha visto l’assegnazione del premio per la musica a Füsun Köksal, il cui concerto si terrà mercoledì 2 luglio 2025 negli spazi della Fondazione Merz.

19 febbraio – 18 maggio 2025
Fondazione Merz
Torino, via Limone 24

Gian Giacomo Della Porta

Eugenio Battisti tra Genova e Torino

Conferenza promossa da Associazione culturale plug_in e GAM Torino

Intervengono:

Elena Volpato, conservatore collezioni GAM
Eugenia Battisti, storica dell’arte
Emanuele Piccardo, critico e storico dell’architettura / plug_in
Giorgina Bertolino, curatrice e storica dell’arte

Sabato 14 dicembre 2024, ore 11:00 – 12:30
GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino
Sala Incontri piano terra

Ingresso libero fino a esaurimento posti

In occasione del centenario dalla nascita, l’Associazione culturale plug_in e la GAM di Torino dedicano una conferenza a Eugenio Battisti (Torino 1924 – Roma 1989) e al suo rapporto con le città dove ha realizzato alcuni dei suoi progetti più significativi: Genova, dove nel 1963 aveva fondato la rivista “Marcatrè” e il Museo d’Arte Contemporanea, Torino, dove nel 1965 quel Museo sarebbe diventato il Museo sperimentale, sezione della GAM e importante nucleo delle sue collezioni.

La conferenza Eugenio Battisti: sperimentare l’arte tra Genova e Torino ritorna sulla figura di questo straordinario intellettuale, per riconsegnare attenzione alla sua innovativa e pioneristica visione dell’arte e della cultura contemporanee e verificarne la continuità nel presente. L’incontro, introdotto da Elena Volpato, si apre con l’intervento di Eugenia Battisti che ripercorre la biografia e il profilo culturale di Battisti, per poi focalizzarsi sui suoi progetti genovesi, approfonditi da Emanuele Piccardo, e sui loro esiti torinesi, ricostruiti da Giorgina Bertolino a partire dai documenti conservati nell’Archivio dei Musei Civici della Fondazione Torino Musei.

Storico dell’arte e dell’architettura, Eugenio Battisti si era laureato in filosofia a Torino nel 1947, aveva studiato Storia dell’arte con Anna Maria Brizio, conseguendo la specializzazione con Lionello Venturi a Roma nel 1953. Docente di Storia dell’arte all’Università di Genova, alla Pennsylvania State University e alla North Carolina University, a partire dagli anni ’70 insegna Storia dell’architettura nelle Università di Firenze, Reggio Calabria, al Politecnico di Milano e alla Facoltà di ingegneria dell’Università di Tor Vergata a Roma. Presidente, dal 1988, dell’Associazione internazionale per gli studi sulle utopie, Eugenio Battisti ha individuato proprio nell’utopia un’area di ricerca e un campo di azione: dall’“utopia storiografica” del suo volume più noto, L’antirinascimento (c.vo) pubblicato nel 1962, all’“utopia didattica” proposta nel 1963 al suo gruppo di studenti universitari con l’istituzione del Museo d’Arte Contemporanea a Genova, fino all’“utopia realizzabile” con il Museo sperimentale della Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino.

A Genova, dove risiede dal 1962 al 1964, Eugenio Battisti insegna Storia dell’arte all’Università, fonda la rivista “Marcatrè. Notiziario di cultura contemporanea” e il 23 dicembre 1963 costituisce il Museo d’Arte Contemporanea. Nato con uno scopo didattico e concepito come un vero e proprio museo universitario, promuove conferenze, mostre, incontri con gli artisti (tra i primi, Carmi, Fontana, Castellani), e lancia un appello per la donazione di opere contemporanee. Nasce così una collezione pensata a sostegno della formazione specialistica e della promozione della contemporaneità. Aperto alla città, con le prime opere donate allestite nei foyer di due teatri genovesi, il progetto del Museo si infrange per la mancata assegnazione di una sede istituzionale permanente e migra a Torino.

Il 6 dicembre 1965, mentre è negli Stati Uniti, dove insegna alla Pennsylvania State University, Battisti firma l’atto di donazione alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino delle opere raccolte per il Museo d’Arte Contemporanea di Genova, di cui è legalmente titolare. Tra il centinaio di opere che entrano nelle collezioni della Galleria, ci sono Blurosso (1961) di Carla Accardi, Bianco, Superficie bianca (1963) di Enrico Castellani, Attese (1961) di Lucio Fontana, Cemento armato n. 29 (1961) di Giuseppe Uncini. Quando Battisti riprende la parola, in un saggio sul catalogo della mostra Museo sperimentale d’arte contemporanea, nelle sale della Galleria nell’aprile 1967, il Museo sperimentale si è arricchito di nuove opere donate ed è diventato Un’utopia realizzabile.

Immagine:

Una sala della mostra Museo sperimentale d’arte contemporanea, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea 1967. Archivio Fotografico della Fondazione Torino Musei

 

Pier Luigi Borla, la bellezza come occasione d’arte

Il Museo Etnografico Maison de Cogne Gerard Dayné  prestigiosa architettura che valorizza il patrimonio artistico-culturale della valle, ha accolto in permanenza, datate tra il 1963 e  il 1974, molte opere del noto pittore piemontese Pier Luigi Borla (Trino 1916- 1992), grazie alla donazione della figlia Bruna e del genero Mauro Galfrè anch’egli affermato artista.

I bellissimi scorci del villaggio di Cogne, luogo amato e scelto per trascorrere le vacanze estive, siano essi disegnati di getto a matita, penna a sfera e ad inchiostro nero, oltre ai cromatici dipinti ad olio confermano il temperamento riservato e meditativo di Borla che, tra le montagne del Gran Paradiso, trovava l’ambiente adatto per soddisfare il proprio senso estetico della bellezza intesa  anche come suggestiva occasione d’arte.

Le raffigurazioni della parrocchiale di sant’Orso, la chiesetta di Sant’Antonio, la piccola cappella votiva di Rue Revettaz, le stradine che collegavano agglomerati di tipiche abitazioni, molte delle quali non esistono più o sono state rimaneggiate, costituiscono una preziosissima e documentata memoria del tessuto urbano di quegli anni.

Contrassegnate da un’atmosfera avvolta nel silenzio escludendo la presenza di figure umane (tranne nel disegno del circo arrivato in paese dove si notano figurine pressoché  impercettibili  quasi potessero turbare e contaminare la purezza e l’incanto della montagna), le opere sono fissate nell’immobilità, bloccate per sempre nel tempo per  preservarle dall’oblio.

Ancor più i paesaggi, verdeggianti o innevati, che riprendono le vette del Gran Paradiso pervaso dal senso di sospensione, vengono trasferiti in uno spazio mentale avvicinandosi in qualche modo alla più prepotente atmosfera metafisica soffusa nelle figure muliebri dipinte in atelier che rendono  Pier Luigi Borla “il pittore dei silenzi e delle attese” come acutamente è stato definito.

Giuliana Romano Bussola