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Gli appuntamenti culturali della Fondazione Torino Musei

VENERDI 22 MARZO

 

Venerdì 22 marzo ore 14.30

PALAZZINA LAFLEUR E LA BIZZARRIA DEL NUOVO STILE LIBERTY

Palazzo Madama – percorso guidato in città

Il percorso guidato, legato alla mostra Liberty. Torino Capitale, in corso a Palazzo Madama fino al 10 giugno 2024, intende presentare un’area della città fortemente caratterizzata da costruzioni sorte durante il periodo del Liberty con esempi di edifici destinati sia alla residenza che alla produzione e all’istruzione. Passeggiando lungo le strade sarà possibile cogliere esempi di architetture e decorazioni ispirate sia all’Art Nouveau floreale che ai modelli più geometrici tipici dello Jugendstil.

La zona intorno all’attuale Piazza Peyron e la parte terminale di Corso Francia presentano una serie di edifici ispirati al nuovo stile del Novecento. Abitazioni e stabilimenti vennero costruiti secondo lo stile floreale che troverà nella fantasia di Pietro Fenoglio il suo principale interprete a Torino.

Ritrovo in piazza Amedeo Peyron angolo via Bagetti

Costo singolo itinerario: 14€ intero; 11€ ridotto (possessori di Abbonamento Musei e under 18); gratuito under 6

Durata: 2 ore

Pacchetto tre visite: 38€ intero; 29€ ridotto

Ai visitatori che parteciperanno alla visita guidata della mostra Liberty. Torino Capitale (in calendario ogni lunedì alle ore 11 e ogni venerdì, sabato e domenica alle ore 16.30) abbinata a uno o più percorsi tematici sul Liberty sarà riservata una tariffa speciale:

costo visita guidata mostra Liberty. Torino Capitale + itinerario singolo Liberty in città: 18€

costo visita guidata mostra Liberty. Torino Capitale + pacchetto itinerari Liberty in città: 36€

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun – dom 9 – 17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com

 

Prossimi appuntamenti

Venerdì 5 aprile ore 15: Un nuovo quartiere al posto della Cittadella

Domenica 14 aprile ore 10.30: Liberty in Borgo Crimea

 

Venerdì 22 marzo ore 16

MODA: ABITI, TESSUTI E ACCESSORI NEL LIBERTY DI PRIMO NOVECENTO

Palazzo Madama – visita guidata

Leggeri tessuti rivoluzionano la moda: ecco che il Liberty irrompe anche nella moda. Crinoline e ampie gonne cedono il passo a nuovi modelli e a nuove stoffe. La donna appare più elegante e, soprattutto, volge lo sguardo al nuovo secolo. Accessori ispirati alla natura e raffinatezza nuova: nuova per l’appunto come l’arte di quel tempo.

La visita si soffermerà su tali temi rivelando i segreti degli atelier e le tendenze di quegli anni.

Costo: 6 € per il percorso guidato + biglietto di ingresso al museo secondo tariffe (gratuito con Abbonamento Musei e Torino Piemonte Card).

Info e prenotazioni: t. 011 5211788 (lun-dom 9-17.30); prenotazioniftm@arteintorino.com

 

 

SABATO 23 MARZO

 

Sabato 23 marzo ore 10

DANCE WELL

MAO – pratica di movimento / danza

A cura di DANCE WELL DANCERS, un progetto di Lavanderia a Vapore in collaborazione con CSC – Centro per la Scena Contemporanea di Bassano del Grappa e Associazione Giovani Malati di Parkinson

Nell’appuntamento al MAO i visitatori del museo potranno partecipare negli spazi del museo alla pratica di movimento/danza condotta dai formatori di DANCE WELL DANCERS, un progetto di Lavanderia a Vapore in collaborazione con CSC – Centro per la Scena Contemporanea di Bassano del Grappa e Associazione Giovani Malati di Parkinson: insegnanti, artisti, parkinson people e cittadini praticano insieme la danza contemporanea e la filosofia in luoghi dedicati alla bellezza (teatro, museo, parchi) per dare voce ad insolite comunità di ricerca.

Dance Well è una pratica artistica rivolta principalmente a persone affette dal Parkinson, attivata, ideata e promossa dal CSC Casa della Danza di Bassano del Grappa.

Dal 2018 la Lavanderia a Vapore di Collegno accoglie questa avvincente progettualità, contribuendo alla crescita dell’esperienza artistica facendola seguire da una pratica di filosofia, condotta da Propositi di Filosofia. Un momento dedicato al dialogo, grazie al confronto sui contenuti generati dalla pratica di danza contemporanea.

Nasce così in Lavanderia una insolita comunità di ricerca accompagnata da artisti e filosofi, che condividono uno spazio e un tempo per dialogare insieme mettendo a fuoco alcuni temi chiave. Un percorso che si sviluppa e si costruisce nel corso del tempo attraverso l’impegno reciproco al dialogo e all’opportunità di collaborazione. Rappresenta, in questo senso, una condizione indispensabile per lo sviluppo del pensiero critico, autonomo, creativo e collaborativo e per lo sviluppo di potenzialità riflessive. Nella comunità di ricerca si rispettano e favoriscono i differenti punti di vista nell’ottica di una co-creazione di contenuti.

Tariffe: ingresso ridotto € 8 (gratuito con Abbonamento Musei); attività gratuita.

Prenotazione obbligatoria t.011.4436928 oppure maodidattica@fondazionetorinomusei.it

 

Sabato 23 marzo dalle 14 alle 17.30

L’ABITO DELLA COMPASSIONE

MAO – Visita guidata alle collezioni e laboratorio introduttivo di cucitura del Kesa

A cura di Theatrum Sabaudiae in collaborazione con il Tempio Enku-ji di Torino

L’itinerario inizia nelle sale dedicate alla produzione artistica dell’Asia meridionale dalle più antiche espressioni dell’arte buddhista al successivo sviluppo della raffigurazione antropomorfa del Buddha, per proseguire con l’arte di Sud-est asiatico, Cina e Giappone, soffermandosi sulle interpretazioni artistiche esito dell’incontro della diffusione del buddhismo con creatività e sensibilità locali, e concludere con il peculiare linguaggio della Regione Himalayana, manifestazione materiale della complessa ritualità e iconografia della tradizione Vajrayana.

Segue laboratorio introduttivo di cucitura a cura di Chiara Daishin Grassi. L’iniziativa si inserisce nell’ambito del progetto l’Abito della Compassione realizzato dal Tempio Enku-ji di Torino di Tradizione Zen Sōtō.

Il tema della pratica devozionale viene approfondito durante il laboratorio con il coinvolgimento dei partecipanti nel processo di confezione del Kesa, paramento rituale della tradizione giapponese simbolo della Trasmissione del Dharma, che si traduce in un momento di condivisione per comprenderne significato e rimandi simbolici.
Durante il laboratorio, preceduto da una breve presentazione della storia e delle valenze dell’Abito nella Tradizione buddhista, in particolare in quella Zen, verranno insegnate le tecniche base di cucitura e di lavorazione di un Kesa a 7 bande. Ogni partecipante potrà portare un pezzo di tessuto*, magari appartenuto ad un abito di una persona cara che non c’è più o legato ad un momento significativo della propria esistenza che, in una fase successiva, sarà cucito insieme a ‘pezzi vita’ di altri, andando a comporre un Kesa unico che entrerà a far parte della collezione dei Kesa del Progetto L’Abito della Compassione.

* Possibilmente di cotone – senza elastan – o tessuto leggero con le seguenti misure: 70 x 50 oppure 40 x 30 centimetri.

Prenotazione obbligatoria entro sabato 16 marzo, l’iniziativa verrà attivata al raggiungimento di un numero minimo di partecipanti fino ad esaurimento posti disponibili.

Informazioni e prenotazioni: 011.5211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com (da lunedì a domenica 9.30 – 17.30).

Costo: 17 € a persona.

Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso al museo; ingresso gratuito per possessori di Abbonamento Musei.
Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio.

DOMENICA 24 MARZO

 

Domenica 24 marzo ore 15

BIMBI E BIJOUX

Palazzo Madama – attività per famiglie

Liberty. Torino Capitale, l’attuale mostra ospitata a Palazzo Madama, racconta quanto il Liberty abbia coinvolto con la sua raffinata eleganza ogni aspetto della vita e della società dell’epoca.

Tra queste manifestazioni spicca una produzione di gioielli e bijoux in metallo dalla linea morbida e sinuosa: spille, ciondoli e fermagli di forma fitomorfa, variamente evocati dalla natura.

Ispirati dai motivi visti in mostra, ciascuno realizzerà il proprio bijoux in lamina di rame e colori acrilici.

Età consigliata: 4/5 anni

Durata: 90 minuti

Costo bambini: € 8 (biglietto di ingresso alla mostra gratuito per i bambini fino a 5 anni)

Costo adulti accompagnatori: biglietto di ingresso alla mostra ridotto; gratuito per i possessori di Abbonamento Musei

Informazioni e prenotazioni: 0115211788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

Prenotazione obbligatoria e pagamento online

 

 

LUNEDI 25 MARZO

 

Lunedì 25 marzo ore 17

EREDITÀ DEL LIBERTY TORINESE

Palazzo Madama – conferenza con Roberto Fraternali

Terza conferenza del ciclo che approfondisce alcuni dei temi presentati nella mostra Liberty. Torino Capitale, in corso a Palazzo Madama fino al 10 giugno 2024. Al centro della riflessione Torino e l’Europa, attraverso lo specchio dell’architettura, dell’urbanistica e delle arti figurative.

Le conferenze sono a cura di SIAT – Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino.

Torino ha adottato il gusto Liberty in tutte le sue declinazioni artistiche e in tutte le tipologie edilizie, ispirato da una vena barocca profondamente radicata. Esaurito il contesto storico-temporale originario, le principali qualità dello stile floreale, quali libertà compositiva, perfetta tecnica costruttiva, finalità estetica, risorsero grazie a maestri quali Mollino, Gabetti e Isola, Jaretti e Luzi, Derossi, le cui sottili critiche all’architettura loro contemporanea furono colte dall’attento sguardo critico di Paolo Portoghesi. Queste attitudini progettuali torinesi potrebbero rifiorire offrendo l’opportunità per una ripartenza tecnologico-economica, obiettivo possibile alla luce di un secolo di esperienza acquisita.

 

Roberto Fraternali

Roberto Fraternali si è laureato in Architettura con lode nel 1989 al Politecnico di Torino con una tesi progettuale sul Museo della Storia tedesca a Berlino. Inizia la libera professione nel 1996, che sfocia nella fondazione nel 1999, insieme all’amico e compagno di studi Ugo Quattroccolo, dello Studio Associato Fraternali-Quattroccolo Architetti, con sede in Torino. L’attività principale dello Studio FQa è indirizzata alla Progettazione e Direzione Lavori di edifici pubblici e privati, con approfondimenti tematici finalizzati all’architettura sostenibile e biocompatibile.

Un’attività costante è stata dedicata nell’ambito della promozione culturale attraverso pubblicazioni, ideazioni di mostre e conferenze;  Roberto Fraternali è socio fondatore di alcune associazioni culturali quali La Città Liquida, il Gruppo M.A.R.E.S., ColoriQuadri, I.C.A.F., è stato consigliere della Società degli Ingegneri e Architetti in Torino dal 2002 al 2008, dal 2010 al 2016, dal 2019 a oggi, collabora con l’Ordine degli Architetti di Torino in qualità di consulente, tutor e docente per corsi di formazione, che svolge saltuariamente anche in ambito universitario e professionale, è vice-coordinatore del Focus Lavori Pubblici dell’Ordine degli Architetti di Torino.

 

Prossimi appuntamenti

 

Lunedì 29 aprile 2024 ore 17: Architettura e opera d’arte totale: dall’impaginato di facciata al dettaglio costruttivo con Beatrice Coda Negozio

Lunedì 20 maggio 2024 ore 17: Un salotto Liberty a Torino. Annibale Rigotti e Maria Calvi in via Oropa con Chiara Rigotti e Marco Corona

Ingresso libero fino a esaurimento posti

Prenotazione consigliata: t. 011.4429629 (dal lun. al ven. 9.30-13; 14-16)

madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 

 

MERCOLEDI 27 MARZO

 

Mercoledì 27 marzo ore 18.30

MAYA AL KHALDI + SAROUNA. Voci e musica dal passato e dal presente palestinese.

MAO – performance nell’ambito del public program di Trad u/i zioni d’Eurasia

Maya Al Khaldi مايا الخالدي è un’artista, musicista e compositrice palestinese, con base a Gerusalemme. La sua pratica si basa sull’esplorazione della vocalità e della musica del passato e del presente palestinese e sul lavoro su materiali d’archivio. Il suo album di debutto “عالم تاني – Other World”, prodotto da Sarouna, si ispira al folklore palestinese immaginandone un diverso futuro sonoro. Tutti i brani includono testi, melodie o registrazioni dall’archivio audio della musica tradizionale palestinese del Centro d’Arte Popolare di Ramallah, in Palestina.Sarouna سارونا è una suonatrice palestinese di qanun, oltre che ingegnere del suono, produttrice e DJ nata a Gerusalemme. Fondatrice di Tawleef, un’etichetta discografica e spazio artistico palestinese indipendente guidata da donne, lavora ad un progetto musicale collaborativo tutto al femminile, con artiste palestinesi e della diaspora. Attualmente sta componendo il suo primo album, un’esplorazione elettronica della memoria attraverso campionamenti e qanun.

Tariffe: 15 € intero e 10€ ridotto studenti acquistabili presso la biglietteria del Museo il giorno stesso del concerto;

16 € intero (con prevendita) sul sito.

“Arco Elefante”, la più eccentrica e “camaleontica” arte contemporanea

Varca l’antica soglia del “Museo Regionale di Scienze Naturali” di Torino

Da venerdì 22 marzo, con “Una notte al Museo”

“E’ un passaggio immaginario tra Oriente e Occidente; l’incontro tra noi e gli altri può avvenire attraverso una tenda che deve essere attraversata. Il volto dell’animale ci osserva dall’alto e ascolta il suono dei sonagli che la nostra presenza muove”: questo vuole essere, secondo i realizzatori del Collettivo “Guerrilla Spam” (in collaborazione con Silvia Collura) quell’“Arco Elefante”, con cui il seicentesco “Museo Regionale di Scienze Naturali” di Torino apre le porte dal prossimo venerdì 22 marzo all’arte contemporanea. Contemporanea che di più non si può e che entrerà a far parte, presenza atipica, del patrimonio museale, in virtù di una preziosa donazione da parte dell’Associazione Culturale torinese “Club Silencio”, presieduta da Alberto Ferrari. Un elefante stilizzato che si fa, per l’appunto, “arco” o “portale”, in una commistione di stili capaci di cavalcare i secoli, coniugando Oriente e Occidente (l’“arco carenato” è tipico delle “nicchie” del Buddha, giunto dall’Asia in Europa e promotore del “gotico”), “la cui finalità resta il raggiungimento di un’arte simbolica che comunica a più livelli particolari significati all’osservatore”. In modo “anonimo, libero e autonomo”, pur mantenendo quella “capacità di comunicare” con le persone che è lo scopo primo della produzione artistica di “Guerrilla Spam”, Collettivo (dal nome che ben esplicita la “mission” aggressiva dell’arrivare a più persone possibili) nato nel 2010 a Firenze “come spontanea azione non autorizzata di affissione negli spazi urbani” e via via perfezionatasi in interventi di “muralismo”, installazioni, performance e workshop in Italia e all’estero, lavorando in spazi eterogenei, dalle occupazioni ai musei d’arte moderna e contemporanea, sino alle scuole, comunità minorili, carceri e centri di accoglienza, “privilegiando sempre l’uso dello spazio pubblico urbano come luogo della collettività”.

Opera di grandi dimensioni, alta due metri e mezzo, “Arco Elefante”, spiega Matteo Bidini di “Club Silencio”, “è dedicata a Abul Abbas, elefante di Carlo Magno, nato in Africa, morto di polmonite sulle sponde del Reno nell’810, e a Fritz, elefante di Re Carlo Felice di Savoia, nato in India, morto per asfissia mediante ossido di carbonio nella Palazzina di Caccia di Stupinigi nel 1852, e a tutte le bestie di ogni tempo e luogo catturate e deportate per gli usi e i trastulli degli uomini”. In quest’ottica, l’obiettivo è anche sollevare “un pensiero critico – continua – rispetto alla collezione che abbiamo intorno fatta sulle spalle e la pelle degli animali esposti”.

Per inaugurare l’opera (nata nel contesto del programma culturale “Tra cultura e natura”, curato dalla Fondazione “Circolo dei Lettori” per il “Museo Regionale di Scienze Naturali”), il “MRSN” e “Club Silencio” propongono venerdì 22 e sabato 23 marzo due serate speciali di Una notte al museo”, con lo scopo di stimolare la partecipazione di nuovi pubblici alla vita culturale cittadina. La maggior parte dei partecipanti infatti, è “under 35” e molto spesso non ha mai avuto occasione di visitare quello specifico spazio culturale.

Il nostro intento, dunque, spiega Alberto Ferrari, presidente di “Club Silencio”, è proprio quello di “stimolare sempre più i giovani a partecipare attivamente alla vita culturale e sociale del territorio. Quando abbiamo iniziato, qualche anno fa, abbiamo cercato un modo per abbattere la distanza tra i musei e i nostri coetanei. L’idea era ed è quella di renderli protagonisti del futuro della città”.

E a lui fa eco Marco Fino, direttore del Museo: Siamo felici di ospitare questa installazione d’arte contemporanea. Pensiamo infatti che il Museo debba essere uno spazio espositivo aperto a nuove esperienze che possano stimolare, incuriosire e appassionare il pubblico. In questo ambito è nata la collaborazione con il ‘Circolo dei Lettori’ e ‘Club Silencio’ così come l’idea di un’opera come ‘Arco Elefante’, ispirata a una delle infinite storie che si celano dietro i nostri reperti.

Per info: “Museo Regionale di Scienze Naturali”, via Accademia Albertina 15, Torino; tel. 011/4326327 o www.mrsntorino.it o www.clubsilencio.it

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Guerrilla Spam: “Arco Elefante”, ph. Federico Masini Studio

–       Alberto Ferrari: presidente “Club Silencio”, ph. Federico Masini Studio

–       Marco Fino: direttore “Museo Regionale di Scienze Naturali”

Quando il re e Cavour inaugurarono il Conte Verde

Situato al centro di piazza Palazzo di Città, davanti al Comune, il monumento rappresenta Amedeo VI di Savoia

Situato al centro di piazza Palazzo di Città, dove risiede il Palazzo Civico sede dell’amministrazione locale, il monumento rappresenta Amedeo VI di Savoia detto il Conte Verde, durante la guerra contro i Turchi, mentre trionfante ha la meglio su due nemici riversi al suolo. La riproduzione dei costumi mostra grande attenzione ai particolari secondo i canoni “troubadour” e neogotico, stili in voga nell`Ottocento, ispirati al medioevo e al mondo cortese-cavalleresco.

 

Figlio di Aimone, detto il Pacifico e di Iolanda di Monferrato, Amedeo VI nacque a Chambery il 4 gennaio del 1334. Giovane, scaltro ed intraprendente, Amedeo VI in gioventù partecipò a numerosi tornei, nei quali era solito sfoggiare armi e vessilli di colore verde, tanto che venne appunto soprannominato Il Conte Verde: anche quando salì al trono, continuò a vestirsi con quel colore. Il monumento a lui dedicato non venne però realizzato subito dopo la sua morte ma bensì nel 1842, quando il Consiglio Comunale, in occasione delle nozze del principe ereditario Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide arciduchessa d`Austria, decise di erigere il monumento al “Conte Verde”. Il modello in gesso della statua, ideata da Giuseppe Boglioni, rimase nel cortile del Palazzo di Città finché re Carlo Alberto decise di donare la statua alla città. La realizzazione del monumento, che doveva sostituire la statua del Bogliani, venne però commissionata all’artista Pelagio Palagi. I lavori iniziarono nel 1844 e terminarono nel 1847, ma la statua rimase nei locali della Fonderia Fratelli Colla fino all’inaugurazione del 1853. Il gruppo statuario rappresenta Amedeo VI di Savoia in un episodio durante la guerra contro i Turchi alla quale partecipò come alleato dell’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo. Ma qui subentra una piccola diatriba scatenata dall’ “Almanacco Nazionale” che vedrebbe come protagonista del monumento non Amedeo VI ma bensì suo figlio Amedeo VII detto invece il “Conte Rosso”, durante l’assedio alla città di Bourbourg nella guerra contro gli Inglesi. Il 7 maggio 1853 re Vittorio Emanuele II inaugurò il monumento dedicato al “Conte Verde” alla presenza di Camillo Benso Conte di Cavour. All’inizio la statua venne circondata da una staccionata probabilmente in legno, sostituita poi da catene poggianti su pilastrini in pietra e quindi da una cancellata.Nel 1900 il Comune decise di rimuovere la cancellata “formando un piccolo scalino in fregio al marciapiede”; una nuova cancellata, realizzata su disegno del Settore Arredo e Immagine Urbana, venne collocata intorno al monumento in seguito ai lavori di restauro effettuati nel 1993. Per dare anche qualche informazione di stampo urbanistico, va ricordato che la piazza in cui si erge fiero il monumento del “Conte Verde” ha subito negli anni numerose trasformazioni.Piazza Palazzo di Città è sita nel cuore di Torino, in corrispondenza della parte centrale dell’antica città romana. L’area urbana su cui sorge l’attuale piazza aveva infatti, già in epoca romana, una certa importanza in quanto si ritiene che la sua pianta rettangolare coincida con le dimensioni del forum dell’antica Julia Augusta Taurinorum, comprendendo anche la vicina piazza Corpus DominiPrima della sistemazione avvenuta tra il 1756 e il 1758 ad opera di Benedetto Alfieri, la piazza aveva un’ampiezza dimezzata rispetto all’attuale. All’inizio del XVII secolo, Carlo Emanuele I, avviò una politica urbanistica volta a nobilitare il volto della città che essendo divenuta capitale dello Stato Sabaudo doveva svolgere nuove funzioni amministrative e militari; piazza Palazzo di Città con annesso il “suo” Palazzo di Città (noto anche come Palazzo Civico), ne sono un esempio lampante. Nel 1995, sotto il controllo della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte, sono stati avviati i lavori di riqualificazione della piazza; la totale pedonalizzazione, la rimozione dei binari tranviari che collegavano Via Milano a piazza Castello e la realizzazione di una nuova pavimentazione, hanno restituito ai cittadini una nuova piazza molto più elegante e raffinata. Da ricordare come piccola curiosità, il fatto che per tutti i torinesi piazza Palazzo di Città sia conosciuta con il nome di “Piazza delle Erbe”, probabilmente a causa di un importante mercato di ortaggi che, nell’antichità, aveva sede proprio in questa piazza. 

(Foto: il Torinese)

Simona Pili Stella

Guercino, più di cento opere ai Musei Reali: il mestiere del pittore

Oltre 100 opere di Guercino e di artisti coevi, provenienti da più di 30 importanti musei e collezioni – tra cui il Prado e il Monastero dell’Escorial – per presentare la grande arte del Maestro emiliano e insieme raccontare il mestiere e la vita dei pittori del Seicento, in un affascinante, grande affresco del sistema dell’arte.

Dall’importante nucleo delle collezioni sabaude a molti altri raffinati e monumentali capolavori di Guercino, una mostra sorprendente che, tra le novità, per la prima volta dopo 400 anni, riunifica anche il ciclo di dipinti commissionati a Bologna da Alessandro Ludovisi, futuro papa Gregorio XV.

«gran disegnatore e felicissimo coloritore: è mostro di natura e miracolo da far stupire chi vede le sue opere. Non dico nulla: ei fa rimaner stupidi li primi pittori»

(Ludovico Carracci a Don Ferrante Carli , riferendosi a Guercino – 25 ottobre 1617)

In un periodo di grande attenzione e di rinnovati studi sull’opera e la figura di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (Cento 1591 – Bologna 1666) e all’indomani della riapertura della Pinacoteca Civica di Cento, spicca la ricchissima esposizione che i Musei Reali di Torino – con Direttore avocante Mario Turetta, Segretario Generale del Ministero della Cultura – presentano nelle Sale Chiablese dal 23 marzo al 28 luglio 2024, prodotta da CoopCulture con Villaggio Globale International.

Un evento spettacolare e di grande originalità curato da Annamaria Bava dei Musei Reali e da Gelsomina Spione dell’Università di Torino, con un comitato scientifico di prestigio, cui partecipano: Daniele Benati, David García Cueto, Barbara Ghelfi, Francesco Gonzales, Fausto Gozzi, Alessandro Morandotti, Raffaella Morselli, Sofia Villano.

Al centro dell’esposizione è il mestiere del pittore nel Seicento esemplificato sulla figura di uno dei maggiori protagonisti della scena artistica dell’epoca.

Ripercorrendo temi e aspetti che attraversano tutta la carriera del Maestro, grazie a capolavori di primo piano, la mostra intende dare conto più in generale della professione del pittore a quel tempo: le sfide del mestiere, i sistemi di produzione, l’organizzazione della bottega, le dinamiche del mercato e delle committenze, i soggetti più richiesti.

A partire dal significativo nucleo di dipinti e disegni appartenenti alle collezioni della Galleria Sabauda e della Biblioteca Reale, oltre cento opere del Maestro emiliano e di artisti coevi come i Carracci, Guido Reni e Domenichino – provenienti da più di 30 importanti musei e collezioni, compresi il Museo del Prado di Madrid e il Monastero di San Lorenzo a El Escorial – daranno vita a un grande affresco del sistema dell’arte nel Seicento, guidati dal talento di quel “mostro di natura e miracolo da far stupir” che fu Guercino, secondo la definizione che ne diede Ludovico Carracci, impressionato dal suo talento.

Guercino, grazie a una strutturata bottega e alla ricchissima documentazione lasciata, alla rete di mentori e intermediari, ai rapporti con tanti e diversi committenti – richiesto come fu da borghesi, nobili, pontefici e prelati, ma anche dalle più prestigiose corti europee – diventa l’exemplum perfetto della vita, dell’iter creativo e del mestiere di ogni pittore.

Le importanti opere riunite a Torino nell’occasione – inclusi due dipinti inediti di collezioni private e le tele che permettono lo straordinario ricongiungimento dopo 400 anni del ciclo Ludovisi – sono dunque particolarmente significative per questo racconto, sviluppato in 10 sezioni tematiche tra confronti, parallelismi, testimonianze.

IL PERCORSO

Si parte dalla presentazione dell’artista.

Guercino ci appare, circa quarantenne, e con gli strumenti del mestiere, nel raro Autoritratto della Schoeppler Collection di Londra che ben introduce al percorso: un’opera intima e privata che proprio per questo non risulta nel suo famoso “Libro dei conti”, ma che testimonia il carattere di un uomo fiero e semplice ad un tempo.

La fase della formazione è debitrice, come per tutti i pittori, dello studio di opere di grandi maestri e dell’incontro con personalità che incidono nella maturazione di un artista: per Guercino punti di riferimento furono in particolare Ludovico Carracci, ammirato a Bologna ma anche a Cento – di cui si espone in mostra il prezioso olio su rame con l’Annunciazione dai Musei di Strada Nuova di Genova – e sul versante ferrarese (prima del viaggio a Venezia) lo Scarsellino e Carlo Bononi. Entrambi gli autori sono presenti nel percorso, accanto a due importanti lavori giovanili di Guercino: la piccola tavola con Il matrimonio mistico di santa Caterina in prestito dalla Collezione d’arte Credem e la suggestiva pala della chiesa parrocchiale di Renazzo con Un miracolo di san Carlo Borromeo.

Quindi l’incontro con la realtà e la spiccata vocazione per il quotidiano, che nei primi anni apre alle opere di paesaggio in analogia con quanto proposto da altri artisti come Annibale Carracci, Domenichino e Agostino Tassi di cui la mostra dà testimonianza insieme a importanti disegni di Guercino della Biblioteca Reale di Torino e alle pitture murali di Casa Pannini, che il giovane pittore realizza a Cento tra il 1615 e il 1617 insieme a collaboratori.

“L’ Accademia del nudo” sarà la fase successiva: Guercino ormai famoso in patria, apre la sua Accademia nel 1616 – così come era uso per i migliori -, facendone un punto di riferimento per molti giovani artisti.

In mostra – oltre all’interessante nucleo di 22 incisioni di Oliviero Gatti, tratte dai disegni di Guercino per farne dono al duca di Mantova (Pinacoteca Nazionale di Bologna), restaurate per questa speciale occasione, e accanto alle opere di Annibale e Agostino Carracci -, intenso e suggestivo è il dialogo tra i disegni di nudo del Maestro e il San Sebastiano curato da Irene (1619) proveniente dalla Pinacoteca di Bologna.

Richiesto da Jacopo Serra, cardinale legato di Ferrara e raffinato mecenate di Guercino, il dipinto è di qualità straordinaria, per il vivace e intenso naturalismo tipico della poetica del Maestro, che riesce a tradurre la vicenda sacra in vita quotidiana.

Prima di affrontare il tema della bottega e delle sue dinamiche, la mostra ricorda le fasi dell’affermazione del pittore e la geografia delle committenze, che sempre nella carriera di un artista rivestono un ruolo centrale.

 

In questo contesto, fondamentale risulta la figura di Alessandro Ludovisi, arcivescovo di Bologna e dal 1621 papa Gregorio XV. Questi aveva già conosciuto Guercino grazie alla mediazione di padre Mirandola, grande promotore dell’artista di Cento, e all’apprezzamento di Ludovico Carracci folgorato, come sappiamo, dalla pittura del giovane artista e chiamato dall’arcivescovo Ludovisi a valutare il costo delle opere da lui commissionate.

Tra il 1617 e il 1618 Guercino realizza infatti per Alessandro Ludovisi e il nipote Ludovico, quattro grandi tele, eccezionalmente riunite dopo quattro secoli nella mostra di Torino: Lot e le figlie proveniente da San Lorenzo a El Escorial, Susanna e i vecchioni prestata dal Museo del Prado, la Resurrezione di Tabita dalle Gallerie degli Uffizi-Palazzo Pitti e Il Ritorno del figliol prodigo dei Musei Reali .

Un dipinto quest’ultimo che non compare nell’inventario di Alessandro Ludovisi del 1623, ma che nel 1631 è già descritto nelle collezioni sabaude: forse un dono mirato al duca Carlo Emanuele I da parte del Ludovisi, nominato nel 1616 nunzio apostolico presso la corte di Torino per dirimere le controversie tra la casata dei Savoia e la Spagna.

Il ciclo di tele Ludovisi segna una svolta: con la salita al soglio pontificio di Gregorio XV, Guercino si trasferirà per alcuni anni a Roma, ricevendo nella capitale pontificia importantissimi incarichi.

A mostrare la varietà delle committenze che sugellano la fama di un artista, troviamo altri dipinti significativi, sia frutto di incarichi locali che di richieste dalle più prestigiose corti.

Tra questi: la splendida tela con Venere, Marte e Amore (1633) delle Gallerie Estensi, acquistata per Francesco I d’Este e inclusa nelle decorazioni della «Camera dei Sogni» nel Palazzo Ducale di Sassuolo; Apollo scortica Marsia (1618) di Palazzo Pitti, opera intensa che il Malvasia ricorda eseguita per il granduca di Toscana; e ancora l’Assunta (1620), un tempo nella chiesa del Rosario a Cento, alla quale il pittore era particolarmente legato.

Straordinaria la presenza anche della monumentale pala della Madonna del Rosario dalla Chiesa di San Domenico a Torino che dalla fine degli anni sessanta del secolo scorso non era più stata visibile da vicino e che testimonia il legame di Guercino con il ducato sabaudo

La bottega diretta da Guercino, frutto del connubio tra i Barbieri e i Gennari – prima a Cento e dal 1642 a Bologna – era organizzatissima, con ruoli e metodi esemplari del sistema del tempo.

Il fratello di Guercino , Paolo Antonio Barbieri, ad esempio era specializzato nei dipinti con soggetti “di ferma”, come evidenziano la Natura morta con bottiglia, frutta e ortaggi di collezione privata e la Natura morta con paramenti vescovili e argenti dalla Pinacoteca di Cento; così all’interno di un’opera gli elementi naturali erano spesso già predisposti e Guercino interveniva aggiungendo all’ultimo le figure, come nell’affascinante Ortolana, che Giovanni Francesco termina nel 1655, sei anni dopo la morte del fratello, autore dei bellissimi cesti di frutta e ortaggi.

A rendere evidente, invece, la prassi della riproposizione dei modelli e il ricorso a un repertorio di invenzioni, la mostra offre alcuni accostamenti di grande efficacia: dalle due versioni di Dio Padre della Galleria Sabauda e della Pinacoteca Nazionale di Bologna (entrambe del 1646) poste accanto all’Immacolata Concezione dalla Pinacoteca Civica di Ancona (1656) – con in cielo un’analoga figura dell’Eterno – al suggestivo confronto tra il San Matteo e l’angelo, capolavoro dei Musei Capitolini (1622), e il coevo San Pietro liberato da un angelo, uno dei prestigiosi prestiti del Museo del Prado.

Un’ infilata di preziosi disegni del centese racconta dell’iter creativo e del momento fondamentale dell’invenzione tramite l’opera grafica: emblematico il “caso” della Vestizione di San Guglielmo ricordato grazie a tre degli oltre venti disegni preparatori originali.

Per il monumento ai Cavalieri il Canonica lavorò gratis

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Il monumento venne inaugurato, alla presenza di Re Vittorio Emanuele III, il 21 maggio del 1923, con una carosello storico, parate dei militari e delle associazioni. Nel 1937, per fare spazio all’opera dedicata ad Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, la statua venne spostata sul lato destro di Palazzo Madama, dove è situata ancora oggi

 

Ed eccoci nuovamente giunti al nostro consueto appuntamento con Torino e le sue meravigliose opere. Cari amici lettori e lettrici, oggi andremo alla scoperta di uno dei monumenti presenti in una delle piazze più “frequentate” della città: sto parlando di Piazza Castello e del monumento ai Cavalieri d’Italia. (Essepiesse)

 

 

La statua è collocata in Piazza Castello sul lato destro di Palazzo Madama, rivolta verso via Lagrange. Il monumento rappresenta un soldato a cavallo su un piedistallo di granito,che poggia su un basamento a gradoni. Il cavaliere dall’aria vigile, scruta l’orizzonte volgendo lo sguardo alla sua destra mentre con il fucile in spalla, con una mano tiene le redini e con l’altra uno stendardo; la posa del destriero e del suo cavaliere è rilassata, lontana dalle immagini stereotipate di nobili cavalieri che caricano al galoppo. Di contorno al basamento vi sono una serie di alto rilievi con fregi militari.

 

Con il termine Cavalleria si è soliti indicare le unità militari montate a cavallo. Essa ebbe origini molto antiche, venne infatti da sempre impiegata per l’esplorazione dei territori, per azioni in battaglia dove venisse richiesta molta mobilità e velocità nell’attacco e fu anche strategicamente determinante in alcune battaglie. In seguito cominciò ad evidenziare i suoi limiti con il perfezionamento delle armi da fuoco e l’avvento dei treni e degli autoveicoli.

Riformata all’interno dell’Esercito Sardo sin dal 1850, la Cavalleria venne impiegata con l’esercito francese prima in Crimea ed in seguito contro gli Austriaci, ai confini della Lombardia all’inizio della II Guerra di Indipendenza. L’ Arma si conquistò così la fiducia e la stima degli alleati francesi. I Reggimenti combatterono, guadagnando numerose medaglie al Valor Militare, sia a Montebello che successivamente a Palestro e Borgo Vercelli; le battaglie più famose di questa guerra, quella di Solferino e di San Martino (alle porte del Veneto), si combattono con i francesi impegnati a Solferino e i sardo-piemontesi a S. Martino. Dopo il 1861, il Regio Esercito Sardo divenne Esercito Italiano e negli anni seguenti, tutto l’esercito venne riformato e uniformato. La Cavalleria, a partire dagli anni ’70, venne impiegata in Africa, dove furono formati Reggimenti di Cavalleria indigena, ed anche nella guerra italo-turca del 1911-1912.

In seguito il primo conflitto mondiale impose alla Cavalleria l’abbandono del cavallo in modo da adeguarsi alla guerra di posizione, in trincea, dove reticolati e mitragliatrici rendevano impossibile l’uso dell’animale. Verso la fine del conflitto però, la Cavalleria venne nuovamente rimessa in sella: nel 1917 fu impiegata a protezione delle forze che ripiegavano sul Piave, dopo la sconfitta di Caporetto. Verso la fine della Prima guerra mondiale, la II Brigata di Cavalleria coprì la ritirata della II e della III Armata, comandata dal generale Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, ed il 16 giugno 1918 fermò il nemico sul Piave. Questa data fu così importante per gli esiti del conflitto mondiale, che ancora oggi viene celebrata come festa della Cavalleria.

Per ricordare e onorare il valore dell’Arma, nel 1922 a Roma si istituì il Comitato generale per le onoranze ai Cavalieri d’Italia con l’intento di elevare un monumento equestre. Pochi giorni dopo il comitato, presieduto dal Re e dal senatore Filippo Colonna, propose alla Città di Torino di collocare l’opera in piazza Castello, dove era già ricordato il soldato dell’Esercito Sardo; questa proposta venne accolta con orgoglio ed onore dalla Giunta e dal Consiglio Comunale. La realizzazione del monumento venne affidata a Pietro Canonica che si offrì di lavorare gratuitamente, mentre il bronzo (materiale utilizzato per la costruzione dell’opera) fu offerto dal Ministero della Guerra.

Il monumento venne inaugurato, alla presenza di Re Vittorio Emanuele III, il 21 maggio del 1923, con una carosello storico, parate dei militari e delle associazioni. Nel 1937, per fare spazio all’opera dedicata ad Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, la statua venne spostata sul lato destro di Palazzo Madama, dove è situata ancora oggi. Nel 2008 il monumento ai Cavalieri d’Italia è stato restaurato ed il lavoro di pulitura del bronzo ha riportato finalmente alla luce l’originaria colorazione tendente al verde, una patina data come finitura dallo stesso scultore Canonica.

 

Simona Pili Stella

Mediterraneo e Asia. Quanta cultura in comune! Al Mao il primo appuntamento

Dalla Sicilia all’Arabia: due capolavori “UNESCO” dell’arte al centro dei prossimi incontri 

Martedì 19 marzo e mercoledì 17 aprile

“La più bella che esiste al mondo, il più stupendo gioiello religioso vagheggiato dal pensiero umano ed eseguito da mani d’artista”: così Guy de Maupassant ebbe a definire la reale imperiale “Cappella Palatina”, che si trova all’interno del complesso architettonico di “Palazzo dei Normanni” a Palermo, fatta consacrare nel 1140 da re Ruggero II d’Altavilla. E non minore stupore la “Cappella” destò pur anche agli occhi esigenti dell’“esteta”, Oscar Wilde, che ebbe a dichiararla come “la meraviglia delle meraviglie”. Dichiarazioni forti  e magnificamente stupite di due dei massimi scrittori e intellettuali dell’Ottocento che ben s’intendevano di arte e bellezza, incrociatesi ai massimi livelli come testimonianza della possibile convivenza tra le culture di Oriente e Occidente sotto il regno di Ruggero II. Tant’è che, non a caso, la sicula “Palatina” è stata inserita nel 2015 dall’“UNESCO” nella lista del “Patrimonio mondiale dell’Umanità”, proprio come “esempio di convivenza e interazione tra diverse   componenti culturali di provenienza storica e geografica eterogenea”. Di qui l’idea, indubbiamente interessante, del “MAO-Museo d’Arte Orientale” di Torino di programmare due conferenze tenute da Sherif El Sebaie (origini greco-egiziane, ma torinese d’adozione), titolare del corso di “Lingua Araba, Civiltà e Arti dell’Islam” al “Politecnico di Torino” – nonché consulente scientifico nella fase di allestimento museale della “Galleria dei Paesi Islamici” del “MAO” – che porterà il pubblico alla scoperta della “Cappella Palatina” di Palermo (martedì 19 marzoore 18) e circa un mese dopo (mercoledì 17 aprileore 18) del sito archeologico di Alula, sull’antica “via dell’incenso”, nella regione di Medina in Arabia Saudita, anch’esso censito dall’“UNESCO” (2021) come “Patrimonio mondiale dell’Umanità”. Gli incontri, organizzati a margine della mostra “Tradu/zioni d’Eurasia” e resi possibili grazie alla collaborazione con “Assointerpreti – Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria” nell’ambito delle celebrazioni del cinquantenario dell’“Associazione Nazionale Interpreti di Conferenza”, sono “l’occasione – sottolineano gli organizzatori – per interrogarsi su fenomeni quali la circolazione delle idee, delle lingue, degli stili e delle tecniche artistiche e artigianali avvenute fra paesi, popoli ed epoche diversi e di come, al variare del contesto, i significati si trasformino e si adattino”.

La prima conferenza dedicata alla “Cappella Palatina” verterà in particolare sulle “mirabilia” del “soffitto”. Titolo “Il Cielo in un soffitto: meraviglie e segreti della ‘Cappella Palatina’ di Palermo”, l’incontro avrà come “focus” particolare quella splendida “copertura” (fra i manufatti più preziosi dell’arte medievale) della palermitana “Cappella”, che è esplicito emblema del connubio di maestranze di diversa cultura ed etnia. La matrice compositiva del soffitto, articolato sulle tre navate, è infatti di ascendenza islamica, mentre il repertorio iconografico, ricco di allegorie, riflette sia temi della cultura occidentale della “chanson de geste” sia temi figurativi dell’arte “Fatimida”, ossia della produzione artistica avvenuta sotto la dinastia dei “Fatima”, che regnò in Ifriqiya (nome dato dagli Arabi alla “Provincia Africa” – Tunisia, Algeria orientale e cirenaica occidentale – istituita da Roma e mantenuta dai Bizantini) e successivamente in Egitto tra il 990 e il 1171.

“Pietra d’Arabia: incanto e misteri di Alula e dell’Arabia Sauduta” è invece il titolo e il tema della seconda conferenza. Di ritorno da un lungo periodo di permanenza in Arabia Saudita, in qualità di “Project Manager” della prima missione di “formazione per giovani restauratori sauditi” guidata dal “Centro di Conservazione e Restauro della Venaria Reale”, Sherif El Sebaie svelerà i segreti di Alula, crocevia geografico e culturale, luogo di incontro e di scambi (dove, nel 2020, si è tenuto il “G20” del Turismo), lungo le antiche rotte commerciali dell’incenso e del pellegrinaggio islamico. Capitale degli antichi regni di Dadan e Liyhan, poi ultimo avamposto del Regno dei Nabatei prima della conquista romana, Alula è un “museo a cielo aperto” che culmina a Hegra, primo sito in Arabia Saudita dichiarato “Patrimonio mondiale dell’Umanità”, dove monumentali tombe ben conservate, scavate negli affioramenti di arenaria, testimoniano il prestigio e i legami internazionali dei suoi antichi abitanti.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

Per ulteriori info“MAO-Museo d’Arte Orientale”, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932 o www.maotorino.it

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Il “soffitto” della “Cappella Palatina”, Palermo

–       Sherif El Sebaie

–       Sito archeologico di Aula

Alessandria preziosa. Un laboratorio internazionale al tramonto del Cinquecento

Palazzo del Monferrato ospita ad Alessandria dal 21 marzo prossimo una grande mostra

 

Dopo il successo della mostra “Alessandria Scolpita” del 2019, dedicata al contesto artistico della città tra Gotico e Rinascimento, questa esposizione, che ha sempre al centro Alessandria e il suo territorio, ne racconta la civiltà creativa tra il ‘500 e il primo ‘600, focalizzandosi in parti oltre sulle arti suntuarie, a ridosso dell’avvento del Manierismo internazionale negli anni della Controriforma cattolica. Si tratta di un progetto unico realizzato in collaborazione con la Galleria degli Uffizi, che vedrà confluire ad Alessandria prestiti della galleria fiorentina, dell’Opificio Le Pietre Dure e da alcuni dei più grandi musei italiani.

“Alessandria preziosa”, un laboratorio internazionale al tramonto del ‘500, nel palazzo del Monferrato di Alessandria, ha la curatela di Fulvio Cervini, e la progettazione organizzati a di Roberto Livraghi, direttore del palazzo del Monferrato, promossa tra gli altri dalla Camera di Commercio di Alessandria e Asti, Regione Piemonte, Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e Comune di Alessandria, la mostra si suddivide in sette sezioni composte da circa 80 opere, in cui ad essere protagoniste sono le sculture in metallo prezioso, evidenziando il ruolo determinante svolto dalle arti suntuarie dall’oreficeria La Toreutica, dall’arte degli armorari all’intaglio delle pietre dure. L’obiettivo della mostra è duplice, da un lato delineare l’avvento del Manierismo internazionale, foriero di un uomo senso della realtà e della forma, attraverso una selezione di oreficeria e oggetti in metallo, ma anche dipinti su tela e tavola e sculture in legno e marmo che meglio dialogano con le arti preziose. Il secondo focus del progetto è quello di dimostrare come il territorio della provincia di Alessandria fosse luogo di convergenza, forze e culture diverse, che non sfigurato al confronto con quelle di più gloriose città padane. Alessandria e il suo territorio fungeva da cerniera tra Milano e Pavia, da un lato, e Genova dall’altro. Mentre proprio alle porte della città era sorto il convento di Santa Croce a Boscomarengo, voluto da Papa Pio V, che racchiudeva il clima artistico di provenienza tosco-romana.

Tra i temi cardini della mostra emerge quello della devozione, rappresentata da un importante nucleo di oggetti di carattere ecclesiastico, molti dei quali provenienti dalla Diocesi di Alessandria, Casale e Tortona. Si ricordano gli splendidi busti di Antonio Gentili realizzati per Pio V, la stauroteca della cattedrale di Alessandria, che racchiude un antico reliquiario bizantino, le oreficerie tedesche di San Filippo Casale e San Salvatore Monferrato, il magnifico San Marziano del duomo di Tortona, opera di un argentieri genovese del primo ‘600 e un inedito stendardo ricamato a Milano alla fine del ‘500 dal museo diocesano di Tortona, restaurato per la mostra grazie al finanziamento della Consulta alessandrina. L’esposizione si focalizza sulle correlazioni tra pittura, scultura e oreficeria che, a fine ‘500, anche con il flusso di maestranze nordiche, tennero a battesimo opere straordinarie come il Calvario della Maddalena di Novi Ligure, ma anche sull’arte della guerra per la guerra, rappresentata da armature e ritratti militari. Un’intera sezione della mostra è dedicata all’isola romano-fiorentina di Boscomarengo, che vede la presenza di Giorgio Vasari. L’esposizione non termina all’interno della sale del palazzo del Monferrato, ma vuole essere itinerante, e si estende ad alcuni luoghi della provincia di Alessandria, primo fra tutti la basilica di Santa Croce, a Boscomarengo, con relativo museo, la Confraternita della Maddalena di Novi Ligure, il complesso di Torre Garofoli presso Tortona, la pinacoteca dei Cappuccini di Voltaggio e la parrocchiale di San Sebastiano Curone.

“Alessandria preziosa” vuole essere una riflessione etica sul patrimonio artistico alessandrino, che proietta la città e il suo territorio in una dimensione sovraregionale attraverso un progetto inedito e una storia raccontata attraverso le opere d’arte. ,’area alessandrina fra il ‘500 e il ‘600, dice Fulvio Cervini, prova che l’identità culturale si costruisce in maniera dinamica e non chiudendo muri, anche quando la linea culturale è dettata da un organismo all’apparenza monolitico come la chiesa della Controriforma. Sul piano figurativo questo spazio è un grande laboratorio della modernità, in cui artisti del metallo e dell’intaglio diventano ancora più prodigi di pittori e scultori.

“Dopo la fortuna esperienza di cinque anni fa della mostra “Alessandria scolpita” – aggiunge Roberto Livraghi – palazzo del Monferrato è tornato a proporsi come sede di una mostra originale dai contenuti inediti e come luogo di promozione di un territorio capace di riservare sorprese dal punto di vista culturale e artistico, riflettere su una funzione storica di cerniera interregionale di laboratorio, ove si mescolano influssi culturali diversi, e anche a un esercizio per progettare le vocazioni del territorio per il presente e il futuro”.

 

Mara Martellotta

“Time Square”, a Torino, è in Borgo Crimea a “Flashback Habitat”

Blasonate “opere d’arte” si specchiano in consumistiche “insegne pubblicitarie” …  e il match è davvero curioso. Senza vincitori né vinti!

Fino al 31 marzo 2024

Corso Giovanni Lanza 75, Torino. Siamo in Borgo Crimea. Qui ha sede da un anno, “Flashback Habitat. Ecosistema per le Culture Contemporanee”, la “casa della cultura condivisa, dove arte e vita sono strette in un binomio indissolubile”. E qui, fino al 31 marzo del prossimo anno, 16 “Stanze” racconteranno di “una metaforica piazza dove convivono a tu per tu” un’insegna pubblicitaria e un’opera d’arte, più o meno datata più o meno (ma prevale il “più”) blasonata. Siamo in “Time Square”, non nella celebre, turbolenta “Times Square” di Manhattan-New York, ma in “Time Square” (al singolare) dove  le parole “tempo” e “piazza” si “scontrano e ricompongono in nuovi significati”. Da questa sensazione nasce l’idea di Alessandro Bulgini, direttore artistico di “Flashback Habitat”, di realizzare la “strana” ma perfino “geniale” (e in ogni stranezza c’è sempre un po’ di genialità) mostra “Time Square. L’arte in piazza trascende il tempo”, che intende “indagare – spiega Bulgini – le connessioni tra arte e vita, esplorando frizioni e convergenze, nello specifico tra insegne pubblicitarie e opere d’arte come accade nelle piazze contemporanee. Un dialogo o, meglio, un match, sviluppato in sedici stanze rappresentative di sedici ipotetiche piazze”“La mostra – continua Bulgini che ne è anche curatore – è stata realizzata con lo stesso fare poetico che caratterizza la nostra idea di ‘Habitat’ dove le eccellenze si confrontano e si potenziano nel loro stratificarsi ed é stata resa possibile grazie all’amicizia con Paolo Genta, geniale architetto e paesaggista e Roberto Spiccia, eccellente artigiano. Entrambi hanno messo a disposizione la loro sensibilità e il loro sapere per rendere completa l’opera”. Per un attimo si possono chiudere gli occhi e riaprendoli non è poi così bizzarra la sensazione di trovarci in una “piazza” dei nostri giorni, stratificazione di tempi, di mode, di paesaggi che hanno mille volte cambiato faccia e mille volte architetture case palazzi. Piazze dove convivono gente e forme e strutture le più diverse, “che da entità geografiche si trasformano in entità socioculturali”. Mai come oggi ci appare accettabile e chiara la risposta del genio, unica e inimitabile icona della Pop Art, Andy Warhol a chi gli chiedeva cosa più gli fosse piaciuto di Firenze. Molto semplice la sua risposta: “La cosa più bella di Firenze è McDonald’s”. Parole da non intendersi come irriverenti nei confronti di una città che, ben si sa, è scrigno di arte superba, ma in cui Warhol ben riassumeva l’idea di luogo dai mille riflessi e dalle mille facce tutte compatibili e condivisibili fra loro. Pur nelle loro più stupefacenti diversità. E allora eccoci alle nostre 16 “piazze” realizzate in “Flashback Habitat”. “Per ogni piazza, su di un lato un’insegna spenta sul bianco algido e minimale della parete a rappresentazione della modernità, sull’altro un’opera su una parete dipinta con colori che hanno riferimenti alla storia dell’arte”. Sedici opere che convivono con sedici insegne pubblicitarie. E anche bene, sotto l’aspetto della mis-en-place. Nulla da dire. E voilà. Si inizia con l’enorme simbolo giallo-rosso a forma di conchiglia di capasanta della “Shell” messo a confronto con la scultura quattrocentesca in legno del viandante “San Rocco” di Giovan Angelo Del Maino, per incontrare (Stanza 2) la “Signorina Grandifirme” realizzata per “Essevi Ceramica Lenci” nel ’37 dal cuneese di Carrù Sandro Vacchetti messa a dialogare con l’insegna della “Peugeot”,  mentre la metafisica “Piazza d’Italia – Malinconia” di De Chirico (1949), viene risvegliata dai suoi onirici voli attraverso il duro confronto con l’insegna di “McDonald’s”. Il rarissimo capolavoro tipografico “Theatrum Sabaudiae” (1697), monumentale opera descrittiva di tutti i domini del duca di Savoia, un vero e proprio mix di finzione e realtà, fronteggia il simbolo della “Lancia”, uno scudo blu con lancia dal sapore araldico; altrove la “Vergine Addolorata” (XVII secolo) di Giuseppe Antonio Petrini si raffronta con l’insegna (bella in grande, come l’Azienda almeno tempo fa) della “Fiat”. Altra “Stanza”: l’opera del fotografo Gabriele Basilico “Beirut” (1991) documenta lo stato di devastazione della capitale del Libano dopo quindici anni di guerra civile, di fronte all’insegna della “Tamoil” che ci racconta lo stesso Libano negli anni 80. E l’iter prosegue, come “match fatti talvolta di coincidenze, altre volte di prolungamenti di storie, di combinazioni fortuite, tutti incontri che stimolano la nostra abilità di elaborare i dati e il nostro immaginario”.

Gianni Milani

“Time Square. L’arte in piazza trascende il tempo”

Flashback Habitat, corso Giovanni Lanza 75, Torino; tel.393/6455301 o www.flashback.to.it

Fino al 31 marzo 2024

Orari: ven. sab. dom. 11/19

Nelle foto: Giovan Angelo del Maino “San Rocco”, scultura lignea, 1490-’95 con “Shell”; Giuseppe Antonio Petrini “Vergine addolorata”, olio su tela, XVII secolo con “Fiat”; Giorgio De Chirico “Piazza dìItalia – Malinconia”, olio su tela, 1949 con “McDonald’s”; Gabriele Basilico “Beirut”, fotografia stampa ai sali d’argento del 2002 con “Tamoil” di Antonio Jordan

Raffini: ritratti di artisti, galleristi e critici

Un lavoro fotografico di Mauro Raffini nato da un’idea di Gerry Di Fonzo nel 2012, oggi esposto in una rinnovata veste nello studio fotografico di Gianni e Edoardo Oliva, sede del Museo Eikòn. La mostra a cura di Sandra Raffini propone ritratti di galleristi, curatori, critici e storici dell’arte… Uno sguardo curioso sulla scena dell’arte e i suoi protagonisti, artefici di una nuova stagione artistica a Torino e dintorni.
Eikòn dialoga con i fotografi italiani e stranieri, organizza mostre e oltre ad esporre la propria collezione e i prestiti è museo virtuale (sul web) e itinerante. Affianca i giovani fotografi, progettando mostre collettive e collabora con le scuole di fotografia presenti sul territorio interagendo con studenti ed insegnanti.

Gianluca Capozzi. Sequences of a Panorama

Gianluca Capozzi. Sequences of a Panorama”

La psichedelica visionarietà dell’artista avellinese in mostra alla Galleria “metro quadro” di Torino

Fino al 28 marzo

Ad aprire la mostra, una citazione dal grande poeta e scrittore irlandese W. B. Yeats. Citazione perfetta a introdurre l’esoterico “immaginario naturalista” di Gianluca Capozzi, avellinese, residente ad Aiello Del Sabato. “I confini della nostra mente – scriveva nella sua raccolta di saggi e altro, “Magia”, il grande poeta irlandese, cui ‘nulla di arcano fu estraneo’ si spostano di continuo e molte menti possono confluire l’una nell’altra, per così dire, e creare o rivelare un’unica mente, un’unica energia”. Ecco allora, in parete, alla Galleria “metroquadro” di Torino, fino a giovedì 28 marzo, labirinti fantasiosi di segni e colore, giocati quasi l’artista fosse sotto effetti ipnotici per raccontare ciò che l’arte deve raccontare. Ciò che l’arte ha il compito di fare: “rendere visibile agli occhi tutto quello che non è visibile”. Parola di Capozzi. Cui il gioco riesce alla perfezione.

In una precedente personale, tenuta due anni fa, sempre alla “metroquadro” di Marco Sassone, l’artista si era avvalso di un titolo letteralmente “rubato” a quello di una tarda poesia del cantautore “poeta maledetto” di Melbourne, Jim Morrison: “Il giardino reciso / The severed garden”. Yeats e Morrison. Frequentazioni mica da ridere. Che la dicono lunga sul personalissimo approccio alla pittura di Gianluca Capozzi. Pittura che, per questa personale, il curatore Mattia Solaridefinisce acutamente “sogno lucido”.Grammaticalmente, un “ossimoro” che calza a pennello però sui quadri di Capozzi. Dove, in un incidere figurativo di buona scuola,  mai abbandonato pur se raccontato nell’esasperazione di gesti vigorosi e carichi di strabordante e frenetica matericità, puoi trovarci di tutto. Puoi leggerci di tutto. E trovarti confusamente imbrigliato in piccoli universi dai molti misteri. Scrive Mattia Solari: “Le opere che la mostra  presenta, sono delle sequenze che scandagliano lo sguardo mentre coglie frammenti di panorami che per analogia divengono paesaggi interiori”. Dove l’entrata non è mai fra le cose più semplici, di fronte ad un’onirica decomposizione del reale, avvolta in miriadi di “coriandoli” o informi “evasioni” di colore, in gialle spiagge (ma saranno poi spiagge?) con figure sdraiate di giovani fanciulle tormentate da irregolari svolazzi segnici che solo la fantasia più accesa può cimentarsi a decifrare o in stanze (pare sempre la stessa nell’arredo sobrio e scomposto di grandi quadri, libri che sono lì a caso, divani acchiappa tutto, cuscini, vasi di fiori e lampade), dove al soffitto (anche!) o a testa in giù e gambe in alto fra divano e parete, Capozzi colloca in un secondo momento curiose sagome figurali per nulla inquietate da vere e proprie tempeste di girandole di colore – gialli, bianchi, verdi o turchesi o grigi – simili a frammenti meteoritici inarrestabili nel loro confuso orbitare. “Stanze, interni”, è la prima serie di dipinti presentati. Stanze come “metafore – ancora Solari – di uno stare dentro per guardarsi all’interno, contesti fantasmagorici come le illusioni ottiche che si verificano durante uno stato alterato, psichedelico, di coscienza”.

Quello stato di anima, corpo e mente che ti spinge in luoghi “altri”, in una sorta di dimensione “parallela e onirica”, che troviamo anche nella seconda serie in mostra, “Senza titolo”, che attinge a foto “vintage” di figure femminili. “Pose inusuali – conclude Solari – e figure evanescenti, sono i fantasmi che hanno forse abitato quegli stessi salotti, e che rompono la linearità irrevocabile dello scorrere del tempo per un eterno presente impermanente, in un provvisorio equilibrio che travalica i confini delle menti”. Quante domande, quanti punti interrogativi! Di fronte alle opere di Capozzi, non pensate di cavarvela alla leggera, plaudendo l’indubbio mestiere di chi, come lui, “sa” fare arte. Difficile resistere, di fronte alle sue “provocazioni” pittoriche. E ad uscirne appagati sono tutti fatti (non diciamo altro!) vostri. Ma, in fondo, il bello sta proprio qui. Ed è questo che Capozzi vuole.

Gianni Milani

Galleria “metroquadro”, corso San Maurizio 73/F, Torino; tel. 328/4820897 o www.metroquadroarte.com

Fino al 28 marzo

Orari: dal giov. al sab. 16/19

Nelle foto: Gianluca Capozzi, “Untitled”, acrilici su lino, 2023