ARTE- Pagina 130

Cambio al vertice della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT

Anna Ferrino è la nuova presidente

Dopo dodici anni di Presidenza, Gianaria lascia la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea, vero e proprio braccio operativo della Fondazione CRT che l’ha istituita nel Duemila e ne garantisce tuttora il supporto.

Con Anna Ferrino si è insediato il nuovo consiglio di amministrazione, alla presenza del Presidente della Fondazione CRT Giovanni Quaglia e del Segretario Generale Massimo Lapucci, che resterà in carica per i prossimi quattro anni: accanto alla Presidente siedono Caterina Bima in qualità di Vice Presidente, Gianni Arnaudo e Marco Giovannini. Confermato Massimo Broccio, già Segretario del Consiglio nei precedenti mandati.

“Esprimo gratitudine al gruppo di lavoro che ci ha preceduto e all’intera struttura perché, grazie al loro contributo, la Fondazione si qualifica quale punto di riferimento per l’arte moderna e contemporanea, sia a livello nazionale che internazionale”, dichiara Anna Ferrino.

La nuova Presidente ha quindi espresso l’intenzione di continuare a “puntare sulla tutela, promozione e valorizzazione dell’arte moderna e contemporanea quale fattore di sviluppo sociale ed economico, da attuarsi in primis attraverso la Collezione, assetto fondamentale per lo sviluppo dei due principali musei di riferimento del nostro territorio, la Galleria d’Arte Moderna di Torino e il Castello di Rivoli”.
“Negli ultimi dodici anni, infatti, la Fondazione ha acquisito oltre 250 importanti opere d’arte dei più rilevanti artisti contemporanei, da Marina Abramovic a William Kentridge, Liam Gillick e Jannis Kounellis, favorendo e indirizzando la programmazione espositiva dei maggiori musei piemontesi”, spiega la Presidente Ferrino, che aggiunge: “La Fondazione intende restare in prima linea per supportare l’intero sistema dell’arte contemporanea a Torino e in Piemonte, attraverso il sostegno ai suoi protagonisti, gli artisti, e ai progetti di residenza loro dedicati, nonché mediante l’erogazione di contributi specifici destinati alle più importanti manifestazioni culturali torinesi, alle fiere e alle gallerie.
“Infine, proseguendo lungo il percorso tracciato nel corso dell’ultimo quadriennio – prosegue Anna Ferrino – ritengo sia fondamentale focalizzarsi sulle progettualità e i servizi di formazione culturale gratuita messi in campo negli spazi OGR, un bacino di indiscussa eccellenza in termini di innovazione culturale che, attraverso programmi come OGR Public Program e OGR You, puntano a coinvolgere ed educare le nuove generazioni, il nostro futuro”.

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La Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT
Ente strumentale della Fondazione CRT, la Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea arricchisce e valorizza da oltre 20 anni il patrimonio culturale e artistico torinese e piemontese, sia con l’acquisizione di nuove opere, sia con azioni e progetti per lo sviluppo, il rafforzamento e l’efficienza dell’intero sistema.
La Fondazione ha acquisito complessivamente più di 870 opere di 300 artisti, per un investimento complessivo superiore ai 40 milioni di euro: una delle più importanti collezioni private a livello internazionale, al servizio della collettività. Inoltre, per avvicinare all’arte contemporanea un pubblico sempre più vasto e diffuso, la Fondazione agisce su molteplici fronti: la promozione (con il sostegno al programma Contemporary Art), la fruizione (con il contributo alle più rilevanti manifestazioni del circuito culturale piemontese), la formazione e l’educazione (con i progetti OGR Public Program, OGR YOU e ZonArte).
www.fondazioneartecrt.it

Le “Contaminazioni” invaderanno il cortile di via Vanchiglia 16

“L’importante è comunicare” dice la pittrice Adelma Mapelli

 

L’amicizia, la disponibilità, la voglia di comunicare, il passaparola, tutto ha contribuito al successo. Tutto sembra pronto per un piccolo set cinematografico, ti si spalanca il portone che dà sulla strada e ti pare di immergerti in un attimo in un un mondo altro, diverso, antico, vivacissimo.

Hai davanti il cortile, il lungo ballatoio che gli corre intorno a formare un unico primo piano, un basso fabbricato costruito in anni successivi, un paio d’alberi con altrettante aiuole, molta vita. Via Vanchiglia 16, una costruzione antonelliana, circa la metà del XIX secolo, la Mole e la movida di oggi a due passi. Qualcuno lo ha già avvicinato al cuore di Montmartre, alla comunità del Bateau-Lavoir, forse è un semplice angolo torinese, ritrovato e rinnovato, quello che a tratti sogniamo, un inseguirsi d’atelier, studi aperti, una galleria da pochi mesi trasferitasi, un centro di idee e di sperimentazioni, di attività e di sensazioni che accoglie lo spettatore che lo visita. Con la passione, con la perseveranza e con lo spirito sorridente e battagliero, affettuosamente coinvolgente, che le sono propri “Il Cortile delle Arti” lo ha inventato, a poco a poco, passo dopo passo, incontro dopo incontro, la pittrice Adelma Mapelli. Negli anni ’20 nello stabile aveva posto una fabbrica di forniture per ombrelli e berretti, poi pur continuando l’attività, all’indomani della guerra, molte parti furono convertite in alloggi per ospitare l’immigrazione dalle campagne e dal Sud. A metà degli anni Settanta l’artista inserì il proprio studio tra le pareti di quelli che erano stati sino ad allora gli uffici della fabbrica, aprendo alla pittura e all’acquarello, alla scuola di nudo frequentata da tanti nomi che sarebbero divenuti poi celebri nel mondo artistico torinese e non soltanto, ai numerosi allievi che si sono avvicendati ad apprendere le prime nozioni e ad irrobustire tecniche e prospettive. Poi, in questi ultimi anni, le iniziative e gli eventi organizzati periodicamente, mostre letture musica poesia teatro discipline meditative e molto altro.

“Dopo il lungo periodo di interruzione – ricorda Mapelli, docente di pittura all’UniTre torinese, da sempre organizzatrice di raduni en plein air, creatrice del Museo dell’Acquerello di Montà d’Alba – abbiamo ripreso nel primo weekend di maggio, eravamo tutti un po’ titubanti. Ci piaceva pensare ad un buon gruppo di persone ma non ci speravamo poi tanto. Invece è stato bello vedere il cortile riempirsi, il pubblico, fatto di adulti con i capelli bianchi e di ragazzi soprattutto, provenienti pure da fuori Torino, salire e scendere le scale, entrare negli atelier, chiedere, mostrare interesse, appassionarsi. È stata una festa, e tutti l’abbiamo vissuta come tale”. Dopo quello di maggio un altro appuntamento, “Contaminazioni”, un incontro tra fotografia e pittura inventato al volo in occasione di “The Phair To” da oggi (inaugurazione alle 15, chiusura alle 20) a domenica 20 (con orario ancora dalle 15 alle 20, domani sabato dalle 15 alle 23). “La gente ha voglia di occasioni simili – continua ancora la pittrice – e noi qui, all’interno del cortile, ci scambiamo idee, piccoli progetti che poi vengono ampliati; come invitiamo altri artisti, provenienti dal quartiere e da altre realtà della città, per metterli in contatto con il pittore, con il fotografo, con il musicista. Nascono contatti e nuovi interlocutori, l’importante è comunicare”.

Per questo appuntamento quattro spazi verranno aperti, gli altri saranno coinvolti nuovamente la settimana prossima, probabilmente il 22. Lo studio di pittura del francese Julien Cachki (a Torino dal 1987 e per due anni all’Accademia Albertina, diviso tra reale e virtuale, attraverso le istantanee delle webcam di tutto il mondo usa raccontare un pianeta fatto di frames e immagini effimere che scandiscono lo scorrere del tempo) ospita Silvia Fubini e Gianni Fioccardi mentre la Galleria d’arte contemporanea “Febo & Dafne” di Gabriella Garelli invita alla visita delle opere di Stefano Strangers (classe 1978, un obiettivo puntato sulle tematiche sociali più problematiche del mondo, dallo sfruttamento alle guerre civili, dalle catastrofi naturali ai cambiamenti climatici) e Diego Dominici (le sue maschere, la ricerca della mancanza di comunicazione con se stessi e con gli altri). Claudio Cravero, che inizia a fotografare negli anni Settanta, coltivando sempre di più l’uso della luce naturale, una costante nei suoi lavori che rimandano ai classici della pittura, titolare del laboratorio di fotografia “Hangar Studio” con Gianpiero Trivisano (fotografo dal ’98, s’è dedicato alla moda, alla fotografia realistica e onirica poi, alla street-photography) ospiterà Max Ferrero (“è un fotografo professionista che ama la gente, soprattutto quella che ha storie da raccontare e che gli permette di farlo con la sua macchina fotografica”) e Renata Busettini (“è una dilettante (!) perché il diletto è il motore che sprona il suo desiderio di vedere il mondo attraverso la fotografia”) mentre l’atelier di Adelma Mapelli vedrà inserite le opere fotografiche di Gianluca Garofalo, Alessandra Zanessi e Silvia Finetti, che è insegnante di tecniche pittoriche, ha partecipato a mostre e collaborato con la Circoscrizione 8 e con il Castello di Rivoli, e porta avanti con successo tra tele e fotografie una ricerca artistica che si muove tra figurativo e informale.

 

Elio Rabbione

Nelle immagini: Adelma Mapelli e Claudio Cravero nei loro studi, la locandina di “Contaminazioni” che promuove l’appuntamento dal 18 al 20 giugno e un momento del precedente incontro tra artisti e pubblico nel cortile di via Vanchiglia 16

Torino e i suoi musei. Il Castello di Rivoli

Torino e i suoi musei

Con questa serie di articoli vorrei prendere in esame alcuni musei torinesi, approfondirne le caratteristiche e “viverne” i contenuti attraverso le testimonianze culturali di cui essi stessi sono portatori. Quello che vorrei proporre sono delle passeggiate museali attraverso le sale dei “luoghi delle Muse”, dove l’arte e la storia si raccontano al pubblico attraverso un rapporto diretto con il visitatore, il quale può a sua volta stare al gioco e perdersi in un’atmosfera di conoscenza e di piacere.

1 Museo Egizio
2 Palazzo Reale-Galleria Sabauda
3 Palazzo Madama
4 Storia di Torino-Museo Antichità
5 Museo del Cinema (Mole Antonelliana)
6 GAM
7 Castello di Rivoli
8 MAO
9 Museo Lomboso- antropologia criminale
10 Museo della Juventus

 

7 Il Castello di Rivoli

La collezione di arte contemporanea presente al Castello di Rivoli è sicuramente rivolta agli esperti e ai “dottoroni” della contemporaneità, ma anche ai profani più coraggiosi. A questi prodi consiglio di arrivare a destinazione scarpinando su per la salita –non troppo ripida- che porta fino alla sommità della collina, dove sorge l’ex residenza sabauda e da dove si può godere una splendida vista su Torino. L’edificio, progettato da Juvarra su commissione di Vittorio Amedeo II di Savoia, sorge sulle fondamenta di un castello risalente all’XI secolo.
Nel Seicento, Carlo Emanuele I decise di edificare nel luogo in cui era nato un grande palazzo, il progetto fu seguito da Ascanio Vitozzi e di fatto portato avanti da Carlo di Castellamonte, che però non riuscì a terminare i lavori e lasciò incompleta la parte centrale dell’edificio comprendente l’atrio e gli scaloni d’onore.
All’inizio del XIX secolo la proprietà divenne un onere eccessivo per i Savoia che lo diedero in affitto al Comune di Rivoli, il quale in un secondo momento riuscì ad acquistarlo.
Inizialmente il castello servì da alloggio per le guarnigioni militari e solo nel lontano 1978 l’edificio venne risanato e ristrutturato, e le strutture preesistenti furono messe in relazione con materiali moderni. Nel 1984 il Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli apre al pubblico le sue trentotto sale, la cerimonia d’inaugurazione fu affidata alla mostra “Ouverture”, curata dall’allora direttore del Museo Rudi Fuchs, con l’intento di proporre un modello di collezione internazionale articolata tra gli storici ambienti del primo e del secondo piano.
Il mio consiglio, prima di entrare, è proprio quello di riprendere fiato, fare anche una breve passeggiata attorno all’edificio, guardare giù dal muretto che perimetra la collina e il cortile del castello, giocando a riconoscere le vie e i quartieri della città che dall’alto sembra fatta con i “Lego”.

Ci vuole un particolare stato di rilassatezza per accettare che un cavallo appeso sia in effetti un’opera d’arte e non una maldestra citazione de “Il Padrino”.
Purtroppo riconosco che la quotidianità non mi permette di andare a visionare quanto spesso vorrei le esposizioni temporanee presenti a Rivoli, anche se cerco di non perdermene troppe. Tuttavia, nonostante siano passati alcuni anni, la mostra “mia preferita” rimane “MAdRE” (2014), di Sophie Call. Un doppio percorso, unito e contrapposto giocato sul dialogo di due importanti progetti: “Rachel, Monique” e “Voir la mer”. Ricordo ancora vividamente quanto mi avessero colpito quegli schermi giganti su cui erano proiettati i filmati dedicati alle persone di Istanbul che avevano visto il mare per la prima volta. Erano volti emozionati, segnati dall’incredulità, inondati da un sentimento intenso ed ingombrante come l’acqua che stavano scoprendo, nonostante vivessero in una città circondata dal mare. Un mare azzurro-blu, che accomuna e accoglie ma che può anche travolgere e distruggere, un elemento complesso dunque che chiama in causa emozioni e sentimenti contrastanti. L’opera di Sophie Call è delicata e straziante, volta ad indagare temi quali il distacco, la rottura amorosa e l’intimità. Una delle artiste contemporanee che apprezzo di più, una donna coraggiosa che non teme di esporre opere come “Silenzio”, particolare realizzazione costituita da un’edicola in legno contenente una fotografia alla cui base è applicata una targa in metallo con la seguente incisione: ‹‹ Ogni volta che mia madre passava davanti all’Hotel Bristol, si fermava, si faceva il segno della croce e ci pregava di tacere: “Silenzio, diceva, è qui che ho perso la mia verginità” ››. Ma lasciamo il 2014 e torniamo a noi. Una delle peculiarità del Castello di Rivoli sta nello stretto rapporto che gli artisti riescono ad instaurare con il Museo, specificità che non solo permette agli stessi autori di scegliere quali opere esporre, ma ha comportato la realizzazione di grandi installazioni permanenti ideate dagli artisti appositamente per la Residenza. L’attività museale si fonda su quattro concetti cardine: aderenza all’attività museale, rilevanza internazionale, attenzione alle più attuali ricerche e la selezione di “masterpiece” nella produzione di ciascun artista. Le opere della collezione permanente sono collocabili tra gli anni Sessanta fino ai giorni nostri e sono riconducibili all’Arte Povera, (dalla Transavanguardia al Minimal), alla Body Art e alla Land Art, fino alle più recenti tendenze artistiche.

Visitare il Castello di Rivoli significa mettersi in gioco, costringersi ad aprire la mente ad un mondo diverso e purtroppo troppo spesso distante, è un’esperienza totalizzante, che chiama in causa tutti i sensi e costringe i visitatori a cambiare punto di vista, ad ammettere che non si ha sempre ragione. L’arte contemporanea ci sfida apertamente a fare “tabula rasa” e ad ascoltare altre versioni ed opinioni, attraverso la ricerca di significati che non sono mai quello che sembrano.
Tra la moltitudine di artisti spicca lui, “l’appenditore di banane” più incompreso al mondo, nonché uno degli artisti più ricchi e discussi della scena odierna.
Maurizio Cattelan utilizza nelle sue opere un approccio critico che si muove nella direzione dell’avanguardismo novecentesco, corrente artistica sviluppatasi nel XX secolo, nella convinzione che la vita futura possa acquisire un senso immanente e assoluto e successivamente venga messa in crisi dal capitalismo e dal crollo delle ideologie.
Togliamoci subito il dente e proviamo a dire due parole su quest’ultima opera (“Comedian”) che sembra proprio una costosissima presa in giro. Non ci siamo andati lontano in effetti, poiché l’artista voleva proprio provocare, con l’ennesimo gesto ironico, quel meccanismo inarrestabile che senza troppe riflessioni ha subito riconosciuto il titolo di “capolavoro” ad una banana attaccata con un pezzo di scotch. Ci siamo tutti arrabbiati, ma forse perché ci siamo sentiti colpiti nel vivo: l’opinione comune si è irritata, rifugiandosi dietro frasi cliché che riconoscono l’arte solo nei maestri rinascimentali, barocchi ed ottocenteschi, ossia “quando gli artisti sapevano disegnare”. Ma così ci si dimentica che da Duchamp in poi ciò che conta sono l’idea ed il gesto. L’idea dietro “Comedian”? Azzerare tutte le idee, far emergere il vuoto assurto a meccanica indiscussa, riflettere nichilisticamente sulla condizione dell’oggetto artistico, portato al livello di merce consumistica pagata a peso d’oro secondo quanto imposto dal mercato.

Cattelan da sempre vuole fondere vita e arte, realtà e finzione, attraverso azioni sempre più mass-mediatiche e stranianti come “A perfect Day”, “Hollywood”, “La rivoluzione siamo noi”, la teatrale “Him”. L’artista si comporta secondo lo standard della notizia televisiva, le sue opere fanno scandalo e di conseguenza fanno notizia, trasformandosi in informazioni di tendenza. Lo dimostrano installazioni come “La nona ora”, statua di Giovanni II colpito da un meteorite, esposta proprio in Polonia, presso la Galleria Zacheta di Versavia nel 2001, oppure “L.O.V.E.” acronimo di “libertà, odio, vendetta, eternità”, più comunemente conosciuta come “Il Dito”, una scultura in marmo di Carrara posta di fronte a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Milanese, che raffigura una mano intenta nel saluto romano con però tutte le dita mozze tranne una, quella del medio. La scultura si trasforma in un gesto irriverente, reso ancora più ironico dallo stile classico e monumentale che dialoga con l’architettura del ventennio del Palazzo Mezzanotte e se la prende con il mondo della finanza. Forse la più scandalosa rimane l’installazione del 2004, “Tre bambini impiccati in Piazza XXIV Maggio”, lavoro decisamente disturbante, costituito da tre manichini di bambini a piedi scalzi e con gli occhi sbarrati, impiccati ad una quercia. Lo stesso autore aveva così controbattuto alle critiche della cittadinanza: “La realtà che vediamo in questi giorni in TV supera di molto quella dell’opera. E quei bambini hanno gli occhi aperti: un invito a interrogarsi”.

A Rivoli ci si imbatte subito nell’ironia dell’artista, poiché dove c’è la biglietteria si trova “Il bel paese, 1994”, un enorme tappeto circolare, gigantografia dell’omonimo formaggio: il lavoro rimanda all’espressione che Dante e Petrarca avevano riferito all’Italia, che qui si concretizza in un tappeto continuamente calpestato e sporcato dai visitatori.
Realizzazione dedicata alla crudeltà umana è “Charlie don’t surf” del 1997, il cui titolo è una citazione del film “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola, relativa alla scena in cui gli americani distruggono un villaggio per poter accedere ad una spiaggia e fare “surf”. Si tratta di una scultura di un bambino seduto ad un banco di scuola, appositamente messo di schiena ed apparentemente diligente, se ci si avvicina ci si accorge che l’innocente è forzatamente immobilizzato da due matite conficcate nelle mani.
Nello stesso anno Cattelan realizza “Novecento”, il celebre cavallo imbalsamato e appeso al soffitto mediante un’imbragatura. Si tratta di un’inedita “natura morta” in cui prevalgono senso di insicurezza, fallimento e impossibilità di azione.

Non c’è quindi sempre da ridere, bensì occorre riflettere. A criticare siamo bravi tutti.

Alessia Cagnotto

“Nicola Lo Calzo. Binidittu”: gli scatti del fotoreporter torinese

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A “CAMERA” la storia e l’eredità culturale di San Benedetto Manasseri detto il Moro. Fino al 18 luglio

I rapporti fra il fenomeno del colonialismo con tutti i suoi effetti (ancora oggi, a livello internazionale, tragicamente evidenti) e l’identità culturale contemporanea. E’ questo l’obiettivo con cui prende forma la mostra fotografica “Biniduttu” a firma del fotografo torinese – oggi attivo fra Parigi, Africa occidentale e Caraibi – Nicola Lo Calzo, ispirata alla vita di San Benedetto Manasseri detto il Moro ( o San Benedetto da San Fratello o San Benito) ed ospitata fino al prossimo 18 luglio nella Project Room di “CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia” di Torino.

Nato nel 1524 ca. da schiavi africani, probabilmente etiopi (Cristoforo e Diana), a San Fratello di Messina e poi vissuto come frate minore in Sicilia fino al 1589, anno della scomparsa, Benedetto – per i siciliani Binidittu – non solo fu eletto nel 1652 dal Senato di Palermo a protettore degli afro-discendenti in America Latina e dei Palermitani (insieme a Santa Rosalia), ma venne anche canonizzato nel 1807 da Papa Pio VII, diventando icona di riscatto ed emancipazione a livello mondiale. Curata da Giangavino Pazzola e realizzata in collaborazione con la galleria “Podbielski Contemporary” di Milano, la mostra fa parte di una ricerca iniziata nel 2010 e realizzata da Lo Calzo (collaboratore di importanti testate internazionali da “Le Monde” al “The New Yorker” al “The New York Times” ) sulle tracce e sull’eredità della diaspora africana e della schiavitù nel mondo atlantico e mediterraneo, intitolata “Cham”. Con questo progetto, e nello specifico con “Binidittu” suo ultimo capitolo, il fotoreporter torinese “ha l’ambizione di contribuire al dibattito sulla rimozione della memoria e la costruzione dell’identità in una prospettiva decoloniale, riscoprendo non solo l’uomo oltre al Santo o i suoi analoghi in altre parti del mondo, ma anche i valori simbolici, politici e civili che questa storia ci trasmette”. Sacro e profano. Passato e presente. In un amaro rincorrersi di intollerabili schegge di “schiavismo-razzismo” ancora oggi ben accese in tutto il mondo. E Binidittu diventa allora voce e figura antesignana , di grande contemporanea attualità nella lotta contro diseguaglianze e discriminazioni. Ecco allora accanto alle scene di processione a San Fratello dedicate al Santo, con i portatori della “vara”, immagini quotidiane, in cui si raccontano giovani d’oggi, ragazzi e ragazze di colore e non, accomunati dall’idea di un’unica appartenenza a quel genere umano che non conosce barriere di pelle e di genere. In parete anche immagini legate all’iconografia del Santo, specificamente documentata da un’installazione che include materiali (cartoline, santini e vecchi rosari) relativi al processo di costruzione di “Cham”. La mostra di Lo Calzo inaugura il ciclo “Passengers. Racconti dal mondo nuovo”, progetto che “CAMERA” dedica agli artisti appartenenti alla cosiddetta generazione dei “millenials”, ai fotografi “mid-career” nati fra i primi anni Ottanta e la metà degli anni Novanta. Il prossimo appuntamento sarà con Federico Clavarino, da fine luglio a fine settembre, mentre dal 16 al 18 luglio lo stesso Lo Calzo terrà a “CAMERA” un workshop metodologico dal titolo “Fotografia e prospettive decoloniali” sulla rappresentazione del potere nelle immagini, realizzato nell’ambito di “FUTURES” (cofinanziato dal “Programma Europa Creativa dell’Unione Europea) e nato dalla sua ricerca sulla memoria e sulle tracce della resistenza alla schiavitù coloniale, condotta sotto l’egida dell’Unesco.Per iscrizioni www.camera.to.to e per informazioni didattica@camera.to

Gianni Milani

“Nicola Lo Calzo. Binidittu”
“CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia”, via delle Rosine 18, Torino; tel. 011/0881150 o www.camera.to
Fino al 18 luglio
Orari: lun. merc. ven. sab. e dom. 11/19 – giov. 11/21 – mart. chiuso

 

Cinque mostre all’imbiancheria del Vajro di Chieri

RESTART!  Per raccontare la Collezione Civica di Fiber Art “Trame d’Autore”

Prende il via martedì 15 giugno 2021 il progetto «RestART! Museo relazionale Imbiancheria del Vajro», cinque mostre che nell’arco di due anni racconteranno la preziosa Collezione Civica di Fiber Art del Comune di Chieri.

Martedì 15 giugno, alle ore 17,30, all’Imbiancheria del Vajro, in via Imbiancheria 12,  a CHIERI, inaugurazione ufficiale del progetto «RestART!» la mostra «I introduce myself», con la partecipazione di Alessandro Sicchiero, Sindaco della Città di Chieri, Antonella Giordano, Assessore alla Cultura della Città di Chieri, Silvana Nota, direttrice artistica, e Massimo Tiberio, exhibit designer. Seguirà visita guidata.

L’Imbiancheria del Vajro è uno dei più antichi edifici industriali di Chieri, risale al XVI secolo, quando qui si insediarono le prime lavorazioni tessili. Negli ultimi vent’anni è stata sede di tutti gli eventi temporanei legati alla corrente artistica della Fiber Art, in particolare la Biennale di Fiber Art e la rassegna“Tramanda”.

Oggi la Città di Chieri dispone di una collezione di più di 300 opere di Fiber Art, “Trame d’Autore”, realizzate da artisti di tutto il mondo, un patrimonio di valore e di rilevanza internazionale, che fino ad oggi non aveva un luogo che potesse ospitarle e valorizzarle in maniera continuativa.

«RestART!» si è aggiudicato il bando “I luoghi della cultura 2020” della Fondazione Compagnia di San Paolo, che è il maggior sostenitore del progetto. La prima fase si è concentrata sul recupero del patrimonio esistente, tramite il ripristino e la rifunzionalizzazione della struttura dell’Imbiancheria del Vajro, che ora diventa un museo ‘relazionale’ incentrato sul patrimonio della Fiber Art, ospitando mostre temporanee ed eventi collaterali, attività educative, nonché la rassegna “Tramanda” e tutte le iniziative ad essa collegate. E dal 15 giugno 2021 fino al 15 dicembre 2022, saranno proposte a rotazione cinque mostre che presenteranno la Collezione Civica “Trame d’Autore”.

«Questa importante iniziativa culturale vuole rilanciare gli splendidi spazi dell’Imbiancheria del Vajro e far conoscere finalmente il ricco patrimonio di Fiber Art che Chieri custodisce da annidichiara l’assessore alla Cultura Antonella GIORDANOun patrimonio importante dal punto di vista non solo storico e culturale ma anche estetico. A seguito della crisi e delle trasformazioni della filiera del tessile, la Fiber Art si è affermata come uno degli strumenti capaci di valorizzare il sapereimmateriale legato al tessile, sprigionandone le potenzialità artistiche. Non solo abbiamo recuperato un edificio sottraendolo al degrado, non solo proponiamo nuovi percorsi espositivi ed eventi, ma con questo progetto mettiamo a sistema una rete di relazioni, coltivata negli anni, capace di ampliare l’offerta culturale e amplificare l’impatto con una gestione aperta e flessibile, capace di dialogare con il territorio e di coniugarlo con l’internazionalità, stimolandone l’entusiasmo e coinvolgendolo in un processo di sviluppo condiviso. Un museo “relazionale” e non “statico” dove il visitatore non è un fruitore passivo ma diventa parte attiva».

Ad inaugurare «RestART!» sarà la mostra «I introduce myself», dal 15 giugno al 15 settembre 2021.

Quindi, dal 15 ottobre 2021 al 15 gennaio 2022, la quarta edizione di «Tramanda», con l’esposizione delle opere degli artisti che hanno partecipato al premio “Young Fiber Contest”, dedicato ai giovani artisti under 35 (41 partecipanti) e delle opere dei 60 artisti che hanno preso parte alla sezione “Chiamata Aperta”,rivolta a tutti gli artisti senza limiti di età impegnati con opere sia al telaio sia off-loom. A seguire, le altre tre mostre di «RestART!», ovvero «Fiber Art. Un grande abbraccio al mondo», dal 15 marzo al 15 maggio 2022, «La bellezza ritrovata», dal 15 giugno al 15 settembre 2022, «Shared Exhibition, i molti sguardi di una mostra condivisa», dal 15 ottobre 2022 al 15 dicembre 2022.

«RestART!  mette a fuoco quello che è un patrimonio molto speciale, una collezione internazionale di oltre 300 opere che hanno portato il mondo a Chieri e grazie alle quali Chieri è divenuta protagonista nel mondo-spiega Silvana NOTA, critica d’arte e direttrice artistica del progetto RestART!-Il tutto è nato grazie ad un’idea dell’artista olandese Martha Nieuwenhuijs, che aveva ideato proprio a Chieri la Biennale di Fiber Art, con lo scopo di far capire come attraverso un filo si possono aprire un’infinità di percorsi, individuando in questo linguaggio dell’arte contemporanea un testimonial internazionale per la secolare tradizione tessile chierese. La Fiber Art, non ancora adeguatamente conosciuta in Italia, è un vero e proprio movimento artistico, seppur non teorizzato da un manifesto, che si è venuto affermando a partire dagli anni Sessanta soprattutto nel Nord Europa e negli Usa, e che mette al centro il filo in tutte le sue declinazioni, purché intrecciato o comunque lavorato al telaio od off-loom. Una corrente artistica antiaccademica, relazionale, in costante metamorfosi. Il fiber artist non è semplicemente un artista che utilizza il tessuto nel suo lavoro. A caratterizzare la Fiber Art sono tre elementi inscindibili. Il primo è la “tessitura”, quel filo che unisce le origini dell’umanità al nostro contemporaneo, un elemento flessibile ed intrecciabile, che viene continuamente rielaborato alla luce di nuove tecniche e capacità. Il medium tessile scelto come strumento espressivo al pari della pittura e della scultura. Il secondo elemento è l’attenzione alle culture altre e diverse, la valorizzazione ed il rispetto delle diversità. La Fiber Art è un linguaggio che si esprime in un costante rimando di richiami e collegamenti interdisciplinari e interculturali, è fortementecosmopolita, basta vedere le traiettorie biografiche dei vari artisti, non ha confini né barriere, guarda a ciò che di meglio i popoli hanno realizzato, è un’arte fortemente “etica”, che ci unisce al mondo, esattamente come fa il filo. Il terzo fattore caratterizzante è la continua sperimentazione in progress, la costanteevoluzione. Non è un caso che nelle ultime generazioni di artisti si stia registrando un grande interesse verso la Fiber Art, e sia “RestART!” sia “Tramanda” renderanno conto di tutti i flussi di tendenza in atto, che uniscono artisti molto diversi tra loro, sia coloro che si identificano con la Fiber Art sia artisti che utilizzano il filo in modo non casuale ma attribuendo un valore concettuale ed individuando in esso profondi giacimenti di significato e di ricerca».

Un ammirevole itinerario attraverso i diversi artisti del Novecento

Alla Galleria Fogliato, sino al 26 giugno

Sino al 26 giugno prossimo appuntamento con i “Novecentisti” alla Galleria Fogliato di via Mazzini  9, con orario 10 – 12,30 / 15,30 – 19, chiusura festivi e lunedì. Circa settanta le opere esposte, 34 gli artisti presenti in mostra, uno sguardo di sicuro interesse ad abbracciare nomi del panorama italiano e principalmente piemontese, il sicuro ritrovare nomi maggiormente conosciuti, le felici sorprese di alcuni forse dimenticati per molti visitatori accanto ai primi. Sempre suggestiva quanto importante la presenza di Francesco Menzio di cui si propone l’”Autoritratto con natura morta” o un “Paesaggio” pronto a lasciar trasparire la profonda calura estiva come il “Ponte sul Po”; ancora un “Paesaggio” di Albino Galvano datato 1930, le tre “Composizioni” di Umberto Mastroianni, il “Santone con il gatto” nei tratti oscuri di Spazzapan. Ci si sofferma a lungo e ancora una volta si apprezzano le immagini o le figure spigolose dell’alessandrino Pietro Morando, i suoi “Suonatori” e le “nature morte” accompagnate da bottiglie limoni piante, soprattutto lo sguardo si ferma sull’”Erpice”, che raccoglie e denuncia la fatica dei due contadini immobili contro una terra e un cielo dai colori bruni e disumanamente silenziosi.

Il clima si alleggerisce nei colori e nell’impertinenza del “Coro” (1953) di Francesco Tabusso (suo anche “La soprano”, un olio su tavola di cm 175 x 92, un ritratto femminile giocato sui ritmi del viola, accompagnato da spartiti musicali, un pianoforte e la custodia di uno strumento), come nel piccolo “Paesaggio” firmato con grazia da Daphne Casorati, nell’azzurro del mare e nelle vele abituali di Enrico Paulucci, nel suo “Interno con fiori”, nel “Pomeriggio d’estate”, immerso nel verde a circondare i tre personaggi femminili, tra un tranquillo ricamo e la lettura, accanto al cane addormentato, immagine dovuta ai ricordi impressionisti di Attilio Bozino (efficace ritrattista, allievo di Giacomo Grosso a Torino prima e di Aristide Sartorio a Roma in seguito). Questi e altri ancora i felici recuperi che la galleria allinea lungo le pareti dei propri spazi superiori e inferiori, immagini che alternano visi e panorami, abitudini e piccoli oggetti di ogni giorno, tappe davanti alle quali soffermarsi per riunirle poi in un ammirevole, lungo itinerario: la “Laguna” di Dario Treves, anche qui una ventata di aria francese, il delicato “Rose a Cigliano” di Roberto Pasteris, la visione su piazza della Gran Madre dovuta ad Adriano Sicbaldi, le opere amabilmente ritrovate di Luigi Roccati, il soggetto sacro di Mario Caffaro Rore, lo scorcio su Trana, ripresa dall’alto, dovuto a Edgardo Corbelli.

 

Elio Rabbione

 

Nelle immagini: Attilio Bonzino, Pomeriggio d’estate”; Roberto Pasteris, “Rose a Cigliano”; Enrico Paulucci, “Interno con fiori”; Francesco Tabusso, “La soprano”

Al castello di Monticello le opere di Jessica Carroll

MONTICELLO D’ALBA Castello di Monticello | Confraternita di San Bernardino | Poggio di San Ponzio

JESSICA CARROLL
SENSO DI DIREZIONE
13 giugno – 29 agosto 2021

a cura di Carla Testore

Torna Monticello d’Arte con le opere di Jessica Carroll che si snoderanno attraverso i luoghi storici e i sentieri di Monticello d’Alba.

Il Comune di Monticello d’Alba continua il suo impegno di trasformazione a luogo deputato all’arte con Senso di direzione, una grande performance articolata in 3 spazi: una mostra al Castello, un’installazione nella confraternita di San Bernardino e un’opera di arte pubblica sul poggio di San Ponzio. Un percorso poetico ed emozionante che, attraverso la raffigurazione scultorea di animali d’acqua e di terra, racconta il mistero del senso dell’orientamento, come magnifica creatività del Regno della Natura.

Jessica Carroll

Castello Roero di Monticello – LA MOSTRA
Tra le colline del Roero, in posizione dominante, il Castello è una delle costruzioni medievali meglio conservate della zona, dal 1376 proprietà della famiglia Roero di Monticello. Da anni è meta di artisti e cultori dell’arte e propone periodicamente mostre monografiche dedicate a proposte italiane e straniere.
Grazie alla collaborazione dei proprietari con il Comune, le suggestive sale di questo antico maniero ospiteranno le opere di Jessica Carroll: api adagiate su un tappeto blu cobalto si alternano a banchi di anguille in resina trasparente, arnie di ceramica occupano il teatro e la cappella, danze di api per “allarme” o “direzione” invadono le antiche mura delle cantine.

The Big Bee Hive 2003 125×160 25 piatti esagonali in ceramica cristallina miele

Confraternita di San Bernardino – L’INSTALLAZIONE
L’opera Pavimento Verde Pisello è protagonista della secentesca chiesa dedicata a San Bernardino.
In ceramica verde, l’opera riproduce con una sorta di modello matematico le sfere di un baccello di pisello, un percorso iniziatico come quei labirinti che simboleggiavano i pellegrinaggi, a riflettere sul mistero della fotosintesi sotto il cielo blu stellato del soffitto.

 Pavimento Verde  Pisello 2004 cm.32x366x433 ceramica courtesy Ermanno Tedeschi Gallery

Poggio di San Ponzio – L’ARTE PUBBLICA
Sense of Direction è la scultura bronzea alta due metri creata da Jessica Carroll per il paese di Monticello, che raffigura un favo stilizzato con un’ape che lascia su di esso il segno del suo volo.
Ideata e posizionata appositamente sulla sommità della collina sovrastante l’antica Pieve cimiteriale di San Ponzio, luogo del primo insediamento del paese, l’opera esprime il senso dell’orientamento come specificità naturale legata alla vita, al muoversi e al crescere in una direzione piuttosto che in un’altra.
L’opera resterà anche in futuro luogo permanente di visita.

Senso di direzione 2019 cm 200x106x58 ferro e ape bronzo. Foto di Francesco Pergolesi

MONTICELLO D’ARTE
Monticello d’Arte è un progetto culturale che unisce gli stimoli dell’arte contemporanea a quelli degli edifici e delle opere di notevole interesse storico presenti nel paese.
La prima tappa di Monticello d’Arte è stata nel 2018 la mostra Happiness, curata da Carla Testore, che ha permesso di rilevare l’attenzione dei visitatori e dei residenti nei confronti di eventi d’arte “non usuali”.
La monumentale Frammenti di Valerio Berruti (realizzata con il bando Distruzione di Fondazione CRC) e Il bosco delicato di Sabrina Oppo (artista in residenza di Creativamente Roero) sono state le prime opere di arte pubblica nel 2019 che hanno consolidato la vocazione del paese per l’attenzione all’arte come patrimonio di tutti.
Nell’autunno del 2020, la mostra Outside-Inside, dentro la natura del Roero, anch’essa curata da Carla Testore, ha portato le fotografie di Ivano Piva al Castello con il contributo dell’Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato.

Castello Roero di Monticello. Foto di Filippo Spanò

L’evento “Senso di direzione” è realizzato grazie al sostegno della Fondazione CRT e della Fondazione CRC.

A questo link i materiali stampa insieme a molte belle immagini
https://drive.google.com/drive/folders/1Ok6e1uJMjSrSgwo6I5-TBJ28enBlgKwf?usp=sharing

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JESSICA CARROLL
Senso di Direzione
13 giugno – 29 agosto 2021

Inaugurazione a inviti sabato 12 giugno 2021

A cura di Carla Testore
Un evento di Comune di Monticello d’Alba
Con il supporto di Castello Roero di Monticello
Con il sostegno di Fondazione CRT e Fondazione CRC
Con il patrocinio di Associazione Valorizzazione Roero, Ente Turismo Langhe Monferrato e Roero, Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato

Monticello d’arte è ideato da Elisa Roero di Monticello, ambasciatrice per la Valorizzazione del Roero con Piccolo Festival della Felicità

L’arte del gioiello e dell’accessorio incontra l’Oriente

Fino al 29 agosto 2021

 

Aperta al MAO TOAsean Design, l’esposizione che mette in mostra i progetti realizzati dagli studenti del 2° anno del corso Triennale in Design del Gioiello e Accessori di IED Torino, ispirati alle opere del MAO Museo d’Arte Orientale, insieme ad alcuni pezzi realizzati da undici eccellenze artigiane piemontesi.

Si rinnova anche per il 2021 la collaborazione fra l’Istituto Europeo di Design e il MAO, che quest’anno ha dato vita all’esposizione TOAsean Design, realizzato grazie al contributo della Fondazione CRT. Nell’ambito dell’omonima iniziativa, sostenuta da Camera di Commercio Italia Myanmar per promuovere il design italiano in Oriente e rafforzare il rapporto culturale tra l’Italia e i Paesi del Sud Est Asiatico, sette studenti del secondo anno del corso Triennale in Design del Gioiello e Accessori di IED Torino sono stati invitati a progettare altrettante creazioni ispirandosi alle opere della collezione permanente del Museo d’Arte Orientale.

L’incontro con statue e oggetti, provenienti da mondi ed epoche lontane, ha innescato il processo creativo: attraverso uno sguardo attento e una ricerca approfondita, i giovani designer hanno progettato gioielli e accessori, pezzi unici che declinano suggestioni estetiche e simboli culturali in chiave contemporanea.

Quest’anno il progetto si arricchisce della collaborazione con CNA Torino, la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa: undici imprese artigiane, sette delle quali hanno supportato la realizzazione delle opere degli studenti IED, hanno progettato o rivisitato altrettanti oggetti preziosi delle loro collezioni sulla base di suggestioni provenienti dai paesi dell’Asia, dando vita a undici creazioni che testimoniano della competenza e della creatività delle imprese artigiane piemontesi.

La sinergia tra design e artigianato ha permesso agli studenti IED di lavorare al fianco degli artigiani torinesi, facendo esperienze diretta di tradizioni d’eccellenza del territorio e acquisendo competenze legate a particolari lavorazioni grazie al confronto con specifici materiali, processi e tecniche di produzione.

L’esposizione è il risultato di solide relazioni costruite dal MAO con importanti attori istituzionali del territorio e, grazie al supporto della Camera di Commercio Italia Myanmar, diventa un’interessante occasione di promozione per gli studenti e per le eccellenze artigiane piemontesi, che avranno la possibilità di far conoscere il proprio lavoro a livello nazionale e internazionale.

I gioielli esposti sono stati realizzati da: Rebecca Maggiora, Simone Bolognesi, Sara Tesan, Giuliana Noto, Tommaso Balducci, Elettra Tarraran e Marta Baccuini, studenti del Corso di Design del Gioiello e Accessori IED Torino, e da Barbara Ebbli, Evgenia Elkind, Paola Bellinzoni, Lorenzo Tiano, Paola Garbiero, Elena Imberti, Fulvio Pertica, Gianluca Guarneri, Rossella Calabrò, Stefania Mairano e Francesco Ferrara, Nicoletta Biglia e Rita Bellino titolari di imprese appartenenti al network CNA Torino.

Ha supervisionato il progetto Daniela Bulgarelli, coordinatrice del corso Triennale di Design del Gioiello e Accessori di IED Torino.

TOAsean Design è realizzato grazie al contributo della Fondazione CRT.

“Arcani”, 23 artisti interpretano i segreti dei tarocchi

Sino al 27 giugno, nella ex chiesa di Santa Croce ad Avigliana

“Arcani. 23 artisti interpretano gli arcani maggiori dei tarocchi” s’intitola la mostra – a cura di Luigi Castagna e Giuliana Cusino, con il patrocinio della Regione Piemonte, della Città Metropolitana di Torino e della CIttà di Avigliana – con cui l’associazione “Arte per Voi” ha ripreso, nell’ampio spazio dell’ex chiesa di Santa Croce, nella piazza Conte Rosso di Avigliana (sino al 27 giugno), dopo mesi di interruzione e chiusure dettate dalla attuale situazione, la propria attività espositiva. Ci guida l’artista Serena Zanardo tra le note esplicative che quasi obbligatoriamente devono accompagnare la mostra: “Il termine Arcani evoca un mistero ancora da scoprire come lo sono i personaggi e archetipi rappresentati nelle carte dei Tarocchi. Ogni artista, attraverso il suo sentire, il suo stile e la sua tecnica (pittura, scultura, ceramica) ha provato a svelare il segreto nascosto di uno o più arcani, dando vita a un percorso di visita che diventa viaggio di scoperta di una tradizione tanto antica quanto ricca di simboli e significati attuali”. Il percorso, nonostante il felice interesse per l’occasione, per arrivare ad oggi non è stato facile, “è stato un viaggio durato più di un anno anche l’organizzazione della mostra stessa, mostra che avrebbe portato finalmente all’apertura al pubblico, con la fiducia che sia un segno di ripresa senza ulteriori interruzioni per il mondo dell’arte e della cultura, ma anche un’occasione per ritrovarsi e condividere la bellezza dell’arte e dell’ispirazione creativa”.

Uno sperduto sguardo femminile verso l’alto di Daniela Bertolino, la maestosa “Papessa” di Enrica Campi e il carro di Massimo Voghera, il disco solare ripensato da Cetty Bonello, il coloratissimo vetro di Silvio Vigliaturo a rappresentare lo sguardo incantato degli “Amanti”, il fogliame ed i fiori rosati che accompagnano “L’eremita” di Giuliana Cusino, il mascherone inquietante di Rocco Forgione, il corpo femminile di Renata Ferrari circondato da un turbine di stelle, questi alcuni dei titoli e degli artisti presenti in mostra. Espongono inoltre Silvana Alasia, Franca Baralis, Ivo Bonino, Nadia Brunori, Alfredo Ciocca, Luisella Cottino, Maria José Etzi, Lucia Galasso, Sonia Girotto, Beppe Gromi, Gaia Maritano, Enrico Massimino, Elena Monaco Elena Piacentini, Guido Roggeri e Serena Zanardo.

Orari di apertura: sabato e domenica dalle 15 alle 19. (e. rb.)

Nelle immagini:

Ines Daniela Bertolino, “Stelle”, acrilico su tela, 2019

Enrica Campi, “La Papessa”, grès rosa patinato e foglia di ottone, 2021

Silvio Vigliaturo, “Lovers”, scultura in vetro, 2020

La musica dell’isola

Un  libro minuto, lieve ma molto bello, dove si  narra la storia dell’incontro tra una donna e un clochard, entrambi amanti di musica classica. L’uomo senza fissa dimora si piazza davanti alla finestra aperta del conservatorio di Torino, assieme all’autrice, per ascoltare quel professore di pianoforte che, terminate le lezioni, esegue per sé Liszt e Ravel

Quando abitavo in via Mazzini, proprio al fondo, vicino al Po, mi piaceva al mattino risalire tutta la strada verso il centro della città fino al Conservatorio Giuseppe Verdi e fermarmi qualche minuto ad ascoltare la musica che strimpellavano gli allievi e i tocchi sapienti dei maestri. Avevo imparato che dalla finestra che dava sulla via Mazzini uscivano suoni di batteria. Non mi interessava. Scartata la facciata di piazza Bodoni, dove si apriva l’ingresso dell’atrio che immetteva nella sala dei concerti, da cui al mattino non usciva alcun suono, facendo il giro del palazzo avevo individuato le aule dove si insegnavano i vari strumenti, e avevo scoperto, tra quelle in cui si insegnava pianoforte, una dove c’era un maestro particolarmente bravo: udivo infatti i tocchi incerti degli allievi e la sua mano che riprendeva il brano musicale, il suo interrompere l’esecuzione per far ripetere il passaggio, una, due, tre volte. Talora accadeva che il maestro sospendesse l’esecuzione dell’allievo per portare a termine il pezzo con le sue mani. E allora le note diventavano musica”. Inizia così “La musica dell’isola”, racconto breve di Laura Mancinelli, pubblicato dalla novarese “Interlinea” quasi vent’anni fa. Un  libro minuto, lieve ma molto bello, dove si  narra la storia dell’incontro tra una donna e un clochard, entrambi amanti di musica classica. L’uomo senza fissa dimora si piazza davanti alla finestra aperta del conservatorio di Torino, assieme all’autrice, per ascoltare quel professore di pianoforte che, terminate le lezioni, esegue per sé Liszt e Ravel. Poi, all’improvviso, quel rapporto s’interrompe perché l’uomo scompare, facendo perdere ogni traccia di se. Fino a quando, qualche anno dopo, riappare nelle vesti di organista che esegue “Eine feste Burg ist unser Gott” ( “Forte rocca è il nostro Dio” ), un grande corale di Bach basato sull’omonimo inno composto da Martin Lutero. La musica riempie di magia la messa di Natale sull’isola di San Giulio, che sembra galleggiare nella nebbia in mezzo al lago d’Orta, in una notte dall’atmosfera sognante. Da Torino al più romantico dei laghi, con il dramma della sclerosi multipla che colpì l’autrice, costringendola a muoversi su di una sedia a rotelle e ad affidare vita e passioni alla scrittura. Un racconto venato da malinconia, sospeso fra verità e invenzione, intriso di quella grazia che non manca mai nelle storie di Laura Mancinelli , dai “Dodici abati di Challant” al “Fantasma di Mozart” , da “La casa del tempo” ad “Andante con tenerezza”.

 

Marco Travaglini