Mombello 1926 – Casale 2001 / Il paesaggio, tema prediletto della pittura piemontese del secondo ottocento attraverso diverse interpretazioni, da quella ancora classicistica ed istoriata di Massimo d’Azeglio, la sommessa intonazione intimistica di Antonio Fontanesi oltre al verismo schietto di Lorenzo Delleani e della Scuola di Rivara, ha sollecitato diversi artisti del novecento nel proseguire il percorso figurativo senza lasciarsi sedurre dall’arte aniconica che si stava imponendo prepotentemente.
I grandi pionieri delle avanguardie, geniali e provocatori,troppo spesso sono stati emulati e banalizzati da una miriade di pseudo-artisti che si sono limitati a ripetere ciò che non deve essere ripetibile, ma solo un invito a nuove possibilità creative, avviando una specie di ”Accademia delle Avanguardie” .
Nel nostro Monferrato abbiamo avuto, nel secolo scorso, alcuni artisti che hanno continuato costantemente e coraggiosamente il genere figurativo memori di quanto disse Felice Casorati “Impoverendo la forma si impoverisce la conoscenza del mondo avviando ad un nichilismo senza valori”.

Tra gli artisti che hanno privilegiato il paesaggio mi pare doveroso ricordare il casalese Ugo Dusio che ha esplorato la natura in ogni suo elemento, collina, boschi, sottibosco, vigneti, soprattutto i singoli alberi con una descrizione riconoscibile in ogni tipologia pur facendogli assumere un aspetto purificato al di sopra del reale.
Amante della bellezza, sobrio, raffinato e meditativo,
attraverso l’unione di forma e contenuto, capacità tecnica e idea, ha saputo conciliare il visibile con l’invisibile confermando la convinzione che le opere d’arte sono una ampia confessione autobiografica, traduzione della propria vita spirituale poiché possiedono una finalità interna corrispondente alla personalità umana.
La passione per il paesaggismo ha stimolato Dusio, sebbene autodidatta e di professione bancario, a dedicarsi costantemente all’arte, favorito dalla visione della bellezza del Monferrato e dal nutrito bagaglio culturale appreso con lo studio accurato di artisti del passato, a lui congeniali, senza che potessero minarne lo stile personale, avviandolo a nuove creazioni.

Non gli sono estranee le morbide e ovattate pennellate di Poussin mentre la concessione all’Impressionismo si risolve unicamente nel gusto del plein air, piuttosto c’è affinità elettiva con gli artisti della Scuola di Barbizon nella foresta di Fontainebleau, in particolare Theodor Rousseau, che non colgono l’attimo fuggente bensì il sentimento duraturo nel tempo.
Ne nasce un’autentica dichiarazione di appartenenza alle proprie radici dove ogni forma di vita diventa archetipo, sedimento inalterato della terra in cui è nato e vissuto.
Di preferenza i silenti dipinti escludono la figura umana come se questa potesse disturbarne la silente bellezza; basta però l’accenno ad una casa emergente inaspettata dalla vegetazione per sprigionare un afflato di calda umanità che solo un vero artista sa evocare in modo così sincero.
Giuliana Romano Bussola
I depositi del
si intitola 







Certo è comunque, fatte salve le debite distanze dai folklorici eccessi del verbo sgarbiano, che con lui non si può non essere d’accordo nella denuncia di un marcato e palese “narcisismo” in quell’ossessiva filososofia che guida occhi e mani del bulimico popolo del selfie. Del “selfie ergo sum”, attento di più (inconfutabile dato di fatto) all’apparire che all’essere. E distante, proprio per questo, anni luce dal classico ritratto fotografico, firmato da fografi professionisti, dalla tecnica ineccepibile e attenti a cogliere l’intima essenza, la poesia e l’emozione duratura nel tempo del soggetto ritratto. A sottolinearlo è il progetto “Stop selfie. Make a portrait” ideato dal noto fotografo torinese Silvano Pupella (ultima mostra nello spazio più prestigioso in Italia per la fotografia, la casa dei “Tre Oci” a Venezia), insieme ad altri quattro colleghi ben intenzionati “a sfidare la modernità e a proporre, come nel passato, un ritratto artistico, frutto della passione e dell’esperienza”.
Michelini. Immediata l’adesione all’iniziativa anche da parte di “ArtPhotò”, progetto messo in piedi a Torino nel 2016 da Tiziana Bonomo con l’obiettivo di proporre, organizzare e curare eventi legati al mondo della fotografia. Un vero e proprio ritratto “da asporto” (espressione super-citata, ahinoi, in questi tristi tempi di lockdown sanitario) è la proposta dei magnifici cinque. Un ritratto d’autore, stampato e firmato dall’artista-fotografo e consegnato all’istante, dopo lo scatto. Da portare a casa, “ per se’ stessi, per i propri famigliari o come regalo diverso dal solito e sicuramente originale e gradito in occasione soprattutto del periodo natalizio”.
emozionalità. Certo i selfie consentono di avere una grande quantità di immagini, ma di quelle immagini alla fine non rimane nulla se non nella memoria dello smartphone; mentre una fotografia di qualità, stampata come si deve, resta un ricordo che dura nel tempo e questo 2020 sarà un tempo sicuramente e tristemente da ricordare”.
scattata da un professionista cela il desiderio di affidarsi a qualcuno che ci ritragga per come desideriamo essere visti e soprattutto ricordati. Per questa ragione ‘Stop selfie. Make a Portrait’ offre la possibilità di scegliere tra autori con occhi, sensibilità ed esperienze diverse in base a come si spinge il desiderio di essere fotografati. Inoltre il set di ‘Spazio Eventa’ è un luogo accogliente che mette a proprio agio anche i più intimiditi dalla macchina fotografica”.